Torino, 19 marzo 2009
BIBLIOTECA CIVICA DIETRIC BONHOEFFER
APPUNTAMENTI CON LA PSICANALISI
La sovversione della psicanalisi: l'irrinunciabile sogno di Freud
L’etica protestante e lo spirito del capitalismo – Max Weber
Maximilian Carl Emil Weber (Erfurt, 21 aprile 1864 – Monaco di Baviera, 14 giugno 1920) è stato un economista, sociologo, filosofo e storico tedesco.
È considerato uno dei padri fondatori dello studio moderno della sociologia e della pubblica amministrazione e docente universitario.
Gran parte del suo lavoro di pensatore e studioso riguardò gli aspetti della sociologia della religione e della sociologia politica, ma i suoi studi diedero un contributo importante anche nel campo dell'economia. La sua opera più famosa è il saggio L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, con il quale iniziò le sue riflessioni sulla sociologia della religione.
Il testo di Max Weber esordisce con una riflessione molto interessante, a partire dall’osservazione che la civiltà occidentale, rispetto a tutte le altre, ha avuto sviluppo e caratteristiche di portata storica, culturale ed economica senza eguali.
“Perché proprio in Occidente le scienze, le arti e persino la musica, raggiunsero livelli e valori così alti come in nessuna civiltà orientale”
Weber osserva come solo in Occidente si sia sviluppata una scienza con quelle caratteristiche che oggi noi riconosciamo. Infatti per esempio, all’astronomia babilonese come ad ogni altra astronomia antica, manca il fondamento matematico; così come alla geometria indiana manca la “dimostrazione” sulla quale hanno fondamento la meccanica e la fisica.
Le scienze naturali sviluppatesi in India sul senso dell’osservazione, mancano dell’esperimento razionale che è essenzialmente un prodotto del Rinascimento europeo.
La chimica è ignota a tutte le civiltà tranne che a quella occidentale.
La scienza politica come la dottrina del diritto, conobbero solo in Europa la struttura schematica e giuridica caratteristiche del diritto romano, nonostante il fatto che anche in India e in Asia Minore vi fossero ampie codificazioni del diritto.
Anche nell’arte l’Occidente sembra aver dato caratteristica universale a ciò che nacque nella musica, nell’architettura, nella pittura come elementi introdotti dal Rinascimento.
Persino il giornalismo e la letteratura destinata esclusivamente alla stampa, sono prodotti dell’Occidente.
E solo in Occidente la scuola si è strutturata per la formazione di specialisti, destinati al lavoro specializzato, appunto, elemento caratteristico ed unico dell’economia moderna occidentale.
In altre civiltà si trovano tracce della figura dell’impiegato così come lo intendiamo noi, cioè come addetto ad un determinato lavoro, ma soltanto in Occidente questa figura assunse un ruolo così determinante: il fatto che tutta la nostra esistenza, tutte le condizioni fondamentali della nostra vita, e politiche e tecniche ed economiche, siano fissate all’interno di una organizzazione burocratica specializzata, coi suoi impiegati statali tecnici, commerciali e soprattutto istruiti nel diritto, come organi delle più importanti funzioni statali, nessun paese, nessuna epoca li ha conosciuti come li conosce l’Occidente moderno.
E così è del capitalismo, la più grande manifestazione dell’epoca moderna in Occidente.
Capitalismo non è inteso come sete di lucro, ma piuttosto rappresenta la tendenza al guadagno sempre rinnovato, cioè alla possibilità di creare un “rendimento” del capitale impiegato.
Viene definita capitalistica un’impresa che imposti la propria attività misurando la consistenza patrimoniale stimata in denaro alla chiusura dei conti, rispetto al capitale, ai beni materiali, ai macchinari e alle conoscenze inizialmente impiegate, ma soprattutto nella quale vi sia un’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero.
Da questa struttura organizzativa delle industrie e dall’impiego di lavoratori specializzati e salariati, si è determinata la nascita di un tessuto sociale caratteristico, nel quale sono sorti concetti come “borghesia” e “proletariato”.
Gli elementi etici dello spirito del capitalismo possono essere esemplificati da alcuni aforismi di Benjamin Franklin (Boston, 17 gennaio 1706 – Filadelfia, 17 aprile 1790) scienziato e politico statunitense; svolse attività di giornalista, pubblicista, autore, filantropo, abolizionista, diplomatico, inventore, politico e fu tra i protagonisti della Rivoluzione americana.
Ricordati che il tempo è denaro.
Chi potrebbe guadagnare col suo lavoro dieci scellini al giorno e va a passeggio mezza giornata o fa il poltrone nella sua stanza, se anche spende solo sei pence per i suoi piaceri, non deve contare solo questi; oltre a questi egli ha speso, anzi buttato via, anche cinque scellini.
Ricordati che il credito è denaro.
Se uno lascia presso di me il suo denaro esigibile, mi regala gli interessi o quanto io in questo tempo posso prenderne. Ciò ammonta ad una somma considerevole se un uomo ha molto e buon credito e ne fa buon uso.
Ricordati che il denaro è di sua natura fecondo e produttivo.
Il denaro può produrre denaro ed i frutti possono ancora produrne e così via. Cinque scellini impiegati diventano sei, e di nuovo impiegati sette scellini e tre pence e così via, finché diventano cento lire sterline. Quanto più denaro è disponibile, tanto più se ne produce nell’impiego, così che l’utile sale sempre più alto.
Ricordati che – come dice il proverbio – chi paga puntualmente è il padrone della borsa di ciascuno. Colui di cui si sa che paga puntualmente alla data promessa, può in ogni tempo prendere a prestito tutto il denaro di cui i suoi amici non hanno bisogno.
Ciò è di grande utilità. Insieme con la diligenza e con la sobrietà, niente aiuta un giovane a farsi la sua strada nel mondo, quanto la puntualità e l’esattezza in tutti i suoi affari.
Perciò non tener mai il denaro preso a prestito un’ora di più di quel che tu hai promesso, acciocché il risentimento del tuo amico per il ritardo, non ti chiuda per sempre la sua borsa.
………
Chi spreca tempo per il valore di 5 scellini, non perde soltanto questa somma, ma tutto quello che si sarebbe potuto guadagnare con essa impiegandola nell’industria, il che, se si tratta di un giovane che raggiunga poi un’età avanzata, ammonta ad una somma assai considerevole.
Il guadagno è considerato come scopo della vita dell’uomo e non più come mezzo per soddisfare i suoi bisogni materiali.
Il guadagno di denaro è il risultato e l’espressione delle abilità nella professione e tale abilità si congiunge al concetto del dovere professionale: un concetto talmente parte del pensare collettivo, da essere diventato ovvio: il concetto dell’obbligazione morale che il singolo deve sentire e sente di fronte all’oggetto della sua attività professionale, qualunque essa sia, è un concetto caratteristico dell’etica sociale del capitalismo.
Riferirsi allo spirito del capitalismo non significa descrivere una tecnica imprenditoriale, ma riferirsi ad un’etica vera e propria, quella dell’ideale dell’uomo degno di onore e quindi degno di credito. La ricerca del guadagno fine a se stesso, rappresenta le virtù dell’uomo che lo possiede.
