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IL NUOVO MESTIERE: L'ANALISTA DELLA PAROLA

 

19/1/1999

 

Questa nuova serie di incontri prevede due gruppi di conferenze, il primo gruppo inizia questa sera, parleremo dell’analista della parola, una nuova figura; nel secondo gruppo parleremo del sofista, che è un aspetto fondamentale dell’analista della parola. Abbiamo deciso che faremo questi incontri come una sorta di vera e propria serie di controversie dialettiche, nel senso che qualcuno sosterrà qualche cosa e io confuterò, oppure il contrario a piacere, in modo da mostrare in atto come funziona il linguaggio e che cosa fa un sofista. incominciamo allora a descrivere questo signore, l’analista della parola. Abbiamo scelto questa dicitura per affiancarlo a quella di altre attività come l’analista finanziario, l’analista informatico; esiste anche l’analista della parola e cioè colui che si occupa della parola, del linguaggio, del suo funzionamento, del funzionamento del linguaggio rispetto al proprio discorso e all’occasione di quello altrui laddove sia richiesto, ovviamente. Si occupa della parola, è questo il suo mestiere, in questo modo: coglie nel discorso, tanto nel proprio quanto in quello di ciascuno, che cosa supporta tutto ciò che viene detto, su che cosa si fonda e da dove trae la propria forza. Un qualunque discorso, che voi come qualunque si trovi a fare, è supportato da un certo numero di elementi senza i quali il discorso non potrebbe farsi o si farebbe in tutt’altro modo. Il discorso che voi fate ha delle condizioni, prevede un certo numero di principi, di assiomi e di regole, regole di esecuzione. Per esempio, tutto ciò che affermate, qualunque cosa sia, potete affermarla perché esistono degli altri elementi, possiamo chiamarli assiomi, dati per acquisiti, dai quali potete dedurre o comunque inferire delle conclusioni che affermate. È ovvio che a questo punto il vostro discorso è vincolato agli assiomi da cui muove, se voi provate a cambiare questi assiomi cambia il vostro discorso, vi troverete cioè ad affermare cose differenti da quelle che oggi affermate, magari con la stessa certezza. Il compito principale dell’analista della parola è reperire quali sono gli assiomi in un discorso e cioè, in definitiva, perché una persona sostiene, afferma le cose che afferma o che sostiene, non per cambiarle o per modificarle, non è questa la questione, non si tratta di compiere un opera di sostituzione di proposizioni con altre proposizioni ma, cogliendo tali assiomi, mostrare alla persona che se afferma ciò che afferma è perché altri elementi esistono quali per esempio quello che credo. Questo che sto dicendo ha due effetti: primariamente, l’uno di consentire a ciascuno una maggiore rapidità di pensiero, l’altro di sollevarlo da tutto ciò che costituisce un peso. La rapidità del pensiero procede dal non essere vincolati a degli elementi ritenuti necessari, certi, sicuri e che invece non lo sono, e allora, in omaggio a questi elementi ritenuti tali, sicuri, fermi e inamovibili, il pensiero si attarda a cercare di sostenere delle cose tenendo fermi questi elementi e quindi perdendo un sacco di tempo. Non è che uno debba avere fretta ma può utilizzare le sue risorse in altra direzione, magari più proficua. Il secondo elemento è costituito da ciò che comunemente è inteso come disagio, qualcosa che indicavo come un peso, che cosa pesa? Pesa qualche cosa che non si riesce a scrollarsi di dosso e questo qualcosa è un discorso fatto di proposizioni o di qualcosa che io credo. Per esempio, io credo di essere antipatico, cattivo, abbandonato, reietto dall’umano consesso; se credo questo evidentemente ho dei buoni motivi per pensarlo ma questi motivi mi appartengono, appartengono cioè al mio discorso, muovono da certi assiomi e da questi assiomi concludono in un certo modo. La conclusione a cui giungo non è né vera né falsa, non è sottoponibile a un criterio vero funzionale, non c’è alcun parametro che io possa utilizzare, è semplicemente qualcosa che credo, così come posso credere qualsiasi altra cosa. Posso credere anche questa, certo, ma posso crederla perché degli altri elementi che, come dicevo prima, me lo permettono; questi elementi sono fatti di inferenze cioè "se questo allora quest’altro" se quel tizio che incontro anziché essere vestito di grigio è vestito di rosso, allora vuol dire che io sono una persona poco piacevole, un’altra potrebbe domandarsi perché e la cosa potrebbe