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DEL SAPERE DELL’ANALISTA

 

2/12/1997

 

La domanda circa che cosa sappia un analista durante la conversazione analitica affiora spesso ed è una questione che ci si è posti. Non solo che cosa sa, ma soprattutto che cosa occorre che sappia. Per fornirgli questo sapere, come sapete, le varie scuole di psicanalisi addestrano le persone che intendono praticare questo mestiere nei modi che abbiamo descritti in varie occasioni, e cioè forniscono una sorta di codice di interpretazione sorretto da una teoria più o meno elaborata, più o meno sofisticata, più o meno interessante alla quale l’analista generalmente si attiene, quindi ciò che occorrerebbe che sapesse è una serie di informazioni circa il che cosa fare di fronte ad alcuni discorsi in particolare, come interpretare una certa cosa e quale obiettivo raggiungere, gli si chiede questo in definitiva, cioè che studi un certo numero di cose e che poi inizi sotto la supervisione di qualcuno che si presume sappia più di lui, inizi una o più analisi in modo che il supervisore controlli se questo neo analista conosce il fatto suo oppure no, se commette errori oppure no. Il fondamento della sua teoria varia a seconda della scuola a cui si aggrega, se è una scuola freudiana occorre che conosca il testo di Freud, se kleiniana il testo della Klein e così via per ciascuna scuola, cioè in definitiva occorre che sappia che cosa Freud, Jung o Adler o Lacan pensano o hanno detto rispetto ad alcune questioni fondamentali della psicanalisi. Le questioni fondamentali della psicanalisi come sapete sono grosso modo la nozione di inconscio, di rimozione, di resistenza, di transfert. Sono poi quelle che Lacan ha riprese in un suo noto seminario. Quindi come comportarsi nei confronti della rimozione avere un’idea intorno all’inconscio, che cosa sia, sapersi destreggiare con il transfert e intendere che cosa si ripeta in un discorso, questo grosso modo è ciò che si presume che occorre che sappia. Tuttavia da tutto ciò che abbiamo detto in questi incontri e anche prima, lentamente è emersa una nuova figura che non necessariamente si attiene a queste cose cioè non muove dalla supposizione che Freud o altri abbiano potuto dire esattamente come stanno le cose e cioè che cos’è l’inconscio, che cos’è la rimozione, il transfert ecc. non si attiene a questo, non perché abbia particolare antipatia per uno o più di questi personaggi ma perché considera che ciascuna di queste teorie è discutibile. Ora molti sostengono che il fatto che sia discutibile sia un vantaggio per una teoria, apparentemente lo è, ma che cosa si intende generalmente con questo? Perché si intende che una teoria è confutabile cioè può essere dimostrata falsa, ed è ben bizzarra quella teoria quella che viene utilizzata pur sapendo che può essere falsa. C’è di "buono " tra virgolette a vantaggio di questi psicanalisti che le persone che si rivolgeranno a loro crederanno ciò che l’analista dirà loro e questo ha degli effetti di guarigione, effetti non indifferenti, rispetto a una certa nozione di guarigione ovviamente, se intendo qui con guarigione il comportarsi come l’analista vuole che l’analizzante si comporti, cioè che faccia in definitiva le cose che lui vuole che faccia e che pensi nel modo in cui vuole che pensi. Ora per fare questo, cioè per ottenere questo risultato non occorreva la psicanalisi, qualunque religione fa esattamente questo né più né meno, per questo potremmo dire che analista (usiamo questo termine) è colui che non ha bisogno di credere, non ha bisogno di una religione, qualunque essa sia, anche se si chiama lacanismo, freudismo ecc., non ha bisogno nel senso che può muoversi utilizzando altri strumenti, dunque non è necessario che sappia che cosa dice Jung, che cosa dice Freud, Adler ecc. non che sia proibito che lo sappia, non è necessario, può saperlo ovviamente. Potremmo dire dell’analista, sempre tenendo conto delle cose che stiamo dicendo ultimamente, che è un tipo particolare di intellettuale, intellettuale che non si attiene propriamente ad un credo, intendo teorico qui soprattutto, non si attiene a nulla salvo a ciò che ascolta e ciò che ascolta è un discorso e un discorso è fatto di parole, le parole esistono nel linguaggio, dunque è con questo che ha a che fare, ma in definitiva che cosa occorre che sappia? Occorre che sappia alcune cose: che non c’è affermazione che non possa essere confutata, che qualunque cosa una persona affermi, se questa affermazione è creduta questo indica un discorso religioso, occorre che sappia che da una qualunque premessa può trarsi una qualunque conclusione e che pertanto qualunque affermazione è inesorabilmente arbitraria e quindi non costringe all’assenso. Questo occorre che sappia, e occorre che trovi il modo che quella persona che si rivolge a lui o a lei a seconda dei casi possa prenderne atto, non si tratta qui di credere ma di prendere atto di qualche cosa che non è negabile, direi che interviene in un modo assolutamente necessario, così come è necessario il fatto che non c’è elemento che sia fuori dal linguaggio, risulta necessario non per una necessità ontologica o religiosa, ma per una necessità logica, e con logica intendo qualcosa che attiene in modo assolutamente peculiare al linguaggio e vale a dire tutto ciò che fa esistere il linguaggio, così come è, in tale senso, come dicevo prima, non è necessario che sappia che cosa Freud per esempio pensi dell’inconscio. Non perché non si ponga la questione, se la pone ma in altro modo, non si tratta tanto di rispondere alla domanda "che cos’è l’inconscio" ma che cos’è la domanda che chieda che cos’è una qualunque cosa, e in che modo si debba intendere una risposta a questa o a una qualunque altra domanda. Quindi in altri termini ancora sapere che cos’è l’inconscio è una domanda posta male, una domanda che si ponga in questi termini potrebbe anche essere un non senso, o