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LOGICA O RETORICA?

 

20/10/1998

 

Istituire un’associazione culturale oggi è un’impresa di un certo interesse perché, come sapete, di associazioni culturali o comunque di associazioni che fanno cultura ce ne sono un’infinità. Ciascuna di queste istituzioni, organizzazioni, promuove un discorso ovviamente; come è stato detto in varie circostanze è proprio in seguito ad un confronto anche con vari discorsi che si decise di non soltanto istituire l’associazione culturale ma di inventare un discorso totalmente differente; differente al punto da risultare in moltissimi casi incompatibile con la più parte di ciò che attualmente è inteso come cultura. Questa incompatibilità procede dal fatto che tutto ciò che è stato elaborato in questi anni è andato distanziandosi, man mano sempre di più fino a diventare radicalmente, da una struttura di discorso religioso; in questo si pone in termini totalmente differenti da qualunque altra organizzazione, e questo ha molto a che fare con ciò che sto per dirvi, cioè con ciò che riguarda il tema di questa serata: logica o retorica?

Due aspetti che ci hanno condotti a pensare in modo radicalmente differente, come sapete si considera che la logica sia una struttura che consente, date certe premesse, di giungere a delle conclusioni coerenti, attraverso l’induzione o la deduzione ma comunque attraverso un percorso inferenziale e quindi legittimato dalle regole di inferenza logica; mentre le retorica no: la retorica si considera un discorso che non muove necessariamente attraverso passaggi rigorosi, anzi il più delle volte consiste di affermazioni assolutamente illecite o quantomeno arbitrarie; la logica invece no, non dovrebbe fare questo.