apparire non immediatamente evidente ma lui ha tutti i buoni motivi per concludere questa conclusione. Ora, la buona parte delle conclusioni cui si giunge ha questa struttura, cioè non ha nessuna connessione con ciò da cui muove però non per questo non è creduta tanto fortemente che se avesse invece tutta una serie di connessioni molto precise. Se, come dicevo, vengono sostituiti gli assiomi o più propriamente vengono messi in evidenza in modo che non possono non essere riconosciuti è come smascherare un gioco, è come giocare a carte scoperte: se si fa un gioco di carte con le carte scoperte non c’è nessuno che vince e nessuno che perde, ovviamente. Ecco, la cosa funziona in questo modo, nessuno che vince e nessuno che perde, cioè non c’è nessuna possibilità di credere vera o falsa una certa cosa ma ci si accorge immediatamente che questa cosa è sorretta da regole di un gioco linguistico. L’analista della parola è colui che si occupa prevalentemente dei giochi linguistici, cioè constata che qualunque cosa accada, qualunque cosa lo circondi, pensi, faccia, dica, immagini, non può non essere altro che un gioco linguistico. Questo è il principio inesorabile da cui muove, come dire che non gli è più concesso in nessun modo, non da qualcuno ma dalla struttura del discorso in cui si trova, non gli è più concesso di credere una qualunque cosa, semmai la ascolta, la considera, la elabora, la articola, ma non può credere, non può crederla vera perché sa esattamente che questa proposizione, questa affermazione non è sottoponibile in nessun modo a un criterio verofunzionale. L’analista della parola è un personaggio per cui la domanda se qualcosa è vera o falsa non ha nessun senso se non all’interno di un gioco del quale conosce le regole. Se io gioco a poker e ho quattro assi e l’altro ha due sette è vero che vinco ma vinco rispetto alle regole del poker, in questo ambito, fuori da questo ambito non significa assolutamente niente. Potete rendervi conto molto facilmente del modo in cui pensa l’analista della parola, colui dunque che analizza un discorso mano a mano che si produce, lo analizza, vale a dire, ne coglie la struttura e soprattutto le regole che consentono a questo gioco di esistere. Le regole di un gioco non sono altro che dei comandi, più propriamente dei divieti. In un gioco le regole vietano certe mosse, vietano per esempio giocando a poker di utilizzare i pupazzetti degli scacchi, vietano una infinità di altre cose, per potere giocare è necessario vietare delle mosse. Dunque, conoscere le regole di un gioco è sapere che certe mosse non sono concesse se ovviamente si intende continuare a giocare quel gioco. Ciascun gioco ha delle regole, se non le avesse cesserebbe di esistere, così possono essere delle regole totalmente differenti ovviamente, un procedimento ha delle regole che sono differenti per esempio da quelle di una dichiarazione d’amore, se uno sbaglia delle regole succede un macello, esattamente così come il poker ha regole differenti dagli scacchi. Cosa comporta affermare che non può darsi alcunché che non sia un gioco linguistico, cosa comporta in prima istanza? Comporta ciò che forse prima indicavo con leggerezza, cosa intendo con leggerezza? Intendo questo: il non trovarsi mai per nessun motivo costretti a credere qualcosa, ciascuna volta in cui io credo vera una cosa me ne assumo totalmente la responsabilità, credo non perché sia così, lo credo perché fa parte di questo gioco credere una certa cosa e per nessun altro motivo. Affermare "credo sia così perché le cose stanno così" è propriamente un non senso, cioè non significa assolutamente niente. In altri termini ancora, questo personaggio che andiamo inventando e che prenderà piede nel prosieguo, negli anni prossimi venturi, è un personaggio che non è mai esistito prima e forse può trovare nei sofisti antichi un vago predecessore, vago perché non si occupa soltanto di questo, diciamo che può fare tutto ciò che facevano i sofisti, molto meglio e anche altre cose, ciò che facevano i sofisti è soltanto l’abc. In varie occasioni vi ho indicato come esercizio il provarvi a prendere una qualunque cosa che credete assolutamente, quella che ritenete assolutamente ovvia e inevitabile, e provare a costruire un discorso che prova questa affermazione come assolutamente falsa, in modo assolutamente inappuntabile; se voi potete fare questo esercizio sarà molto difficile ad un certo punto che vi troviate a credere nelle varie cose.