una sorta di pregiudizio, perché quando si riflette in termini teorici precisi, cioè se si fa il gioco della logica, occorre farlo sul serio, se no se facciamo un altro gioco, e va benissimo, ma se facciamo il gioco della logica allora questo ha delle regole, e se vogliamo fare quel gioco occorre prenderle così come sono, così come se uno vuole giocare a scala quaranta occorre che si attenga alle regole della scala quaranta e non a quelle della dama, sarebbe difficilissimo andare avanti. Dunque il gioco della logica è molto rigoroso e dice che un’affermazione come questa, una domanda come questa, cioè che cos’è l’inconscio, già dà per acquisito che l’inconscio sia necessariamente qualcosa, che non è così automatico. Non solo, ma dice anche che, posta in questi termini la domanda, l’inconscio è qualunque cosa io desidero che sia, dal momento che in nessun modo posso provare che sia una certa cosa, allora perché non potrebbe essere una qualunque altra? A me piace pensare che l’inconscio sia quella certa cosa, fatta in un certo modo come descrive Freud, però se mi piacesse in un altro modo chi mi impedisce di pensare che sia quell’altra cosa? Nessuno, dal momento che tutte le affermazioni che fa Freud intorno all’inconscio o a qualunque altra cosa sono arbitrarie, con arbitrarie intendo non necessaire. Necessario, come sapete, è ciò che non può non essere, e ciascuna di queste affermazioni può non essere benissimo, dunque è arbitraria non nel senso che potrebbe essere in un altro modo, ma che è in un altro modo, in infiniti altri modi simultaneamente. Sapere queste cose comporta intanto immediatamente il non attenersi alla teoria di Freud o di chiunque altro, non ha importanza, almeno per quanto riguarda l’aspetto logico, mentre può essere di grande interesse leggere alcune cose di Freud o di altri come aspetti retorici cioè in altri termini come la descrizione dei più diffusi, dei più praticati e accreditati luoghi comuni, allora sì, allora è interessante perché fa un listaggio dei luoghi comuni che è notevole, non arriva alle raffinatezze di Aristotele ma ne enuncia molti fra i più recenti anche se, come sapete, Freud è vissuto nei primi del novecento, ha elaborato le cose più interessanti e le ha scritte ai primi del novecento, dunque questo listaggio di luoghi comuni è importante perché mostra quali sono le cose che sono credute perlopiù dai più, che cosa le persone credono generalmente, e finché si attiene a questo, lui come altri fornisce degli elementi interessanti, nel senso che fa una carrellata delle cose con cui un analista si trova ad avere a che fare, si trova ad avere a che fare cioè con delle superstizioni, delle credenze, delle cose che una persona immagina delle sue opinioni, in definitiva tutto ciò di cui è fatto. Se una persona in analisi enuncia delle cose così come stanno, dice le sue opinioni cioè le cose in cui crede, è come se dicesse io credo nella madonna. Va bene, non è proibito, a quel punto non si tratta di prendere questo come una stramberia né una cosa insolita ma né più né meno come una persona che crede in qualche legge della fisica per esempio, che è altrettanto accreditata, che però ha una struttura differente. Una struttura differente per quanto riguarda il tipo di assetto teorico delle cose, ma per quanto riguarda l’analista è esattamente la stessa cosa, non fa nessuna differenza, perché importa per l’analista cominciare a intendere che cosa supporta il discorso che sta ascoltando, cioè da dove viene, quali sono gli elementi che lo rendono possibile. Se una persona crede nella madonna, la madonna...(può essere qualunque altra cosa) se crede in questo dunque per potere credere nella madonna occorre che creda tutta una serie di altre cose che funzionano da condizione oltre che da sfondo, e quindi non si tratta tanto, come alcuni fanno, di pensare che sia un problema, non lo è, il problema può essere eventualmente nel che cosa consente di credere nella madonna o in qualunque altra cosa, qual è la struttura che rende possibile una cosa del genere, questo interessa, non per torgliergliela, importa nulla di togliere nulla a nessuno, uno si tiene quello che ha. Che poi possa accadere che uno abbandoni delle cose questi sì, certo, accade nel momento in cui si constata che non sono necessarie, e in effetti riflettendo intorno a delle condizioni che consentono di credere una qualunque cosa può accadere di cessare di credere. Le condizioni per potere credere vanno reperite nel discorso che si fa, non è necessario risalire...c’è chi vuole risalire all’infanzia, chi ancora prima alla pancia della madre, e chi ancora prima, e perché non risalire allora fino al Big Bang per trovare l’origine della nevrosi, perché no tutto sommato? Se uno risale può risalire fino dove vuole, ma dicevo non è necessario risalire chissà dove, perché ciò di cui si tratta è in atto lì in quel momento in ciò che si sta dicendo, poi se intervengono dei ricordi ovviamente vengono ascoltati ma non sicuramente come la causa di ciò che accade adesso ma come qualche cosa che accade adesso, un altro modo per dire ciò che sta accadendo. Così come i sogni per esempio, il sogno è un altro modo per dire delle cose, un modo in cui si è meno attenti per alcuni aspetti per cui altri possono facilmente sorgere, non necessariamente, però può accadere e in ogni caso è un altro modo per dire e di cui occorre tenere conto, perché tutto ciò che si dice nel sogno o nella veglia comunque riguarda la struttura che sta parlando e quindi lì, in tutto ciò che dice c’è ciò di cui è fatto. Cosa può sostenere dunque una credenza o meglio che cosa può renderla possibile? Questa è una delle cose che l’analista occorre che sappia anche perché per quanto possa apparire bizzarro rimane che una delle vie migliori quella per praticare come analisti è quella di trovarsi nell’analisi, cioè fare un’analisi come si suol dire, perché questo? Per accorgersi nel proprio