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IL DISCORSO SCHIZOFRENICO

 

18/11/1997

 

Della schizofrenia si è detto sempre molto anche perché ha molto incuriosito, molto interessato soprattutto per i modi in cui si manifesta, ed è noto che con schizofrenia si intende una sorta di dissociazione, almeno così nella vulgata o nei manuali di psichiatria, dissociazione per cui ci sarebbe una scissione della personalità, ma il discorso schizofrenico ha aspetti molto più interessanti. Intanto alcuni aspetti, alcune figure del discorso schizofrenico che non è come comunemente si intende la pazzia, non ha nulla a che fare. Il discorso schizofrenico è caratterizzato in prima istanza dalla assenza di riferimenti, tant’è che le figure comuni del discorso schizofrenico sono il deserto, l’oceano oppure l’idea di una caduta senza fine, cioè tutte immagini che evocano una situazione di totale assenza di referenti o di elementi a cui ancorarsi. In effetti chi si trova in questa struttura di discorso perlopiù avverte questa sensazione, non di disorientamento in seguito all’assenza di riferimenti ma di vuoto, come se ciascun elemento circostante fosse privo di senso e quindi come se fosse circondato da elementi inesistenti tutto sommato. La questione del vuoto nel discorso schizofrenico è importante, come se lo abitasse in un certo senso, abitando il vuoto è circondato dal nulla, ed è una curiosa situazione dal momento che l’essere o meglio l’abitare il nulla per così dire, comporta da una parte l’assenza di elementi provvisti di senso e dall’altra come conseguenza di questo il trovarsi in una continua carrellata di cose che compaiono dinanzi in una sorta di scivolamento inarrestabile, ciascun elemento rinvia ad un altro, questo ad un altro, questo ad un altro ancora senza possibilità di fermarsi, e in effetti questa impossibilità procede dal fatto che nessun elemento ha tale portata da consentire l’arresto. C’è un aspetto che abbiamo visto anche nei confronti degli altri discorsi, connesso con la responsabilità, un elemento importante in ciascuno di questi discorsi, il discorso schizofrenico funziona in modo particolare cioè è particolare come il discorso schizofrenico elude la questione della responsabilità di ciò che dice, questo avviene in una sorta di sottrazione, il discorso schizofrenico si sottrae continuamente a tutto ciò che gli si para innanzi e si sottrae nella modalità che indicavo prima, cioè ciascun elemento è sempre di scarsissimo rilievo e quindi non è tenuto in conto, da qui una apparente mobilità del discorso schizofrenico che invece poi per altri versi incontra una notevole immobilità perché preso in questo vortice gira in tondo senza andare da nessuna parte, senza andare da nessuna parte nel senso che non trovando mai un aggancio è come se fosse sempre in sospeso, sospeso sul nulla. La difficoltà che incontra il discorso schizofrenico è nel fatto che questo vuoto che lo circonda e in cui abita e che per alcuni versi costituisce una sorta di prevenzione (nel senso che se nulla esiste, nulla turba), comporta la sensazione di totale inesistenza delle cose che può anche giungere a livelli drammatici, fino non solo ad abitare ma a rappresentare il vuoto, il nulla. Nei casi in cui il discorso schizofrenico incontri una psicotizzazione può diventare arduo intervenire, dal momento che anche la persona che all’occorrenza si dà da fare per intervenire rispetto a questo discorso è nulla, quindi non c’è modo di, potremmo quasi dirla così, di entrare in contatto, però questi sono casi limite, generalmente non avviene così, il discorso schizofrenico è tutto sommato abbastanza diffuso ed è anche abbastanza facilmente riconoscibile, adesso vi sto dicendo alcune amenità, i tratti che segnano per così dire, gli elementi di cui dicevo sono una sorta di sguardo perso nel vuoto. Gli occhi vuoti, avete mai visto persone che vi danno questa sensazione? Ci sono buone probabilità che si tratti di un discorso schizofrenico. Ma a differenza del discorso ossessivo che di questo fa una caricatura, il discorso schizofrenico si trova effettivamente in quella posizione, nella quasi totale assenza di emozione, come se tutto fosse fermo. Alcuni accostavano al discorso schizofrenico una certa immagine che è quella di un oggetto, che può anche essere il corpo, esploso e bloccato nel momento dell’esplosione, con tutti i pezzi fermi, così come certe volte vengono mostrate alcune parti del corpo umano o di un