E allora una delle dicotomie fondamentali del discorso occidentale è da sempre stata quella di considerare se un discorso, un qualunque discorso o più propriamente il discorso corrente, dia la supremazia alla logica oppure alle retorica e cioè se parte dei discorsi che si fanno muovano da alcune premesse e giungano alle loro conclusioni attraverso un sistema rigoroso o quantomeno riproducibile o dimostrabile, a seconda dei casi, oppure invece se ciascun discorso sia costruito sul nulla e insegua, assolutamente a piacer suo, tanto le premesse quanto le conclusioni e quindi non sia in nessun modo dimostrabile. Un’affermazione retorica generalmente non è dimostrabile, così per esempio una figura retorica non è sottoponibile ad un criterio verofunzionale; un discorso logico dovrebbe esserlo. Il discorso occidentale si è sempre attenuto a questa divisione, più o meno netta, più o meno marcata a seconda dei casi e a tutt’oggi esiste un dibattito che verte proprio su questo e cioè se il discorso correntemente si appunti alla logica o alla retorica o comunque in ogni caso se sia preferibile l’una cosa all’altra per giungere a delle conclusioni. Dicotomia che si riscontra poi in moltissimi altri casi; dicotomia tra le fede e la scienza, tra il sentimento e la ragione; hanno tutte quante lo stesso fondamento; da una parte cioè un discorso rigoroso, provabile, dall’altra invece un discorso che non è sottoponibile a nessun criterio di dimostrabilità. Il fatto che la più parte del discorso occidentale mantenga questa divisione ci ha indotti a considerare in termini molto attenti la questione tanto da riprenderne almeno i temi fondamentali. Consideriamo un discorso logico: si dice che debba muovere da premesse possibilmente certe per giungere, attraverso una serie di regole di inferenza, a una conclusione altrettanto certa. Ma il problema della logica, da Aristotele almeno in poi, è sempre stato quello di potere reperire delle premesse certe, perché se le premesse non sono certe, sono costruite su nulla, allora anche le conclusioni subiranno la stesa sorte. La trovata generalmente è quella di fondare questa premesse su cui si costruisce tutto il pensiero, o su dati dell’esperienza oppure su ciò che è creduto dai più: Aristotele optava per questa seconda soluzione. Però, in entrambi i casi si ha a che fare con elementi che poco hanno a che vedere con la certezza di cui invece la logica si picca di essere la portatrice. Quale conseguenza, quale conclusione può essere certa se le premesse comunque sono sempre discutibili? Nessuna, a meno che si decida che la vox populi sia vox dei e allora viene accolta come premessa universale, oppure il dato dell’esperienza che, in ogni caso, è riconducibile alla vox populi: la più parte delle persone esperisce in questo modo quindi è giusto questo. Perché no, certo, il problema che ci si pose a quel punto era che stando in questi termini le cose, una qualunque altra premessa sarebbe potuta andare altrettanto bene. Ma, ci domandammo, c’è una premessa che invece non è necessariamente, assolutamente arbitraria? Solo a questa condizione il discorso logico si sarebbe potuto fare procedere in modo rigoroso, preciso, oppure invece è effettivamente come taluni pensano, soltanto una questione retorica e cioè che ciascun discorso è sempre e necessariamente retorico. La logica fornisce soltanto qua e là degli strumenti perché le conclusioni non siano del tutto strampalate ma, in ogni caso seguono a delle premesse che sono assolutamente opinabili. Per esempio un discorso come questo che afferma che se Dio esiste allora esiste anche l’inferno e il paradiso, può apparire per alcuni logico, ma è un discorso retorico in quanto le premessa è comunque opinabile, muove cioè da una premessa non certa. Questa dicotomia fra logica e retorica ha avuto ed ha molti risvolti; c’è stata da sempre un’attribuzione alla logica di una forza e di una potenza che in buona parte invece non ha; le si attribuisce generalmente un carattere costrittivo, perché se affermo che "se A allora B" e "se B allora C", ne segue necessariamente che "se A allora C" e nessuno al mondo può obiettare nulla rispetto ad una cosa del genere e quindi la logica e di conseguenza anche il discorso scientifico, per esempio, hanno sempre avuto fama di essere indubitabili, certi, sicuri, anche se ultimamente, in effetti, alcuni hanno incominciato a porre qualche obiezione. Come sapete alcune dottrine, relativamente recenti, come l’ermeneutica per esempio, si fidano molto poco della logica perché hanno abbandonato l’idea di potere raggiungere la certezza, non soltanto l’ermeneutica; anche una sorta di relativismo intellettuale, teorico, dove la certezza non c’è più ma soltanto una sorta o di adattamento o di avvicinamento a qualche cosa che si ritiene più certo oppure l’utilità: una tesi è accolta se è utile a fare qualche cosa, altrimenti viene abbandonata. Però un discorso teoretico poco si cura dell’utilità generalmente, ma cerca dei fondamenti per potere stabilirsi; pensate a tutto il discorso occidentale, tutto ciò che è stato della religione, delle metafisica; la necessità che si è sempre avuta di appoggiarsi su qualche cosa di solido, di stabile, di duraturo, se non addirittura eterno. Poi in quest’ultimo secolo, con la famosa crisi dei fondamenti, molte delle cose che si ritenevano certe sono vacillate. Vacillando queste certezze, anche la logica ha perso almeno una parte della sua credibilità, cionondimeno questo nulla toglie al fatto che ciascuno quando parla cerca di seguire un ragionamento logico (cosiddetto); anche se non ha fatto