L’imprenditore moderno non si accontenta mai di ciò che possiede, vive per la propria azienda e la propria felicità personale dipende dal continuo operare in essa. Dalla sua ricchezza non ricava nulla per se stesso, se non il sentimento di aver compiuto il proprio dovere professionale.
Per Weber questo “spirito del capitalismo” deriva da un lungo percorso educativo e affonda le sue radici nella religione, in particolare nel calvinismo.
Weber prende in esame i protestanti e il loro grande successo economico a partire dal Cinquecento. Il termine chiave al quale egli riconduce lo spirito del capitalismo è il termine tedesco Beruf, che significa tanto "vocazione" quanto "lavoro", termine che non ha un corrispettivo nella lingua italiana. Per i protestanti la salvezza è decretata da Dio e non la si ottiene in virtù delle proprie opere; un indizio per capire se si sarà o meno salvati è il successo professionale che si ha nel corso della vita, come se dal successo nel lavoro si potesse avvertire il proprio essere graditi a Dio.
Quella che il protestante compie è una sorta di ascesi terrena, per cui egli è strumento di Dio nel mondo: chi lavora con dedizione per tutta la propria vita e riscuote grande successo può ritenersi salvo. Il credente delle confessioni protestanti - convinto che la sua salvezza o la sua dannazione siano decretate da Dio e non dipendano dalle sue opere - cerca una conferma della grazia divina, e la trova nel successo economico. Si caricano, quindi, di significato religioso l'operosità, lo zelo, la coscienza rigorosa e severa, che si traducono nella concezione della professione come vocazione e in una condotta di vita metodica.
All’interno della dottrina cattolica, invece, il lavoro non viene considerato fondamentale per il raggiungimento della grazia, ma viene riconosciuto come semplice "mestiere" che Dio ha assegnato ad ogni individuo nella società. Allo stesso modo, il successo economico e la dedizione al lavoro come fine a se stesso, sono stati rifiutati come contrari alla morale e, al massimo tollerati. In tempi passati lo spirito del guadagno capitalistico e soprattutto l’usura sono stati considerati come una pratica vietata e pericolosa per l’anima, al punto che erano frequenti i lasciti alla Chiesa come riparazione e restituzione delle somme estorte in vita.
Ciò su cui più ci interessa riflettere, in questa occasione, è tuttavia la connessione tra ciò che si pensa e le azioni che si compiono.
Le proprie convinzioni – su qualunque argomento – condizionano a tal punto l’agire che da sempre l’autorità dello Stato ne tiene conto, cercando in tutti i modi di pilotare le opinioni del popolo a proprio vantaggio.
E il primo vantaggio dello Stato è quello di garantire la continuità del proprio potere.
Dunque il controllo delle associazioni di cittadini (politiche, religiose, studentesche, culturali, sportive, ecc.) e delle idee che queste professano e mettono in circolazione.
Dunque la programmazione mirata di programmi scolastici, che vincolino l’insegnamento di certe materie, certi titoli, certi autori avendo cura di escludere ciò che potrebbe rappresentare una dissonanza.
Dunque, per fare un esempio degli ultimi 50 anni di storia italiana, l’elettrodomestico televisione ha portato l’informazione casa per casa.
Ma in fondo cosa significa l’informazione? Anche il resoconto di una notizia può essere trasmesso in molti modi e non è possibile che non sia condizionato dal pensiero di colui che la espone, a voce o in un articolo scritto.
E i programmi di intrattenimento, non sono forse anch’essi mirati a trasmettere certi messaggi di cultura popolare? Giochi, canzoni, varietà, reality … di tutto e di più, al solo scopo di fare evadere gli spettatori, farli divertire (nel senso lettera di “di-vertere” da qualcos’altro), far si che non pensino a questioni più impegnative e, forse, scomode.
La gente deve pensare a cose frivole, leggére, deve svagarsi perché la vita quotidiana ha già molti pesi…oggi, come in ogni tempo.
La religione naturalmente da’ il proprio contributo nel cercare di dare una direzione al pensiero del singolo e quindi della collettività.
Innanzitutto chiedendo un atto di fede per poter entrare a far parte della comunità dei fedeli, appunto.
Fede, cioè l’adesione incondizionata a qualcosa che non può essere dimostrato.
L’accettazione di regole e prescrizioni in nome di una storia ben raccontata, di un racconto che va a colmare dei vuoti, risponde a delle domande, fornisce spiegazioni, crea speranze.
Qualunque religione - così come qualunque teoria - compie queste operazioni.
La religione tuttavia sembra garantire qualcosa in più: poiché si occupa delle domande fondamentali dell’uomo, il senso della vita, della sofferenza, della morte, le risposte che essa fornisce hanno un marchio di verità perché provengono dalla Verità assoluta, dal dio onnisciente e onnipotente.
Nella fede religiosa esiste qualcuno che conosce le ragioni di ciò che nel corso di un’esistenza è difficile da sopportare.
Qualcuno che da’ una spiegazione ed è in grado di giustificare tutto, proiettando ad un futuro - non così lontano, in fondo – tempi migliori e finalmente la pace.
Una grande consolazione, questo qualcuno che ascolta e trova, se non un rimedio, almeno un motivo per andare avanti.
E tutto, in questo racconto, circoscrive e indirizza il pensiero di coloro che aderiscono a questa fede:
il bene e il male sono stabiliti secondo regole precise; ci sono indicazioni per decidere aspetti anche pratici della vita, regole per avere rapporti sessuali, per procreare, per educare, per curare e farsi curare, per relazionarsi con gli altri, persino per come sia giusto morire.
E’ una bella sicurezza avere dei confini, dei limiti da non valicare: rispettando le regole, si è tranquilli di essere dalla parte della ragione, di fare bene, di essere accettati in quanto parte del gruppo.
Nel pensare comune ci sono concetti come quelli di “natura dell’uomo”, di “realtà delle cose”, del carattere oggettivo della definizione di “bene” e “male” secondo la cultura occidentale (e naturalmente in altre culture queste definizioni sono diverse), questioni che, insomma, cercano di porre in modo univoco e inevitabile qualcosa che dovrebbe scaturire unicamente dalle riflessioni personali del singolo, da ciò che egli pensa e decide.
Questo non significa non tenere conto e non rispettare le regole di convivenza civile o la libertà altrui. Significa piuttosto porsi delle domande in merito a quelle risposte già pronte e alle aspettative di adeguamento che dall’infanzia vengono proposte – o imposte – come unico obiettivo da raggiungere per realizzare se stessi nella vita adulta.
Lo schema sociale prevede in fondo poche tappe da raggiungere nella vita di un individuo; ciò che gli si chiede per dimostrare la propria normalità è di costruirsi una professione, di avere relazioni interpersonali e possibilmente di formare una famiglia.
E naturalmente, nella civiltà capitalistica occorre anche inserire l’obiettivo di avere risorse economiche per soddisfare i propri bisogni di beni e comodità.
Perché? Dove sta’ la naturalità di questo percorso obbligato? Esiste forse il gene che ad un certo punto della vita scatena il bisogno di sposarsi o di acquistare un Suv?
Non sono queste piuttosto delle convenzioni sociali che vengono accettate senza interrogarsi in merito alla necessità del loro esistere?