motore, come se fosse esploso. Ecco qualcosa del genere, è una struttura di discorso che offre notevoli difficoltà all’analista, non perché sia diffidente, sospettoso, come abbiamo visto nel caso del discorso ossessivo, paranoico ecc. assolutamente no, il problema è che qualunque cosa intervenga lungo il suo discorso non ha nessun rilievo, nessun valore e quindi non si ferma, prosegue in una sorta di corsa inarrestabile e la difficoltà sta proprio in questo, nell’arrestare questa corsa. Arrestare questa corsa comporta e prevede innanzi tutto il cogliere o in alcuni casi "costringere" tra virgolette ad accogliere l’elemento che interviene, non è casuale che nel discorso schizofrenico molto spesso le sedute siano molto brevi, spesso si interrompe una seduta proprio là dove improvvisamente il discorso scivola immediatamente su altro. Il termine della seduta in quel punto può, non è una legge ovviamente che sto enunciando, può consentire una sorta di arresto proprio su quell’elemento, in modo che ci sia una riflessione, quanto meno prendere atto dell’esistenza di quel elemento, perché è questo l’aspetto principale connesso con il discorso schizofrenico, la necessità di porre le condizioni perché almeno sia possibile prendere atto degli elementi che intervengono nel discorso, anziché dissolversi uno dietro l’altro ininterrottamente. Non è che non si possa intervenire nel discorso schizofrenico ovviamente, ma occorre tenere conto di questo aspetto. Come in ciascun discorso cambia molto il ritmo della seduta e anche l’intervento dell’analista, fra i primi tempi dell’analisi e ciò che avviene in seguito. Dicevo forse qualche tempo fa che l’avvio di una analisi è prevalentemente retorico, cioè ciò che ascoltate sono figure retoriche scambiate assunte come dati di fatto, come asserzioni necessarie. Questa sovrapposizione è ciò che Freud indicava con nevrosi. Se io ritengo una figura retorica una necessità logica, allora non posso in nessun modo considerare che ciò che sto dicendo è assolutamente arbitrario e quindi non costringe ad un assenso, pertanto lo considererò una necessità e questo comporta l’impossibilità di accogliere altri giochi, altre figure retoriche rispetto a quell’elemento e quindi una sorta di immobilità. Un discorso, qualunque discorso, una convinzione, una credenza, una opinione muove da uno o più principi, questi principi sono ritenuti veri, ora si procede in modo inferenziale cioè attraverso delle deduzioni, delle induzioni e si giunge a una conclusione, il procedimento inferenziale può essere più o meno corretto e quindi questo induce a pensare che se sono partito da una premessa vera e ho compiuto un ragionamento corretto, allora necessariamente la conclusione cui sono giunto è vera. Il che non è, non è per due buoni motivi, primo che il principio da cui sono partito non è necessariamente vero, il secondo che il processo inferenziale che ho compiuto forse potrebbe essere almeno riconsiderato. È noto ormai da tempo che muovendo da una qualunque premessa è possibile giungere a considerazioni, se non addirittura a conclusioni diametralmente opposte, e ciascuna delle due assolutamente legittima, ma se un discorso, quello schizofrenico come ciascun altro, non può considerare che i principi da cui muove sono assolutamente arbitrari, allora non potrà mai in nessun modo accorgersi che le conclusioni cui giunge, che lo fanno muovere pensare e agire in un certo modo sono assolutamente arbitrarie, cioè non necessarie. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che nulla mi costringe a fare questo che sto facendo, se lo faccio è perché io ho deciso di farlo, questo può apparire abbastanza semplice da accogliere, diventa molto più difficile quando questo discorso si porta alle estreme conseguenze e si considera qualunque aspetto come una decisione, per esempio la sofferenza, la depressione e che chi più ne ha più ne metta. Non sono altro che decisioni, Freud aveva già intravista la questione quando si accorse che non c’era nulla di necessario nella nevrosi, era una costruzione, costruzione del discorso, nessuno costringe ad essere isterici, paranoici, ossessivi ecc. non è una costrizione né una necessità. Con decisione non intendo necessariamente che una persona si metta a tavolino e prendendo carta e matita giunga a considerare che occorre che sia in un certo modo, ma una decisione nel senso che tutto ciò che avviene nel pensiero di una persona procede dal suo discorso