Ciò che caratterizza l’analista della parola è il trovarsi in una struttura di discorso tale per cui non c’è assolutamente nulla, né può esserci assolutamente nulla, che costringa all’assenso, induce a muoversi in un modo che è differente da quello solito, non soltanto dicevo prima, la leggerezza, cioè la non necessità, la non costrizione a credere qualcosa ma anche e soprattutto il divertimento. L’analista della parola è soprattutto una persona che non soltanto gioca e si diverte a giocare ma che può insegnare a ciascuno a giocare, a giocare con tutto ciò che invece è ritenuto invece molto serio, molto greve e talvolta anche grave; non è pertanto e soltanto funambolo della parola ma è colui che continuamente si diverte in ciò che fa e non può non farlo, questa è la chance, non potere non divertirsi in tutto ciò che accade. Come si diverte? Abbiamo detto giocando ma giocando con il linguaggio o più propriamente accorgendosi che quello che sta accadendo è un gioco che va giocato, certo. Cosa attrae di più gli uomini? C’era un famoso aneddoto di Nietzsche, si domandava che cosa ama l’uomo e si rispondeva il pericolo e il gioco, per questo motivo, proseguiva, vuole la donna come il giocattolo più pericoloso, questo diceva Nietzsche. Ma dicevo del gioco che è la cosa che già di per sé gi umani generalmente fanno o compiono più seriamente alla quale mettono maggiore passione, maggiore impegno, e dal quale sono maggiormente attratti, giocare se ci pensate gli umani giocano molto spesso tutte le volte in cui riescono, giocano non soltanto dei giochi stabiliti ma giocano dei ruoli, giocano delle parti, giocano in infiniti modi, cercando di trarre da questo gioco del divertimento, poi che ci riescano oppure no è un altro discorso, ebbene l’analista della parola è colui che non può, non può più non giocare, non può cessare di divertirsi, è impedito proprio, non solo ma ha gli strumenti e i mezzi per insegnare a ciascuno se lo vuole, che lo voglia, a giocare. Insegnare a ciascuno che ciascun elemento, ciascun atto che interviene è sempre un atto di parola inesorabilmente è e non può non essere che un elemento di un gioco linguistico, un gioco letteralmente, sia in quanto alludiamo all’aspetto ludico della questione quanto alla sua imprevedibilità. Il gioco è per definizione imprevedibile altrimenti non è un gioco, se giocassi a poker con Roberto e sapessi che ciascuna volta vinco, posso giocare lo stesso per altri motivi ma però si perderebbe buona parte dell’interesse al gioco. L’imprevedibile è ciò che accade e che ancora non so, il discorso è fatto esattamente in questo modo. Provate a iniziare il discorso e il discorso muoverà in un modo che per moltissimi aspetti se non quasi tutti è imprevedibile, si connette ad altri elementi in modo imprevedibile, costringendovi a considerarli, vi porta là dove magari non volete andare, insomma vi muove in infiniti modi ciascuna volta inediti. Il più delle volte si rifugge questo gioco, si rifugge per una quantità di motivi, adesso ve ne dirò solo alcuni, si rifugge per un addestramento antico, gli umani sono addestrati a non considerare la parola come un gioco, sono addestrati a questo perché se lo facessero tutto ciò che è costruito dalla società, dallo stato, ciascuna istituzione si dissolverebbe e questo lo stato non lo può permettere. Non lo fanno, non lo considerano come gioco in buona parte oltre che per l’addestramento anche perché temono di perdere la grevità delle cose, l’importanza, quindi perdere loro stessi importanza. È una superstizione ovviamente, però come tutte le superstizioni è fortemente creduta, l’idea cioè di perdere per esempio delle emozioni, delle sensazioni anche forti, quelle emozioni forti connesse con l’angoscia, con la paura, con l’affanno, con l’ansia, con tutto ciò che Sigmund Freud indicava come nevrosi o psicosi a seconda dei casi, tutto ciò produce sicuramente forti emozioni, il timore è quello di potere perdere queste forti emozioni. Timore assolutamente infondato dal momento che le emozioni è possibile incontrarle in altro modo, non è necessario che io mi dia una martellata sul dito per provare forti emozioni, posso farlo in modo diverso magari più divertente, più piacevole e che magari anche mi consenta di avere altri sbocchi, una martellata sul dito non porta molto lontano, se non da un farmacista. L’analista della parola è un personaggio che vive divertendosi, divertendosi in quello che fa e ciò che fa è considerare il linguaggio così come accade, come si muove, come si svolge, considerando anche il fatto che si trova a dovere, direi quasi necessariamente in alcuni casi, giocare quei giochi che sono imposti da altri, ma si adegua a tali giochi, a tali regole, non perché creda che siano così ma perché in caso contrario potrebbe incappare in qualche rischio e quindi accoglie le leggi di un paese così come ciascuno di voi che si trova a fare un viaggio conosce le leggi del paese in cui si trova e si attiene a quelle leggi, non condividendole e non avendo nessun interesse per loro, ciò