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LA RETORICA DELL’INSEGNAMENTO

 

18-2-2002

 

C’è una questione tra le varie che Diego ha proposte intorno all’insegnamento, questione che, come ciascuno sa, non è semplice da affrontare e, fra le righe, c’era una domanda che mi sembra si ponesse e cioè se nell’insegnamento sia necessaria una relazione cosiddetta interpersonale oppure no. È una domanda che ci si può porre e per rispondere a questa domanda occorre che sia chiaro che cosa si vuole ottenere dall’insegnamento, questione fondamentale. Si insegna sempre per qualche motivo, talvolta può essere interessante domandarsi quale. È ovvio che se una persona vuole essere, potremmo anche dire, addestrata a svolgere un certo compito, qualunque esso sia, occorre che apprenda i modi per svolgere tale compito, ora questo tipo di insegnamento è abbastanza semplice, in realtà si tratta semplicemente di trasmettere delle informazioni, nient’altro che questo, così come si informa un database, si inseriscono delle informazioni e il computer esegue, la questione è se sia esattamente questo che si intende con insegnamento oppure no, potrebbe apparire una domanda piuttosto banale o irrilevante, ma potrebbe non esserlo. Diego sottolineava il particolare insegnamento che avviene in una psicanalisi e l’insegnamento scolastico, certo ci sono varie differenze ma innanzitutto la differenza fondamentale è che in una analisi non c’è propriamente qualcuno che trasmette delle informazioni, ma pone le condizioni perché la persona possa accorgersi di quello che sta dicendo, cosa intendo con questo? Ciascuno, in qualunque ambito si trovi, è sostenuto da un certo numero di elementi che sa, che cosa vuol dire che li sa? Che può disporne quando ritiene più opportuno, e in base a questi si muove, ora perché possa muoversi occorre che ciò che sa sia stabile, sia affidabile, sicuro, e allora si muove con sicurezza e con facilità, questo grosso modo avviene all’interno di qualunque struttura o organizzazione che si prefigga di insegnare qualcosa a qualcuno, Ciò che avviene lungo un itinerario analitico è, come dicevamo, un po’ differente, perché avviene un percorso che è esattamente il contrario e cioè l’analista non solo non confermerà le cose che la persona sa, ma farà in modo che queste certezze, queste sicurezze siano messe in gioco. Prima cosa da fare ovviamente è porre le condizioni perché questo sia possibile, come sapete le persone non amano che le cose in cui credono più fortemente e fermamente siano messe in gioco anzi, è una delle cose che in linea di massima sono più detestabili, un percorso dunque che è esattamente il contrario, tutto ciò che funziona da fondamento a ciò che si crede viene messo in gioco, cosa vuole dire metterlo in gioco? Interrogarlo ancora, come se questi fondamenti non fossero sufficienti; voi conoscete bene il gioco dei bambini, il gioco dei perché: domandano sempre "perché?", all’infinito, finché la mamma si spazientisce e in genere tronca la discussione in modo brusco… sì è una questione che pongono i bambini ma che anche altri si sono posti, che non erano affatto bambini, uno era Tommaso, santo per alcuni: non si può interrogare all’infinito perché se lo si fa ci si accorge che appunto si va avanti, anzi, all’indietro all’infinito e quindi non si deve… al di là del fatto che uno potrebbe anche chiedergli perché no? Ma in linea di massima questo comporta sempre ad un certo punto una decisione, cioè ci si ferma qui, perché? Perché va bene così, perché in definitiva mi è piaciuto fare così, perché è difficilmente sostenibile un’interrogazione che non cessa, che non si ferma ed è poco sostenibile perché compie ciò che dicevamo prima, cosa che è piuttosto fastidiosa, e cioè mina alla fondamenta tutto ciò che si suppone di sapere o che è dato come saputo. È ovvio che, per esempio, la ricerca compie questa operazione, almeno in parte, ma c’è un modo per portarla alle estreme conseguenze. Portare alle estreme conseguenze qualcosa significa questo: non essere soddisfatti di nessuna risposta, non perché si sia particolarmente scorbutici, ma per curiosità, una curiosità intellettuale e cioè in definitiva domandarsi o interrogare tutto ciò che comunemente è noto come i fondamenti di qualunque disciplina, dalla letteratura all’ingegneria genetica, passando per tutta una serie di cose; ora cosa avviene se si interrogano le discipline oltre il ragionevole? Succede che ci si accorge che queste discipline funzionano come dei giochi, né più né meno, e cioè sono una sequenza di regole, di informazioni, di istruzioni che devono essere seguite, seguendo queste regole, queste istruzioni, si giunge generalmente a certi risultati, la questione è che ci si accorge, e talune volte che è avvenuto nel corso di questi