inesorabilmente, è il suo discorso che lo produce, è il suo discorso che decide, la questione è che ciascuno non è altro che il discorso in cui si trova e quindi possiamo dire che è una sua decisione. Può non accorgersene ovviamente, come avviene perlopiù, e allora può accadere che ci sia, per esempio, una domanda di analisi. Posta in questi termini una domanda di analisi è paradossale, nel senso che una persona si rivolge ad un altra per chiedergli di dargli una mano a eliminare ciò che questa stessa persona ha deciso di mettere in atto, una ben bizzarra situazione ed è esattamente con questo che si trova ad avere a che fare l’analista. Lo stesso Freud ha colta la questione quando si è accorto che le persone che iniziavano l’analisi dopo un po’ facevano di tutto per ostacolarla, e cioè non ne volevano sapere di variare uno stato di cose e allora si è accorto che c’è una sorta di tornaconto. Tutto questo rimane in un ambito prevalentemente retorico, come ciascuna costruzione del discorso, tutto ciò che il discorso costruisce che è ciò che ciascuno pensa, crede, fa, sogna, immagina, teme ecc. ecc. ha l’andamento, linguisticamente parlando, di una figura retorica e come tale non necessaria. Una figura retorica non è necessaria, è assolutamente arbitraria, dicevo che si tratta di accorgersene però e questo può essere tutt’altro che semplice, stranamente però, dal momento che ciascuno, almeno in teoria, ha tutti gli elementi per poterlo fare, se non lo fa non possiamo considerare altrimenti che abbia dei buoni motivi per non farlo. Quali sono questi buoni motivi? Questa è una questione che va affrontata in ciascun caso, ma per lo più si tratta di un tornaconto di eccitazione, di piacere, e di senso. Il senso è un aspetto importante per gli umani e la sofferenza è una notevole produttrice di senso, come la religione, dà un senso alla vita. Vi sarà capitato di ascoltare che quando si ottiene qualcosa attraverso la sofferenza, il dolore e il sacrificio questa cosa vale di più che se invece la otteneste immediatamente, gratis et amore dei, senza nessuno sforzo. Perché vale di più secondo questo adagio? Tutto questo è un po’ folcloristico certo, però può essere emblematico per alcuni aspetti, perché molto cristianamente, ma anche molto prima del cristianesimo, la sofferenza ha sempre avuto una sua nobiltà. Ed è interessante questa questione per le implicazione e le connessioni che ha, al di là dell’aspetto seduttivo che ha la sofferenza, produce delle sensazioni, sensazioni che possono anche essere molto forti, questa è una prerogativa della sofferenza ma non soltanto. La sofferenza è uno degli strumenti principali, per questo è così perseguita, certo non è necessaria, ma può diventarlo se è l’unica fonte di eccitazione o di senso. L’unico modo per dare un significato alla vita per esempio. Per uno strano destino gli umani si sono sempre dati molto da fare per cercare un senso alla vita o almeno a ciò che stavano facendo, se proprio volevano mettersi nei guai cercando un senso alla vita, almeno della propria, delle cose che si vanno facendo, perché in assenza di questo, cioè del senso, si imbattono in una situazione per molti penosa, se non addirittura disperante, pensate al fatto che in molti casi ci si adopera per distrarsi. Uno da cosa deve distrarsi, se non dai propri pensieri? E distraendosi dai propri pensieri evita di pensare ad alcune cose evidentemente, alcune cose che lo riguardano e alle quali preferisce non pensare evidentemente, tant’è che il periodo in cui i cosiddetti disagi psichici aumentano sono i periodi di maggiore benessere, cioè i periodi in cui le persone meno sono sottoposte a incombenze immediate, come salvare la pelle, che è una incombenza che generalmente occupa moltissimo. In effetti durante le guerre, come già Freud rilevava, i disturbi psichici si attenuano, ché uno è occupato a salvare la pelle, ma non è tanto questo, quanto il fatto di essere occupati da qualche cos’altro, che si ritiene molto importante. Questo consente di avere un buon motivo per non incontrare i propri pensieri che da sempre sono malvisti, perché forieri di dubbi, di perplessità, e di cose a cui generalmente si preferisce non pensare, perché se si pensassero queste porterebbero a delle conclusioni che non si accettano, per vari motivi, come se sempre questi pensieri se lasciati correre conducessero a conclusioni nefande, questo è anche possibile, ma la questione va affrontata in un altro