nonostante si attiene a queste leggi, esattamente così come mi attengo alle regole del poker quando gioco a poker, se non gioco a poker no, né ritengo che le leggi né le regole che governano il poker abbiano un valore universale, che siano leggi universali, sono regole che esistono soltanto per potere giocare quel gioco, nient’altro che questo. Immaginate dunque di potere trovarvi di fronte a ciascun discorso e non potere non considerarlo un gioco, un gioco che si sta facendo, l’effetto immediato è di non potere essere travolti da quel gioco, con essere travolti da un gioco intendo questo, immaginare che ciò che governa quel gioco anziché essere delle regole che lo fanno esistere siano dei dati di fatto, dei dati naturali, delle leggi universali immutevoli e pertanto terroristiche perché costrittive. Ma l’analista della parola non è dissimile da ciò che fa o dovrebbe fare uno psicanalista, taluni hanno chiesto come mai questo nome differente per indicare a suo parere qualcosa di simile, ma appositamente abbiamo deciso di non utilizzare questo termine psicanalista per dei buoni motivi. Con psicanalista si intende generalmente un mestiere piuttosto inflazionato e condotto da persone le quali muovono da una teoria che hanno appresa, come sapete perfettamente un analista junghiano interpreterà differentemente ciò che voi dite da lacaniano, da un freudiano, reichiano, ecc., esattamente così come un cattolico interpreta la realtà che lo circonda in un modo differente da un buddista o da un maomettano, vale a dire, ciascuno traduce il mondo che lo circonda nella dottrina che ha imparato. Siccome non avviene nulla di tutto ciò in ciò che fa l’analista della parola non ci è parso di alcun interessa mantenere questo termine, psicanalista, oltre al fatto che questo termine mantiene ancora questa aura di pesantezza, di inutilità che l’ha caratterizzata in questo ultimo secolo. Non abbiamo nulla contro gli psicanalisti né nulla a favore. Abbiamo constatato che la più parte di loro sono personaggi di nessun interesse, molto pii, molto religiosi, molto ignoranti. Da qui il proposito di abbandonare questo termine, come assolutamente desueto e inutile. Non mi interessa essere equiparato a uno psicanalista, non lo ritengo una cosa di qualche interesse. Ciò che andiamo a iniziare è qualcosa che è sempre più lontano dallo psicanalista; è un mestiere tra l’altro piuttosto interessante, interessante per due motivi, il primo è che consente per la stessa formazione, di cui dopo diremo, di compiere queste operazioni rispetto al proprio discorso che lo fanno muovere non soltanto molto più rapidamente ma anche in modo molto più leggero. Può consentire, come dicevo, ad altri di cessare di credere qualunque cosa gli passi per la testa, non perché questo sia male ma perché il più delle volte questo qualcosa che passa per la testa ha effetti funesti, effetti funesti perché è circondato da una quantità enorme di elementi pesantissimi, indigesti e soprattutto non necessari, come dire che stare male non è necessario, si può fare chiaramente ma, come dicevo prima, è possibile incontrare emozioni forti e piacevoli anche senza pestarsi sulle dita con il martello. Ecco quindi l’interesse di questo mestiere consiste nell’avere a che fare con tutto ciò che gli umani producono e hanno prodotto e produrranno, una quantità sterminata di fantasie che voi nemmeno riuscite a immaginare. Fantasie che per altro sono costruite intorno a dei luoghi comuni i quali invece sono pochi e grosso modo sempre gli stessi, intorno a questi luoghi comuni, mettiamo siano una decina, vengono costruite una quantità sterminata di fantasie. Potete rendervi conto di che cosa gli umani pensano, di che cosa credono, di come si muovono, di che cosa vivono, in definitiva di come sono fatti; voi siete in condizioni, parlando con le persone, di intendere il discorso che stanno facendo, potete reperire con facilità quali sono le fantasie che lo muovono, le superstizioni che lo supportano e anche rendervi conto abbastanza facilmente del motivo per cui magari lamenta tutta una serie di cose. Naturalmente, laddove una persona si rivolga a voi per alleggerirsi il carico allora la situazione diventa particolare perché si produce una situazione piuttosto bizzarra, che già Freud a modo suo aveva intuito: la persona si rivolge a voi per liberarsi di qualche cosa che lui stesso ha prodotto e che lui stesso mantiene, della quale cosa dice, afferma di volere sbarazzarsi mentendo, non sapendo di mentire. Differente il mentire sapendo di mentire dal mentire non sapendo di mentire, in questo caso si mente in buona fede, che è il modo peggiore di mentire, per dirla così, perché non ci si accorge. Vi dicevo che mente, usiamo questo termine, dal momento che se effettivamente non interessasse soffrire cesserebbe di farlo, se prosegue ha dei buoni motivi per farlo, pertanto non ha nessuna intenzione di sbarazzarsi della sua sofferenza. In definitiva, vi chiede di fare qualcosa che d’altra parte vi proibirà o comunque vi impedirà di fare.

