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Torino, 18 marzo 2008

 

Libreria LegoLibri

 

L’AMORE DELLO PSICANALISTA

 

Luciano Faioni

 

 

Riprendiamo gli incontri che abbiamo avviato da parecchi anni in questa libreria, incontri sulla psicanalisi. Questa sera parleremo dell’amore dello psicanalista. Abbiamo organizzato questa serata per due ragioni: la prima ragione esporre, mostrare, discutere con voi di alcune questioni intorno alle quali stiamo discutendo da tempo circa la psicanalisi, che cosa sia esattamente la psicanalisi e di conseguenza che cosa faccia uno psicanalista, l’altra ragione è avere un’occasione, una buona occasione per invitare ciascuno di voi agli incontri che facciamo il mercoledì sera. Sono incontri di formazione dove vengono discusse le questioni che mano a mano si incontrano durante l’esperienza psicanalitica, questioni teoriche prevalentemente ma anche cliniche e quindi porre le condizioni perché ciascuno possa avvicinarsi alla teoria psicanalitica in modo più deciso oltreché più preciso. Questi incontri che avvengono ciascun mercoledì ormai da moltissimo tempo sono fatti per amore, per amore del pensiero, per amore della ricerca, una spinta molto forte che ci ha mossi da molti anni a intendere come funziona il pensiero, intenderne le sue pieghe, i suoi risvolti e anche che cosa lo supporta, da dove viene, perché costruisce le cose che costruisce rendendoci conto mano a mano dell’importanza che ha il pensiero, il discorso in definitiva di ciascuno, l’importanza che ha per la sua vita, per le sue scelte, le sue decisioni, per tutto ciò che lo riguarda. Generalmente le persone non si curano molto di ciò che pensano e se amano ciò che dicono è soltanto rispetto alle conclusioni cui giungono, conclusioni che ritengono vere quindi degne di essere imposte, divulgate e diffuse al mondo intero ma non c’è in effetti una grande attenzione al perché si pensano le cose che si pensano, da dove vengono, perché mi trovo a credere una certa cosa, la risposta è comunemente perché è così, ma potrebbe non essere così automatico che le cose siano così come si pensa che siano. Quando una persona si rivolge a uno psicanalista generalmente è perché c’è qualche problema cioè una qualunque cosa alla quale non si riesce a rispondere o con la quale diventa difficile convivere, se non impossibile, e a questo punto si espongono all’analista le cose così come stanno, come si pensa che siano. Esponendo tutte queste cose una persona non le interroga, le espone perché rappresentano o mostrano uno stato di fatto, non ciò che la persona crede ma come le cose sono, come se la persona non si prendesse in realtà cura del suo pensiero e delle cose che dice, del suo discorso, ma semplicemente dandolo per buono lo esponesse come la verità e suppone che sia la verità perché rappresentando le cose così come stanno non può che essere vero. A questo punto ciò che l’analista occorre che faccia è porre le condizioni perché una persona possa occuparsi del suo pensiero, del suo discorso, a interrogare cioè tutte quelle cose, quei pensieri, quelle certezze che di per sé, da sola questa persona probabilmente non avrebbe mai interrogato in vita sua e non l’avrebbe mai fatto perché non avrebbe mai ritenuto che ci fosse la necessità di farlo perché convinta, fortissimamente convinta che le cose che pensa corrispondano alle cose che la circondano, come dicevo prima, a uno stato di fatto. Dunque l’analista, invita, provoca la persona invece a incominciare a prendersi cura del suo pensiero e cioè interrogarlo, prendere le cose che si pensano, che si credono più o meno indubitabilmente e chiedere a queste cose di rendere conto di sé, da dove vengono, cosa le sostiene, cosa le supporta, cosa le ha costruite. Dovete tenere conto che quando una persona esponendo le cose che pensa, che crede, tende sempre a raggiungere una conclusione tale per cui afferma o può affermare che le cose stanno così, oppure non sa come stanno le cose ma è sicuro che stiano in un certo modo, è una certezza che è solo spostata quindi il suo discorso è un discorso chiuso, come se giungesse alla conclusione per cui non può essere altrimenti che così, ma come dicevo prima il compito dell’analista è trovare il modo perché la persona possa incominciare a essere curiosa del proprio discorso non più come qualche cosa che ha raggiunto, una conclusione e lì si è fermato, ma come qualcosa che invece continua a interrogare. Quella conclusione a cui è giunta in effetti può essere rimessa in discussione perché è una certezza piuttosto labile, incerta se messa alla prova e allora compiendo questa operazione la persona ha l’occasione di accorgersi di altre cose; se il discorso compie una serie di passaggi e giunge a una conclusione non si accorge