modo. Proviamo a partire da qui: perché la ricerca del senso? A che scopo o se preferite, qual è il senso della ricerca del senso? O, come si chiedono alcuni filosofi del linguaggio, qual è il significato del significato? E così via. Questione legittima, questione che chi avverte una assenza di senso almeno dovrebbe porsi, cioè che cos’è esattamente il senso, visto che non c’è, per sapere che non c’è occorre sapere almeno che cos’è. Ora stabilire che cosa sia esattamente il senso, come facilmente immaginate, non è questione semplice e non lo è perché qualunque risposta voi diate alla suddetta domanda vi ricondurrà immediatamente al punto di partenza, cosa che può creare e ha creato in molti non pochi problemi, in definitiva il senso che si vorrebbe trovare è quello definitivo, quello ultimo, quello che impedisce questa sorta di regressio ad infinitum. Dio è generalmente la risposta a questa domanda, la più accreditata, tra l’altro anche l’unica che consenta un arresto in definitiva e quand’è che ci si arresta? Quando si crede che sia così, il credere una cosa costituisce sempre l’arresto del discorso, lì mi fermo, in questo senso ciascuna credenza, superstizione, religione o opinione costituisce un limite, un limite oltre il quale il discorso non va, perché io credo così e quindi non può essere altrimenti. La ricerca del senso è generalmente una ricerca religiosa che non tiene conto di un altra domanda che è possibile farsi: perché le cose dovrebbero avere un senso, una volta stabilito cosa sia il senso naturalmente, perché dovrebbero averne uno? Qui occorrerebbe aprire una parentesi di proporzioni colossali, perché aprirebbe a tutta la questione religiosa, dalle origini ai giorni nostri, che non è la sede né la serata giusta, ma appena per dare un accenno potremmo dire che ciascun discorso, l’isterico, paranoico, ossessivo e schizofrenico, hanno in comune l’essere né più né meno che strutture religiose, e cioè perseguono il senso, perseguono il significato, perseguono ciascuno a modo suo una immobilità e l’immobilità è immaginata come la risposta alla domanda, qualunque sia la domanda non ha importanza. Ecco questi discorsi sono organizzati, ciascuno di loro, in modo tale da potere accogliere ed accogliere all’occorrenza la risposta. Che cos’è una risposta? Potremmo dire che è un’altra formulazione della domanda, questo è il modo più saggio di affrontare la questione, è in definitiva un’altra domanda. Ciò in cui consiste il compito di un analista è porre le condizioni perché la struttura religiosa del discorso in cui una persona si trova cessi. In definitiva non fa nient’altro che questo, per questo occorre che l’analista non sia anche lui un religioso, non intendo dire un prete, ma una persona che crede, che ha dei riferimenti precisi, per esempio una teoria, non vale né più e né meno di una struttura religiosa una teoria è, così come è comunemente intesa, la risposta soddisfacente ad un certo numero di domande, però come ciascuna risposta è sempre assolutamente arbitraria e quindi non può in nessun modo costringere all’assenso e a questo punto ciascuno legittimamente potrebbe domandarsi perché una al posto dell’altra, o perché nessuna a questo punto, perché avere riferimenti necessariamente, a che servono? O se volete dirla in termini più espliciti, perché credere in una religione? A che scopo? Se non per trovare questo senso, ma perché dovrei cercare il senso? Sono domande che uno può farsi, domande anche legittime, in definitiva non è altro che un addestramento a pensare, a pensare in un modo non religioso, religioso nell’accezione che sto indicando. Se volete ancora dirla in termini più espliciti con religione intendo qualunque pensiero che immagini che esista almeno un elemento fuori dalla parola, questo per i motivi che abbiamo detti mille volte, è sufficiente un elemento, che è poi quello che è creduto necessariamente vero, quello su cui si costruisce tutta la propria esistenza, il proprio modo di pensare, le proprie convinzioni, le proprie certezze, la propria vita per dirla in una parola, ciascuno è le cose che pensa e cioè in definitiva le cose che dice, non è nient’altro che questo. Ecco, la questione del discorso schizofrenico, ci ha consentito questa digressione, che tanto digressione non è perché in fondo si tratta anche di questo nel discorso schizofrenico, l’impossibilità di accogliere gli elementi così come si incontrano e interrogarli e svolgerli e considerarli per