Dunque il pensiero religioso è fondamentalmente il pensiero che non si interroga, che accetta ciò che l’Auctoritas – anche la mamma è un’Auctoritas – dichiara essere definito, giusto, opportuno, valido e vero.
Ma c’è ancora un'altra implicazione della struttura del pensiero religioso che vorrei sottolineare, e cioè che possedere delle verità oggettive ed assolutamente vere, comporta la necessità di difenderle nel caso in cui qualcun altro volesse far valere altre verità che siano in contrasto.
Se qualcosa è assolutamente e oggettivamente vero, non potrà esserci verità in ciò che è difforme o che lo nega. Ma chi potrà essere giudice imparziale e superiore, tale da decretare cosa sia verità?
A ciò serve l’Auctoritas, lo Stato, il dio. E la mamma. E la televisione. E molte altre autorità alle quali è comodo demandare le proprie scelte.
Questa è l’economia della parola secondo la struttura religiosa che, come abbiamo visto, non si riferisce unicamente all’argomento religioso, ma indica piuttosto un modo di pensare nel quale si accettano definizioni tracciate da altri, soluzioni già pronte e proposte come universalmente valide.
Il pensiero religioso è non chiedersi quale sia il punto di partenza delle proprie decisioni: sono le convinzioni, i valori fondamentali, le credenze ad essere i pilastri su cui si basa tutto il pensiero di una persona e che ne determinano l’agire in tutta la sua esistenza, senza che vi sia alcun bisogno di verificare se quelle premesse siano valide.
Semplicemente funzionano, si pensa e si agisce senza alcuna coscienza di cosa avviene e perché.
Il criterio fondamentale che decide la propria condotta rimane nascosto, se ne colgono gli effetti senza comprenderne la causa.
Tutto bene, si vive così da 3000 anni e si continuerà fino a quando esisteranno gli umani.
Tutto bene, fino a quando non intervengono dei problemi, fino a quando le verità universali non si scontrano con la situazione specifica dell’individuo, fino a quando l’individuo non cessa di accontentarsi del “da che mondo è mondo, è sempre stato così”.
In fondo la sicurezza del sapere come stanno le cose “perché dio ha deciso così” o di avere le risposte che qualcun altro ha fornito come vere, non appaga mai del tutto, continua a permanere una sorta di insoddisfazione profonda, alcune domande non vengono mai completamente soddisfatte.
Come è possibile dunque non farsi imbrigliare in questi modelli superficiali, fatti di bisogni indotti e di frustrazioni continue perché non si raggiungono mai del tutto? Come realizzare se stessi al di là di ciò che la società si aspetta e propone come unica via per essere accettati? Come evitare di credere a qualcosa che non può essere dimostrato vero e far condizionare le proprie scelte di vita dal pensiero di qualcun altro, chiunque esso sia?
L’unica risposta sta alla radice dei bisogni come delle frustrazioni, del sentirsi accettati e dei criteri di scelta…sta in ciò che si pensa, ciò che è alla base di ogni atto umano e che lo distingue da tutti gli altri esseri viventi.
La risposta è il pensiero, l’intelligenza, ossia la capacità di collegare tra loro i pensieri, di costruire delle relazioni di causa-effetto, di porsi delle domande e individuare qualcosa come risposta, di giungere a delle conclusioni.
Credere vero qualche cosa determina che si agirà di conseguenza, che si giudicherà e si valuterà esattamente in base a ciò che si era posto come vero.
Da ciò che si è scelto come premessa, si giunge ad una conclusione coerente e da questa possono essere elaborate nuove proposizioni, all’infinito.
La proposta intellettuale della nostra Associazione è quella di acquisire gli strumenti per dare dignità al proprio pensiero, cominciando a porsi domande nuove o meglio, cominciando a porsi le domande in un modo diverso, che non si fermi alla prima risposta che interviene, ma continui ad interrogare, continuamente, fino a chiedere conto a se stessi di ciò che sta alla base del proprio pensiero.
Interrogare per sapere “sulla base di cosa” si è detto, pensato e agito nella propria vita fino a questo momento e su cosa si dirà, penserà e agirà nel futuro.
Quali fantasie si proiettano.
Quali desideri si rincorrono.
Da dove vengono le paure.
Si tratta di tutt’altro che di un percorso intellettuale fine a se stesso, ma piuttosto di un modo di pensare funzionale al vivere quotidiano perché pensare bene è vivere bene.
E certamente, poter cessare di avere paura rappresenta un notevole miglioramento della qualità della vita.
Ciascuno conosce la potenza di certi pensieri che travolgono, talvolta paralizzano e impediscono di prendere qualsiasi decisione, così come la forza di certe paure che giungono a diventare nevrosi, ansia, depressione.
La psicanalisi non è la medicina per i disturbi psichici, ma il percorso intellettuale attraverso il quale si acquisiscono gli strumenti per conoscere come funziona il proprio pensiero e venire a sapere che non c’è nessuna malattia, nessuna predisposizione genetica alla depressione, nessuna anormalità.
C’è soltanto un discorso che funziona, fantasie che vengono rappresentate, credenze che sono state accolte come assolutamente vere.
Non sono esercizi intellettuali di pochi privilegiati, è qualcosa che tutti possiamo sperimentare perché tutti siamo fatti di pensiero, di parole. Siamo un racconto che non si interrompe mai: un racconto che costruisce, distrugge, divaga, esalta e sminuisce, ma non cessa neppure un attimo di dire.
Il “cosa” dice, appartiene alla persona, è il suo discorso: come si è detto, i valori e le credenze, le convinzioni, le fantasie.
Il “come” dice, appartiene ad un insieme di regole che fanno funzionare il racconto; istruzioni che collegano o separano le proposizioni, che danno la direzione alle parole e decidono a quali condizioni il racconto può proseguire o deve cambiare direzione.
E’ il sistema operativo della macchina umana, per usare una metafora informatica.
Regole di un gioco che si chiama linguaggio e che non è soltanto esprimere verbalmente; è lo strumento con cui si costruiscono i pensieri, sia quelli che si verbalizzano, sia quelli che ci fanno sorridere o provare un’emozione, quelli che diventano un desiderio e quelli che costruiscono una paura.
Tutto ciò che è prettamente umano attiene al pensiero, e dunque al linguaggio, perché l’umano è l’unico essere vivente in grado di sapere che esiste.
Questo “sapere” non è nient’altro che poter riconoscere di essere in rapporto a qualcosa che è altro da sé; dare un nome alle cose, creare e condividere un significato, costruire delle relazioni tra i significati.
Il linguaggio è ciò che permette questa consapevolezza perché senza la possibilità di pensare l’umano non saprebbe di essere tale, né potrebbe porsi in relazione con alcuna altra cosa; non esisterebbero sogni, desideri, illusioni, credenze, paure; tutto ciò che l’umanità ha costruito e la stessa Storia non sarebbero mai esistite.
