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Torino, 19 febbraio 2009

 

BIBLIOTECA CIVICA DIETRIC BONHOEFFER

 

APPUNTAMENTI CON LA PSICANALISI

La sovversione della psicanalisi: l'irrinunciabile sogno di Freud

 

BEATRICE DALL’ARA

 

Il caso clinico di Lady Macbeth

Considerazione sul potere e le donne

 

Due allieve di violino del Conservatorio di Torino suonano brani di Mozart

 

Allora incominciamo questa sera come sapete il titolo della conferenza è Il caso clinico di Lady Macbeth, come sapete Shakespeare attorno al 1600 per l’avvento del suo Re scrisse una tragedia, Macbeth, e scrisse proprio una tragedia perché era sicuro così di poter contare su un notevolissimo afflusso di persone, un enorme afflusso una mossa tattica in fondo Shakespeare come qualsiasi poeta, come qualsiasi regista o sceneggiatore sapeva e conosceva benissimo il gusto dello spettatore, sapeva le cose che piacciono, che affascinano, che attraggono lo spettatore e appunto scrisse una tragedia. Di come affascini la tragedia già moltissimi anni fa ci parlava Aristotele nella Poetica e di come la tragedia sia l’opera che comporta le maggiori emozioni, le più grandi sensazioni delle quali lo spettatore può godere “economicamente” in qualche modo perché può godere di quelle emozioni senza trovarsi nella necessità di vivere quella storia che attrae perché in quella storia può immedesimarsi, identificarsi può diventare l’attore della parte che più gli è congeniale senza il minimo dispendio in fondo …una breve traccia di questa storia di potere: il valoroso e fido cavaliere Macbeth che combatte per il suo re Duncan al ritorno da una battaglia in compagnia di Banquo altro fedele cavaliere incontra la magia, incontra tre streghe che gli predicono che sarà re e a Banquo predicono che da lui nascerà una stirpe di re. Macbeth è contrastato perché è un fedele e in qualche modo ama il suo re, è molto contrastato e dubbioso ad accogliere questo suo desiderio che in qualche modo negava, dubbioso, dispiaciuto, ma felice in fondo, in lui si scatenano forti emozioni contrastanti da un lato vorrebbe, è lusingato, è contento di questa predizione sa cosa significa ma dall’altro la sua fedeltà, i suoi valori e allora scrive a sua moglie, appunto a Lady Macbeth la quale detto fatto fa suo questo desiderio è il suo desiderio, il desiderio immortale di tutti gli umani e anche lei vuole essere regina e quindi incomincia costruire il modo perché questo possa avvenire, per fare questo deve agire come un uomo freddo e calcolatore dove solo l’obiettivo ha un senso, dove la forza ha un senso e quando Macbeth giunge al castello dove abitavano ormai tutto è predisposto ed è lei che deve sgridare il suo uomo e lo apostrofa, lo pungola come se lui fosse la donnicciola che si ritrae che dice di non volere e parola dopo parola, argomentazione dopo argomentazione ecco lei mette nelle mani del marito il pugnale (il buon Re Duncan, guarda caso, proprio quella notte li degna della sua presenza ed ora è lì nel maniero) e il regicidio avviene, il desiderio dei due si è compiuto, ha avuto successo ma ecco che proprio all’apice del successo le strade si dividono da un lato Macbeth compiuto il regicidio ha conquistato il potere e lo vuole mantenere, quindi per mantenerlo, per difenderlo deve continuare ad uccidere e continua e uccide Banquo, per esempio, che era presente alla profezia e poi Banquo aveva un figlio e quindi anche lui deve uccidere e poi via, via, fino alla fine Macbeth cade è ucciso da Macduff, uno strano personaggio, strano per quei tempi perché non era nato dalla natura di una donna ma era stato tratto con un taglio dal suo ventre, ma questa è un’altra questione se volete potete andare a leggere alla fonte questa tragedia, i suoi versi sono molto belli oppure potete vedere i film, per esempio, quello di Orson Welles. Dicevo questo per quanto riguarda l’uomo che forte e potente lavora per mantenere e difendere quello che ha conquistato con il sangue uccide tutti quelli che possono mettere in dubbio e in pericolo il suo “reame” e invece la donna Lady Macbeth, la donna così dura, così precisa, così intelligente, così forte ha come un tracollo anche lei è arrivata, è giunta al compimento del suo desiderio, è diventata regina in fondo non aveva nulla da temere il modo in cui aveva costruito, architettato l’assassinio era perfetto quindi nessuno avrebbe sospettato nulla ma divenuta regina è come se raggiunto l’obiettivo non avesse più nulla da desiderare, tutto compiuto, tutto fatto, tutto visto e all’apice del successo il rimorso, la coscienza della colpa, la colpa, la scena della colpa che il suo pensiero si proietta, che il suo pensiero costruisce e ricostruisce e si lava le mani, e ancora e ancora ma “nessun profumo d’Arabia …” potrà togliere quell’odore, il colore di quel sangue ed è il vortice che il poeta chiama la follia e nel sonno parla, e nel sonno racconta, nel sonno svela passo dopo passo costruisce e mostra a chi le sta