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18-11-2004

 

Libreria LegoLibri

 

IL BISOGNO D’AMORE E L’EDUCAZIONE ALL’ODIO

 

Gabriele Bardini

 

 

In relazione anche all’odio se ci pensate la realtà è definita come ciò che mi è esterno con questa barriera del corpo di cui bisognerebbe discuterne più profusamente comunque la realtà è ciò che è esterno a me e incombe su di me perché io la realtà sono costretto a subirla perché mi è esterna non posso farci niente e sono costretto a subirla e quindi si potrebbe anche arrivare a odiarla questa realtà ma perché se è una realtà negativa… mi succede questo… una storia sentimentale finisce male ecc. cioè tutti questi elementi appartenenti a una realtà esterna incombono su di me e mi sembra non potere evitare un rapporto negativo con essi. Questo non è assolutamente vero perché un’altra difficoltà nell’intendere le nostre considerazioni sul linguaggio è il fatto che al momento in cui si definisce la realtà come un elemento linguistico parrebbe che io possa agirla totalmente cioè sembra quasi di cadere in un solipsismo cartesiano, ma non è così perché, sempre all’interno del linguaggio, la realtà ha una sua definizione operativa: è ciò che mi è esterno, quindi grazie alle nostre considerazioni non è che si fa assumere all’uomo un atteggiamento grazie al quale si può dominare l’intera realtà e piegarla alle proprie esigenze, questa è l’altra demistificazione delle nostre considerazioni, ma permette di avere un rapporto diverso con quello che accade perché non dovendolo subire necessariamente, grazie al linguaggio posso benissimo decidere di fare assumere agli eventi spiacevoli il significato che io preferisco, dando i principi che io preferisco, quindi l’evento c’è, spetta a me decidere come comportarmi in relazione ad esso, lo subisco ma in che modo? È questo che permette veramente il linguaggio e quindi a livello psicanalitico, perché si chiamano conferenze di psicanalisi non per altro, a livello psicanalitico permette di assumere un atteggiamento diverso verso le paure, le ansie che si provano dettate da un rapporto con una realtà che viene subita cioè il fatto c’è, perché sempre a livello linguistico la realtà è operativamente definito come ciò che mi è esterno ma il rapporto che io stabilisco con l’evento a me esterno è a mio avviso totale. Cioè volendo parlare per iperboli posso benissimo decidere che la morte di mia madre sia un evento piacevole senza alcun problema cioè è una definizione operativa, mia madre è morta e io… bene! In realtà mi era anche antipatica posso considerarlo un evento positivo per me ma cioè (non è vero nel mio caso no) ma potrebbe darsi, ma non dovrebbe neanche considerarsi come una follia perché è diverso da quello che pensano la maggior parte delle persone, è semplicemente un principio differente dal singolo verso il quale non c’è alcuna remora ma anche la definizione di follia cioè dei pluriomicidi evidentemente traggono piacere dall’uccidere è una loro definizione operativa di piacere, può anche sembrare interessante se si vuole indagare sul macabro si può fare insomma ci tenevo a sottolinearlo perché…

 

Intervento: soprattutto che si sta costruendo quella realtà, poter considerare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico quindi è linguaggio che sta funzionando, permette di affrontare le proprie costruzioni sapendo che se ne è artefici e allora certamente al momento in cui si può accogliere questo gioco in cui la morte della madre è considerata piacevole dal mio discorso io l’accolgo, ci faccio i conti, ascolto quello che sto dicendo, chiaramente è una mia decisione se fermarmi al piacere oppure se continuare e giudicare che questa è una proposizione e che in quanto tale non è né vera né falsa, perché potrebbe essere anche qualcosa di diverso dal piacevole o spiacevole. È un a proposizione fra le altre e quindi direi che su questo punto è la responsabilità di quello che vado costruendo, delle mie inferenze, al momento in cui io so che sono mie, è il mio discorso che le costruisce e che io sono il discorso che faccio e che funziono per via di ciò che questo discorso crede e quindi gode perché non per tutti la morte della madre è piacevole, al momento che non posso non tenerne conto allora faccio i conti con questo con quella realtà che vado costruendo fino a…è possibile mantenerlo questo piacere? Ma è ancora un piacere se è una mia costruzione? O è il piacere del gioco che è dato dal subire a questo punto l’amore, l’interesse o il disinteresse della madre ma fuori dal mio discorso, allo stesso modo, una realtà esterna non una costruzione del discorso che è attratto da un giochino che ferma il suo proseguire ad un giudizio estetico “mi piace così e tanto basta, sono soddisfatto” un discorso se è un discorso non è soddisfatto da niente se non da proposizioni vere e allora per sapere cosa credo, cosa mi piace occorre tornare all’assioma che sostiene il tutto questo per elaborare e quindi poter proseguire, poter pensare…