Intervento di Luciano Faioni
Ciò che ha detto Daniela sulla potenza del pensiero è importante, muovendo giustamente da una questione posta da Weber e cioè dal fatto che il capitalismo sorge da un pensiero religioso, vale a dire da un insieme di credenze, di cose credute vere ovviamente e come queste cose credute vere abbiano consentito la costruzione di un sistema oggi universalmente conosciuto e praticato come il capitalismo. Questo indipendentemente da considerazioni di valore etico o morale, è semplicemente una constatazione della potenza immensa dei pensieri cosa per altro nota fino dai tempi di Demostene, questione antichissima però perché sono così potenti i pensieri? Al punto di essere ancora più potenti di ciò che comunemente si chiama realtà, tant’è che in base al proprio sistema di credenze alcuni ritengono reali alcuni cose e altri altre ancora ma questo sistema di credenze da dove arriva, perché ad un certo punto delle persone decidono o si trovano più propriamente spesso non è una decisione ma si trovano a credere a delle cose anziché ad altre è puramente un fatto estetico? O ci sono delle motivazioni? In genere è soltanto un fatto estetico, cioè piace pensare in un modo anziché in un altro in base a proprie fantasie, ricordi, scene, immagini e tutto ciò che si è imparato, altre volte invece pare che ci siano delle motivazioni ma queste motivazioni affondano le loro radici dove esattamente? In quali considerazioni? È una questione questa di una portata immensa se si tiene conto, come diceva giustamente Daniela, che in base alle cose che una persona crede vere si muoverà di conseguenza e naturalmente se invece di essere una persona sono milioni questo ha degli effetti notevoli, effetti che in alcuni casi sono devastanti, eppure tutto ciò si muove solo in base a dei pensieri, delle idee, qualunque religione, qualunque fede, di qualunque tipo. È noto da sempre che delle persone decidono di morire o di uccidere in base a cose che credono vere, certo se cessassero di crederle vere cesserebbero di avere la necessità di uccidere altri o se stessi ma dunque di cosa sono fatti questi pensieri così potenti da sovvertire l’ordine planetario. In fondo verrebbe da pensare che sono soltanto pensieri e niente di più, ma ciò che si pensa ha degli effetti, ciò che si pensa produce delle decisioni per esempio, delle scelte, ora la questione a questo punto si sposta su un’altra più importante ancora e cioè come si fissa una credenza? Come accade che una persona creda ad un certo punto una certa cosa cioè la crede vera, perché se la crede, la crede anche necessariamente vera? In base a che cosa giunge a una conclusione del genere, e Daniela ha sottolineato l’arbitrarietà di una decisione del genere e cioè di quanto arbitrario sia di fatto l’accadere del fissarsi di una credenza anziché di un’altra, totalmente arbitrario nel senso che i motivi che possono venire addotti sono motivi soggettivi, personali e soprattutto non hanno la possibilità di essere provati come veri, sono creduti veri, che è diverso. Come si sa le persone credono vere un sacco di cose che poi di fatto vere non sono naturalmente, ma il fatto di crederle vere comporta che ci si comportino come se lo fossero veramente ma perché, torniamo sempre alla questione, accade che gli umani credano delle cose? Si trovano a pensare, gli umani pensano, pensano ventiquattrore su ventiquattro e ciascun pensiero che si affaccia se ritenuto importante si ferma, si stabilisce, ora per il solo fatto che sia stato pensato il più delle volte proprio per questo solo motivo viene pensato anche vero, perché se la persona lo pensasse falso non lo accoglierebbe. Detto questo si tratta di intendere come si fissa appunto una credenza, ciascuno crede che le cose in cui crede abbiamo un fondamento, se non le penserebbe, le scarterebbe così come ciascuno scarta ogni pensiero che gli venga in mente e del quale pensiero può verificare che sia falso, lo abbandona al suo destino, lo abbandona come inutilizzabile ché non serve a niente, ma come pensa ciascuno? Ha una serie di elementi che ritiene veri e sui quali costruisce i suoi pensieri, questi pensieri che crede veri sono il più delle volte quegli elementi noti come valori cioè quella serie di cose che per la persona valgono, sono degne, degne di essere stabilite e degne di costruirci sopra altri pensieri, ma la persona interroga questi valori? O li da per buoni, per acquisiti? Li da per acquisiti, perché è stato addestrato possiamo dirla così a pensare che ciò che viene detto da persone che sono ritenute per esempio autorevoli è vero, non importa chi siano queste persone autorevoli, dalla mamma in su può essere chiunque basta che assolva questa funzione di autorevolezza, dopodiché quello che dice viene ritenuto vero e non viene messo in discussione, non viene interrogato cioè non gli viene chiesto di esibire il suo fondamento, se è vero oppure no, potrebbe anche non esserlo, potrebbe essere né vero né falso ma arbitrario, come un’opinione per esempio, uno pensa una certa cosa ma il fatto che la pensi di per sé non pare agli altri essere così necessariamente vera, come si fa a stabilire se qualcosa è vera oppure no? Perché a questo punto si impone questa considerazione, qual è il criterio? Un criterio naturalmente che non sia basato sull’opinione, sul ghiribizzo o come dicevo prima su un giudizio estetico, perché piace così, perché suona meglio, perché si adatta meglio a ciò che a me piace, certo è un criterio anche questo però in ambito teorico non è un granché come criterio, dunque quale criterio utilizzare? È una domanda importante, anche se poco praticata, importante perché consentirebbe di reperire con rapidità e facilità se una certa affermazione, un certo credo è degno di essere seguito oppure no, oppure abbandonato al suo destino. La questione si fa sempre più complicata perché da sempre gli umani cercano di stabilire che cosa sia la verità in modo da avere un riferimento certo, sicuro su cui incominciare a lavorare, se sappiamo che cosa è vero allora da lì sopra possiamo incominciare a costruire tutta una serie di cose, se invece non lo sappiamo tutto ciò che verrà costruito rimarrà sempre arbitrario, opinabile, discutibile, e così è stato in effetti per molti millenni. L’escamotage che ha avuto maggiore successo è stato l’invenzione della religione come sottolineava Daniela, e cioè sostituire l’impossibilità di stabilire con certezza una verità con la decisione che una certa cosa è vera, così, per una propria decisione, in base a niente certo ma se si decide che è così poi ci si comporta di conseguenza e soprattutto ci si comporta come se effettivamente fosse vera con tutte le implicazioni naturalmente. Ecco perché trovare un criterio per potere interrogare le cose, ma non soltanto le cose che circondano ma anche i propri pensieri può essere fondamentale ed è in massima parte il lavoro che svolge una psicanalisi, che effettivamente non è un sistema di cura, non toglie le malattie o gli acciacchi o varie altre cose, ma mostra la struttura del pensiero, di cosa è fatto, come si muove. Torniamo al criterio di