discorso di come funzionano le parole, le connessioni, le implicazioni, gli accostamenti, le assonanze, di come le parole si legano fra loro, di come i discorsi si costruiscano in un certo modo, se le premesse sono di un certo tipo e come si costruiscono altrimenti se le premesse sono differenti. Una persona lungo l’analisi diventa molto sensibile, molto attenta a ciò che avviene nel suo discorso, sicuramente non per interpretarlo, se una persona ha fatto un’analisi ha abbandonato anche questa chimera, quella dell’interpretazione, non gliene importa più assolutamente nulla di interpretare, non che non lo sappia fare, potrebbe e può interpretare qualunque cosa in molte centinaia di modi a seconda del momento, ma per accorgersi di come ciascuna volta il discorso prenda una piega in cui costruisce una scena letteralmente e come questa scena sia assolutamente arbitraria, sia una costruzione, come un film che viene proiettato. Una persona parte da alcune premesse che generalmente ignora, si costruisce una sua certezza, è come se avesse costruito un film, c’è un montaggio, una scenografia, una sceneggiatura, una regia poi alla fine viene prodotto il film, si proietta e suppone che questo sia la realtà o la verità a seconda dei casi. Non sarebbe meno bizzarro se lo pensasse di fronte ad una proiezione di un film dal momento che sta facendo esattamente la stessa cosa, cioè sta proiettando un film. La nozione di proiezione, l’unica nozione che possiamo accogliere che non sia assolutamente inutilizzabile, è proprio quella che riguarda il proiettare, direi su uno schermo, uno schermo può esser qualunque cosa, proiettare il proprio discorso su cui compare la scena. Io parlo con Vera, Vera funziona da schermo, io proietto e su Vera c’è una scena ed è la Vera che io vedo, e questa scena che ho di fronte non posso più in nessun modo scambiarla per un elemento extralinguistico cioè qualcosa che è fuori dalla parola e quindi è necessariamente identico a sé, come la verità, la realtà come è generalmente intesa, e quindi come qualcosa che costringe all’assenso in quanto le cose sono così e quindi io occorre che faccia in quel modo. No è una scena che sto proiettando, un film che mi guardo e può piacermi oppure no, però lo vedo e mi rendo conto di come è costruito, di quali sono i ruoli che attribuisco ai vari personaggi e in questo Pirandello aveva detto delle cose anche interessanti, quindi ciò che l’analista occorre che sappia è in soltanto impedire che si inchiodi il discorso della persona che sta parlando, non è altro che questo, che non è poco, cioè fa in modo che il suo discorso possa proseguire, senza fermarsi, senza attestarsi su nulla, ma continuamente riprodursi e dunque porre le condizioni perché una persona possa constatare ciascuna volta qual è la scena che si sta proiettando di volta in volta su un’altra persona, su un avvenimento, su qualcosa che incontra, qualunque cosa non ha importanza, qualunque cosa può servire come schermo su cui proiettare la propria scena, ma è una scena come quella di un film. È reale? Se con reale intendiamo questo sì. Se con reale intendiamo qualcosa che è fuori dal linguaggio no, necessariamente no. Quindi potremmo dire che un’analisi conduce a una sorta di… chiamiamola analisi linguistica, ma non nell’accezione dei linguisti, conduce a una inevitabile e irreversibile posizione tale per cui non c’è nulla che accada in ciò che io dico che non mi ritorni come assolutamente arbitrario e pertanto come qualcosa di cui io sono responsabile, ma responsabile non penalmente né civilmente, responsabile in quanto mi riguarda, cioè c’è del mio, proviamo a porla così, c’è del mio e quindi c’è qualche cosa nel mio discorso che si proietta e con il quale occorre che mi confronti, perché occorre che mi confronti? Per considerare che è una produzione del mio discorso, cosa che non è marginale, perché sta qui una sorta di crinale che divide ciò che andiamo facendo da ciò che generalmente è inteso come psicanalisi, dove non si tratta più di interpretare alcunché. L’interpretazione nella migliore delle ipotesi considera una scena che si produce e cerca di dare un senso a questa scena volgendola in un altra, ma a che scopo questa operazione? L’interpretazione dice che A è B, questa è la struttura, ciascuna interpretazione funziona così, può essere più o meno elaborata, più o meno sofisticata ma funziona così. Ora dire che A è B può anche farsi ma è soltanto dire un altro discorso che si aggancia, che si associa che non spiega il primo così come la favola di Cappuccetto Rosso non spiega la favola della Volpe e dell’uva, sono due cose diverse che non c’entrano niente e allora dire di una certa persona che ha fatto una certa cosa per quel motivo che cosa dice? Che poi nell’interpretazione psicanalitica funziona così, una persona ha fatto così perché ha...carenza affettiva, perché la mamma da piccolo gli ha negato la marmellata, perché ha visto che il papà e la mamma facevano le "cosacce" (questo è il cavallo di battaglia), come dire che ciò che avviene ora è spiegato da qualcosa che avvenne allora. Ma occorre una bella fede per sostenere una cosa del genere, cosa glielo fa pensare che sia quello la causa? Nulla se non una teoria alla quale crede, credendo a questa teoria allora crede anche questo, ma non è necessario, può tuttavia conoscendo i luoghi comuni sapere che le persone perlopiù se hanno un certo disturbo, perlopiù lo attribuiscono a una certa cosa. Certo, ma questa non è una spiegazione è soltanto un rimando, come dire che questa persona crede una certa cosa, esattamente così come un cattolico crede che il pianeta sia stata un’operazione voluta da Gesù Cristo, è una cosa che viene creduta allo stesso modo, se io credo che una certa persona abbia quel disturbo perché da piccolo è successo questo o credo che il pianeta è stato costruito da Gesù Cristo che differenza fa? Nessuna, hanno la stessa struttura. Ecco