Questo è il mestiere dell’analista della parola, è un po’ complesso, tuttavia è fornito di quegli strumenti che gli consentono di fare anche questo, cioè indicare qualcosa di più interessante. Tempo fa vi parlavo a proposito dei cosiddetti drogati, nessuno di loro generalmente smette perché quello che gli viene offerto in cambio non ha la portata di ciò che dovrebbero abbandonare. Una sniffata di coca dicono che sia più interessante che coltivare le patate, che viene offerto loro come alternativa, tanto che dopo avere coltivato due patate ritornano a sniffare coca. Che facciano bene o facciano male è un discorso che non ci interessa, nessuno lascia qualche cosa che gli produce delle forti emozioni in cambio di qualche cosa che non gliene produce affatto o che pensa non gliene produca affatto, non ha neanche tutti i torti se vogliamo proprio dirla tutta: perché abbandonare una cosa divertente e piacevole e entusiasmante per una noiosissima e di nessun interesse, chi farebbe una cosa del genere? Per questo vi dicevo che le cosiddette psicanalisi funzionano soltanto, come direbbero i logici, se e soltanto se c’è uno spostamento da una religione ad un’altra, allora funziona, funziona così come qualunque conversione e allora il neofita della nuova religione è sempre non soltanto in ottima salute ma anche molto attivo, molto eccitato dalla nuova condizione, dall’avere per esempio trovato la nuova verità. Tale eccitazione ha un effetto terapeutico immediato e formidabile però, essendoci trovati nella condizione di non volere sostituire una religione con un’altra, occorre che ciò che offriamo in cambio sia qualcosa mi molto più potente. E lo è, lo è perché ciò che offriamo in cambio è qualcosa che non cessa mai per nessun motivo e in nessun modo di sorprendere, di divertire e di interessare. Una qualunque religione una volta abbracciata dopo un po’ diventa acquisita, anche perché fondata su dogmi che per definizione devono essere inamovibili e quindi almeno un elemento deve rimanere così com’è, in questo caso no, non c’è nulla che debba rimanere così com’è, qualunque cosa muta incessantemente, se volete un’immagine visiva potete immaginare il caleidoscopio. Avete presente quel giocattolino che si dà al bambino, ne avevo uno anch’io e poi lo apersi per vedere come era fatto e non funzionò più, ecco girando ogni volta si creano immagini colorate, bellissime e sempre differenti fra loro mai uguali, il linguaggio funziona esattamente allo stesso modo, si tratta soltanto di accorgersene, il compito dell’analista della parola è fare in modo che la persona se ne accorga, nient’altro che questo. Ho fatto un accenno rapido a questo nuovo personaggio del quale diremo ancora in altri tre incontri, il prossimo parleremo dello statuto dell’analista della parola e cioè di ciò che lo definisce teoricamente in modo preciso, dopo di che parleremo dell’analisi del discorso e cioè in modo molto più preciso di ciò che fa esattamente, da ultimo i nuovi sofisti e cioè della catastrofe che stanno per portare sul pianeta e poi come dicevo ci sarà una serie di incontri così… una sorta di incontri spettacolo per cui mostreremo in atto cosa fa un sofista.