delle conoscenze specifiche nel campo della logica, comunque cercherà di muovere da qualche cosa che sia abbastanza affidabile e poi giungerà ad una conclusione attraverso una serie di passaggi che ritiene quantomeno legittimi se non proprio certi e cioè cercare di costruire un ragionamento logico. Ma se, come dicevo, la logica in quanto tale ha perso almeno una parte della credibilità, se continua ad essere utilizzata continuamente forse merita di essere considerata. Certo non la logica degli antichi, quella che cercava di giungere a conclusioni assolutamente sicure; la logica dell’incerto, del possibile, del verosimile e quindi nel campo prettamente della retorica: per questo, come dicevo all’inizio, molti abbandonano la logica a vantaggio delle retorica, cioè abbandonano la certezza a vantaggio del verosimile, del credibile, del possibile. Questioni quantomeno bizzarre sempre, anche per esempio la nozione di verosimile: se aboliamo il vero, la verità in assoluto, questo verosimile sarà simile a che cosa esattamente? è un’obiezione legittima e torniamo alla questione posta da Popper: in assenza di verità la scienza procede per aggiustamenti e per approssimazioni, ma approssimazioni a ché, se non si è data una verità da qualche parte, almeno come possibilità. Allora ecco la possibilità di costruire invece un discorso che non cerchi più la verità là dove non la può trovare ma rifletta intorno alla verità per verificare se questo significante, questo termine, sia ancora utilizzabile: la verità generalmente, da sempre intesa come ciò che necessariamente è, altrimenti non è più verità, è qualcosa che può essere, ma non è la verità. Il problema non è stato certo nel definirla come ciò che necessariamente è, ma trovare qualche cosa che necessariamente sia. Qui sono sorti alcuni problemi perché di ciascuna cosa si riscontrava che era sì, ma non così necessariamente, cioè poteva anche non essere e non succedeva niente; si è trattato allora di trovare un qualche cosa che necessariamente fosse e non potesse non essere. Se mai si trovasse una cosa del genere, pensate a tutto il pensiero occidentale, alla metafisica, a questo enorme sforzo compiuto in 2500 anni, anche dalle menti più addestrate, fervide e scaltre, le quali hanno incessantemente cercato quel qualche cosa che se mai fosse stato trovato, avrebbe risolto definitivamente il quesito fondamentale che gli umani si pongono da 2500 anni, e cioè se si dà un qualche cosa necessariamente e se questo necessariamente possa essere assoluto, inequivocabile e pertanto dimostrato. Come sapete, gli sforzi di tutto il pensiero filosofico, linguistico e logico non sono approdati ad un granché rispetto a questo, eppure ci dicemmo che la logica o trova qualcosa del genere oppure è nulla e allora effettivamente, come taluni sostengono, è soltanto una questione retorica dal momento che qualunque proposizione io faccia, anche quella apparentemente più solidamente scientifica, comunque muove da premesse che io posso non accogliere, posso negarle. Anche le leggi di gravità o il calcolo numerico; tutto questo poggia su una serie di regole, di giochi che io posso non accogliere: logicamente posso non farlo, poco importa che poi mi trovi in difficoltà e succedano dei problemi, ciò che importa è che logicamente possa farlo. Vedete, la logica è uno strumento bizzarro, consente di giungere a conclusioni che potrebbero apparire contrarie al buon senso, però vengono accolte perché sono ineccepibili e cioè non è possibile costruire un discorso che le neghi. Potrei farvi un esempio di un discorso logico assolutamente innegabile, ineccepibile: supponiamo che il mio amico Roberto sostenga, per esempio, che esiste qualche cosa fuori dalla parola; allora io mi trovo di fronte alla sua affermazione e devo provare che la sua affermazione comporta un paradosso. Esiste un sistema retorico che si chiama reductio ad absurdum che consiste appunto nel condurre un’affermazione ad una conclusione paradossale. Di fronte ad un paradosso l’interlocutore non ha più nulla da obiettare dal momento che si è provato che il suo discorso, se portato alle estreme conseguenze, è un paradosso e cioè è un discorso la cui conclusione è vera se e soltanto se è falsa. Supponiamo che Roberto sostenga dunque che esista qualcosa fuori dalla parola, per esempio; allora Roberto giunge a questa conclusione o per un ragionamento oppure per esperienza diretta. Allora, logicamente come potremmo obiettare? Che se questa affermazione è la conclusione di un ragionamento allora questo ragionamento è fatto di regole inferenziali, di conseguenti, antecedenti etc., dunque di una struttura linguistica e pertanto lui può affermare che qualcosa esiste fuori dalla parola se e soltanto se non è fuori dalla parola, altrimenti non potrebbe costruirlo. E se invece lo avesse acquisito tramite l’esperienza? Allora se lo ha acquisito attraverso l’esperienza, ha acquisito un elemento che non è dicibile, che è fuori dalla parola; questo elemento ha un rinvio a qualche cos’altro, oppure no? Se ha un rinvio a qualcos’altro allora è l’antecedente di un conseguente e quindi è inserito all’interno di un sistema inferenziale, è inserito cioè all’interno del linguaggio; se invece non ha nessun rinvio, allora non rinvia nemmeno all’esperienza e pertanto Roberto può affermare che per esperienza qualcosa è fuori dalla parola se e soltanto se non ne ha esperienza: questo è un esempio di procedimento logico. Come vedete ha un potere costrittivo; impedisce che ci siano altre possibilità, e in effetti la logica dovrebbe essere questo: una struttura binaria (vero - falso), esattamente così come funzionano i computer, ma occorrerebbe che funzionasse in modo molto più potente di quanto funzionano i computer, solo che ha bisogno di una nozione, che è il vero, che procede dalla verità e quindi un’argomentazione come quella che io, per esempio, vi ho raccontata, necessita di un criterio che è quello della verità: le retorica no, non necessita di un criterio così potente. Dicevamo la volta scorsa che la retorica costruisce discorsi, ma mira al bello, alla persuasione, mira al piacere molte volte di costruire un discorso, non si cura che la sua argomentazione sia assolutamente inattaccabile: già gli antichi sapevano bene che per persuadere qualcuno è preferibile costruire un discorso anziché supporre di pensare di dire delle cose che siano da sé persuasive e allora costruire un discorso che sia verosimile, che sia credibile, che sia facilmente credibile; come dicevamo tempo fa; una menzogna per esempio generalmente è credibile perché è costruita per essere tale e quindi risulta molto più persuasiva di altre cose. Ma la retorica ha a che fare con la logica e viceversa oppure no, oppure sono due cose totalmente distinte? Altra questione fondamentale, perché se sono due elementi assolutamente distinti, allora effettivamente è possibile abbandonare la logica e domandarsi se il discorso, il linguaggio, potremmo dire in termini molto più ampi, ha una struttura retorica oppure logica; se invece non sono distinti allora potrebbero essere due facce della stessa questione. Per utilizzare un terminologia dei computer l’una, la logica, costituisce l’hardware, l’altra il software; l’una, la logica, le condizioni del linguaggio, cioè ciò attraverso cui il linguaggio funziona e senza le quali condizioni cesserebbe di funzionare, l’altro tutto ciò che invece queste strutture, queste procedure, possono costruire. Posta la questione in questi termini la dicotomia logica - retorica si dissolve in quanto effettivamente mostrano di essere due facce della stessa questione. Esistono degli elementi che possono indicarsi come condizioni del linguaggio? Pongo questa domanda: esiste un qualche elemento per il quale possiamo dire che è una condizione perché esista il linguaggio. Forse sì, e se ne troviamo una, possiamo porla come condizione e quindi attribuirla alla logica visto che abbiamo posto, per il momento come ipotesi, che la logica costituisca nient’altro che la struttura attraverso la quale il linguaggio funziona, senza la quale cesserebbe di funzionare perché si dissolverebbe. Io posso per esempio affermare una cosa e il suo contrario? Chiunque mi risponderebbe sì, certo che lo posso fare: posso affermare sia " A" che "non A", però a quali condizioni posso affermare "non A" se non perché si dà una A, e questa occorre che sia identica a sé oppure no? Supponiamo che non lo sia, allora come so che è una A e come so che quindi quell’altro elemento è il suo contrario? Aristotele lo chiamò il principio del terzo escluso: "A o non A", non si dà una terza possibilità. Ma non è una questione né ontologica, né filosofica, né religiosa; è grammaticale, molto più semplicemente, quindi occorre che ciascun elemento sia se stesso, ma questa è una regola del gioco o più propriamente una procedura attraverso cui il linguaggio funziona; io non lo posso provare che A è identico ad A, né posso provare che è differente, oppure entrambe le cose, posso provarlo e confutarlo, ma se non accolgo questo, il linguaggio cessa di funzionare. Sarebbe come se ciascun elemento o ciascuna parola significasse simultaneamente tutte le altre: capite immediatamente che diventerebbe arduo parlare, con che cosa? Ecco allora l’eventualità che si diano degli elementi che siano condizioni per il funzionamento di questo marchingegno noto come linguaggio e senza le quali condizioni non funziona e quindi non funzionando il linguaggio cessa ed esistere. Ecco dunque che incominciamo ad intendere più facilmente questa non più dicotomia logica - retorica, ma possiamo porli come due facce attraverso cui, sempre questo meccanismo, funziona. La retorica, posta la questione in questi termini allora non è altro che qualunque cosa il linguaggio costruisca, qualunque cosa. Affermare la legge del calcolo numerico, la legge di gravità o lo ius primæ noctis, sono tutte affermazioni retoriche perché non possono essere provate; forse accorre riflettere, anche se lo faremo in seguito in quanto ci sarà un incontro apposito sulla questione della dimostrazione quindi della dimostrabilità, però posso dirvi come anticipazione che non c’è una proposizione che non possa essere confutata e cioè che è sempre possibile costruire un altro discorso che provi una tesi contraria come vera. Questo certo in ambito logico, scientifico, ha creato ad un certo punto qualche problema, ma il problema è molto più ampio di quanto molti hanno immaginato, non si tratta di cercare una qualche proposizione o affermazione scientifica che sia certa e quindi sia assolutamente dimostrata, ma il verificare che questo non è possibile, non è possibile per definizione; diciamo che è una questione grammaticale anche molto semplice tutto sommato. Dal momento che per dimostrare un elemento, o lo dimostro attraverso elementi che fanno parte del precedente e allora provo soltanto che mi sono attenuto alle regole del gioco, oppure devo trovare un elemento che è esterno e che da fuori garantisca della sua validità, incappando inevitabilmente in una sorta di regressio ad infinitum o di paradossi irrisolvibili perché sarebbe come chiedere ad un elemento di provare da sé la sua