vicino la sua colpa quasi a pretendere la punizione, la giusta punizione e quindi si uccide. Come sapete Freud prese a piene mani, trovò molto spesso nelle pagine di Shakespeare molto materiale per descrivere ciò che avviene, ciò che avveniva nelle analisi, per mostrare le storie che si raccontano nelle analisi, che sono le stesse storie di cui si servono i poeti per muovere, per esaltare le platee ovviamente le varianti sono moltissime, i personaggi non sono regine o re ma della regina o del re ne conservano l’ardore, molte sono le varianti ma le storie in altra forma e in altra guisa muovono da questo desiderio e sulla regina Lady Macbeth scrisse un saggio e lo intitolò “Coloro che soccombono al successo” e si trovò a elaborare e a mostrare come funziona una struttura di pensiero cioè come molte persone si trovino a concludere, a portare a termine con “successo” il loro desiderio ma come poi del successo non debbano goderne perché il loro pensiero stesso lo vieta anzi il loro pensiero esige la punizione. Scrisse anche, sempre sulla stessa questione, un altro breve saggio che intitola “Le Eccezioni” un saggio brevissimo in cui si trova a parlare di quelle persone che affermano di sentirsi delle eccezioni anzi sono delle eccezioni, queste persone così affermano e sono eccezioni che hanno sofferto sempre per tutta la vita e che non vogliono continuare a soffrire perché sono persone che hanno patito la peggiore delle ingiustizie, la vita con loro è stata restia, è stata ingiusta e quindi perché continuare a soffrire? e quindi decidono coscientemente di continuare a farlo, per esempio abbandonando l’analisi e questa necessità di sofferenza, di punizione questa decisione è una delle resistenze più grandi in analisi, così dice Freud, per cui considerandosi delle eccezioni, le persone credono di vivere una storia assolutamente particolare senza accorgersi, né sapere che ci sono miliardi di persone che la pensano allo stesso modo e in questo saggio nelle ultime righe Freud fa un breve accenno alle donne che da sempre si sentono colpite dalla sventura, hanno patito la più grande ingiustizia e per questa ingiustizia innalzano il vessillo della sofferenza e poi racconta quello che risulta dalla grande maggioranza delle analisi di donne e cioè l’odio nei confronti della loro madre perché è lei la colpevole, lei che non le ha fatte maschi, un odio feroce così come feroci sono i pensieri dei bambini o delle bambine nei primissimi anni della loro vita, quando da poco hanno incominciato a parlare, quando incominciano a volere, quando incominciano a giudicare tutto quello che devono volere e vogliono tutto ciò che gli altri hanno. Queste erano i racconti che ascoltava queste le affermazioni, discorsi che difendevano in vario modo queste affermazioni, per esempio, l’odio per la madre una sorta di ritornello, poi scrive un altro breve saggio che ha avuto una grande risonanza e dal quale forse Freud si aspettava un impulso alle ricerche in quei campi dove si studia il Diritto nei vari modi, per esempio, nella motivazione del crimine, un breve saggio che intitola “Delinquenti per senso di colpa” e ci racconta come sia tremendo, insopportabile subire ciò che si chiama senso di colpa ma questo senso di colpa, ciò che viene chiamato senso di colpa, che cos’è? È una grossa eccitazione di cui la persona non sa bene, si chiama senso di colpa perché solo di una colpa si può trattare visto gli effetti ma non si ha consapevolezza di nulla, l’unica cosa certa è una sorta di attesa, attesa di una punizione per qualcosa di proibito, è come un processo incompiuto “ho commesso qualcosa di proibito tutto ciò che è proibito è male e quindi devo essere punito” e questi pensieri funzionano tanto che taluni, molte persone commettono una colpa, commettono un omicidio proprio poter identificare, piazzare questo senso di colpa e finalmente dire “sì le cose stanno così finalmente so cosa ho fatto, punitemi” per esempio, “perché merito solo questo perché sono un rifiuto e come un rifiuto mi offro” lui Freud li chiama alcuni tipi di carattere “incredibile a dirsi” casi clinici che lui descriveva, elaborava per portare avanti la psicanalisi per mostrare con una lente di ingrandimento quelli che erano i tic principali di alcuni discorsi che gli capitava di ascoltare e con i quali si confrontava e anche di questi saggi se avete voglia vi invito alla lettura, qui siamo in una biblioteca per cui perché non approfittarne per leggere? Sono scritti che invitano a considerare alcune questioni, invitano a pensare. Il caso clinico di Lady Macbeth di colei che voleva diventare regina e regina è diventata, desiderio che Shakespeare ha immortalato, un desiderio universale ciascuno a modo suo vuole essere un’eccezione, vorrebbe essere un re, vorrebbe essere regina, vuole essere qualcuno che si distingua dalla massa, è un desiderio universale. Dicevo del caso clinico cosa prendiamo come punto di riferimento nel modo più semplice possibile? Prendiamo una