dunque i luoghi comuni, perché l’analista ha a che fare con questo soprattutto, con i luoghi comuni, i racconti, le questioni che vengono poste, le elucubrazioni e tutte le sofferenze sono luoghi comuni. Come spesso accade una persona soffre perché sa che se succede una certa cosa questa produce sofferenza e quindi soffre, in molti casi avviene anche questo, così, perché si fa così. Oppure soffre perché non soffre abbastanza, succede anche questo: sa che, sa perché glielo hanno spiegato, sa che in certe circostanze occorre soffrire, è bene soffrire, lui non soffre e se ne fa una malattia, così soffre e tutto torna al suo posto, però questo per dire di come funziona una cosa del genere, cioè come funzionano i luoghi comuni, essendo le cose credute dai più perlopiù costituiscono, come dire? quasi un rinvio necessario per quelle persone. Ed è importante sapere ciò a cui una persona crede, l’esempio che si faceva prima, occorre stare male perché è successo questo da piccolo, questa è una cosa in cui crede, cioè fa parte del bagaglio di superstizioni, e allora non è che si tratti di andare a vedere cosa è successo realmente, perché a questo punto possiamo abreagire come dicono taluni e ricostruire il tutto in modo più confacente, ma cercare di intendere perché credo questa cosa così come qualunque altra, non ha nessuna importanza. Come dicevo all’inizio, che cosa consente a questa persona di credere? Se accade di cessare di credere, come potete facilmente immaginare accade anche di cessare di avvertire tutta una serie di malanni, di acciacchi, di paralisi, di sofferenze necessariamente perché tutte queste cose sono sorrette da tutta una serie di elementi molto religiosi. Occorre che l’analista "insegni" tra virgolette a cessare di essere religiosi, che è la cosa più difficile. Difficile perché tutto il discorso occidentale ma non soltanto lui, anche quello orientale, quello del sud e quello del nord, tutto il discorso è improntato invece alla struttura religiosa, cioè al dover necessariamente credere qualcosa. Però dicevo che è molto difficile cessare di credere ma non impossibile come mi ha chiesto qualche tempo fa una persona, che forse è tra voi, non è impossibile, non è impossibile perché credere non è necessario, non essendo necessario è possibile. È una questione grammaticale, può apparire bizzarro considerare questioni del genere come questioni grammaticali ma sono soprattutto queste. Perché non potete, come ho detto in varie occasioni, credere vera una cosa che sapete essere falsa? Perché è una questione grammaticale, solo per questo, perché sapete, in qualche modo ve lo hanno spiegato come a tutti, che una cosa non può essere se stessa e un’altra simultaneamente, perché per potere dire che è un’altra occorre che ci sia almeno un elemento che è lo stesso, allora se questo è lo stesso allora posso dire che è altro da sé, ma per poterlo affermare questo altro da sé occorre che sia altro da qualche cosa, questo sé che occorre che ci sia, cioè che sia identico a sé. Potete considerare come funziona il linguaggio in effetti, può produrre delle proposizioni che possono apparire bizzarre, come questa che afferma che un elemento perché sia differente da sé occorre che sia inesorabilmente identico a sé, se no non può essere differente da sé, ché sarebbe differente da che cosa esattamente? Da nulla, invece occorre che sia qualche cosa che sia lì, e che sia identico a sé, a questa condizione posso affermare che è differente da sé. Vedete come funziona in modo bizzarro il linguaggio? E quindi dire che non posso credere vera una cosa che so essere falsa è una conseguenza della struttura del linguaggio, una questione grammaticale, così come affermare che è possibile non essere religiosi perché non è necessario, e tutto ciò che non è necessario è possibile. È così semplice. Però al di là di una semplicità logica può subentrare una complessità retorica, nel senso che la retorica può aggiungere degli elementi tali che rendano impossibile pensare che uscire dalla struttura religiosa sia possibile, cosa aggiunge? Aggiunge delle figure, aggiunge figure note nella retorica, per esempio come l’autorità, l’uso, altre credenze come dire: non si è mai usciti da una struttura religiosa, nessuno è riuscito, molti che sanno hanno detto che non è possibile e quindi non è possibile. Queste sono le figure retoriche che vengono utilizzate anche nelle cause civile e penali, non sono questioni logiche, logicamente non hanno nessun senso. La logica è quella cosa strana che non accetta che per il solo fatto che il sole è sorto tutte le mattine che io possa affermare che anche domani mattina sorgerà, perché non lo posso affermare, è un’induzione nel senso che è sempre successa e questo mi induce a pensare che anche domani mattina avverrà lo stesso fenomeno, ma la logica deduttiva non considera questa affermazione necessaria: è sorto tutte le mattine e allora? Che importanza ha? Può provare che sorgerà anche domani mattina? No e quindi non lo puoi affermare, puoi crederlo certo, e su questa come su infinite altre credenze si regge tutto il pensiero degli umani. Qualcuno, un filosofo del linguaggio diceva: ma io non posso ogni volta che esco di casa dubitare che aperta la porta di casa di fuori ci sia il mondo che mi circonda e che ci siano delle scale, che ci sia una macchina sotto, se non me l’hanno rubata nel frattempo, non posso dubitare di tutte queste cose, non si tratta né di dubitare né di non dubitare, sono elementi che vengono utilizzati, operazioni che hanno un uso nel linguaggio, dirsi che non è possibile che io possa dubitare tutte le mattine quando mi alzo che fuori dalla finestra ci sia il mondo non ha alcun senso, tanto che ci creda quanto che ne dubiti, allo stesso modo, cioè non significano niente, cose del genere, non sono utilizzabili. Ecco la questione dell’uso, è importante Wittgenstein di cui abbiamo detto in varie occasioni, ha