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STATUTO DELL’ANALISTA DELLA PAROLA

 

Proseguiamo a parlare dell’analista della parola, il nuovo mestiere che stiamo inventando. L’analista della parola, come già forse avete inteso, non ha a che fare né con il filosofo, né il linguista né con il logico e neanche con lo psicanalista, più prossimo se mai al sofista. Qual è il suo statuto, cioè quali sono gli elementi che ne definiscono l’operato. Quali elementi lo supportano teoricamente? E, in ultima analisi, che cosa occorre che sappia l’analista della parola? Questo è ciò di cui ci occuperemo questa sera. Iniziamo dal considerare che cosa lo definisce, quindi definendo che cosa lo caratterizza in termini teorici. In prima istanza un analista della parola è mosso da questa idea: qualunque cosa esista, la stessa esistenza, è un atto linguistico, in quanto atto linguistico si situa all’interno di un gioco linguistico. Cosa intendiamo con gioco linguistico? Qualunque sequenza di elementi linguistici, nient’altro che questo. Il fatto che una sequenza di elementi linguistici costituisca un gioco linguistico è data dal fatto che ciascun elemento linguistico per potere essere tale occorre che sia inserito nel linguaggio ed essendo inserito nel linguaggio ciascun elemento linguistico è necessariamente connesso con altri elementi linguistici. Quale sia la connessione, questo ovviamente muta di volta in volta, tuttavia ciascun elemento linguistico è per definizione connesso con altri elementi linguistici, cioè non può essere isolato, dunque il gioco linguistico, questione fondamentale per intendere cosa fa un analista della parola, considera ciascun atto un atto linguistico e quindi come un gioco linguistico, qualunque cosa, non può non tenere conto che qualunque cosa faccia, qualunque cosa pensi, tutto ciò che lo circonda non può essere altro da un gioco linguistico. Accogliere una questione del genere è tutt’altro che semplice, soprattutto per le implicazioni che comporta, ma per accogliere una considerazione come questa ovviamente occorre giungere a non potere considerare altrimenti. Non potere non considerare tutto ciò che obbliga o costringe logicamente a questa conclusione e cioè che qualunque cosa è necessariamente un gioco linguistico. Dal momento che è possibile giungere a concludere non soltanto che ciascun elemento è un gioco linguistico ma che non c’è uscita dal gioco linguistico. Come giunge a questa considerazione? Per giungere a una considerazione del genere occorre che ci siano argomentazione molto solide visto che è una affermazione piuttosto pesante per alcuni versi, cioè considerare qualunque cosa come un gioco linguistico, occorre dicevo che ci sia una costrizione logica per cui effettivamente non sia possibile pensare altrimenti. Un analista della parola giunge a questa considerazione mettendo alla prova il pensiero e il modo in cui funziona quindi inizia a considerare come si pensa, e che cosa soprattutto consente di farlo. Che cosa consente di pensare? Una quantità infinita di elementi ovviamente ma questi elementi sono strutturati in un certo modo e questo modo è tale per cui da un antecedente è possibile giungere a un conseguente e poi prendere il tutto, considerarlo antecedente di un altro conseguente ancora, tutte queste operazione, che sono operazioni che fa il pensiero per potere esercitarsi, appartengono a quella struttura che abbiamo indicato come linguaggio e pertanto inizia a considerare che qualunque cosa pensi, per qualunque motivo e in qualunque circostanza, questo pensiero è vincolato ad una struttura che consente di fare questa operazione, e cioè il linguaggio. Già questa considerazione non è da poco dal momento che qualunque cosa penserà resterà all’interno di questa struttura e ne sarà vincolata, vincolata alle sue regole di inferenza ovviamente, e dalle quali non può uscire, non può uscire se pensa ovviamente, perché ciascuno non ha altri mezzi per giungere a delle conclusioni se non muovere da un elemento e da questo elemento inferirne un altro