duemilacinquecento anni, una sorta di sovrapposizione tra qualcosa che di fatto funziona perché è una regola del gioco, con qualcosa che invece si è ritenuto, potremmo dirla con taluni, naturale, da qui sono sorti una serie di problemi ma, dicevo, interrogando queste discipline ci si è accorti che in effetti ciò su cui si fondano, il fondamento ultimo non è affatto fondabile, questione che ha sorpreso oltreché smarrito taluni. Nel periodo tra il 1800 e il 1900 si è verificato quel fenomeno noto come "crisi dei fondamenti", la sorpresa incredibile è stata che la matematica non è fondabile, ma perché dovrebbe esserlo, nessuno si sarebbe mai posto una domanda del genere intorno al tressette per esempio, è fondabile il tressette oppure no? E perché no? È un gioco anche quello, e nessuno chiede a un gioco qualunque di rendere conto dei suoi fondamenti perché non lo può fare ovviamente, sono delle regole, sono queste e basta, per giocare, se vuoi giocare, le regole sono queste e tanto basta. Riflettere intorno ai fondamenti delle varie discipline comporta il trovarsi a mettere tali discipline alla corda, per così dire, e cioè domandare alle stesse di rispondere di sé e queste discipline possono farlo fino a un certo punto, oltre quel punto no. Consideriamo la fisica per esempio, a suo fondamento ha l’osservazione e il calcolo numerico, per esempio, l’osservazione è fondabile? No, nessun logico l’accoglierebbe mai a fondamento, e neanche il calcolo numerico perché come sapete non è fondabile e allora? E allora non sarà forse, come vi accennavo, che si tratta di giochi e nient’altro che questo? C’è questa eventualità, ma questo dico dalla critica letteraria fino alla fisica atomica o qualunque altra cosa, dei giochi, cosa che potrebbe essere d’aiuto in effetti anziché di intralcio, perché a questo, punto per esempio, insegnare la matematica o la letteratura o qualunque altra cosa potrebbe essere presa esattamente per quello che è, e cioè insegnare un gioco, così come si insegna a giocare a poker per esempio. È vero che le cose che si insegnano nelle scuole occorre che abbiano un utilizzo al termine della scuola, ma ciò non di meno sono giochi, anche se più e meglio accreditati questo non cambia nulla. Dunque insegnare un gioco, insegnare a giocare e insegnare qualcosa che è ancora più interessante, non solo insegnare a giocare, ma insegnare a accorgersi che quelli, come qualunque altra cosa, sono e non possono essere nient’altro che giochi, dei giocattoli; perché un gioco? Un gioco è definito dalle sue regole ovviamente e dalla possibilità di porle in atto, e le regole dicevamo prima non sono altro che delle istruzioni, istruzioni che consentono certe mosse e ne proibiscono altre, tutto qui, un gioco è tanto più interessante quindi quanto più è sofisticato e cioè quanto più sono le regole e quindi quanto più è difficile da giocare; tant’è che da bimbetti si gioca con le palline, con i soldatini, le bambole a seconda dei casi e poi accade a un certo punto che non interessino più, perché? Perché si vanno a cercare giochi più elaborati, più sofisticati e quindi più interessanti. Dunque insegnare anche ad accorgersi che ciascuna disciplina non solo ha la struttura del gioco ma è un gioco, e quindi porre le condizioni perché sia possibile interrogarsi e perché questa interrogazione soprattutto non incontri ostacoli; ma quando incontra ostacoli? Quando si suppone o che non debba essere ulteriormente interrogata o che si preferisce che non lo sia, a questo punto ovviamente non è possibile proseguire in quella direzione. Una analisi fa in modo che questi impedimenti non ci siano più, se volete non fa nient’altro che questo: consente alla ricerca, alla propria ricerca, a una qualunque ricerca, di proseguire senza ostacoli; fino a dove? Dove vuole, non c’è nessun limite, ma qui si pone una questione non del tutto marginale e di cui accennavo all’inizio, e cioè che cosa ci si attende, che cosa si vuole fare insegnando qualcosa a qualcuno. Discutendo qualche giorno fa con gli amici si considerava che l’istruzione è in effetti affidata alla stato, anche le scuole pubbliche passano da lì, e pertanto potrebbe non essere del tutto indifferente che uno stato organizzi l’istruzione in un modo anziché in un altro, oppure pensate, per fare un esempio ancora più semplice all’addestramento militare, si insegna forse a mettere in discussione ciò che accade? Certamente no, se qualcuno lo fa in tempo di guerra viene fucilato generalmente, questo cosa ci dice? Che in quel caso ciò che si insegna ha una certa direzione, come ciascuno di voi sa l’addestramento militare non è un addestramento a pensare, questo è abbastanza noto, anzi se mai potessimo dire, è il contrario, non sto dicendo che facciano bene o facciano male intendiamoci bene, non