verità, è fondamentale, se non fosse fondamentale gli umani non avrebbero perso tremila anni della loro esistenza, del loro tempo per cercarne uno degno di questo nome, si sarebbero dedicati ad altro e invece molti di loro si sono impegnati in questo sforzo immane, tremila anni di ricerca nel campo della filosofia, della letteratura, della poesia, dell’arte, della matematica, della scienza, da per tutto sempre e comunque. La ricerca della verità che può mostrarsi in alcuni casi come la ricerca della perfezione, la ricerca dell’armonia, dell’ordine, può assumere vari aspetti ma di fatto la questione è sempre la stessa, naturalmente questi tremila anni di sforzo e di ricerca hanno condotto a delle considerazioni e cioè che qualunque criterio si riesca a stabilire in un modo o nell’altro questo criterio mostrerà sempre e comunque il fianco a delle obiezioni, e quindi non sarà mai la verità perché la verità così come è stato deciso che sia è qualcosa che deve essere costrittiva, non può modificarsi, cambiare a seconda degli umori, essere negata o confutata a piacimento, se è la verità deve essere quella e basta, questo generalmente si pensa della verità, se no appunto passa come opinione, credenza, come ghiribizzo del momento, ma perché non è mai stato trovato un criterio valido, potente? Occorreva a questo punto una riflessione cioè condurre l’interrogazione aldilà di ogni ragionevolezza, aldilà di ogni possibilità, quasi condurla aldilà di quelle colonne d’Ercole che gli umani hanno sempre posto al loro pensiero, vale a dire incominciare a interrogare quella cosa che consente di interrogare, a questo punto non c’era nessun altra soluzione, qualunque altra via era stata sbarrata, era stata percorsa, era già stata considerata fallimentare, inutile, vana, ma nessuno ha mai considerato con sufficiente attenzione la possibilità invece di considerare ciò stesso che consente di considerare: non è forse questo ciò che permette anche di costruire qualunque criterio di verità, di potere considerare, di potere pensare, di potere valutare, giudicare? Il fatto che io stabilisca come criterio di verità ciò che io vedo, che è la definizione più comune di realtà, ciò che cade sotto i sensi, ciò che può essere visto, toccato etc. questo criterio da dove salta fuori? Perché viene accolto come criterio di verità una cosa del genere? Perché? È un criterio al pari di qualunque altro, frutto di una decisione, decido che la verità sia ciò che vedo e tocco, va bene, è una decisione, ma una volta presa questa decisione che cosa ho fatto esattamente? È, al pari di qualunque altra decisione, praticabile certo, così come pensare che la realtà sia ciò che dio decide che sia oppure i marziani o chi per loro non ha nessuna importanza, ma sono sempre decisioni, nulla costringe di fatto a pensare che sia così, tant’è che molti hanno pensato per esempio che tutta la realtà così come viene percepita sia un illusione e anche con argomenti abbastanza convincenti, anche questo è un criterio, perché no? Vale quanto qualunque altro ma questi criteri da dove vengono? Chi li ha costruiti? Per costruire un criterio occorre il pensiero, occorre che valutare certe cose, considerarle, perché se non faccio questo non costruisco nessun criterio, come dire che questo criterio è stato costruito dal pensiero inesorabilmente, questa bottiglia di acqua minerale, per esempio, non può costruire nessun criterio, come mai non lo può fare? Perché non pensa, e pensare non è altro che muovere da qualche cosa che si ritiene per qualche motivo vera, dopodiché attraverso una serie di passaggi coerenti fra loro, almeno si spera, giunge a una conclusione, si è sempre fatto così, ma non è che si faccia così perché è bello fare così, è perché non si può fare altrimenti, non è una questione estetica in questo caso, o si pensa così o non si pensa affatto. Occorre che il pensiero muova da qualche cosa che io decido che sia vera e da lì costruire dei passaggi e giungere alla conclusione, a questo punto se la conclusione non contraddice la premessa da cui sono partito l’accoglierò come vera. Come dicevo o si pensa così o non si pensa, ma questa struttura che ho appena tratteggiata e con cui funziona il pensiero, ecco questa non è facoltativa, cioè non è possibile pensare altrimenti, non posso pensare se non ho un punto da cui partire che ritengo vero, aldilà del fatto che sia provabile, questo è un altro discorso, ma devo pensarlo vero, dopodiché faccio delle considerazioni, delle inferenze e giungo alla conclusione, posso fare altrimenti? Con cosa penso se no? Pare che questo modo di pensare non sia facoltativo, cioè non sia arbitrario nel senso che non è possibile sostituirlo con un altro, anche perché se volessi sostituirlo con qualunque altro, aldilà del fatto che non riuscirei, ma comunque sia per costruire un altro sistema dovrei sempre utilizzare questo, appare inesorabile. A questo punto si affaccia alla nostra attenzione qualche cosa che contrariamente a ciascun altra cosa che viene considerata appare non arbitrario e questo è importante perché ci mostra almeno un mattoncino che sembra non essere modificabile, che sembra necessario per potere pensare, per potere costruire qualunque criterio, perché se costruisco un criterio lo costruisco così, non ho altri sistemi, anche se può apparire che una decisione venga dal nulla come un’intuizione questa segue sempre comunque a una serie di argomentazioni, non viene da niente ma da argomentazioni, sequenze, sequenze di parole ovviamente, disposte in un certo modo, ora che cos’è questa cosa che ci è parsa non più essere arbitraria ma a questo punto necessaria? Sappiamo che il linguaggio, così come ce lo hanno mostrato da sempre coloro che se ne sono occupati, da Aristotele in poi fino agli ultimi teorici della lingua, è una struttura, una struttura che segue certe regole. Dunque questo modo di pensare è necessario, perché altrimenti non penso e quindi non posso neppure pensare di non pensare, non posso fare niente se non ho questa struttura, e questa struttura non è altri che il linguaggio, una struttura che consente di pensare. Come talvolta diciamo, provate a togliere il linguaggio, cioè provate a togliere la possibilità di stabilire un punto di partenza, di poterlo considerare vero, togliere quindi ogni possibilità di costruire dei passaggi e di conseguenza la possibilità di giungere a una conclusione quindi la possibilità stessa di potere affermare o negare qualunque cosa, cosa vi rimane? Sareste molto differenti da questa bottiglia dell’acqua? A questo punto l’unica cosa che possiamo dire è che è possibile ma in realtà non ci sarebbe nulla neanche per potere considerare questa cosa, neanche per poterla valutare, quindi la domanda appare un non senso, ma essendo il linguaggio a costruire qualunque cosa quindi anche lo stesso criterio di verità e quindi a decidere che cosa è la verità, poiché quando decido che cosa è la verità l’ho decido in base a catene argomentative premesse, passaggi e conclusioni, allora appare che questo linguaggio sia la condizione non solo per potere pensare, ma per stabilire anche che cosa