delle nevrosi che vanno per la maggiore, una delle nevrosi di moda in questo periodo per cui le case farmaceutiche producono pillole perché ormai è diventata una malattia si chiama “depressione post partum” è una depressione che coglie le mamme dopo il parto, dopo che hanno portato a compimento il loro più grande desiderio quello di avere un bambino, quello di esser madri, ne parlano i giornali e gli esperti descrivono e giudicano queste “malattie”. Fin da bambine le donne sanno che il compito più grande che la società ha assegnato a loro è quello di diventare madre, diventando madri portano avanti la specie umana ed è un compito anzi è un valore tra i più importanti e fin da piccine le bimbe sono addestrate, preparate dalla loro mamma a questo evento, tutti i giochi da un certo momento in poi nella loro vita vanno in questa direzione, per esempio, il gioco delle bambole in cui agiscono per lo più il gioco della madre, una madre che ama o che punisce ma questo ciascuno lo sa perché conosce bene questi giochi che ha giocato, questo nella generalità dei casi è ovvio che poi ci sono bambine che per molto tempo ancora giocano forsennate come i maschi e alle quali delle bambole non gliene importa nulla ma sia come sia … così come ci sono donne che aspirano alla carriera e quindi non chiedono di realizzarsi con la maternità ma in linea di massima la voglia di essere madre è la più grande aspirazione, è molto importante diventare madre adesso “nei tempi che corrono” molte sono più interessate a diventare madri che ad avere un partner e anche coloro che si affermano omosessuali vogliono avere un figlio, vogliono poter svolgere questo ruolo, ed è proprio il ruolo di madre che è particolarmente apprezzato ma dicevo della depressione post partum queste mamme, se voi le guardate bene o se avete vissuto questa storia, è come se vivessero una festa, nove mesi di festa anche se poi si lamentano costantemente, continuamente perché hanno le nausee, perché quel pancione è sempre più pesante, perché il loro corpo si deforma però questo pancione lo esibiscono come un trofeo lo ostentano anzi non vedono l’ora che cominci a spuntare perché così “si vedrà” anche gli altri lo potranno vedere, dicevo è come se vivessero una festa per tutti i nove mesi, sanno e ne hanno un sacro timore anche del parto, sanno che soffriranno …. da quando è stato stabilito che la donna partorirà fra i dolori le donne tutte lo sanno e temono ma se voi interrogate le donne scoprirete con una certa sorpresa che in qualche modo molte ritengono giusta l’esperienza del parto naturale, l’esperienza di quei dolori quasi che soffrendo questa sofferenza fosse un segno di maggior valore, quasi che se si togliesse questa sofferenza ne sarebbero in qualche modo deluse, basta interrogarle le persone è ovvio che non per tutte funziona allo stesso modo ma per lo più molte vogliono provare questa esperienza perché questo valorizza quella loro necessità, l’attesa è una delle cose più belle anche nel ricordo, ecco che però una volta finita la festa, passati i nove mesi, nato il bambino per la donna incomincia la quotidianità è come se si fossero spente le luci. Dopo l’interesse che tutti dimostravano nei loro confronti bisogna fare i conti con quelle che sono le cose normali di cui è fatto il vivere quotidiano, le cose normali con le quali ci si ritrova a vivere, che tutte le madri si ritrovano a vivere accudire un bambino, sembra strano, ma ai tempi nostri è anche più difficile di anni fa in cui il bambino aveva un’altra importanza adesso la mamma è presa da tante incombenze perché ci sono sempre più esperti, c’è la pubblicità che costruisce e poi risolve tutti i più piccoli problemi della mamma ma con questa operazione in fondo centuplica i problemi, le direzioni sicure e la mamma, la giovane mamma molte volte è confusa, ha paura e poi quella cosa che ha fatto è come se non la conoscesse, le è estranea, è un estraneo e in molti casi è ostacolo, perché sono sempre più stanche, avvilite entrano in gioco moltissime cose ciascuna mamma lo sa ma ecco questa difformità tra ciò che avevano desiderato così tanto, tutto ciò che aveva tratto il loro pensiero per tanto tempo, tutto ciò che avevano immaginato, sognato, questo esserino che avrebbe dovuto immediatamente rispondere, naturalmente rispondere, questo amore materno che è difficile riconoscere che non è così automatico. All’amore materno ci credevano, ci contavano in un modo esasperato nell’amore materno, volevano tutto questo ma ecco che tutto quanto è un po’ una delusione quando si torna nel quotidiano, quando si torna nel giorno per giorno ecco che incominciano pensieri indistinti ma brutti, brutti pensieri li chiama così, quell’esserino che si vorrebbe amare di un amore naturale non lo si conosce ancora occorre attaccarcisi e non si è appagate da quello che appaga ciascuna mamma dalle piccole cose, per esempio, pesare il bambino e scoprire che anche oggi è diventato “più grande” di qualche grammo… che