 

Sì, Beatrice ha espresso un concetto molto importante io tenevo a sottolineare questa possibilità del fraintendimento del solipsismo perché parlando con i miei amici di queste questioni è capitato diverse volte che loro la intendessero in questo modo e quindi mi premeva di sottolinearlo, però Beatrice ha introdotto un concetto molto importante che è quello della responsabilità del proprio discorso che io inteso in modo non evidente cioè l’ho espresso in modo non esplicito, è chiaro che nel momento in cui c’è sempre questa realtà esterna che incombe su di me tutte le sensazioni spiacevoli che derivano da essa le subisco e quindi non sono responsabile perché è quella realtà giustamente che subisco e quindi il dolore me lo ritrovo e non posso non soffrire, invece con queste considerazioni inerenti al funzionamento del linguaggio nel corso di un’elaborazione come ha detto Beatrice si può benissimo decidere che cioè si può capire che in realtà il dolore che noi proviamo e consideriamo, il dolore che si deve provare necessariamente in realtà non è così è un dolore che noi in realtà cerchiamo perché se siamo padroni di decidere i principi sui quali fondare il nostro discorso ecco se ne manteniamo alcuni che ci recano sensazioni spiacevoli è perché le consideriamo piacevoli cioè perché le andiamo a cercare per permettere al nostro discorso di continuare, di creare queste stringhe propositive attraverso queste sensazioni di natura spiacevole…

 

Intervento: la questione della madre e della morte pensavo se questo poteva essere un assioma che appunto si riconduceva all’etica morale, come il discorso del serial killer

 

Se ci pensa bene in tutte le definizioni che sono state date di moralità dai diversi filosofi, la moralità viene definita attraverso degli assiomi perché per Kant poteva essere una cosa, per Hegel poteva essere un’altra, per Platone un’altra ancora ma in fondo andavano a regolare delle norme di comportamento attraverso degli assiomi quindi se il serial killer ha una sua moralità che gli altri considerano sbagliata non è detto che sia sbagliata semplicemente muove da principi differenti come il trarre piacere dal dolore altrui che sia la morte, la tortura…dalla morte dell’altro, dalla sua sofferenza nel caso dell’uomo che gioisce della morte della madre anche lì se si è educati a considerare l’amore materno come la più alta forma d’amore, se non è così se si considera la madre come una persona come un’altra che si può ritenere simpatica o antipatica e se si considera sbagliato questo pudore comportamentale verso la morte di qualcun altro che è nella nostra moralità ecco che si può benissimo considerare la morte della…… sono criteri estetici …non sono criteri logici sono criteri estetici perché decido quello che più mi piace…non posso dire questo va bene e questo no sono tutti assiomi ……..

 

Intervento: come ci poniamo di fronte al totalitarismo e alle efferatezze del mondo? Decidiamo che linguisticamente sono sopportabili?

Intervento: il problema è quello che gli altri se ne fregano di questi ragionamenti quindi costruiscono (..) (..) siamo d’accordo che la realtà è costruita dal linguaggio e la decido io eppure gli altri che se ne fregano invece mi violentano e allora…

 

È sempre un discorso che nasce da considerazioni di natura etica

 