sia la verità visto che senza linguaggio non soltanto non potrei mai costruire un criterio per costruirla ma non potrei neppure pensarci a una cosa del genere. A questo punto l’ultimo passo da compiere è molto semplice, fatta questa banalissima considerazione, che qualunque cosa gli umani pensino è costruita dal linguaggio e cioè si attiene alle regole del linguaggio, una volta che l’ha costruita che cos’è? Che cosa il linguaggio costruisce? Sequenze, sequenze argomentative, sequenze di significanti, queste sequenze di significanti combinandosi tra loro incominciano a costruire quelle cose che chiamiamo valori, una volta che è stato stabilito un criterio, per esempio di verità, sempre attraverso il linguaggio a quel punto è possibile commisurare qualunque cosa con questo criterio e quindi incominciamo a stabilire che cosa è vero e che cosa è falso, cosa è bene e cosa è male e a cascata tutto ciò che gli umani hanno costruito in questi ultimi tremila anni, ma che cosa sono tutte queste cose che hanno costruite? Sequenze, sequenze di significanti, sequenze argomentative, anche lo stesso valore di fatto procede da sequenze argomentative, è la conclusione di sequenze argomentative, nient’altro che questo. Tenere conto di una cosa del genere ovviamente non è semplice, non è semplice perché ciascuno è stato addestrato fino da quando esiste a pensare che invece le cose esistono di per sé, che esistono indipendentemente da una struttura che le fa esistere e esistendo indipendentemente naturalmente sorgono dei problemi, perché è da lì che sono sorti tutti i problemi della filosofia e della scienza e cioè l’impossibilità di trovare il fondamento. Ciascuna volta che è stato cercato si è sottratto perché non era mai lì dove veniva cercato, come andiamo ormai dicendo in questa sala ma anche altrove da tempo il fondamento che gli umani cercano è esattamente questa struttura che consente non soltanto di cercare il fondamento ma anche di pensarlo, togliete questa struttura e non soltanto non c’è più nessun fondamento ma non c’è neanche la possibilità che ci sia, neppure la possibilità di pensarlo, neppure di domandarsi se ce ne è uno, non c’è più niente. Ecco perché ci è parso importante considerare il linguaggio e riflettere sulla sua struttura visto che gli umani si muovono esattamente come funziona il linguaggio. Il linguaggio per funzionare ha bisogno di pochissime cose, che sono quelle che gli umani seguono e non possono non farlo e cioè costruire sequenze che muovano da un elemento e giungano a un altro che all’interno del gioco che si va facendo deve essere ritenuto vero, nient’altro che questo e pochi altri dettagli. E che cosa fanno gli umani? Questo: costruiscono proposizioni per cercare di affermare cose vere, di affermare qualcosa continuamente, comunque sempre su chiunque, avere ragione dell’altro per esempio, nient’altro che affermare la propria verità su un’altra che essendo differente dalla mia non può che essere falsa, da qui le guerre naturalmente che sono sempre di religione in un certo senso, in quanto muovono da una verità di qualcuno che si contrappone alla verità di un altro e nessuno rinuncia alla propria e allora si passa alle armi. Questo appena per dire come Daniela abbia assolutamente ragione a sottolineare l’importanza e soffermarsi sì, certo, sulla potenza del pensiero ma soprattutto su che cosa lo sostiene e su che cosa è fatto il pensiero, poi di conseguenza anche la sua potenza, anche perché non c’è nient’altro, e perché qualche cosa sia importante per qualcuno occorre che ci siano una serie di considerazioni che giungono a fargli affermare che questa cosa è così, che questa cosa è importante, oppure che questa cosa è falsa, è sempre e comunque una catena argomentativa fatta di linguaggio, gli umani sono fatti di linguaggio, non sempre ne tengono conto, quando non lo fanno succedono dei problemi, è inevitabile, c’è uno scontro, se no non c’è nessuno scontro perché non c’è più niente da difendere. Adesso non vorrei togliere tutto il tempo al dibattito, se qualcuno vuole porre qualche questione sarò ben lieto di rispondere …
Intervento: a proposito di Weber è davvero possibile uscire dall’economia di parole imposte dal capitalismo o se invece quelle che si ritengono le individualità, i singoli pensieri che si possono anche intendere attraverso la psicanalisi non siano altro che variabili di un unico grande sistema che è appunto il capitalismo che ci parla a tutti e che in qualche modo è anche la possibilità della …
In effetti il capitalismo ha questa prerogativa, di fagocitare e ricondurre a sé qualunque cosa possa eventualmente opporsi. Prima parlavo delle guerre, cerca di evitarle naturalmente perché è preferibile convincere, persuadere la persona piuttosto che farla fuori anche perché se la si ammazza questa persona smette di comperare cose, non è più utile. Il capitalismo non è sempre esistito, rappresenta un modo di pensare oggi dominante su tutto il pianeta ed è molto probabile che continuerà a esserlo ancora per lungo tempo, anche perché non si vede la possibilità che venga messo in discussione, è un sistema che si autoripara, che si autoprotegge, qualunque cosa che sia contraria viene eliminata oppure trasformata in modo tale da essere comunque funzionale, ma se ci pensa bene non è molto differente dal modo in cui ciascuno difende le proprie verità o le elimina, le elimina come cose assolutamente inutili, come avviene anche nel capitalismo in alcuni casi, oppure cerca di trasformarle e cogliere comunque quell’aspetto che può essere utile per cui non è facile sbarazzarsi di una cosa del genere, è come una superstizione, una delle cose più difficili da eliminare perché offre immediatamente e senza nessun problema sempre un riferimento a cui rapportare qualunque cosa. Per esempio mia nonna, qualunque cosa accadesse aveva il suo proverbio che rimetteva ogni cosa al suo posto, ma aldilà di queste amenità funziona così effettivamente, e sbarazzarsi delle superstizioni come è noto è la cosa più difficile, ma anche la superstizione rientra in ciò che dicevo prima come struttura in fondo è un sillogismo in cui manca la premessa maggiore, e manca perché non è reperibile da nessuna parte, come quando si dice per esempio del gatto nero che attraversa la strada, è chiaro che non è una necessità che il gatto nero porti il malanno perché non esiste un criterio per verificare che in qualunque caso, qualunque gatto nero attraversi una strada, se l’attraversa allora succederà un malanno, non c’è un criterio ne è possibile farlo ovviamente e quindi non c’è una premessa maggiore generale che sostenga la conclusione, però viene creduta lo stesso e lei potrebbe chiedersi “come si fa a credere una cosa del genere?” Ecco, la risposta a questa domanda potrebbe essere di grande interesse “come si fa a credere?” Sì prego …
Intervento: io volevo sapere a cosa serve conoscere i principi universali ermetici. Lei accennava che da tremila anni la ricerca, noi ci riferiamo ad Ermete Trismegisto appunto ha creato queste leggi, leggi cioè ermetici universali, servono a qualcosa conoscere questi principi?