felicità! È come se in questi casi la donna non potesse contare su tutte queste cose forse è attratta ancora da quella festa in cui era al centro dell’interesse e questo estraneo sembra un ostacolo e sempre di più i suoi pensieri sono brutti pensieri e l’amore materno che tanto l’aveva appassionata ecco che non è così facile da riconoscere e poi non può pensare che sua madre avesse dei brutti pensieri così come accadono a lei, presta i suoi pensieri a sua mamma che dice “no, tu non sei un’estranea, non lo sei mai stata, sei nata re, se nata regina ” ma allora come avviene? Ma non è che tutti questi pensieri queste domande, queste risposte capitino nel pensiero di un’altra ma capitano nel suo pensiero, si costruiscono in modo tale per cui questi pensieri lei non li può riconoscere suoi pensieri e quindi non li accoglie, non li vuole accogliere, crede necessariamente a quell’amore universale, a quell’amore materno, a quel valore così grande descritto anche nei baci Perugina oppure nelle novelle, oppure nei romanzi oppure nelle canzonette oppure, oppure dappertutto lei coglie. Dappertutto perché è la realtà come in un delirio coglie conferme che i suoi sono brutti pensieri ma non sono veri e allora le pillole per non fare i conti con questi brutti pensieri e allora se la persona non può accorgersi di quell’ostacolo che il suo pensiero costruisce, se non l’accoglie perché tutto è così confuso, tutto è così malinconico anzi la malinconia è quella che fa la differenza e si commuove e piange, le pillole non sono nient’altro che un preludio, la via più breve, la giustificazione alle future depressioni che non saranno più depressioni post partum ma depressioni espressione della malinconia, da questo confuso “senso di colpa” da questo non detto a sé. Dicevo che la questione importante è che comunque anche se le pillole temporaneamente possono sedare, rallegrare a seconda delle pillole e dei casi quella monotonia della quotidianità, aprono la via alla futura depressione ma comunque queste pillole lasceranno nell’indifferenziato, nell’indistinto quell’ostacolo, quel bambino il quale bambino crescerà comunque sia come un ostacolo perché la madre pur di non fare i conti con i suoi pensieri che sono i pensieri di tutte le donne ma lei non lo vuole non se lo può concedere non lo può sapere perché sua mamma sicuramente non pensava così e continua a prestare i suoi pensieri a sua madre ed è convinta della naturalità dell’amore materno che è la realtà per questa donna ma dicevo dell’ostacolo che continuerà ad essere quel figlio perché lei pur di continuare sulla strada della favola e degli alti valori morali che ha imparato tanti anni fa, continuerà a mantenere l’ostacolo e un ostacolo si sa che di solito lo si vuole togliere di mezzo e questa è anche la sua conclusione ma siccome non lo può accogliere ed elaborare farà di tutto e asseconderà in tutto quel bambino o se ne disinteresserà che è la stessa cosa, nella maggior parte dei casi supplirà a questa sorta di disinteresse con ciò che chiama il suo grande amore e darà a quel bambino tutto ciò che lei non ha mai avuto, quel bambino sarà quel re e lei esaudirà ogni suo desiderio, infatti quando si parla del puro amore, puro amore materno si esalta il sacrificio dell’amore di madre e poi qualcuno potrà stupirsi del come le madri generalmente temano per la vita dei loro figli, temano ogni pericolo, temono che al figlio accada una disgrazia, un incidente, una malattia, ci si stupisce, ma nelle future depressioni questo è centrale il figlio come un ostacolo che si compenserà in ogni momento ma non è il figlio che si ricompensa è una ricompensa di cui necessita il pensiero perché non può confrontarsi con questa questione, questione che non può concludere, questo accade è un modo in cui le cose accadono, si vuole credere che questo accada naturalmente? Per bontà divina o per una natura malvagia? ma ecco che se si ha l’opportunità di confrontarsi con i propri pensieri cosa che può avvenire solo in una analisi ecco che anche quel figlio avrà una ben altra dignità, questo volendo e quindi potendo perché non sarà un ostacolo, non sarà un rifiuto. La scorsa volta Luciano Faioni parlava del delirio e di come le persone possano in qualche modo riconoscere il delirio nelle altre persone basta non conoscere la premessa cosa muove un certo discorso ed ecco che se quel discorso agisce in un certo modo si giudica quel discorso un discorso delirante e parlava della realtà di ciascun discorso che costruisce il delirio basta credere fermamente in qualche cosa ed ecco che in quella direzione si prosegue ma questa proliferazione di deliri che ciascuno riconosce nel discorso dell’altro quando non afferma o pare non affermare ciò che io credo essere vero, ciascuno di questi deliri sono fondati su nulla, sono fondati su credenze su superstizioni perché non c’è mai stato il fondamento del pensiero sul quale il pensiero possa effettivamente costruire il pensiero, nessuno ha mai