esistenza e non lo può fare; non lo può fare perché comunque dovrà farlo attraverso un’altra struttura che è il linguaggio, per esempio. Per questo dicevo che non c’è proposizione che non possa essere confutata, nel senso che la dimostrazione ha valore soltanto all’interno di un gioco ristretto di cui si accolgano le regole. Già Wittgenstein osservava, domandandoselo "chi dimostrerà la dimostrazione", ma la questione che più ci interessa qui e che è l’affermare che una qualunque proposizione è necessariamente retorica, anche tutte quelle che vi ho fatto questa sera ovviamente: sono tutte necessariamente retoriche, che quindi non può darsi una proposizione che affermi qualche cosa e che lo possa dimostrare in modo definitivo, certo, sicuro. Se questo non può avvenire quali ne sono le conseguenze? Innanzitutto molte delle argomentazioni perdono del loro carattere di costrittività, e quindi dell’aspetto magari terroristico che possono avere, perché se apparentemente costrittivi, di fatto non lo sono per nulla; e un discorso costrittivo può avere degli effetti. Come spesso accade di pensare, una cosa è vera finché non si trova una prova contraria, fino a quel momento si ritiene vera, anche Kant tutto sommato pensava qualcosa del genere. Ma cosa vuol dire che è vera; vuol dire qualcosa o non significa assolutamente niente: è una questione da porsi, perché se non significa nulla, allora perché affermarlo, ma se significa qualcosa, che cosa esattamente? Abbiamo detto che non può essere la verità perché questa occorre che sia assoluta, e allora che cos’è? è una ideologia, quella ideologia che sostiene che la verità da qualche parte, in qualche modo ci deve pur essere, questo è il fondamento di qualunque teoria; insinuare che in qualche modo sia possibile trovarla e una volta trovata questa avrà un tale carattere costrittivo da non lasciare più fiato a nessuno. Certo, la religione, per esempio, la fornisce questa verità come già acquisita e incappa chiaramente in qualche piccolo problema quando gli si chiede di provarla; però funziona, perché se voi considerate la religione non tanto come quelle istituzioni che ciascuno di voi conosce, ma come una struttura di pensiero, esattamene quello che è strutturato in modo tale da credere fermamente che la verità esista o debba esistere, allora vi accorgete che la struttura, questa struttura che si chiama il discorso religioso è molto più ampia di quanto si immagini generalmente. E come vi dicevo, questa questione è molto complessa, tutti gli escamotage fatti recentemente dalle varie scuole di pensiero, tolgono la verità però ne fanno i conti comunque continuando a parlare di aggiustamento, di avvicinamento, di aggiramento; vi faccio un esempio: il versante francese dell’ermeneutica noto come il decostruttivismo, un tal Derida, francese, vivente: dunque prendete un testo e provate ad interpretarlo; cosa avverrà? La vostra interpretazione decodificherà quel testo, dirà la verità su quel testo, oppure no, oppure l’interpretazione che date sarà un altro testo a fianco a quell’altro e inesorabilmente sarà sempre un altro testo, allora un testo, in quanto tale non è mai raggiungibile, qualunque lettura, qualunque interpretazione non è altro che la costruzione di un altro testo il quale rimane assolutamente inaccessibile. Buona parte della filosofia francese e non soltanto ha utilizzato questi schemi, però come vedete in questo caso la questione della verità è aggirata, il testo sarebbe la verità, ciascuna interpretazione, cioè qualunque tentativo di avvicinarcisi è sempre vano perché costruisce un’altra verità, non quella. Ma supponiamo che sia così: se questo testo non lo posso leggere, ponendo la cosa alle estreme conseguenze, come so che quello che io interpreto non sia lo stesso? Potrebbe accadere e poi, come so che quel testo non è decodificabile ma posso soltanto scrivere un’altra cosa; se so che è un’altra cosa è perché questo testo c’è, se no sarebbe altro rispetto a che cosa? E se ho individuato quel testo, quindi lo ho letto e lo ho decodificato; a questo punto posso dire che questa cosa è un altro testo, altrimenti no, non lo posso fare: è un arbitrio. Questo esempio per dirvi come la questione della verità, come si usa dire talvolta "cacciata dalla porta rientra dalla finestra" rimane comunque nell’ambito di qualunque struttura del discorso religioso uno sfondo ineliminabile, come dire che c’è sempre la necessità di qualche cosa che faccia da garante: parlo del discorso religioso perché generalmente, per antonomasia chi fa da garante è Dio, preposto a fare questa operazione Quando Cantor dimostrò che i numeri mentono perché, per esempio, la somma di tutti i numeri primi non è né maggiore né minore della somma di tutti i numeri primi elevati al quadrato, o comunque non lo posso sapere, un tale Kroneker se la prese a morte con lui perché non poteva essere vera una cosa del genere perché i numeri li ha inventati Dio e quindi non mentono; Dio non mente, come è noto, essendo la verità ; lo stesso Einstein in una lettera a Born giunse a considerare rispetto alla sua teoria della relatività, che stava congetturando in quegli anni, che tutto questo è vero a meno che non si debba ammettere che Dio giochi ai dadi, ma Dio sicuramente non gioca ai dadi. Allora in questo modo il problema della dicotomia tra logica e retorica, ragione e sentimento, fede e scienza, cessa di avere qualunque senso. Ragione e sentimento, anche questa è una dicotomia nota da sempre, il sentimento non si bada della ragione, non procede pe inferenze, non procede per deduzione, almeno così si suppone.