colto in modo molto preciso la questione: questa certa cosa mi fa stare male, per esempio uno dice, si potrebbe dire qual è l’uso che ne fai di questa certa cosa? Possiamo utilizzare questo elemento in un altro modo e cesso di stare male. Uno che ha paura del buio, per lui il buio ha un solo utilizzo "se c’è buio allora ho paura", è una equazione molto rapida, non necessaria, buio oppure abbandono, abbandono - angoscia, ogni volta che c’è o immagina l’abbandono allora c’è l’angoscia. Questa equazione può dissolversi non perché cessa l’accostamento tra l’abbandono e l’angoscia, ma perché cessa l’abbandono, cessando l’abbandono cessa anche l’angoscia. È come cessa l’abbandono? Qui come vedete si tratta di una questione retorica, perché l’abbandono ha un uso molto particolare e si tratta in ciascun caso di intendere qual è l’uso dell’abbandono in ciò che la persona intende con abbandono, se utilizza questo significante abbandono per costruire una certa cosa ha un uso particolare, ben preciso, in alcuni casi l’uso di questo significante abbandono è quello di potere produrre anche l’angoscia, per una serie di motivi che possono anche essere buoni motivi, d’altra parte ciascuno ha sempre dei buoni motivi per pensare quello che pensa. Buoni rispetto alla struttura in cui si trova ovviamente, nel senso che non sono campati per aria, procedono da una serie di ragionamenti, di riflessioni, di ragionamenti che ha fatto, di considerazioni, di esperienze ecc., così come funziona il discorso scientifico, non è differente la struttura. Però torniamo all’esempio dell’abbandono – angoscia, non si tratta dicevo di interrompere questo collegamento stretto ma di fare in modo che l’abbandono cessi di essere necessario, in modo tale che non tanto la persona non possa più pensare di essere abbandonata, può farlo se vuole ma sa benissimo che è una sua costruzione che gli serve per stare male e che è esattamente ciò che vuole, sapendo questo può anche stare male, ma così come uno sta male andando a vedere un film, ché magari è una persona un po’ sensibile e sa che piangerà per tutta la durata del film, però ci va lo stesso. Uno può dire: se ti fa piangere e stai male non ci andare, sì- risponde - però ci vado lo stesso perché mi fa piacere. Allo stesso modo può provocare, può produrre la sofferenza nel suo discorso per questo motivo, si proietta come dicevo prima un film che gli produce questa sensazione che è esattamente quello che vuole provare, e la prova regolarmente. Certo se non sa tutto ciò, che è una delle cose che occorre che sappia un analista, allora avviene che non accogliendo la responsabilità di ciò che fa attribuisce la responsabilità ad altro o ad altri e allora immagina che sia quella certa persona a farla soffrire, che sia quella circostanza, che la sofferenza avvenga così, come una maledizione, invece no, è esattamente come andare a vedere un film che fa piangere, solo che alcune volte quando uno vede un film alcune volte se ne rende conto, non sempre, però se uno glielo facesse notare potrebbe dire: sì ci vado lo stesso perché posso piangere per un’ora e mezza, e mi fa piacere... Ecco la sofferenza funziona in un modo che non è lontano da questo, è una proiezione è una scena. Adesso la dico così in termini molto schematici, anche rozzi per alcuni versi, la questione poi è sempre molto più complessa, più sfumata però la struttura è questa. E può essere molto difficile intaccare una struttura come questa, perché rinunciare al piacere che offre la sofferenza è molto difficile, rinunciare alle cose che fanno soffrire, perché poche cose quanto queste producono sensazioni forti, le sensazioni che ciascuno cerca. Proprio giovedì al corso che facciamo con gli amici discutevamo di questo in termini molto più precisi, adesso qui dico le cose in un modo così giusto per dare qualche piccolo elemento, ma le cose essenziali avvengono lì, è una sorta di fucina del pensiero, una scuola di pensiero perché no? È da questi incontri che facciamo che sono prodotte tutte le cose che abbiamo elaborate in questi anni, lì dove ci si incontra con dei testi, li si compulsa e li si interroga. Si apre un testo e gli si chiede: adesso vediamo che cosa hai da dirci. E ciò che emerge sono riflessioni teoriche sempre molto rigorose, non come le cose che dico qui. Lì effettivamente si produce il pensiero. Ecco dicevo questo perché proprio la settimana scorsa si è iniziato ad affrontare questo tema, iniziato perché non è semplicissimo effettivamente, così come non sono semplicissime le cose che stiamo facendo, direi che sono fra le più ardue, le più ardue perché ci si è spinti oltre un certo limite e il limite è stato quello del pensiero, fino a che punto sono arrivati gli umani? Considerato il punto in cui sono arrivati si trattava di andare oltre, andare oltre radicalizzando alcune posizioni, portandole alle estreme conseguenze utilizzando una struttura che abbiamo inventata sì, certo, e che ci consentisse di giocare il gioco più radicale, pur sapendo che si tratta di un gioco linguistico ovviamente, ma il più radicale che potesse pensarsi. Ci piace giocare così, con le cose difficili, ci siamo stufati di giocare a birille e allora abbiamo trovato qualche cosa di più interessante, di più coinvolgente. Ecco ciò che occorre che l’analista sappia, che le affermazioni che ascolta non sono necessarie, essendo arbitrarie occorre che la persona che le produce possa accoglierne la responsabilità. Responsabilità dicevo prima non la colpa, intendiamoci bene, non c’entra niente l’accezione che indico con responsabilità che non altro che il non potere non confrontarsi con ciò che il proprio discorso produce. Produco un discorso, produco una scena e la responsabilità è considerare che questa scena è gratuita, non è necessaria qualunque essa sia, cioè è una produzione del linguaggio e questo mi lascia libero ovviamente in quanto non ho la necessità di credere che sia così…