quello che sono e cioè elementi linguistici, figure retoriche, ciò che definisce il discorso schizofrenico è la sua religiosità, e con religiosità possiamo anche intendere il bisogno di un senso, di un significato, di una risposta quello che vi pare, non ha importanza. Ed è proprio nel momento in cui tutto va bene che le cose incominciano ad andare male, tutto va bene cioè non c’è nulla, nessuna preoccupazione, il lavoro va bene, la famiglia va bene, la salute assiste, il cielo è sereno, tutte le condizioni sono favorevoli, proprio a quel punto le cose incominciano ad andare male, e cioè a mostrarsi differenti da come ci si aspettava che fossero, un po’ come quando si ottiene una cosa che si è fortemente desiderata, molto spesso c’è un contraccolpo. Sempre Freud lo descrive nel saggio divertente che si chiama Coloro che soccombono al successo, una persona tutta la vita sogna di raggiungere una certa cosa, la raggiunge e c’è il collasso, la catastrofe psichica, ecco non è poi una cosa così singolare, perché a quel punto la questione o almeno la domanda che sorge immediatamente è "e adesso cosa faccio?" Adesso ho tutto quello che volevo, e allora? Adesso non c’è più nulla che dall’esterno mi chiami a fare qualche cosa, nulla che io sia costretto a fare, nulla che io debba fare e spesso interviene la paralisi. Pensate all’esempio quasi ormai diventato luogo comune, le persone che dopo una vita di lavoro sognando la pensione, finalmente arrivano alle pensione e muoiono, non si godono neanche la pensione, ammesso che sia godibile e dicevo è quasi diventato un luogo comune il considerare che il raggiungimento di ciò che si è anelato per tutta la vita comporti la morte, la morte intesa anche come assenza di desiderio. Comporta un contraccolpo in alcuni casi molto violento il raggiungimento di ciò che si desidera, cioè nella mia vita voglio questo, la cosa peggiore che si potrebbe fare a qualcuno è dargliela immediatamente, se volete rovinargli l’esistenza, fornitegliela immediatamente. Ma non dico nulla di nuovo, sono cose che si sanno da sempre, ciò che possiamo aggiungere è l’eventualità di potere intendere una struttura e soprattutto cosa sostiene un discorso del genere e magari riflettere come avvenga questo fenomeno così apparentemente bizzarro, per cui il raggiungimento di ciò che maggiormente si desidera corrisponda molte volte alla paralisi, alla catastrofe. Possiamo incominciare a orientare la questione tenendo conto che a quel punto, non essendoci più nulla che mi chiama a fare qualcosa, mi trovo solo con i miei pensieri, non sorretto né accompagnato da urgenze, necessità, doveri, bisogni ecc. tutto il discorso occidentale è improntato al porre ciascun cittadino nelle condizioni di non dovere mai trovarsi in questo frangente sapendo in qualche modo, ciascuno, che questo frangente è una catastrofe e quindi da evitare assolutamente. Potremmo dirla così, non aver uno scopo nella vita, assolutamente nessuno, è una condizione che per molti può apparire drammatica eppure è la condizione in cui ciascuno si trova, che lo sappia o no, che lo voglia o no. L’eventualità di prenderne atto, può eliminare la possibilità, in alcuni casi la probabilità che l’impatto con questa considerazione sia catastrofico, considerare che la propria esistenza è per nulla è una considerazione molto banale, molto semplice a farsi. Possiamo anche farlo se volete, è talmente semplice: non c’è la possibilità di potere stabilire che cosa sia il senso, dunque in nessun modo posso dare alla mia esistenza un senso che sia quello ultimo, quello definitivo, posso inventarmene uno, posso inventarmene centomila ovviamente, ma nessuno di loro avrà la dignità che ci si aspetta che abbia il senso della propria vita. Che senso ha l’esistenza? E l’altro ribatte, che senso ha questa domanda? Una replica legittima, come dire, prima dimmi che senso ha questa domanda e dopo ti dirò che senso ha la vita. Ecco, il discorso schizofrenico fa la caricatura di tutto questo, in qualche modo lo rappresenta, lo vive proprio, più che una caricatura, lo abita... intanto se ci sono delle questioni anche rispetto agli incontri precedenti, parecchi di voi erano presenti anche agli incontri precedenti quindi hanno seguito, le persone che sono qui per la prima volta non hanno seguito il discorso che abbiamo fatto in questi incontri, per cui forse molte cose le ha date per scontate e invece non lo sono affatto, se così fosse qualcuno me lo dica....