trovato nulla di necessario e allora perché non credere al delirio? Se ogni cosa vale un’altra cosa …al pensiero nella cultura occidentale si è dato molto risalto il pensiero “serve” per risolvere i problemi serve, serve per tantissime cose però un fondamento, che cosa costruisca il pensiero nessuno l’ha saputo, di volta in volta può essere un dio o la natura divina può essere una natura malvagia non si sa bene da dove venga e di che cosa sia fatto il pensiero, nessuno si è mai confrontato né ha portata questa questione fino alle estreme conseguenze, nessuno si è mai confrontato con ciò che pensa essere vero ma soprattutto ha mai considerato la condizione del pensiero, ciò che produce il pensiero qualsiasi pensiero, ci sono stati grandi pensatori e i più sofisticati quelli che amavano pensare e si divertivano a pensare, Freud era una di questi anche Wittgenstein e anche molti altri hanno cercato il fondamento ma nessuno ha potuto considerare la condizione del pensiero, la condizione per cui io possa affermare, possa domandare, possa rispondere quasi che fossero cose senza importanza e allora ciascuno si è trovato a credere assolutamente in qualcosa non importa cosa bastava che funzionasse come funziona qualsiasi verità senza però poterla dimostrare e se non si può dimostrare qualunque verità rimane un ipotesi, una credenza, una superstizione ma al momento in cui si crede, per esempio nel caso della madre che ha dei brutti pensieri dopo avuto un bambino, bambino che ha voluto, che l’amore sia naturale ecco che se non può interrogare la questione tutto le cade addosso dice “va beh d’accordo, cosa posso fare se i miei pensieri sono fatti così?” ma se potesse considerarli questi pensieri sapere che molte donne si ritrovano a fare i conti con delle fantasie ma soprattutto sapesse che il proprio pensiero è una struttura, una struttura che produce quelle proposizioni che sono i suoi pensieri, sapesse che le proposizioni che costruisce possono affermare o negare qualsiasi storia, possono negare qualsiasi affermazione, sapesse che finalmente è possibile contare su qualcosa di assolutamente certo e che lei stessa può giungere ad agire i propri pensieri, può giungere a modificare quello che i propri pensieri costruiscono senza più la necessità di attese, di paure, attese paure, grandi emozioni che servono solo a mantenere importanti questioni che importanti non sono in una economia del pensiero che deve permanere ingenuo, che deve permanere il debole pensiero di una donna, perché? Perché l’ha voluto dio? o chi altri? Ovviamente ci vuole un esercizio intellettuale occorre incominciare a muovere questo pensiero e a mettere in gioco quelle questioni che fanno ostacolo non avere paura dei propri pensieri in fondo il pensiero è fatto di proposizioni, è una struttura che costruisce proposizioni organizzate in un certo modo, sono organizzate da una sintassi, da una grammatica basta cambiare l’ordine delle proposizioni ed ecco che le stesse parole, gli stessi termini giocano un ruolo diverso all’interno del proprio pensiero, basta considerare il pensiero, basta sapere che questa è l’unica ricchezza con la quale effettivamente si può fare i conti, fare i conti con la propria intelligenza senza atti di fede, senza accogliere la prima verità e perché tutti credono così e neanche la seconda e neanche, quindi c’è tanto da dire il pensiero è una struttura che è fatto di quelle stesse proposizioni che mi trovo a dire, con le quali mi rivolgo agli amici, mi rivolgo ai nemici è ovvio che quando penso tra me e me tutto ciò avviene molto, molto velocemente automaticamente, e se non sono più che esercitata non mi accorgo di quello che dico, di tutto ciò che è implicito in quello che dico, in quello che penso: il pensiero è questo, funziona così è una struttura organizzata per costruire proposizioni . Se gli umani sapessero che è il loro pensiero che ha costruito la natura, la divinità, la depressione, le gioie, gli amori, gli affanni e tutte le altre cose qualsiasi cosa, qualsiasi senso, saprebbero e potrebbero chiedersi ancora ingenuamente qual è lo scopo, qual è il fine di una struttura? Costruire linguaggio, costruire sempre altre proposizioni e si accorgerebbero che le tragedie con tutte le paure le angosce, le guerre, i conflitti di ogni genere e misura sono costruiti da una struttura perché? Per produrre altro linguaggio e quindi altri conflitti, altre guerre, altre angosce. È possibile uscire da questo circolo vizioso che da millenni produce e programma tutto lo scibile, tutta la conoscenza degli umani? Sì è possibile praticando ed esercitando il proprio pensiero, per esempio, per esempio cercando di dimostrare, ciascuno lo dimostri che c’è qualcosa che è fuori da una struttura qualcosa che è fuori dal linguaggio, ciascuno lo cerchi, lo trovi e poi ce lo comunichi “in qualche modo”, questa è la via per incominciare ad intendere, per incominciare a modificare e dare la dignità ad un pensiero che è fermo da millenni.