- Intervento: Rispetto all’affermazione che ha fatto poco fa a proposito di Einstein, diceva che la sua teoria della relatività era corretta a meno che Dio non giocasse a dadi, qualcuno ha obiettato: Dio non gioca a dadi; in questo caso la logica crea il problema del fatto che noi non possiamo affermare che Dio non giochi a dadi, giusto?

Se poniamo la cosa in termini molto rigorosi, in effetti, è un problema che poco ci riguarda, è un po’ come chiedersi quale sia il sesso degli angeli, come sa, molti anni fa era un problema molto sentito, oggi un po’ meno. Ma che Dio giochi ai dadi oppure no, richiede innanzitutto che ne esista uno e che quindi possa farlo.

- Intervento: Quella è un’affermazione che per logica non ha ragione di essere.

No, direbbe Wittgenstein che è un non senso, non significa niente, come affermare che questo orologio è la Madonna che sta piangendo, non ha nessuna portata, non è utilizzabile se non all’interno di un discorso religioso, dove invece è utilizzabilissimo.

- Intervento: Perché la religione esclude la logica e si appoggia quasi solamente sulla retorica.

Sì, diciamo che fa uso della logica particolare che è quello per altro più diffuso, cioè di una struttura che se riesce a raggiungere una conclusione in modo tale da essere creduta diventa vera; in fondo tutte le prove della dimostrazione dell’esistenza di Dio, hanno cercato di fare questo, di provare logicamente qualche cosa che invece è arduo a provarsi; lo si può fare, provare l’esistenza di Dio in modo inconfutabile, però anche se inconfutabile rimane negabile.

- Intervento: Stavo pensando alla grammatica…………….mi stavo chiedendo se atri linguaggi, stavo pensando ad altri tipi di lingue, potessero influire sul tipo di problema metafisico che uno si può porre e quindi se si potesse suddividere linguaggi rispetto alla potenza o comunque alla capacità di produzione di …..; però stavo riflettendo che è sempre attraverso questo linguaggio che mi pongo questo problema; mi stavo chiedendo se avesse senso chiedersi se esistono dei linguaggi più o meno…..

Diciamo che è un gioco che si può fare, non porta da nessuna parte ma si può fare.

- Intervento: Ma se nel corso di questi 2500 anni in cui l’uomo ha cercato di trovare una verità assoluta, avessimo trovato la verità, cosa sarebbe successo? Perché secondo me, ad un erto punto è come se non avessimo uno scopo, noi possiamo avere uno stimolo fino a che possiamo arrivare ad un punto superiore di quello in cui siamo; ma nel momento in cui si trovasse la verità assoluta, che potrebbe essere il poter affermare in modo inconfutabile che Dio esiste, non si perderebbe interesse nella cosa?