Intervento: sullo scopo della vita

Il modo in cui stiamo procedendo è piuttosto bizzarro, prima di chiederci se c’è una spiegazione noi ci chiediamo che cosa sia esattamente una spiegazione. Una volta che abbiamo stabilito questo, che con spiegazione intendiamo quello che ci pare dal momento che non c’è nulla che ci costringa ad accogliere una qualsiasi definizione anziché un’altra, allora se abbiamo accettato una certa accezione di spiegazione possiamo stabilire che questo ha una causa biologica, fisica, atmosferica, religiosa, qualunque altra cosa va bene, ciò che lei chiede è la risposta quella vera. Ma le risposte che ha trovate sono nel linguaggio e come tali esistono all’interno della combinatoria linguistica che le ha prodotte, come dire che ciò che cerca sarà sempre altro da ciò che trova, perché ciò che troverà, quell’elemento qualunque esso sia sarà inserito in una combinatoria linguistica che è differente e non sarà mai in nessun modo ciò che ha cercato. Questa è l’unica risposta sensata che possa darsi, sensata in quanto procede da qualcosa di estremo, poi uno può cercare anche motivazioni dovunque gli paia, però l’unica struttura assolutamente necessaria e quella per cui gli umani sono tali è il linguaggio. Noi abbiamo detto tempo fa che se non ci fosse il linguaggio gli umani non è che non esisterebbero, non sarebbero mai esistiti, per dirla in termini più espliciti, mai per nessun motivo. Per cui così come avviene nel discorso scientifico, molti filosofi della scienza lo sanno molto bene, dipende dalla nozione che si dà di spiegazione e quali parametri si usano per stabilirla ciò che si troverà, o ciò che si spiegherà, o l’efficacia della spiegazione. In un certo senso ciò che si trova è già implicito in ciò che si cerca, o nel cercare stesso in molti casi, per cui la risposta alla sua domanda in effetti è questa: che non essendoci uscita dal linguaggio ciascun elemento è preso in questa struttura così bizzarra che comunemente chiamiamo linguaggio, e che impedisce una serie notevole di cose e molte altre le consente, ma un certo numero le impedisce, per esempio di uscirne fuori, questa è una...

Intervento: il punto di partenza, una volta che è trovato si trova tutto...

In un certo senso sì, questa è la sua chance anche, e cioè il fatto che il linguaggio può costruire una quantità infinita di proposizioni, ed è una struttura bizzarra perché è simultaneamente un insieme chiuso e un insieme aperto. Un insieme aperto in quanto può produrre un numero illimitato di proposizioni ed è chiuso perché non consente l’uscita. Questa è la questione un po’ paradossale...