 

Seguono interventi e domande di cui manca la registrazione …

 

Intervento di Luciano Faioni

 

Si è trattato, muovendo da una formazione analitica in quanto mi ero formato come analista, di dare una dignità alla teoria psicanalitica che allora seguivo poiché mi sono posto questa domanda: “perché una teoria psicanalitica anziché qualunque altra?” in fondo il più delle volte è solo una questione estetica, piace di più una o piace di più quell’altra ma non c’è un motivo teorico, non c’è perché ciascuna di queste teorie di fatto poggia su affermazioni che non sono provabili, sono gratuite, sono totalmente arbitrarie: a qualcuno pare che le cose siano in un certo modo, a Freud sono apparse in un certo modo a Jung sono parse in un altro modo, alla Klein sono apparse in un altro modo ancora e potremmo andare avanti perché la letteratura psicanalitica è sterminata. Dunque a ciascuno di costoro è apparso in un certo modo ma a questo punto si riduce semplicemente la scelta, la decisione di aderire a una teoria piuttosto che a un’altra a un fatto puramente estetico, cioè a me piace questo, ma non c’è nessun motivo in realtà per accogliere una teoria anziché un’altra. Allora ci chiedemmo, venti anni fa, se fosse mai possibile costruire una teoria che anziché poggiare su un atto fede che è richiesto per abbracciare una qualunque teoria, se fosse stato mai possibile invece costruire una teoria che non richiedesse come punto di partenza un atto di fede come avviene sempre: non si può dimostrare che è così però mi piace pensare così quindi credo che è così e bell’e fatto. Questo ci ha impegnati per qualche tempo, naturalmente interrogando vari personaggi contemporanei al fine di costruire una teoria non fondata su un atto di fede, e allora abbiamo dovuto, interrogando un numero notevole di teorie, considerare quale ne fosse il principio primo, su cosa si fondassero. Ciascuna di queste teorie si è dimostrata fondata su niente, e allora a questo punto o si abbandona il tutto perché il tutto cessa di avere qualunque interesse, oppure si compie un’altra operazione che è questa: si incomincia a interrogarsi su che cosa sia una teoria, si incomincia a domandare intorno alla domanda stessa. E quando mi sarò dato una risposta, questa risposta che cosa sarà esattamente? E a quali condizioni accoglierò una risposta? Di che cosa è fatta la teoria? C’è qualche cosa che la sostiene oppure no? A un certo punto è sorta una considerazione: ma ciascuna teoria per essere costruita necessita del pensiero naturalmente, di proposizioni, di stringhe di proposizioni e cioè di quella struttura che è comunemente nota come linguaggio. Qualunque teoria, che sia psicanalitica, fisica, botanica o qualunque altra cosa è costruita da questo, cioè dal linguaggio. Ma il linguaggio è soltanto uno strumento per descrivere delle cose oppure è qualcosa di più? Questo era un altro problema che allora ci si poneva. Se è solo uno strumento allora esiste qualche altra cosa che è ancora al di qua del linguaggio e che il linguaggio descrive semplicemente, a questo punto però come già la filosofia ha incontrato da tremila anni a questa parte ci si ritrova di fronte a dei problemi notevoli: se io stabilisco l’esistenza di qualche cosa poi devo stabilire l’esistenza stessa e si rischia a un certo punto di trovarsi in una sorta di regresso all’infinito da cui non si viene più fuori, come è accaduto a molti filosofi. A questo punto si pose la questione intermini radicali: c’è soltanto una cosa che risulta assolutamente necessaria, tutto