In questa sicuramente; si potrebbe perdere la religiosità; se si verificasse per esempio, la verità che non riguarda l’esistenza di Dio necessariamente, ecco allora si perderebbe la religiosità e miliardi di persone si sentirebbero orfane, potrebbe essere un problema…

- Intervento: Si potrebbe cercare un obiettivo diverso.

Si può anche mentire, mentire un po’ come voleva Platone, costruire una nobile menzogna; mentire sul fatto che sia possibile reperirla e che quindi un giorno gli umani la troveranno, perché no, può funzionare anzi funziona benissimo.

- Intervento: è uno stimolo in questo caso.

Certo, si stimolano a continuare a credere, perché che credano è fondamentale per ciascuna istituzione, fondamentale per lo Stato per il Governo; se cessassero di credere sarebbe un problema di proporzioni bibliche: provate a pensare 6 miliardi di persone che cessano di credere.

- Intervento: Quando per cessano di credere si intende cessano di credere in qualsiasi cosa.

Sì, o se vuole dirla più propriamente, non hanno più bisogno di credere, sarebbe bizzarro quanto meno; come dire che tutto ciò che è pensato oggi cessa di essere pensabile, di essere credibile, cessa di avere un utilizzo. E se invece la trovassimo questa verità, definitiva, assoluta, innegabile, indubitabile, che ne direbbe? La accoglierebbe?

- Intervento: Secondo me il discorso è che comunque non può esistere una verità oggettiva, perché probabilmente per la questione della libera interpretazione cioè dubito che si possa trovare quella che sia la verità oggettiva per 6 miliardi di persone.

Sì certo occorrerebbe trovare un qualcosa difronte alla quale nessuno potrebbe obiettare alcunché, qualcosa di molto potente, una verità assoluta per tutti intesa come quello che necessariamente è e non può non essere.

- Intervento: Più che altro mi domandavo che per trovare una verità assoluta per tutti bisognerebbe che questa verità assoluta per tutti sia trovata solamente seguendo la logica, però io mi stavo domandando, ma se noi avessimo sempre e solo seguito la logica da 2500 anni a questa parte, intendendo che la logica deve prevedere solo le deduzioni e dovrebbe partire da delle premesse certe, allora mi domando, se si fosse seguita solo la logica senza la retorica, a che punto potremmo essere arrivati?

Al punto in cui siamo; come lei ha giustamente sottolineato, il problema sta nel reperire delle premesse perché è da lì che muove, e se le premesse vacillano, da lì sorgono tutti i problemi, quindi occorrono delle premesse che non siano negabili in nessun modo, da nessuno; a questa condizione è possibile costruire il discorso di cui si diceva, altrimenti le premesse rimangono opinabili, quindi si può sempre già dalle fondamenta buttare giù tutto. Questo è stato il problema fondamentale da sempre, la metafisica non è altro che una ricerca di queste premesse che risultino assolutamente fondate oltre che fondabili; poi negli ultimi anni ci si è accorti che era uno sforzo immane ma che non portava a nulla e si sono abbandonate quindi si è abbandonato lo sforzo immenso di trovare queste premesse certe, accontentandosi di premesse qualunque. Però la questione che vi pongo è questa: è possibile trovare premesse assolutamente indubitabili, innegabili, tali che chiunque al mondo, qualunque lingua parli, qualunque fede professi non possa negarla. Se la trovassimo che ne direbbe, sarebbe un male o un bene?

- Intervento: Secondo me sarebbe un bene, perché aiuterebbe a metterci in discussione, perché nel momento in cui si riuscisse a raggiungere una premessa che per tutti è impossibile negare, probabilmente questa stessa premessa sarebbe comunque in conflitto con altre linee di pensiero personali, che qualcuno se non tutti potrebbe rivedere.

Pensi, potremmo costruire la religione più potente che sia mai esistita, perché costruita su una premessa che risulta assolutamente innegabile, e quindi nessuno potrebbe confutarci.

- Intervento: Ma nessuno sarebbe costretto comunque a crederci

Sarebbe costretto dalla logica, che ha un potente potere costrittivo. Occorre trovare una struttura che sia necessaria in qualunque linguaggio, perché qualunque esso sia, hanno una struttura che si ripete e che è quella per cui diciamo che ciascuno di questi è un linguaggio anziché un’altra cosa.