Ermete Trismegisto era un mistico e di fatto non è che abbia fatto un granché di interessante, però i principi di cui sta parlando sono tutt’altra cosa, si tratta di ciò che muove il pensiero, di ciò che lo fa funzionare e non c’è nulla né di trascendentale né di mistico, né di enigmatico né di misterioso, tutto è assolutamente chiaro e limpido e semplice. Lei si chiede perché conoscere i fondamenti, perché gli umani da sempre vogliono conoscere? Hanno questa sete di conoscenza? Da sempre, persino Dante: “fasti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, perché? E perché vogliono cercare la verità e non si accontentano di ciò che sanno essere falso per esempio, perché non è possibile credere vero ciò che si sa essere falso? Perché? Perché una persona è sempre infastidita quando per esempio qualcuno gli dimostra che ha torto? Perché gli umani cercano la ragione, l’avere ragione sulle cose e quindi la conoscenza, perché? Cos’è che li muove a essere sempre così inquieti, così affamati di sapere? Per esempio un topo non lo fa, resta lì e non si fa nessuna domanda, gli umani sì …
Intervento: io volevo dire una cosa in tutto questo discorso il beneficio del dubbio nell’essere umano perché in questo modo mi sembra quasi robotizzato o verità o falsità non c’è un ragionamento, una logica …
Per distinguere il vero dal falso occorre pure un criterio, e questo criterio è logico, la logica si occupa di questo: stabilire qual è il modo corretto per raggiungere la verità e ci ha ragionato parecchio la logica, da Aristotele a oggi, stabilendo una serie di criteri molto rigorosi, per esempio già da Aristotele non è possibile concludere un’affermazione che prevede anche la sua negazione, una cosa non può essere vera e falsa simultaneamente, perché no? Perché così sarebbe un po’ complicato parlare, prenda un principio di identità: ciascun elemento, ciascuna parola deve essere distinguibile dalle altre, provi invece a immaginare che una parola, una qualunque parola valga simultaneamente tutte le altre, non si parla più …
Intervento: questo significato … una visione più ampia …
No, non c’è nessuna visione se la parola significa simultaneamente tutte le altre, non la può più utilizzare perché la parola madre significherebbe anche piatto, bicchiere, tavolo, universo, soffitto, pavimento, automobile, penna e così via, non sarebbe più niente perché non sarebbe utilizzabile per niente e per nessuno, non significherebbe niente. Ma anche per potere stabilire che questa parola che significa tutte le altre e il tutto o il dio o l’universo, per potere stabilire questo occorre che le parole che lei ha utilizzato per costruire questa proposizione siano distinguibili se no non sarebbe mai riuscita a costruire questa proposizione, e anche questa è una considerazione abbastanza semplice da fare: non si potrebbe più parlare, non potendo più parlare non è che significhi tutto o niente non c’è più la possibilità che possa rappresentare qualcosa per qualcuno, non è più niente, mentre la logica è importante perché è stato uno sforzo notevolissimo per stabilire il modo in cui gli umani pensano di fatto, ha fatto questo: ha stabilito i criteri con cui si pensa …
Intervento: la vita non può essere tutto logica perché tutto è troppo ferreo così ferreo ci va anche il beneficio del dubbio …
Tutto questo appare difficile ma in realtà è straordinariamente semplice, anche questa considerazione che lei ha fatta muove dal fatto che ritiene che una certa cosa sia falsa e che una altra sia possibilmente vera, cioè per esempio è falso che tutto sia riconducibile alla logica …
Intervento: no, non ho detto che sia falso ma che ci può essere il beneficio del dubbio …
Ma il dubbio a che cosa serve di per sé? O serve a qualcosa o non serve a niente. Il dubbio di per sé non significa niente ha un senso quando è possibile stabilire che una cosa può essere vera o falsa ma se non c’è nessuna possibilità per esempio di stabilire se sia vera o falsa anche il dubbio perde ogni utilità, come un ipotesi che non possa mai essere verificata, non serve a niente, è inutilizzabile. Gli umani hanno costruiti una quantità sterminata di giochi linguistici per cui sono inseriti all’interno di questo sistema una quantità enorme di variabili, però il funzionamento di base, il sistema che fa funzionare tutto in realtà è molto semplice e senza questo sistema non funziona più niente, non essendoci il linguaggio non potrei neanche più dire che non tutto è linguaggio o che tutto è linguaggio, non potrei più dire niente né pensare più niente. È su questa questione così semplice che abbiamo posta la nostra attenzione, ci siamo chiesti: come funziona il pensiero? I logici hanno certamente dato un contributo notevolissimo, hanno mostrato che cosa può fare e che cosa non può fare il linguaggio, non può contraddirsi per esempio, non lo fa perché se lo facesse non saprebbe più dove andare, così come di fronte a un paradosso si arresta, non va più da nessuna parte, hanno mostrato come funziona senza però giungere a sapere dire perché necessariamente funziona in quel modo. Gli umani pensano così, ma non è un granché come risposta, forse pensano così perché è il linguaggio che consente loro di pensare così, il linguaggio funziona così e di conseguenza gli umani. Può apparire meccanico tutto ciò, ma se preso nel suo schema generale, quello che fa muovere il tutto, effettivamente è molto semplice, potremmo dire che è riconducibile semplicemente a un principio di identità e quindi di conseguenza al terzo escluso e alla non contraddizione e a un sistema inferenziale, non serve altro. A partire da questi semplici mattoncini è possibile costruire tutto ciò che gli umani hanno costruito da quando esistono, anche perché è con quelli che l’hanno costruito, non hanno altri strumenti, non possono pensare in un altro modo che non sia questo: una premessa ritenuta vera, dei passaggi e una conclusione, non hanno un altro modo e quindi pensano così, qualunque cosa pensino o non pensino comunque pensano in questo modo e a noi interessava sapere esattamente questo qual è questo modo, come funziona il marchingegno per così dire ed è molto semplice in realtà, talmente semplice da apparire inverosimile, anche se poi da questa semplicità è stato costruito tutto, un po’ come con le sette note nella musica, in base a sette note è stato costruita tutta la musica. È da parecchi anni che si fa della musica, sempre diversa o quasi. Intendere come funziona il linguaggio è anche tenere conto che di fatto ciascuna volta in cui si pensa o non si pensa, si sogna, si desidera, si ammira, ci si arrabbia, si gioisce, si provano emozioni di ogni sorta, tutto questa avviene grazie a un sistema che è molto semplice, quello di cui parlavo prima, anche l’emozione non è che venga dal nulla tant’è che alcune cose emozionano alcuni e lasciano totalmente indifferenti altri, perché ci sia una emozione occorre che qualcosa valga, abbia un valore per la persona allora prova quella sensazione che chiama emozione e perché qualcosa abbia un valore occorrono una serie di argomentazioni che concludono che quella cosa vale, allora è possibile provare anche emozioni se no, no. Vi sto dicendo che questo sistema è la base di ogni possibilità di pensare qualunque cosa, e sapere come funziona può essere importante anche per non subirlo ma per agirlo. C’è ancora spazio per qualche domanda se qualcuno vuole …
Intervento: ha detto più volte è semplice, in effetti è semplice però ci sono cose ancora più semplici come l’istinto primordiale l’uomo per vivere ha bisogno di quattro mele al giorno e se le deve procurare … quindi considerando l’istinto primordiale e considerando che non c’è molta terra e gli istinti primordiali erano molto più forti di adesso il linguaggio si può anche costruire in base alle proprie necessità … voglio dire tutto il castello che viene dopo cioè le religioni ecc. ecc. …..dirlo perché a questa gente gli toglievano tutto …
Queste, direbbe Marx, sono sovrastrutture. Gli antichi dicevan0: “primum vivere, deinde filosofare” prima occorre vivere, se non si vive non si può filosofare, appare corretta. La fame, la sete, appaiono le cose più semplici, ma queste cose che “provano”, una volta che sono umani vengono comunque inserite e non possono più non esserlo all’interno di un sistema, voglio dire che questi bisogni, chiamiamoli così, partecipando del linguaggio si mostrano differenti da come funzionano per esempio negli animali i quali non possono sapere di avere sete, reagiscono a uno stimolo ma non possono sapere di avere sete. Si tratta di porre una differenza fondamentale a questo punto, che è la questione essenziale direi, ciò che reagisce a degli stimoli e ciò che invece è produzione del linguaggio. Moltissime cose reagiscono a degli stimoli, per esempio un termometro messo nel frigorifero si modifica, il mercurio si restringe, possiamo dire che il mercurio sente freddo? Possiamo anche dirlo certo, oppure quando lo mettiamo nel forno il mercurio si espande, allora ha caldo? Reagisce semplicemente, potremmo anche dire che per il mercurio espandersi con temperature alte è un bisogno primario, ma detto questo non è che andiamo molto lontani, né la cosa può esserci utile in qualche modo, ma tutto questo che stiamo dicendo, considerando, stabilendo eccetera non solo non potrebbe esistere ma non sarebbe mai esistito se noi non avessimo la possibilità di considerarlo perché se non c’è nessuno per cui qualcosa esiste allora non c’è neanche il concetto di esistenza, non c’è più niente e allora chiedersi se le cose esisterebbero comunque senza il linguaggio di fatto è un non senso perché non c’è nessun modo di provarlo, è una domanda che non ha nessuna risposta e quindi ciascuno può credere quello che ritiene più opportuno ma non ne verrà fuori mai. Ciò che chiamiamo istinto primordiale è qualche cosa che noi abbiamo stabilito essere qualcosa del genere, possiamo dirlo di noi, degli animali o di qualunque aggeggio, possiamo anche stabilire che se qualche cosa è quello che è lo è per un istinto primordiale, tanto chi ce lo proibisce? Possiamo dire qualunque cosa e il suo contrario. Ci si arresta nel momento in cui ciò che si afferma deve essere provato, ma come p provabile? Ecco che torniamo al punto di partenza, quale criterio utilizzeremo? Se non ce n’è nessuno allora chiunque può dire qualunque cosa e il suo contrario indifferentemente, se ce n’è uno, quale?