Ecco dunque dopo questa breve presentazione se qualcuno ha già qualche cosa da domandare può farlo, se lo vuole ed io risponderò se lo voglio, intorno a ciò che ho detto per esempio, qualche domanda, qualcosa che non è chiaro intorno al mestiere di cui vi ho parlato, ciascuno può se lo vuole diventare analista della parola, non c’è nessuna preclusione di nessun tipo per ciascuno di voi, è sufficiente volerlo nient’altro, rende bene, comporta sì una formazione di cui diremo in modo più preciso il prossimo incontro però è una formazione che è totalmente differente da quelle usuali perché non c’è un tipo di scuola per esempio o addestramento istituzionale che vi faciliti le cose, no, è un’altra cosa proprio, occorre addestrarsi a pensare e questo nessuna scuola lo fa né lo può fare, invece è essenzialmente di questo che si tratta. Imparare a pensare comporta acquisire che cosa? Tutto ciò che il pensiero può fare e tutto ciò che il pensiero non può fare, questo soprattutto. Qualcuno ha da domandare qualcosa magari non è chiaro io ho sorvolato su moltissime cose che magari possono essere riprese e precisate. Sandro cosa dice?

- Intervento: Vorrei aggiungere due parole sulla psicanalisi …

Sì, ha sottolineato un aspetto fondamentale per quanto riguarda la pratica e per quanto ciò che riguarda l’elaborazione teorica. Infatti, nulla a che fare con la psicanalisi, l’abbiamo abbandonata perché la psicanalisi così come è stata costruita e così come viene posta in atto non può nulla, assolutamente nulla, può persuadervi ad abbracciare una nuova religione, questo è il massimo che possa fare, nient’altro che questo e non ci è parsa una cosa di così grande interesse. Come sapete, la psicanalisi è stata inventata da Freud, prima di lui non esisteva, anche se altri prima di lui avevano elaborato delle cose ma, così come è costruita, non c’era prima. Tuttavia, è una costruzione che è partita male, è partita da una quantità sterminata di cose date per acquisite mentre acquisite non sono affatto imponendo, oserei dire, una serie notevole di nozioni teoriche assolutamente insostenibile, molte addirittura risibili, che sono state utilizzate e credute al pari di qualunque altro credo religioso. Per questo, dicevo, la psicanalisi non può nulla salvo muovere la persona verso un’altra religione, perché la psicanalisi stessa è strutturata come una religione, da questa struttura non può uscire mantenendo la sua conformazione, per cui sicuramente sottolineeremo la distanza da ciò che andiamo facendo e la psicanalisi. I termini cari alla psicanalisi sono diventati ormai di uso comune, come inconscio, come atto mancato, ecc…non hanno in quanto tali nessun interesse, non significano assolutamente niente, l’accusa che veniva fatta da molti alla psicanalisi di essere una metafisica è in buona parte assolutamente fondata, ma si può dire che è anche una pessima metafisica, ci sono delle buone metafisiche, questa è una pessima metafisica costruita su assiomi, principi che ciascuno di voi potrebbe smontare in quattro e quattr’otto …