Intervento:…

Il punto di partenza... in questo senso che comunque spinge a proseguire, è inarrestabile, anzi più la cosa è portata alle estreme conseguenze e più diventa inarrestabile. Per quanto riguarda il processo dialettico tu lo poni come figura retorica o come necessità logica? È una figura retorica... Serve a spiegare un processo una figura retorica? Be se è una allegoria sì, però anche lì è presa come allegoria, è complessa la questione connessa con la nozione di spiegazione, così come anche di definizione. Certo una figura retorica può spiegare, cioè illustrare in un altro modo un pensiero ma questo altro modo è un’altra figura retorica, non può mai illustrare, per dirla così in un modo un po’ rozzo, come stanno le cose o definire uno stato di cose, uno stato di fatto. Racconta, racconta qualcosa, ma se dovessimo considerare in termini prettamente logici sarebbe assolutamente inutile perché non utilizzabile, non sapremmo cosa farcene.

Intervento: la figura del discorso schizofrenico è il vuoto, quindi potrebbe sembrare che non ci sia senso per questo discorso, ma c’è il vuoto perché c’è un unisenso, come senso unico

Dicevo assenza di senso, ma senso qui in accezione letterale cioè di direzione, senso unico, senso vietato, direzione, il senso del discorso è la sua direzione, per questo dicevo assenza di senso, in quanto non c’è direzione, cioè gira in tondo, è come un cerchio

Intervento: ma la struttura logica di questo discorso?

Non ha nessuna struttura logica, ha una struttura retorica

Intervento: diceva direzione come ricerca del senso ultimo, cioè la morte, ma qualcosa si arresta

Così come lei pone la questione la morte interviene come una figura retorica che ha questa funzione di ultimo anello di una catena di spiegazioni, in effetti la domanda di cui si diceva prima intorno al senso dell’esistenza generalmente prevede anche questo, cosa c’è dopo la vita? O dopo la morte? O dopo tutte due a seconda dei casi. E qui ciascuna religione ci ha messo del suo ovviamente. Ma ciascuno tutto sommato può immaginare quello che gli pare, ma le religioni hanno avuto il compito di compiere una economia della morte, nel senso di gestirla, così come la sessualità per esempio, gestire la morte è un’altra via per fornire del senso, per persuadere o per perpetrare la nobile menzogna, la nobile menzogna è quella che afferma che non tutto è linguaggio e l’ha inventata Platone, è Platone che ha inventato la menzogna, non c’era prima di lui in termini così formalizzati, non che le persone prima non raccontassero balle, come si suol dire, l’hanno sempre fatto, ma la menzogna in accezione così nobile, così formalizzata l’ha inventata lui...(....) Parmenide? No, anche se lui dice "se non percorri questa via sei nella menzogna", no la menzogna proprio istituzionalizzata dicevo, quella l’ha inventata Platone muovendo da tutto un percorso relativo alla finzione, all’espressione dicevamo l’altra sera con gli amici, discutendo intorno alla linguistica che ha mantenuto e mantiene un impianto prevalentemente platonico in quanto la parola è sempre immaginata come espressione di qualche cos’altro che parola non è, e quindi tutto il linguaggio non è altro che una sorta di finzione, la parola rappresenta ma il rappresentato sta altrove, questa è la nobile menzogna, e raccontavo che il testo fondamentale di linguistica è la Repubblica di Platone più ancora del Cratilo che generalmente è considerato un testo di linguistica, perché lì ci sono tutte le fondamenta di tutto il pensiero occidentale e in particolare della linguistica, e cioè l’istituzionalizzazione della menzogna come possibilità, fino ad oggi, anche l’ermeneutica tutto sommato mantiene la stessa credenza.

Intervento:…

Dicevamo della nobile menzogna che afferma che non tutto è linguaggio, su questa nobile menzogna è possibile costruire la civiltà, senza questa nobile menzogna no, non è possibile. La civiltà così come è strutturata oggi ovviamente, che questo sia un bene o un male questo è un discorso che poco ci interessa, è una considerazione che può farsi. Potete rileggervi la Repubblica, l’avrete letta mille volte, ma questa volta tenendo conto di questo aspetto. Grazie a tutti e buona notte.