di tutto ciò che questo discorso si porta appresso ed è una quantità sterminata di cose, ma tutte queste cose che vengono cancellate e delle quali non si prende cura la persona in realtà sono quelle cose che costituiscono invece la sua ricchezza, un po’ come funziona una qualunque ricerca, in effetti si incomincia a riflettere su una questione e ci si accorge che riflettendo su quella questione infinite altre si aprono, infinite altre vie alle quali prima nemmeno si era pensato, questo significa che i propri pensieri si arricchiscono se non altro di informazioni e più il pensiero è ricco più c’è la possibilità di muoverlo agevolmente, con facilità, e di non fermarsi soprattutto a delle rapide conclusioni che arrestano il discorso. Il problema sta nel fatto che una volta che il discorso si è arrestato su una certa conclusione che è stata ritenuta essere vera ci si muove di conseguenza, non è una questione marginale, potremmo dire che ciascuna persona è mossa o più propriamente la sua condotta è determinata da una serie notevole di conclusioni cui è giunta durante la sua vita, questa serie di conclusioni cui è giunta sono quelle che determinano la sua condotta, le cose che farà o che non farà, le decisioni che prenderà o che non prenderà, di qualunque tipo dalla più banale alla più impegnativa. Questa ricchezza di cui vi parlavo è la ricchezza che ciascuno ha a disposizione, tant’è che dopo avere parlato con la persona e avere condotta una conversazione interessante o avere letto un libro di notevole interesse la persona si sente arricchita e non ha torto a pensare una cosa del genere, ha aggiunto altri elementi oppure altri elementi l’hanno costretta a rimettere in discussione alcune convinzioni aprendo un discorso che poteva apparire chiuso verso moltissime altre possibilità, in un certo senso ciò che fa l’analista è mantenere aperto un discorso, ogni qual volta tenta di chiudersi l’analista lo rimette in gioco, lo rimette in questione, lo rilancia, e perché fa questo? Perché l’analista è colui che necessariamente ama il discorso, lo ama nel senso che se ne prende cura sempre e comunque e non cessa mai di farlo, non si stanca mai di farlo, né del proprio né di quello altrui se qualcuno glielo chiede naturalmente; amare il discorso e prendersene cura, prendersene cura vuol dire nient’altro che accoglierlo, accoglierlo in tutte le sue sfumature, accoglierlo in tutti i rinvii, in tutte le aperture, accoglierlo per quello che è vale a dire una sequenza infinita di proposizioni ma non ama la conclusione del discorso anzi questa non la ama affatto, ama l’apertura del discorso, il rilancio del discorso, il rinvio, il suo continuo proseguire, potremmo anche aggiungere che l’analista non può non amare il discorso in questa accezione cioè non può non prendersene cura, non può non farlo perché vive di questo anche perché sa e non può non sapere che lui stesso non è nient’altro, come ciascuno, che è un discorso, un discorso che si va facendo ininterrottamente, di conseguenza la persona che si rivolge, per esempio, a uno psicanalista di fatto è un discorso. L’analisi, da Freud in poi non è stata nient’altro che un’analisi del discorso tant’è che una certa Anna O, al secolo Berta Pappenheim definì la psicanalisi “talking cure” una cura con la parola, che avviene parlando, da qui l’interesse per la parola. Non c’è altro strumento in un’analisi se non la parola quindi il discorso ma l’innamorarsi stesso in qualunque modo venga inteso è sempre debitore del discorso, una persona si innamora di un’altra qualunque motivo sia quello che ritiene essere, o perché quella persona dice cose che la interessano oppure muove delle fantasie e queste fantasie non sono che il prodotto di discorsi, procedono da discorsi, d’altra parte non è del tutto casuale che ciascuna persona abbia fantasie differenti dalle altre perché allo stesso modo il discorso di ciascuno è differente dal discorso di ciascun altro, come mai anziché essere tutti uguali? Ovviamente ciascuno ha acquisito delle informazioni e in base a queste informazioni trae delle sue conclusioni cioè giudica, valuta e continuamente ciascuna volta che si opera un giudizio, una considerazione, una conclusione entrano in gioco una quantità sterminata di giochi i quali giochi concorrono a raggiungere quella conclusione anziché un'altra. Spesso si immagina di giungere a dei pensieri magicamente unicamente perché non si conosce qual è la catena che li ha costruiti, ma ciascun pensiero, ciascuna conclusione, ciascuna decisione segue a una catena di pensieri più o meno avvertiti, più o meno consapevoli, più o meno accolti ma cionondimeno questa sequenza, questa catena esiste, tant’è che è possibile recuperarla se uno ha voglia di farlo, nel caso di una psicanalisi può essere