Intervento: volevo solo aggiungere due cose per rispondere al signore per cui non si tratta di accettare nulla, si tratta di affrontare delle logiche, dei discorsi. Il totalitarismo, il nazismo, anche il pacifismo sono giochi linguistici, sono dei discorsi che partono da alcune premesse e attraverso tutta una serie di considerazioni giungono a delle conclusioni. Ci sarebbe molto da dire perché in effetti il bisogno d’amore e l’educazione all’odio ha una sua logica perché è proprio il bisogno d’amore che educa all’odio perché l’amore cristianamente è la verità e quindi questo ideale per esempio che si ascolta e si è sempre ascoltato soprattutto nell’ambito del discorso religioso, questo discorso di tendere all’amore universale siamo tutti figli di dio e quindi siamo tutti fratelli e ogni genitore ha piacere che i figli vadano d’accordo… dicevo l’amore è verità quale verità? La mia? La sua? È ovvio che l’odio che cos’è? È tutto ciò che non si conforma a questa verità. Se io sono educato alla verità e per verità qui possiamo intendere tutta una serie di cose cioè tutto quello che possono essere, possono costituire le premesse certe di un discorso come quello occidentale, per esempio, il discorso di una religione, questa è la verità perché sono principi che vengono assunti in quanto assolutamente certi e che sono quelli che informano la condotta di ciascuno, il pensiero di ciascuno, tutto ciò che si allontana da questo è male e la religione cosa dice? Tu non devi odiare nulla devi odiare il male, solo il male devi odiare e tu devi puntare al bene alla verità ecco l’educazione all’odio al momento in cui io credo che qualcosa sia una verità assoluta, sia una verità nel senso che è un qualche cosa che neanche minimamente penso di mettere in discussione, neanche minimamente perché sono quelle cose che informano la mia vita quotidiana dei più piccoli gesti, dei più piccoli pensieri, i pensieri anche più banali nel momento in cui io credo che tutto sia naturale nel senso che proviene da dio, la natura è qualche cosa che è la natura, si dice anche la propria personalità “la mia natura” io sono così, come dire sono così punto e basta se mi volete sono così se non mi volete… è chiaro a questo punto che tutto ciò che si allontana da questo è male e ci vuole niente per creare il totalitarismo, per creare gli stermini, per creare i massacri a cui assistiamo quotidianamente sono massacri che vengono compiuti in nome di una difesa di verità, della mia verità…Cristo diceva “ama il prossimo tuo come te stesso”… è un’espressione di un arroganza terribile perché è come dire ama anche quel poveraccio se sbaglia, amalo è una posizione di superiorità “io la verità accetto anche colui che sbaglia” è una posizione molto arrogante e per partire dalla verità è un modo per educare all’odio per creare gente che può commettere tutti gli atti più terribili di questo mondo, per questo si dice che le guerre sono esclusivamente guerre di religione anche se apparentemente possono esserci motivi economici perché è sempre una verità contro un’altra, Hitler non ha sterminato gli ebrei perché era tendenzialmente un cattivo lui faceva per il bene della Germania, faceva in nome di un bene, in nome di una verità ed era convinto di questo, intendo dire che laddove c’è una educazione a una verità automaticamente c’è un’educazione all’odio… questo solo per aggiungere poi c’è tutta una questione che chiaramente ha a che fare con la teoria del linguaggio, proviene anche da considerazioni e riflessioni di carattere psicanalitico perché la psicanalisi non è che si offra come modello per costruire una società migliore, non è questo il punto, la psicanalisi si occupa semplicemente di dissolvere quello che è il discorso religioso di una persona, religioso in senso lato, non nel senso di credere in dio o qualcosa, ma di credere in qualunque cosa e di assumere questo qualcosa in cui crede come quella verità che assolutamente per lui funziona come la realtà, vale a dire come quel qualcosa che assolutamente non può essere messo in discussione, invece no occorre portare qualunque cosa la persona si trovi a considerare alle estreme conseguenze, diciamo spesso che la psicanalisi si occupa poi semplicemente di una cosa che detta così può sembrare molto banale ma in effetti è molto difficile e molto complessa, si occupa di questo semplice fatto di sapere perché una persona pensa le cose che pensa, come dire da dove vengono i suoi pensieri, su quali fondamenta si sostengono quelle cose che normalmente non si interrogano mai perché va bene così, ognuno di noi sta benissimo così poi magari, sì, ci possono essere le occasioni in cui magari ci si può ripensare, le difficoltà, ansie, paure ecc. ecc. può essere una chance in un certo senso perché finalmente può incominciare a pensare poi è tutto lì il discorso....una persona tempo fa mi diceva “io odio una certa persona” adesso non ricordo neanche il contesto del discorso, ho cercato di farla parlare questa persona “io lo odio punto e basta” se si ferma lì la realtà è questa cioè non c’è tanto da discutere in effetti si fa così, non c’è tanto da discutere allora basta imbracciare un Kalashnikov e fare piazza pulita….

 

Vuole aggiungere qualcosa lei per chiudere in bellezza?