è una questione che ci interessi, stiamo soltanto considerando un metodo, tutto qui, perché se allora ci interessa che la persona, come esattamente accade in una analisi, pensi, allora occorre muoversi in un certo modo, occorre fornirgli gli strumenti per poterlo fare e gli strumenti per poterlo fare non si trovano ovunque anzi, in buona parte questi strumenti sono inibiti, se non addirittura proibiti, una volta esisteva l’indice come sapete, aveva una funzione simile, impedire l’accesso a troppe cose: e se poi si accorgono che le cose non si fanno così come gliele insegniamo? Se ne hanno a male! Potremmo anche dire così è impossibile dire a un’insegnante, per esempio, visto che si tratta di una scuola, che cosa deve fare, è l’insegnante che occorre che trovi il modo, occorre che però lo possa fare, che abbia gli strumenti per pensare, ma quando dico pensare intendo il poterlo fare senza ostacoli, di qualunque tipo. Una volta ci fu un tale, Peano, il quale insegnava anche al Politecnico qui a Torino, era un matematico, un logico matematico, il quale Peano oltre ad avere dato una direzione precisa e più rigorosa alla logica matematica, andava anche considerando che era assolutamente inutile vessare gli studenti del politecnico con esami che in effetti non sarebbero mai serviti e quindi proponeva di essere molto più generosi con gli studenti, ma molto meno con gli insegnanti, loro sì, invece, sempre secondo Peano, occorreva che fossero persone straordinarie, ché insegnare, come molti di voi sanno, è una cosa straordinariamente difficile, e la difficoltà sta, in buona parte, nel fatto che si tratti fondamentale di una relazione interpersonale, dove ci sono almeno due persone, una che insegna e l’altra che impara, e che in una tale circostanza succedono una infinità di cose; per esempio uno sta parlando, sta spiegando qualche cosa e ad un certo punto dice una parola, questa parola per l’altro che ascolta può essere l’innesco per una catena di altre parole assolutamente incontrollabili. Lo sanno bene gli attori o comunque coloro che si occupano di retorica in quale modo è possibile mantenere viva l’attenzione, questione fondamentale, perché se io parlo per sei ore e quell’altro pensa agli affari suoi non ne avremo ricavato un granché. Pertanto una delle cose fondamentali è che uno non pensi agli affari suoi, sembra proprio basilare, interessare dunque la persona, ora ciò che interessa agli umani da quando c’è traccia di loro almeno, una delle cose che interessano di più è il gioco, da quelli più quieti a quelli più spericolati, dalla canasta alla guerra per esempio, passando per una infinità di altri ma è il gioco, ora perché interessi così tanto il gioco, questa è una questione che possiamo affrontare magari in un’altra occasione, sicuramente parlando del gioco della scienza ci sarà occasione per approfondire la questione ma ciò che dicevo prima riguardo al considerare le varie discipline come giochi, andava esattamente in questa direzione, perché ciò che avviene per esempio in una analisi è insegnare a giocare, a giocare con i propri pensieri e quindi con le proprie certezze, con le proprie sicurezze, con le proprie opinioni, giocare comporta il non crederci, il non credere che una certa opinione, un certo pensiero, una certa cosa debbano necessariamente essere così, visto che riflettendoci bene nulla al mondo costringe a credere alcunché, non c’è cosa che non possa essere rimessa in gioco, rimessa in discussione, riconsiderata, non c’è fondamento che possa sostenere una confutazione. Sapete bene che non c’è affermazione che non possa essere confutata, affermate una qualunque cosa e un bravo retore costruirà una argomentazione che utilizza le vostre stesse premesse per giunge a una conclusione diametralmente opposta. Immaginate che ciascuno dei presenti in questo momento sappia fare una operazione del genere e cioè dimostrare vera o falsa una qualunque affermazione, potreste ancora credere vera quella affermazione? È quantomeno più difficile, sareste meno ingenui ma meno ingenui rispetto al vostro pensiero principalmente; ecco, un insegnamento,in ambito molto generale, non mi riferisco solo alla scuola ma a qualunque campo, potrebbe prendere in considerazione una cosa del genere e cioè giungere a porre delle condizioni perché chi si trova nella posizione di discente possa essere meno ingenuo,sarebbe già qualcosa e da qui mi riallaccio all’insegnamento della psicanalisi,che fa anche questo, insegna a essere meno ingenui rispetto ai propri pensieri, alle proprie superstizioni, alle proprie credenze o paure, tutto quello che vi pare, se io ho paura di qualche cosa è necessario che io creda in questa cosa, qualunque essa sia, perché se non ci credo non posso averne paura, in nessun modo, ma è solo un esempio…