che sia coerente con il precedente, non ci sono altre vie. Dunque considerato questo, non può non fare il passo successivo e cioè considerare che se da questa struttura non c’è uscita in nessun modo allora tutto ciò che è costruito, tutto ciò che osserva, tutto ciò che immagina, sogna, pensa, ama, odia ecc. è situato all’interno di un gioco linguistico e cioè di una catena di significanti connessi tra loro, e fino a questo punto non può considerare nient’altro all’infuori di questo. Ma, badate bene, qualunque cosa, anche una sensazione, una emozione non può situarla altrove, non lo può fare perché l’unica struttura di cui dispone per poterla situare da qualche parte è il linguaggio e quindi a questo si atterrà, ma per giungere a una cosa del genere che è molto lontana dal pensare corrente, occorre un passo tutt’altro che semplice, come dire che per considerare le cose in termini molto semplici occorre compiere un’operazione molto difficile, l’operazione molto difficile consiste nel trovarsi costretti da un’argomentazione logica a non potere in ciascun atto della propria esistenza considerare altrimenti da quanto esposto in precedenza. Difficile perché tutto ciò che circonda è strutturato differentemente, è strutturato in modo tale da lasciar intendere che non tutto è linguaggio, gli umani sono addestrati a pensare così e ci sono buoni motivi ovviamente perché questo sia stato strutturato in questo modo, molti li abbiamo già considerati, basti per tutti il fatto che pensando al modo in cui vi accennavo rispetto all’analista della parola, le istituzioni, la società così come è pensata, qualunque governo o stato rischierebbero di crollare in quanto mancherebbe il sostegno di tutti coloro che immaginano che lo stato, il governo siano necessari. Tuttavia non è ancora sufficiente tutto ciò, occorre ancora un altro elemento oltre a quelli considerati e propriamente l’esercizio, perché non basta la costrizione logica, per quanto robusta possa essere, occorre l’esercizio. Di fronte alla più stringente e cogente e potente deduzione logica, molte persone non sono affatto convinte, potrebbe apparire bizzarro perché ciascuno per convincersi o convincere altri utilizza questo sistema, cioè un sistema logico e cioè cerca di far ragionare l’interlocutore, ciononostante occorre tenere conto di un aspetto tutt’altro che marginale e cioè che le persone generalmente sono molto più inclini a credere cose che in nessun modo sono provabili di quanto lo siano invece all’accogliere una costrizione logica che generalmente rifuggono. Non aveva torto Tertulliano "credo quia absurdum" e più è assurdo e più è facilmente credibile, qualunque cosa sia, assolutamente non provabile in nessun modo o abbia prove assolutamente risibili, trova un consenso straordinario: spiriti, fantasmi, ufo, religioni di qualunque sorta e chi più ne ha più ne metta, fenomeno come vi dicevo piuttosto singolare, qualcuno sosteneva che l’uomo è un animale razionale, ecco non è sempre esattamente così cioè non è così automatico, di fronte ad un’argomentazione logica assolutamente corretta e ineccepibile oltre che inattaccabile si riscontra perlopiù una sorta di smarrimento e di rifiuto, per questo vi dicevo che questo passo per accorgersi che le cose sono straordinariamente semplici è molto difficile. Ora sul perché gli umani credano una qualunque cosa abbiamo detto in varie altre circostanze e ne diremo ancora, ma adesso non è questa la questione, la questione di cui si tratta è invece questo mestiere che stiamo inventando oltre che promuovendo, l’analista della parola, il quale ha compiuto tale passo, e cioè cessare di credere qualunque cosa, un qualunque cosa passi per la mente, una qualunque cosa veda, un qualunque cosa consideri, cessa di credere semplicemente o se volete dirla in termini più appropriati, non si trova più nella necessità di credere. Con credere abbiamo detto in varie occasioni che intendiamo dare il proprio assenso incondizionato a una qualunque cosa si afferma vera e che in nessun modo può provare di esserlo, ecco