 

Intervento di Luciano Faioni:

 

La questione della verità di cui parlava Gabriele, e poi ripresa anche da Sandro, è una questione interessante anche se non è esattamente in questi termini, cioè alle persone in linea di massima importa assolutamente nulla, non ha assolutamente nessun rilievo sapere se una certa cosa è vera o è falsa, non significa niente, assolutamente niente, ciò che importa e che occorrerebbe rivalutare è il luogo comune. Il luogo comune è, possiamo definirlo in accezione molto rapida, ciò che è creduto perlopiù dai più ed è fondamentale da sempre, il luogo comune è ciò che salva gli umani dal baratro e dalla “follia” tra virgolette in cui cadrebbero se lasciati a se stessi, senza luogo comune, cioè senza una direzione comune. Senza qualcosa o qualcuno che li guidi, che li porti e che dica loro che cosa è bene e che cosa è male fino dai primi vagiti, in modo che abbia le idee molto chiare sui principi fondamentali della società, quelli sui quali la società si regge; senza i luoghi comuni sarebbe un problema di notevoli proporzioni cioè la gente comincerebbe, come diceva giustamente prima Sandro, a domandarsi perché, e questo non si deve fare mai, per nessun motivo e in effetti non avviene, non c’è nessun rischio che avvenga una cosa del genere. Il luogo comune, la cui portata è, come dicevo prima, fondamentale, mette al riparo dall’imbarazzo anche di una cosa del genere, dal cominciare a chiedersi il perché delle cose, perché credo una certa cosa? Non avviene, ma se mai avvenisse quale risposta dare a questa domanda? Ecco perché è un baratro, a questo punto la persona lasciata da sola con i suoi pensieri, con le cose che sa o che crede di sapere è allo sbando o, come ogni tanto qualcuno fa notare: il caos. È sempre un’operazione controproducente quella di invitare le persone a pensare, a chiedersi il perché delle cose, anche se non è poi in effetti così pericoloso, poiché non accade. Ciò che diceva prima Gabriele intorno alla questione della verità comporta sicuramente un aspetto che è insolito: questo di domandarsi perché io so una certa cosa o perché credo una certa cosa, supponiamo per un istante che qualcuno lo faccia, facciamo questa ipotesi per assurdo, cosa accadrebbe? Ovviamente andrebbe a cercare una risposta a questa banalissima domanda: “perché credo una certa cosa?” e troverebbe una risposta, ma questa risposta potrebbe non essere sufficiente ad accontentarlo e allora continuerebbe ad interrogare ma fino a dove? Fino a che punto? Fino a che punto è lecito proseguire? È un’operazione che è sgradevole anzi, se voi la fate nei confronti per esempio di un amico, questo amico dopo qualche minuto incomincerà a dare segni di impazienza prima, di fastidio dopo e di fortissimo nervosismo nel giro di pochi minuti e vi manderà via dicendo di smetterla di rompergli le scatole. Ma supponiamo che questo non avvenga, allora questa ricerca dei motivi giungerà inesorabilmente, se fatta con un certo criterio, anche a un’altra domanda e cioè: mi chiedo una certa cosa ma quali sono le condizioni per cui io accetterò una certa cosa come una risposta a questa domanda? È una domanda legittima, perché accolgo una risposta e un’altra no? C’è un motivo? Se sì, quale? Potrebbe non essere sempre facilissimo rispondere a questa domanda, cionondimeno è esattamente ciò che abbiamo fatto: ci si accorge mano a mano che non soltanto è necessario un criterio per procedere in questa maniera, ma che ciò a cui si giunge inesorabilmente è l’arbitrarietà, come veniva detto in modo molto preciso, di qualunque assioma dal quale io sia partito o altri siano partiti. Cosa intendo con arbitrarietà? Che x è dato come vero ma che tale non può essere provato, un po’ come l’esistenza di dio, per moltissimi è ancora assolutamente vera e indubitabile ma non può provarsi in nessun modo e a questo punto ecco che c’è il disorientamento: ma allora tutto ciò che è stato detto, pensato, costruito in questi ultimi duemilacinquecento anni è fondato su qualcosa o è fondato su nulla? Anche questa è una domanda legittima alla quale anche in questo caso potrebbe non essere facilissimo rispondere, anche perché c’è sempre quella piccola questione: a quali condizioni io accoglierò una risposta ad una certa domanda? E perché accoglierò una risposta anziché un’altra? Perché non contraddice la premessa? È un criterio anche questo però, però cosa avviene? È già stato detto in buona parte, avviene che ci si trova di fronte alla impossibilità di trovare un fondamento, certo ciò che ci si trova di fronte a quel punto è la considerazione ineluttabile che qualunque cosa vale quanto la sua contraria, almeno logicamente, tranne una, una sola che non vale quanto la sua contraria, e cioè che per considerare tutte queste cose, per pensare tutte queste cose, interrogare tutte queste cose ho bisogno di una struttura che mi consenta di farlo e senza la quale struttura tutte queste domande, questi pensieri, queste cose non sarebbero mai esistite. Gabriele prima accennava alla questione del linguaggio, il linguaggio ha precisato non come il chiacchierare con gli amici al bar della partita, ma qualcosa di più radicale e cioè una struttura, propriamente quella struttura che consente a ciascuno di pensare cioè di costruire quelle cose che comunemente si chiamano pensieri, deduzioni, conclusioni, apprezzamenti, qualunque cosa, sì questa struttura non potrebbe non esserci perché se non ci fosse allora che succederebbe? Non succederebbe niente, ma nel senso più radicale del termine, cioè niente sarebbe mai esistito, nemmeno io che ne sto parlando. Ecco a che cosa si giunge quando non ci si accontenta delle risposte, delle prime risposte che vengono in mente o propriamente del luogo comune, si procede, si va avanti fino ad arrivare a quel punto che indicavamo tempo fa come fine corsa, oltre il quale non è possibile andare e cioè la struttura del linguaggio che è quella che consente di pensarmi qualunque cosa io voglia pensarmi e di pensare, di concludere, di sapere, di ragionare, di sapere che esisto per esempio, e insieme con questo qualunque altra cosa. Ecco perché è stato posto l’accento sulla questione del linguaggio che diventa a questo punto non un elemento fra altri, ma la condizione dell’esistenza di qualunque altro perché è la condizione dell’esistenza del concetto stesso di “esistenza” per esempio. Giungere a considerazioni di questo genere può comportare una sorta di smarrimento, come dire: non c’è più il bene, allora non c’è più il male, allora chiunque potrebbe fare tutto ciò che vuole, cosa che comunque fa in ogni caso, ma perdere la nozione di bene e di male non è semplice anzi, è straordinariamente difficile perché costituiscono l’orientamento di ciascuno, costituiscono il fondamento del luogo comune al quale ciascuno si appella costantemente, ininterrottamente durante l’arco della giornata e della sua esistenza, dal quale è condotto e pilotato. Ciò che vi sto dicendo è soltanto questo, che c’è la possibilità, volendo, di interrogare il luogo comune e di chiedergli di che cosa è fatto. Tutto qui. C’è ancora il tempo per qualche questione se qualcuno ha voglia di porla… dubbi, perplessità, considerazioni di qualsiasi sorta…