Intervento: sono spaventati…

Indirettamente, ho parlato della retorica dell’insegnamento, in effetti è un’operazione retorica, dicevo che è importante la retorica, una volta la insegnavano. Sapete come facevano i gesuiti? Strani personaggi ma… facevano dei veri e propri agoni dialettici, due alunni dovevano sostenere l’uno una cosa e l’altro il contrario, con un giudice, e venivano addestrati a combattere dialetticamente. Anche lì ovvio l’insegnamento era finalizzato a un certo obiettivo…

Intervento:…

questo avviene nelle aule del tribunale. Una causa significa affidarsi a qualcuno che dimostri una tesa e qualcun altro che prova a confutarla, anche quello è un gioco…

Intervento:...

La questione del diritto è molto importante, però non è la sede, certo, ci sono degli insegnanti qui in sala? Nessuno insegna nulla a nessuno? Ognun per sé e dio per tutti! Lei insegna?

Intervento: alle elementari…

Ritiene che sarebbe utile insegnare magari a dei ragazzi più grandi una cosa del genere, a sapere dimostrare e confutare qualunque cosa, indifferentemente?

Intervento:

sì, bene

Intervento:

è sicuramente un ottimo esercizio questo, è fuori dubbio, e avrebbe anche degli effetti collaterali e cioè formare persone meno disponibili a credere qualunque cosa, questione che potrebbe non essere un vantaggio, e sicuramente per molti non lo è affatto.