dunque l’impossibilità di credere o di non avere più la necessità di compiere questa operazione, cosa accade a questo punto? Non tanto che di qualunque cosa ne metta al vaglio la coerenza o la verità, non è questa la questione, ma come dicevo all’inizio, essendo prevalentemente un sofista è in condizione tanto di provarne la verità quanto di provarne la falsità, per questo cessa di credere, ché non ha più nulla in cui credere, abbiamo detto in altre circostanze che non è possibile credere vero ciò che si sa essere falso e viceversa, questo è il motivo per cui il sofista non può credere. Detto questo occorre sapere come si fa a giungere a tanto, come si forma un analista della parola? Cosa occorre che sappia? In parte abbiamo già accennato, ciò che occorre che sappia e che non può non sapere in qualunque istante della sua esistenza è che tutto ciò che incontra, tutto ciò che esiste intorno a lui è e non può non essere altro che un gioco linguistico, questo occorre che sappia, in definitiva ciò che occorre che sappia è pensare, non gli si richiede praticamente nient’altro che questo, solo sapere pensare, ma non è poco. È un’attività questa molto poco praticata e generalmente sospetta, non è semplicissimo pensare, con pensare qui intendo il portare ciascun elemento che si incontra fino alle estreme conseguenze, vale a dire interrogare qualunque elemento fino al punto in cui mostra la corda, e cioè mostra di sé di non essere sostenibile in nessun modo, non essendo sostenibile risulta non credibile, risulta non supportato da nulla, tenuto su soltanto dalla fede o dal gusto o dal piacere o da qualunque altra cosa ma nulla che costringa all’assenso. Se io chiedo ad una persona se preferisce questo aggeggio qui nero oppure bianco e dice bianco, va bene è di suo gusto, non è che il fatto che lo preferisca bianco mi costringa a crederlo bianco anch’io. Ecco esattamente allo stesso modo, una qualunque cosa non costringe a nessun assenso, né ovviamente si attarda più sullo stabilire se una cosa è così oppure non è così, se non all’interno del gioco linguistico in cui questo elemento esiste, un’infinità di volte ho fatto l’esempio del gioco del poker, è vero che quattro assi battono due sette, è vero all’interno delle regole del gioco del poker, fuori da questo non significa assolutamente nulla, così come è vero che due più due fa quattro all’interno delle regole del calcolo numerico, fuori da queste regole non significa assolutamente niente, questo è ciò che occorre che l’analista della parola sappia, che tutto ciò che incontra come vero è tale all’interno di quel gioco e per via delle regole che fanno esistere quel gioco. Sapete che le regole di un gioco non sono altro che divieti, la regola vieta di fare certe cose, per cui non tutto è possibile, se tutto fosse possibile all’interno del gioco non si potrebbe più giocare, pensate al poker, se qualunque carta valesse come una qualunque altra non si potrebbe giocare a nulla quindi occorre che delle mosse, per così dire, dei passaggi siano proibiti, esattamente come avviene nel linguaggio, nei due significanti pane e cane, la p e la c costituiscono il tratto distintivo, ché non sono intercambiabili a piacere, le regole del linguaggio lo vietano per l’uso stesso del linguaggio, se io potessi utilizzare indifferentemente queste, come altre parole, il linguaggio cesserebbe di essere utilizzabile perché un qualunque elemento varrebbe quanto un qualunque altro e io potrei dire, pane, cane o qualunque altra cosa indifferentemente. Il linguaggio cesserebbe di esistere perché cessando di essere praticabile cesserebbe di esistere. Qualunque cosa vi circondi è mossa da regole ben precise, così come è mosso da regole ben precise il linguaggio che vi consente di fare esistere tutto ciò che vi circonda. Si tratta di cogliere ciascuna volta quali sono le regole specifiche che muovono il gioco che si sta facendo, il gioco che è in atto. Generalmente sono una quantità notevolissima i giochi che vengono giocati simultaneamente, ciascuno dei quali ha delle regole