- Intervento: Visto che noi viviamo le cose che ci rappresentiamo in modo individuale, potrebbe essere che noi viviamo in un mondo immaginario?

Sarebbe immaginario rispetto a quale altro?

- Intervento: Ad un mondo che esiste oltre che per noi stessi in realtà non esiste neanche...

Lei pone una questione complessa, ed è una bella questione, la questione del mondo immaginario il quale prevede necessariamente un mondo reale rispetto al quale il primo sia immaginario, ora può non essere facilissimo reperire o distinguere qual è il mondo reale, in base a quale criterio stabilisco, che non sia un mio criterio altrettanto immaginario? E allora perde di senso parlare di mondo immaginario perché non si sa più rispetto a cosa sia immaginario, così come perde senso parlare di reale. Dice che ciascuno si costruisce un suo mondo? Potremmo dire così, che in ciascun caso la scena che si produce non è conoscibile, se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile, diceva Gorgia. Occorre tenere conto, e questo è un aspetto del sapere dell’analista, che sono giochi linguistici, non descrivono la realtà dei fatti, sono costruzioni linguistiche su altre costruzioni linguistiche, sono come direbbe Austin atti linguistici. Che portata hanno? Possono consentire di individuare aspetti del linguaggio in precedenza inediti, possono consentire una maggiore mobilità di linguaggio e soprattutto occorre tenere conto che sono inevitabili, che è uno degli aspetti della struttura del linguaggio è quella di non essere arrestabile in nessun modo, cioè il linguaggio, per definizione si potrebbe dire, costruisce altre proposizioni, altre rispetto a quelle precedenti ininterrottamente, né può darsi un elemento che sia isolabile, quindi il linguaggio continua a produrre se stesso e se a noi piacesse dirlo, potremmo anche dire che la funzione del linguaggio è quella di autoriprodursi, nessun’altra, che è quella che constatiamo tutto sommato. Intendo dire che una volta che è avviato è un meccanismo inarrestabile. Anche per questo diciamo che non c’è uscita dal linguaggio, consente, dicevamo la volta scorsa, un’infinità di cose, altre le impedisce, una fra queste è di uscire dal linguaggio. La questione è che è questa struttura che generalmente chiamiamo linguaggio che consente l’esistenza delle cose, l’esistenza degli umani, abbiamo detto che senza il linguaggio gli umani non soltanto non esisterebbero ma che non sarebbero mai esistiti, perché la nozione di esistenza è possibile all’interno del linguaggio, fuori dal linguaggio non c’è possibile nozione di esistenza, senza esistenza c’è l’esistenza? E se sì in che modo? Perché? Questione legittima oltreché grammaticale anche questa, ma d’altra parte anche la depressione è tale perché ha una grammatica che la sostiene. Compito dell’analista è reperire questa grammatica tale per cui se avvengono certe cose allora io mi deprimo, e la struttura è sempre quella del discorso religioso o quella del gatto nero che attraversa la strada: se il gatto nero attraversa la strada allora succede... come se fosse una inferenza bloccata. Se questo allora necessariamente quest’altro...