il resto è, gratuito, ma cosa si intende con necessario a questo punto? Qualcosa che c’è necessariamente perché se non ci fosse allora non ci sarebbe né lui né nessun altra cosa. Demmo questa definizione di necessario. E cos’è che risponde a questa definizione? Quella sola cosa senza la quale io non posso parlare, non posso pensare, non posso concludere, non posso decidere, non posso neppure accorgermi di esistere, non posso neppure pensare il concetto di esistenza, non posso fare niente, sono poco più di un sasso. L’unica cosa che risponde ai requisiti della necessità è appunto questa struttura e cioè il linguaggio che non soltanto, dicevo proprio ieri sera agli amici, fornisce l’elemento su cui è possibile costruire qualunque cosa, ma costruisce anche il criterio di verifica di qualunque cosa. Per potere stabilire se dico delle cose vere oppure delle stupidaggini occorre un criterio, e questo criterio con cosa lo avrò costruito? Con quale struttura? Naturalmente come tutti sanno qualunque criterio utilizzato necessita a sua volta di un altro criterio che lo giustifichi, e così via all’infinito, a meno che non si ponga come criterio la struttura stessa di quella cosa che consente di costruire qualunque criterio. A questo punto l’unica cosa che poteva reggere contro qualunque obiezione, contro qualunque tentativo di demolizione era appunto il linguaggio: porre il linguaggio come fondamento, come l’unica cosa che non poteva essere negata in nessun modo perché negando il linguaggio si produce una contraddizione: per potere verificare che esiste qualche cosa che non è linguaggio ovviamente devo poterlo utilizzare, non solo, non posso nemmeno uscire dal linguaggio cioè non posso pensare in assenza di linguaggio, non lo posso fare in nessun modo, qualunque cosa io pensi lo faccio attraverso questa struttura che si chiama linguaggio che per altro è una struttura molto semplice. Aristotele aveva individuato, senza accorgersi di avere trovato in effetti la cosa fondamentale e cioè la struttura su cui tutto si regge, vale a dire i tre principi aristotelici. Perché il linguaggio funzioni, per trovare che cosa è necessario al suo funzionamento occorre reperire quegli elementi senza i quali il linguaggio cessa di funzionare. Se per esempio una singola parola significasse simultaneamente tutte le altre, sarebbe ancora possibile parlare? E quindi pensare, congetturare, decidere,valutare, costruire qualunque cosa? No, non sarebbe più possibile parlare. Allo stesso modo se la parola non fosse individuabile, non fosse distinguibile da ciascun’altra non potremmo parlare. In questo modo si sono già trovati degli elementi che risultano necessari e senza i quali il linguaggio cessa di funzionare, e se il linguaggio cessa di funzionare si ferma tutto, si ferma tutto perché io per esempio non so più di esistere e a quel punto esisto lo stesso? Ecco questa è una domanda che molti si pongono e che in realtà è un non senso, cioè non significa niente perché a questo punto non c’è nemmeno più il concetto di esistenza e quindi chiedermi se esisto oppure no non significa assolutamente niente perché nessuno potrebbe rispondere a una domanda del genere e nessuno potrebbe neppure mai porsela una domanda del genere. Da qui in poi l’elaborazione ha iniziato a considerare il linguaggio, e cioè a intendere come funziona esattamente il linguaggio visto che è ciò che non soltanto consente agli umani di dirsi tali ma consente la costruzione di qualunque cosa, di qualunque pensiero e di conseguenza di tutto.