ben precise, in linea di massima non si presta nessuna attenzione a queste regole salvo nei casi in cui le si vuole trasgredire, per qualche motivo. Talvolta accade che degli assiomi, dei principi siano dati per veri in modo assoluto, senza il più delle volte nemmeno saperlo, ora questo può in alcuni casi creare un certo numero di problemi, pensate per esempio al cosiddetto depresso, ansioso ecc. lui afferma di volere cambiare questo gioco ma non conosce le regole di quel gioco e pertanto non lo può cambiare, ciò che attiene all’analista della parola, dicevo prima, è non potere non sapere qual è il gioco che si sta giocando e quali regole lo sostengono, ed è questo che lo differenzia da qualunque altra persona, che invece non lo sa, non lo sa e generalmente non lo può sapere. Non lo può sapere non perché gli manchino strumenti teorici o tecnici per farlo ma come dicevo, manca l’esercizio che è una parte importantissima, direi che la formazione dell’analista della parola passa perlopiù attraverso l’esercizio a pensare che passa anche questo attraverso e in buona parte all’esercizio a parlare, per questo dicevo agli amici tempo fa che è estremamente importante trovarsi a dibattere a discutere, a provare a giocare con il linguaggio, provare che una certa affermazione è assolutamente vera e poi provarla assolutamente falsa, perché se non si pratica questa sorta di esercizio accade di credere che una cosa sia vera, senza accorgersi che è vera all’interno di quel gioco, e quindi cogliere quali ne siano le regole, è come se l’analista della parola passasse la sua esistenza a giocare e in effetti non fa nient’altro che questo: gioca. Gioca con tutto ciò che gli capita, gioca propriamente perché non può farne a meno, e se qualcuno all’occasione glielo chiede può insegnargli a giocare, anche questo occorre che sappia fare, insegnare ad altri a giocare. Anche tenendo conto dell’aspetto piacevole del gioco, non è un caso che si parli di giochi linguistici, qual è il fine di un gioco? Produrre se stesso, tutto il resto sono pretesti per giocare, questa è un’altra considerazione piuttosto ardua da accogliere e cioè che non soltanto qualunque cosa circondi è inesorabilmente un gioco linguistico ma che l’unico fine di ciascuno di questi giochi linguistici, l’unico fine di cui possiamo affermare con la sicurezza di affermare qualcosa di assolutamente necessario è che il fine di ciascuno di questi giochi è unicamente produrre se stesso, nient’altro che questo. Provate a considerare tutti i discorsi che vengono fatti, in qualunque modo e per qualunque motivo e in qualunque circostanza, dai discorsi più gravi, più grevi, ai discorsi più leggeri, più divertenti, qualunque discorso, il discorso politico, il discorso sul tempo, una dichiarazione d’intenti, una dichiarazione d’amore, tutto ciò non ha altro fine se non produrre se stesso, intendo dire che questo che sto affermando risulta necessario, necessario a partire da alcune considerazioni che abbiamo già svolte, qualunque altro fine io voglia attribuire a questi discorsi è assolutamente arbitrario, arbitrario tanto quanto lo è affermare che questi discorsi li faccio perché dio lo vuole, per esempio, si può affermare anche questo e non è la prima volta che viene affermato, "Deus vult" dicevano, ma come ciascuno di voi può facilmente considerare una simile motivazione è piuttosto insostenibile, quanto meno è discutibile, che invece ciascun gioco linguistico abbia come unico fine il produrre se stesso, questo procede da considerazioni piuttosto ferree e accoglie l’unica che risulta assolutamente necessaria, scartando tutte le altre, non che le scarti perché non vanno bene, ma perché risultano non necessarie e quindi vengono accolte come figure, come un ornato come si usa nella retorica, esattamente così come affermo che "una fanciulla ha gli occhi profondi come il mare" è una figura retorica ovviamente. Abbiamo detto in varie circostanze che qualunque affermazione, qualunque enunciato è una figura retorica, salvo quello che risulta assolutamente