- Intervento:…

La grammatica non è altro che l’insieme delle regole che pongono in atto il discorso e che orientano di volta in volta il discorso in una direzione anziché in un’altra. La petizione di principio è una figura retorica che ha un suo utilizzo nella sua grammatica, però la grammatica del linguaggio non è né può essere una petizione di principio, e la grammatica di un discorso è data da quelle regole che lo rendono quello che è. Per esempio atteniamoci al gioco che sto facendo, quello che afferma che nulla è fuori dal linguaggio, allora c’è una grammatica che è in atto, ci sono delle regole, una di questa è quella che mi dice di accogliere soltanto ciò che non è negabile per il fatto stesso che parlo, questo è una regola di un gioco, ora attenendomi a questa regola le proposizioni che costruisco si costruiscono in un certo modo, definendo le regole del gioco si stabilisce quale sarà il gioco ovviamente, quindi stabilendo di accogliere soltanto proposizioni che non possono essere negate, salvo negare la possibilità di negare alcunché, faccio un gioco che non è né migliore né peggiore di altri, è un gioco linguistico che può avere il vantaggio di mostrare qual è la struttura di altri giochi linguistici, niente più di questo, la petizione di principio è una figura retorica che viene utilizzata molto spesso ed è quella che si avvale di quell’elemento che deve dimostrare e lo inserisce all’interno della dimostrazione, ed è un gioco che generalmente viene smascherato abbastanza facilmente, come se desse per acquisito ciò stesso che deve essere dimostrato e quindi dandolo per acquisito dimostrare facilmente ciò che a quel punto è già dimostrato in partenza, la petitio principii funziona così, no direi che la grammatica non ha nulla a che fare con la petizione di principio, anche perché non ha nulla da dimostrare e non avendo nulla da dimostrare non saprebbe cosa farsene né della petizione di principio né di altri, in effetti questa proposizione che afferma che non c’è uscita dal linguaggio non è né provabile né confutabile, è soltanto non negabile, non è provabile è come se fosse al di qua di ogni possibile dimostrazione, fornisce le condizioni per potere costruire ogni qualunque dimostrazione che è costruita dal linguaggio appunto, come è noto...