 

Intervento: i tre principi aristotelici? Uno è il principio di non contraddizione poi?

 

Il terzo escluso e il principio di identità. Quest’ultimo ha due implicazioni, due corollari: non contraddizione e terzo escluso, ma quello fondamentale è il principio di identità, cioè una cosa è quello che è, cioè ogni elemento linguistico deve essere se stesso perché se non lo fosse allora il linguaggio cesserebbe di funzionare. Mi rendo conto di avere fatto un excursus estremamente rapido …

 

Intervento: quanto conta nella vostra elaborazione un filosofo come Wittgenstein? Scusi questa banalità …

 

È stato un prezioso compagno di viaggio. Lo abbiamo letto e compulsato tantissime volte. È andato molto vicino alla questione senza fare quel passo che gli avrebbe consentito di fare quello che abbiamo fatto noi, e a quel punto non avremmo avuto più nulla da fare. Anche gli antichi hanno dato un notevole contributo, per esempio i sofisti, anche loro si erano accorti della priorità, della potenza del linguaggio senza però operare una sorta di recursione e accorgersi che ciò che stavano considerando poteva essere applicato a ciò stesso che stavano teorizzando, e che cioè loro stessi stavano parlando con tutto ciò che questo comportava. Questo non l’hanno. Noi abbiamo compiuto questo passo. Ogni mercoledì sera discutiamo di queste cose, è l’occasione in cui ci incontriamo.

 

Intervento: si è parlato di linguaggio verbale?

 

Il linguaggio come dicevo è una struttura

 

Intervento:…..ho visto prima le due ragazze con il violino; come fotografa il mio pensiero il fondamento? È strutturato? Non è strutturato? I miei pensieri proposizioni? Mi viene da dire no, non è un linguaggio verbale ma è linguaggio …

 

Il linguaggio propriamente è quella struttura che consente la produzione di qualsiasi cosa quindi consente nel caso del suono di cui parlava prima di ascoltare …è una struttura che dà l’accesso anzi ha costruito qualsiasi cosa e quindi è di questo che stiamo parlando di una struttura precisa che ha costruito anche il linguaggio verbale lo costruisce e lo utilizza, la verbalizzazione, ha costruito il linguaggio delle api, degli animali, dei fiori ( ….) d’altra parte se no il mutismo, prima diceva la signora, il sordo muto sarebbe fuori dal linguaggio perché non solo non dice delle parole ma non le ascolta ma non è di questo che stiamo dicendo il sordo muto fa parte e funziona all’interno della struttura come ben sappiamo, perché possiamo relazionarci con lui “parlare con lui” attraverso segni codificati che significano hanno un senso in questa relazione, ma dicevo quando parliamo del linguaggio parliamo di una struttura che ha costruito anche il muto, anche il sordo, anche il cieco e noi possiamo pensando e parlando utilizzare queste figure retoriche. Comunque anche lei signorina se vuole il mercoledì, ogni mercoledì siamo in via grassi 10. Ci sono altre questioni? Volevo aggiungere ancora che la psicanalisi è un percorso, un cammino intellettuale in cui la persona mano a mano raccontando, vivendo il proprio racconto si accorge del proprio pensiero, si accorge del proprio discorso e di come il proprio discorso e solo il proprio discorso costruisca i problemi, costruisca le ansie, costruisca le paure e quindi costruisca gli ostacoli che sono necessari per poter godere delle più grandi emozioni, per che cosa? per continuare a parlarne e poi ancora e poi ancora e quando smette di ripetere quella storia infinita? Quando quella storia non interessa più perché nel frattempo altre cose sono diventate importanti “le più importanti” per esempio il funzionamento del mio pensiero, per esempio, come funziona una struttura di pensiero, quali sono le cose vere che fanno funzionare questa struttura e la possibilità a quel punto l’infinta possibilità per ciascuno di considerare l’unica sua ricchezza la sua intelligenza.

 

Nel ringraziarvi riassumo gli appuntamenti: il mercoledì ogni mercoledì presso l’Associazione Scienza della Parola in via Grassi 10 e il giovedì fino al 26 marzo ogni giovedì gli incontri qui nella Biblioteca della Circoscrizione. Giovedì prossimo l’incontro con Sandro e Eleonora De Gasperi: “Dialogo tra uno psicanalista e sua figlia” grazie a tutti e buona serata.