necessario e che non può non affermarsi che è quello che afferma che per poter affermarsi necessita del linguaggio, al di là di questo qualunque altra affermazione è retorica e in quanto retorica non richiede l’assenso, ha soltanto una funzione da una parte estetica e quella di fare proseguire il discorso, di abbellirlo, di renderlo più piacevole, più divertente, più movimentato, nient’altro che questo. Allo stesso modo di fronte ad una figura retorica non si chiede una prova, così di fronte a una qualsiasi affermazione l’analista della parola non chiede nessuna prova, non ne ha bisogno perché sa perfettamente che non è provabile, che nessuna affermazione è sottoponibile ad un criterio verofunzionale, è vera come dicevo prima unicamente all’interno del gioco particolare che si sta facendo, così come quattro assi battono due sette all’interno delle regole del poker. Ma anche cose apparentemente più reali sono sottoposte ad altre regole, affermare che questo è un tavolo di colore marrone scuro che è fatto di legno con un piano e con quattro gambe non è enunciare una realtà, come dicevano i Medievali "sub specie et æternitate" qualcosa che è così necessariamente ma è fatto di elementi che costruiscono una proposizione la quale mi sottopone, mi mette proprio letteralmente davanti agli occhi un qualche cosa, chiaramente per affermare che questo aggeggio qui è un tavolo necessito di una quantità notevole di informazioni che do per acquisite, ma tutte queste informazioni se io le pongo come figure retoriche tutto funziona, se non le pongo più come figure retoriche allora mi richiedono un procedimento verofunzionale, cioè mi richiedono di stabilirle come necessariamente vere: questo è un tavolo fatto di quattro gambe e un piano? questa affermazione è necessariamente vera? E questa verità è "sub specie et æternitate"? no, questa affermazione fuori dalle regole del linguaggio è assolutamente niente, dal momento che per potere affermare quello che ho affermato, come abbiamo stabilito, necessito del linguaggio, e ciò che ho definito il tavolo in questo caso è fuori dal linguaggio oppure no? Abbiamo provato in modo assolutamente ineccepibile che non può darsi alcun elemento fuori dal linguaggio, se pertanto questo tavolo che sto descrivendo, in modo più o meno rozzo, è necessariamente all’interno del linguaggio, allora per definizione tutto ciò che ne affermo è vincolato da regole, e cioè da elementi che mi vietano di fare tutte le altre affermazioni. La questione è molto semplice: se la considerate un gioco per potere giocare cioè per potere dirvi che questo è un tavolo fatto in un certo modo occorre che una serie di elementi siano vietati per potere trasmettere una certa informazione, ma questa informazione non definisce qualcosa che è fuori dalla parola, né lo può fare, definendo qualcosa che è all’interno della parola propone una costruzione linguistica che altri accettano, accolgono perché ne conoscono le regole, conoscono le regole del funzionamento del linguaggio, e cioè sanno che se parlo di tavolo mi riferisco ad una certa cosa o a molte cose che poi chiaramente nel discorso vengono precisate, però ciò che l’analista della parola non può non sapere è che per esempio, il tavolo di cui vi ho descritto, esiste all’interno di un gioco linguistico che lo fa esistere, con tutto ciò che questo comporta, ora chiaramente che il tavolo sia fuori o dentro il gioco linguistico importa poco generalmente, altre cose invece importano molto di più, e risulta molto più complicato inserirle all’interno di un gioco linguistico, è una operazione che non è mai stata fatta questa e che l’analista della parola incomincia a fare. Ciò che lo ha supportato lungo questa ricerca sono essenzialmente la logica e la retorica. Per la formazione di un analista della parola, direi che questi due aspetti risultano determinanti, conoscere alcune cose della logica e della retorica ma conoscerle in un modo particolare, cioè portandole alle estreme conseguenze, chiaramente costituiremo anche una sorta di formalizzazione per la formazione, in modo che ciascuno che intenda iniziare a intraprendere questa formazione sappia quali sono i passi che occorre che compia, ma in linea di massima ciò che occorre che faccia è molto esercizio, non occorre alcun titolo cosiddetto accademico, dal momento che non c’è nessun tipo di formazione istituzionalizzata che renda questo percorso più semplice, nessun tipo di percorso né la filosofia, né la linguistica, né l’ingegneria genetica…