- Intervento:…

No, perché con provabile si intende il muoversi da una premessa che si ritiene necessaria fino a una conclusione attraverso una serie di passaggi necessari, per cui la conclusione è altrettanto necessaria, questo generalmente si intende con prova, e con confutazione il processo che invece nega l’esistenza di quest’ultima proposizione come necessaria. Ora dicevo che non è in quanto riflette sulle condizioni stesse di un qualunque procedimento probatorio, il quale è fatto del linguaggio il quale utilizza certi schemi, la ricerca che stiamo compiendo riflette proprio su questi schemi che rendono possibile una prova e cioè per esempio un sistema inferenziale, un sistema deduttivo, che cosa fa sì che dato un elemento A, per esempio se A allora B. Abbiamo considerato che questa connessione è necessaria per un verso ma arbitraria per un altro, cioè è necessario che se c’è un elemento allora ce ne sia un altro, è arbitrario l’affermare che da un elemento necessariamente ci sia quell’altro elemento. La logica dice soltanto che se c’è un elemento allora ce n’è un altro, ché sono elementi linguistici quindi inseriti in una catena linguistica e per essere elementi linguistici occorre appunto che siano nel linguaggio e se sono nel linguaggio ciascuno è connesso ad altri necessariamente, ma a quale altro questo è assolutamente arbitrario, di questo si occupa appunto la retorica, la logica dice soltanto questo: guardate che se c’è un elemento linguistico allora ce n’è un altro, per definizione. Ecco perché allora occuparsi di questo è occuparsi delle condizioni stesse di un qualunque sistema probatorio, qualunque esso sia, deduttivo o induttivo. Che cosa consente la costruzione deduttiva? Cosa fa sì che io dico: se A allora B, pensi di dire una cosa vera intanto, vera cioè dimostrabile all’interno di un criterio linguistico ovviamente, se ci si muove al di qua di un sistema probatorio allora non ha più neanche senso chiedersi se una cosa sia vera o sia falsa perché è al di qua di qualunque criterio verofunzionale, è nel punto in cui si riflette sulle condizioni di un qualunque criterio verofunzionale, cioè che cosa lo consente, cosa lo sorregge cosa lo fa esistere in definitiva? E cioè in ultima istanza le strutture del linguaggio cioè quelle per cui il linguaggio è quello che è, cioè quello che ci consente di fare queste riflessioni per esempio, sì Enrico forse stava dicendo...

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È arbitraria nel senso che non è necessario fare un certo gioco, non lo è in quanto invece se vuole fare quel gioco occorre che ci si attenga. Faccio sempre l’esempio del gioco delle carte, se vogliamo giocare a poker occorre che ci atteniamo alle regole del poker, e queste regole sono arbitrarie? A questo punto porsi una domanda del genere potrebbe essere un non senso, arbitrarie rispetto a che cosa? Sono delle regole, io posso attenermici oppure no, quando vado in giro e compro un pacchetto di sigarette mi attengo a certe regole, non chiedo un bue muschiato quando voglio un pacchetto di sigarette...

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Per alcuni aspetti sì, ci sono alcuni aspetti che si tende ad accogliere proprio per l’intenzione di comunicare, ora che poi ci sia questa comunicazione oppure non ci sia questo è sempre arduo da stabilire, però ovviamente la grammatica, quella scolastica, fornisce una serie di regole per costruire le proposizioni in modo tale che poi possano essere utilizzate da altri e cioè queste regole consentono un utilizzo di certe proposizioni, utilizzo grammaticale cioè l’utilizzo come regole in definitiva, regole di altre regole. Ora esistono delle forme che non possono essere variate e sono elementi che abbiamo deciso di chiamare procedure e cioè sono quegli elementi senza i quali il linguaggio cesserebbe di esistere. Se io affermo una cosa non posso simulatamente affermare il contrario, sono in parte anche i principi che ha enunciato Aristotele "tertium non datur" o A oppure non A perché come abbiamo visto prima per affermare non A occorre che ci sia un A che nego, se no che cosa nego? Voglio dire che per affermare che un elemento è differente da sé, se non fosse identico da sé sarebbe differente da nulla quindi grammaticalmente occorre che ci siano delle regole che mi impongono di muovermi in una certa direzione perché se non lo faccio il linguaggio cessa di esistere e non c’è più nessuna possibilità di utilizzarlo, quindi è come se si dissolvesse. Allora il linguaggio cesserebbe di essere tale, si dissolverebbe e non esisterebbe più in quanto non sarebbe più utilizzabile in nessun modo, questo sì certo e allora questa grammatica è quella che fa funzionare il linguaggio, in questo caso sì, è necessaria, è l’unico elemento di cui possiamo dire che è necessario, perché se non ci fosse il linguaggio cesserebbe di esistere...

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Ci sono due risposte in questo, intanto che cos’è il linguaggio? Non è la verbalizzazione, io do questa definizione di linguaggio che è la più ampia possibile proprio perché è molto difficile definirlo, anche perché per definirlo occorre utilizzarlo e questo comporta qualche contraccolpo, ma il linguaggio non è altro che ciò che ci consente di chiederci che cosa sia il linguaggio e qualunque altra cosa, questo e nient’altro che questo, cioè quella struttura che ci consente di farci queste domande; rispetto al simbolo qui la questione è complessa, un simbolo è tale se c’è qualcuno intanto che lo riconosce come simbolo e quindi sa che il crocefisso significa una certa cosa, come lo sa? Qual è la struttura che gli consente di sapere una certa cosa, perché è qualcosa anziché nulla? Occorre una struttura e questa struttura noi la chiamiamo linguaggio, ora poi il linguaggio consente anche di costruire queste cose, i simboli, il crocefisso, la bandiera o qualunque altra cosa, ma in effetti sono costruzioni che sono consentite da questa struttura. Ora mettere il crocefisso al posto del linguaggio può farlo, non è proibito, ma non so quale vantaggio possa comportare, non saprei... però si può fare, molti lo fanno. Allora giovedì prossimo proseguiamo questa fucina di pensiero nella sede dell’Associazione e fra quindici giorni affrontiamo in modo più specifico la questione dell’intervento dell’analista. Grazie e buona notte a tutti.