 

Intervento: se le persone potessero accogliere, così come accoglie i vari luoghi comuni che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, mi chiedevo, se lo potessero fare se potessero accorgersi di questo particolare che pare insignificante (allora?) prima il signore chiedeva e i vari totalitarismi, e le ingiustizie e le guerre e le morti, gli stermini e tutte quelle cose brutte che vengono in mente quando c’è pericolo del caos? laddove fosse possibile parlare questa lingua, in qualche modo, in cui delle regole precise impongono ad ogni istante il pensiero, cosa ne sarebbe? Pare ancora qualche cosa che ha a che fare con il salvataggio dell’uomo però io credo che al momento che le persone possano considerarsi elementi linguistici, elementi di una struttura possano effettivamente agire e quindi accorgersi delle stupidaggini che man mano si trovano a vivere, per continuare a vivere… ecco mi chiedevo al momento ci siano molti analisti potrebbero i grandi e i piccoli conflitti sussistere?

 

No, certo che no, se una cosa è risibile proprio perché tale viene abbandonata, cessa di essere interessante, cessa di interessare. Così come avviene che un bimbetto giochi con i soldatini e poi da adulto cessi di farlo, non interessa più, il gioco mano a mano, proprio per sua definizione, occorre che abbia una posta sempre più alta per essere divertente, e la posta più alta è considerare il gioco stesso. L’elaborazione intorno al linguaggio è una gran bella cosa, dopotutto nessuno è mai stato in condizioni di porci nessuna obiezione teorica. Va bene. Grazie a tutti e ci vediamo giovedì con l’intervento dal titolo: “Madri che uccidono”.