Intervento:…

Analista si nasce? (…) no. No, ci si forma, dicevo che agevola una certa curiosità intellettuale, agevola moltissimo, se non c’è nessuna curiosità intellettuale… (…) direi che non c’è nessuno che se lo vuole non possa diventare analista della parola. Occorre che lo voglia, nient’altro che questo. Lei dice che lo si nasce e cioè visto che prima ho citato l’ingegneria genetica sta scritto all’interno del codice genetico… (…) rispetto allo psicanalista che differenza c’è? Perché abbiamo utilizzata quest’altra dicitura "analista della parola"? per un paio di motivi, primo è che "psicanalista" è un termine ormai inflazionato, e definisce la persona che compie una operazione che abbiamo riscontrato essere religiosa, cioè muove da una sua teoria a cui crede, la applica e traduce ciò che ascolta nella teoria che ha imparato, per cui se lei frequenta un analista freudiano le darà una certa interpretazione, un analista invece junghiano un’altra e così via per ciascuna delle scuole. Ciascuno di questi personaggi è supportato da una teoria… le abbiamo considerate tutte e ciascuna di queste ci è apparsa estremamente religiosa oltre che insostenibile. Poi ci siamo domandati: che cosa fa esattamente un analista della parola? Considera la parola, la analizza nel senso che la articola, consente o agevola un’articolazione della parola perché questa giunga alle estreme conseguenze, per cui ci è parso che "analista della parola" fosse il modo migliore per indicare questo tipo di lavoro, così come c’è l’analista finanziario, l’analista informatico, ciascuno…(…) no, io ho indicato che occorre che questo analista della parola fra le varie cose che occorre che sappia occorre che sappia anche consentire ad altri di (…) diciamo che non ha la vocazione del missionario, non è un chierico, fa un mestiere che lo diverte e se qualcuno lo desidera glielo insegna, è chiaro che insegnandogli questo gli insegna infinite cose. Gli insegna a cessare di avere paura, gli insegna per esempio di a non avere la necessità, per esempio, di stare male, una quantità notevole di cose gli vengono insegnate, però non ha la vocazione del chierico, non è una missione, non ha nessuna missione da compiere, gioca, si diverte.

Intervento:…

La figura dello psicanalista così come nella vulgata è quella di una persona tutta dedita al bene altrui, un sofista no, già Freud metteva in guardia dal furor sanandi, è la cosa peggiore… (…) certo insegnando a giocare insegna anche a smettere di giocare, (quando uno non è più affezionato a quel gioco) così come uno può smettere di giocare a tresette, può smettere di giocare ad avere paura, più o meno alle stesso modo…

Intervento: sempre riallacciandomi alla paura forse perché ci accompagna nella vita, forse per questa è stata strumentalizzata nel corso degli anni...

Sono strumentalizzate anche dalla stessa persona, nel senso che ne fa strumento di qualunque cosa. Sì, hanno una funzione importante, certo. Sarebbe difficilmente possibile governare se i cittadini non fossero "spaventati" da qualcosa. La paura è assolutamente funzionale a qualunque sistema, anche nell’educazione non soltanto religiosa, dove si dice "se non fai così allora c’è l’inferno ecc." ma anche molte mamme in modo un po’ incauto dicono "se non fai così la mamma ne soffre oppure muore" invece non è vero, cioè se muore, muore per fatti suoi. Sì, uno dei ricatti più importanti è "se non fai così mi uccido" non è proibito, cioè è proibito dalla legge però riguarda me….(…) sono forme di ricatto molto diffuse, forse non così estreme però… e quindi si regge sempre sul terrore…