Intervento: anche il Budda aveva eliminato … il suo scopo era quello di coltivare l’istinto primordiale mi metteva su una piante si faceva mangiare dai vermi …
Ognuno decide della sua vita come ritiene più opportuno, c’è anche chi si mette una cinta di C4 e si fa saltare in mezzo a un mercato affollato di persone, ma anche queste decisioni che una persona prende per esempio, quella di mettersi per terra e farsi mangiare dai vermi è una sua decisione che muove da una sequenza di argomentazioni che concludono “ecco quindi è bene che io mi faccia mangiare dai vermi”, e questo indipendentemente da questioni estetiche o personali però giunge a questa conclusione, e che cosa gli ha consentito di giungere a questa strampalata conclusione? Che cosa? Ecco, è questa la questione …
Intervento: quindi il sunto della vita sarebbe …
Ciascuno vive come ritiene più opportuno, sto dicendo che può essere di grande utilità sapere da dove vengono i suoi pensieri e come si formano, quali vie seguono, per non subirli così come si subisce una superstizione, una credenza, un qualunque accidente che si ritiene vero e ci si muove di conseguenza …
Intervento: anche lì non è che tutti credono, non è che tutti siamo superstiziosi può essere un cinquanta per cento e un cinquanta per cento ...
Dipende cosa si intende con superstizione ovviamente, se per esempio noi decidessimo di intendere con superstizione qualunque discorso che muova da una premessa che non sia fondabile allora anche il discorso scientifico è una superstizione perché muove da premesse che non sono fondabili, utilizza come criterio l’osservazione, che non è sicuramente un criterio fondabile, è un criterio al pari di qualunque altro, e poi il calcolo numerico che non è fondabile, anzi Gödel l’ha dimostrato autocontraddittorio. Diventa tutto più complicato. Era solo un accenno per indicarvi un modo in cui è possibile approcciare le cose considerandole come costruzioni dei propri pensieri, ma non è neanche tanto questo, ma piuttosto intendere come si costruiscono i propri pensieri cioè perché le persone pensano quello che pensano, ecco, questo è il sunto, se ne vuole uno: sapere perché ciascuno pensa quello che pensa …
Intervento: qualcuno ha costruito il cervello come una pappetta … lo spermatozoo sa benissimo, lei non lo sa dove andare …
Intervento: io volevo solo fare un appunto … noi stiamo affermando che qualsiasi cosa è costruita da una struttura quella che chiamiamo linguaggio ed è molto complesso intendere una cosa di questo genere però forse bisogna intendere da dove viene questo discorso e ciò che noi affermiamo, viene da un percorso analitico e da quello che ha fatto uno psicanalista ascoltando le persone, di questo bisogna tenerne conto, bisogna intendere che cos’è un percorso analitico, la signora prima diceva “va bene, ci deve essere anche il beneficio del dubbio” Signora se lei fosse una psicanalista e avesse a che fare con una struttura ossessiva che vive tutti i suoi momenti nel dubbio, perché è il suo modo di vivere, è il suo modo di pensare, lo psicanalista o si interroga su questa struttura come funziona e cioè perché la persona pensa le cose che pensa al punto che non le permettono nessuna mossa, non le permettono di decidere nulla, sul perché utilizza il dubbio per proseguire a vivere, per farsi del male o per fare quello che più gli aggrada oppure sarebbe auspicabile che lo psicanalista cambiasse mestiere, cosa che però non avviene quasi mai, perché se come molti si trovano a pensare il dubbio è anche carino ecco che allora lì in un percorso di quel genere forse bisogna andarci un pochino cauti se si vuole intendere e soprattutto far intendere alla persona perché pensa le cose che pensa, cose che per la persona sono assolutamente vere e senza il beneficio del dubbio, cose che non permettono lo svolgimento del pensiero che per molto tempo appare immobile su alcune questioni, se si vuole far intendere perché quella persona pensa quelle cose, riproduce quelle cose, si mette in quei guai per esempio, e questo perché è venuta da me e mi ha chiesto di compiere questa operazione ovviamente se è uno psicanalista che ha cura del pensiero delle persone che vanno da lui come minimo comincia ad interrogarsi ovviamente ciascuno sa che in una psicanalisi sono i pensieri che sono in gioco se accede ad una psicanalisi bene o male sa che è il suo modo di pensare che è in gioco, ecco lo psicanalista a quel punto se è uno psicanalista e ha una dignità e si interroga sul pensiero procede e va avanti ad interrogarsi sul pensiero ecco perché noi e sono molti anni venti venticinque anni mostriamo come è fatto il pensiero, come funziona e abbiamo l’ardire, l’ardire anche perché sappiamo benissimo come reagiscono le persone a quello che diciamo (lo psichiatra? ) no, lo psichiatra è un medico che ritiene marginale il pensiero lui deve somministrare psicofarmaci e quindi non è interessato se non marginalmente (io ho avuto un’amicizia con una persona) occorre che ci intendiamo su che cosa diciamo quando parliamo di psicanalisi cioè di un percorso intellettuale in cui la persona va lì perché in genere c’è qualche problema, non è necessario il problema ma in genere è così, va dallo psicanalista e comincia a raccontare la sua vita, comincia a raccontare i suoi pensieri, cosa gli piace, cosa crede, cosa vuole e allora lo psicanalista se è tale si interroga, su che cosa si interroga? non tanto su come funziona il pensiero della persona, questo lo sa già qualsiasi pensiero funziona allo stesso modo ma si interroga, e interroga la persona sempre di più su che cosa si fondano le cose in cui crede più fermamente e questo passaggio dopo passaggio e passaggio dopo passaggio costruisce teoreticamente il modo per rendere matematica la risoluzione dei “problemi” di quel pensiero propriamente sono problemi linguistici … la signora prima si inalberava riguardo “al beneficio del dubbio” per questo io amo spiegare perché affermiamo quello che affermiamo.
Bene, buona serata a ciascuno di voi.