- Intervento: A proposito della persona che mente …

Cosa ho detto io? Posso sostenerlo posso confutarlo, quale preferisci delle due? (….) tu ti prepari già alle controversie dialettiche … (….) non è necessario, nulla di quello che dico è necessario, però dunque cos’è che devo sostenere che una persona mente non sapendo di mentire? (…) sì, chiaramente occorre che definiamo questo termine se no non sappiamo nemmeno di cosa stiamo parlando, cosa intendiamo con mentire? Generalmente, si intende questo, l’affermare qualcosa che è contrario del vero. Ora, supponiamo che io abbia accolta una certa cosa come vera, se io affermo il contrario di questa cosa, per la definizione che abbiamo proposta e tu hai accettata, mento, quindi posso farlo. (.…) posso farlo rispetto a un gioco, se io ho quattro assi in mano e tu hai due sette è vero che io vinco (….) posso farlo utilizzando il suo, cioè facendogli il verso, chiaramente per mostrare poi la vanità di un operazione del genere, però posso farlo, anzi in alcuni casi è addirittura consigliabile utilizzare le regole del suo stesso gioco (…..) per cui non è necessario, certo non lo è, ma tu sei sempre molto preciso in queste questioni e in effetti non è necessario certo (…..) sì, ma appositamente io ho dato una definizione molto particolare di vero, no? Vero è ciò che è definito come tale dalle regole del gioco che si va giocando, una volta data questa definizione puoi andare avanti tranquillamente (.….) talvolta sì, talvolta no, non è sempre così automatico certo, ogni tanto mi richiama all’ordine perché…. Sì? Cristina, qualche domanda oppure qualche risposta?

- Intervento: la menzogna…

Ha a che farci spesso con la menzogna? Ma con la sua e con quella altrui? (altrui) e quindi le mentivano a raffica, come mai le mentivano? Ma le mentivano spesso o è una cosa casuale? (ora non mi importa più di tanto) che menta o dica il vero? Mente, prima no. (….) forse sono indiscreto ma qual è la menzogna che più l’ha fatta arrabbiare, cos’è che ricorda? Ce n’è una in particolare? E sa perché le persone le mentivano? Avevano buoni motivi? (…..) quindi avevano buoni motivi per farlo. Sì. Perché dicendole la verità lei si sarebbe arrabbiata moltissimo, mentendole no. Forse (….) ci sono menzogne che durano da tre mila anni e sono anche state raccontate male e sono a tutt’oggi….(….) sì, però si tratta di alcuni miliardi di persone che ci credono, non è che siano due, per cui accade a volte che delle menzogne siano fortemente credute soprattutto se ci si vuole credere, capita certe volte di volere credere un qualcosa che si sa essere una menzogna, magari è capitato anche lei, no? (…) però anche lei mi ha detto….e lei non mente ma? ( …..) e per gli stessi motivi oppure a copertura, per non offendere l’altro, per non inquietarlo, per non ferirlo, certe volte gli si mente per questo motivo… Come mi ricordava giustamente Roberto, occorre avere una nozione molto precisa di verità per potere stabilire esattamente che cosa sia la menzogna, nessuno è in condizioni di farlo chiaramente ma in genere si intende con menzogna il non essersi attenuti alle regole del gioco in questione; se io non mi attengo a quelle regole in un certo modo allora è possibile affermare, per esempio, che ho mentito, se no non lo potrei fare, ho mentito rispetto a che? Stabilirne una assoluta, il che potrebbe non essere facilissimo, come mi ricordava il mio amico Roberto che è stato molto preciso, ma rispetto alle regole di un certo gioco allora sì, io posso affermare per esempio che lei mente, all’interno di un certo gioco ma non in assoluto. Poniamo che ci sia un gioco che dice questo è un registratore, io accolgo questa regola, se io affermo che questo non è un registratore sto mentendo, tutto qui. Però come dicevamo è una cosa utilizzabile, di facile uso…

- Intervento:...

Questo accade la più parte delle volte, di fare confusione, certo, utilizzare regole differenti e quindi succedono quelle che comunemente sono note come incomprensioni o dissapori fra le persone fino … fino alle guerre mondiali….poi in una opportuna scala, certo, uno pensa che l’altro gli stia mentendo o lo stia ingannando e invece quell’altro semplicemente utilizza regole differenti e quindi sta facendo un altro gioco. Fare confusione fra i propri giochi è ciò che Freud indicava come nevrosi, cioè sbagliarsi, utilizzare delle regole per fare un gioco diverso, per dirla così, come utilizzare le regole degli scacchi giocando a poker, questo sarebbe il nevrotico.

- Intervento:…

Io mi sono trovato a parlare con degli analisti, uno era junghiano e l’altro era un algerino lacaniano, entrambi partivano dalla teoria che avevano appreso e quindi traducevano ciascuno le esperienze e le cose che incontravano in questa teoria che avevano appresa, cercavano magari di modificarla leggermente in base agli usi e costumi locali, però l’impianto teorico è quello, non si scappa. Poi, fra un analista freudiano e uno junghiano ci sono sì delle differenze, così come ci sono delle differenze fra i cattolici e i protestanti, i mussulmani e buddisti, poi ci sono quelli che vogliono fare o pensano che tutte le religioni convergano in un unico punto, però lo pensano solo loro - se lo si dice agli islamici si viene sgozzati, gli islamici usano questo sistema, perché per loro non è affatto così, affermare una cosa del genere è una cosa degna di essere…sgozzati per l’appunto - in ogni caso pensare a una super religione, a un’iper religione come taluni hanno pensato, è soltanto un’altra religione, non è meno di qualunque altra né aggiunge né toglie niente … No, non è possibile trovare un punto di convergenza fra le varie scuole….( ….) riflettere su questa nozione di verità loro non lo fanno io sì … come in una qualunque religione uno pensa di avere trovato la propria verità, unico intoppo che è quello che consente che possano esistere molte religioni è che questa verità non può essere provata, se potesse esserlo cesserebbero di esserci molte religioni, come dire ciascuno può sostenere ciò che vuole, ciascuna cosa e il suo contrario va sempre bene…

- Intervento: Ma qual è la verità?….tradurre è tradire…

Sì, questo è un adagio noto e viene dalla scuola francese, soprattutto Derrida. Vede, possiamo affermare sia che tradurre è impossibile sia che è inevitabile allo stesso modo, ma la questione delle verità è un pochino più complessa, io andrei un po’ più cauto prima di fare quelle affermazioni che lei ha fatte prima. Anzitutto, occorre che proviamo a definirla o no? O possiamo usarla senza sapere cosa sia? (la verità ha una tale potenza) sì, la verità occorre che non sia confutabile, giusto, e quindi per sapere cosa sia occorrerebbe trovare un elemento che non è confutabile in nessun modo, parrebbe… e c’è un elemento che in nessun modo può essere confutabile anzi le dirò di più neanche può essere negato? È soltanto l’enunciazione della potenza, una cosa in potenza, come diceva il nostro amico Aristotele "domani ci sarà una battaglia navale oppure domani non ci sarà una battaglia navale". Questo però non ci porta molto lontani, occorre molto di più qualcosa che non sia negabile in nessun modo, qualcosa che sia ancora al di qua di questa affermazione, e se fosse qualcosa che le consente di fare questa affermazione, senza la quale non potrebbe affermare nulla? Perché per parlare di verità occorre una struttura se no non posso parlare né di verità né di nessun’altra cosa, quindi l’esistenza di questa struttura sembra imprescindibile per potere parlare della verità, della menzogna, del bene, del male, di tutto quello che vi pare. Se non si desse tale struttura tutto ciò non esisterebbe in nessun modo perché non esisterebbe neanche la parola esistenza. Ora, la verità per definizione antica è ciò che non può non essere, ciò che è necessariamente e qual è la sola cosa che occorre che sia necessariamente, per potere affermare che qualcosa è necessariamente, se non quella struttura che glielo consente nota ai più come linguaggio? E allora affermare che non c’è uscita dalla parola io posso indicarla come la verità e non c’è nessuno al mondo che possa negarla.

-  Intervento: Ma l’aveva già detto!

Sì, ma dovevo spiegarla alla signora, me la chiesta e io gliela ho spiegata…alla signora finlandese…

Martedì vi parlerò dello statuto dell’analista, di ciò che teoricamente lo sostiene. Parleremo di questo nuovo personaggio, l’analista della parola, del mestiere che molti inizieranno a fare negli anni prossimi, perché occorrono molti analisti della parola per il motivo che la volta prossima vi dirò. Grazie a tutti e buona notte.