di qualche interesse sapere perché una persona pensa le cose che pensa, comporta proprio questo: intendere quali sono le premesse da cui è partito per giungere a una certa conclusione anche se questa premessa non è accolta non è il più delle volte neppure ricordata, ma la ricorda in un modo particolare perché quella premessa ha portato a delle conclusioni e quelle conclusioni sono state premesse di altre conclusioni e così via fino ad arrivare al punto in cui si è giunti alla conclusione qualunque essa sia, potremmo chiamarli con il loro nome e cioè giochi linguistici, perché giochi? Perché al pari di qualunque gioco sono costruiti attraverso delle regole, in fondo un qualunque principio, una qualunque certezza qualunque convinzione una persona abbia funziona come una regola per costruire un gioco e tutto ciò che penserà sarà vincolato necessariamente a queste regole e a questi principi, a queste credenze, a queste spesso superstizioni. L’amore dello psicanalista è il linguaggio, né potrebbe essere altrimenti, il linguaggio come la struttura che fa funzionare ciascun discorso per cui potremmo dire che l’analista ama e non può non farlo, non lo potrebbe nemmeno se lo volesse, lo ama al punto tale da fare in modo che altri che lo desiderino fare possano compiere questo percorso e giungere a prendersi cura del loro pensiero, prendersi cura nell’accezione che indicavo prima vale a dire a non darlo per buono e quindi sbarazzarsene immediatamente appena raggiunta una conclusione e fare come se non fosse mai esistito ma accoglierlo come l’unica, la sola ricchezza che possiede e che nessuno può togliergli, l’unica della quale può sempre e comunque disporre. In una delle ultime conferenze avevamo concluso dicendo che l’analista è il migliore interlocutore perché è colui che non può non ascoltare, potremmo spingerci oltre questa sera affermando che è l’unico che potrebbe insegnare ad amare. Ciascun amore, di qualunque tipo, di qualunque sorta o foggia è riconducibile sempre all’amore per il discorso, anche la passione più violenta non esisterebbe né sarebbe mai esistita se non esistesse il discorso, se non esistesse cioè un gioco linguistico che porta a concludere che la persona è quella che soddisferà tutti i bisogni di qualunque tipo in assoluto. Vera o falsa che sia la cosa in ogni caso funziona finché è creduta ovviamente, ma per credere qualche cosa occorre un discorso, occorre un pensiero, senza non è possibile credere niente, né qualcosa né il suo contrario. Dunque potremmo giungere a concludere che la passione sfrenata esiste perché esiste il linguaggio, perché esiste il pensiero, senza discorso, senza il pensiero non c’è nessuna passione che non avviene magicamente come taluni pensano e certi altri sperano, non è una magia, è una sequenza che come dicevo prima potrebbe anche essere ricostruibile volendo farlo, tecnicamente ciascuno potrebbe sapere perché si è innamorato di una certa persona, il timore di taluni è che sapendo tutto questo cessi di amare quella persona ma non è necessario perché è possibile amare senza necessariamente giocare al massacro come avviene per lo più, nel senso di essere costretti a controllare l’altra persona a immaginare che sia una proprietà e di conseguenza tenendola sotto controllo e immaginando che la propria esistenza o la propria felicità o benessere dipendano unicamente da quella persona, salvo poi accorgersi ad un certo punto che non è così, insomma credendo tutta una serie di cose ma di nuovo, per credere tutta questa serie di cose occorre il proprio pensiero, è lui che gestisce tutte queste informazioni, togliete il pensiero e togliete l’amore, all’istante; senza pensiero non c’è amore né alcuna possibilità che possa mai esistere ed essendo l’amore vincolato al pensiero cioè al discorso questo potrebbe avere delle implicazioni, la prima fra tutte è che se è costruito come stiamo dicendo dal discorso allora è qualcosa che è nel discorso che attrae, che seduce letteralmente, che trae a sé, ci si innamora effettivamente di qualcuno o di qualche cosa che si suppone che sia in qualcuno, è facile che accada la seconda ipotesi, qualcosa che si suppone essere in qualcuno perché come suole dirsi lo si vede in lui o in lei a seconda dei casi, ma viene da domandarsi come mai che ad un certo punto non la si vede più se è sempre lì? Com’è che scompare all’improvviso? Magari non è scomparsa affatto, la persona è sempre così com’era prima ma è il mio pensiero che si è modificato, modificandosi il mio pensiero si modifica quello che io vedo intorno a me e di fronte a me e così accade che quella persona che era la più sublime, più incantevole, la più intelligente, la più meravigliosa, la più amabile, la più dolce, la più disponibile, la più affascinante etc. si trasformi nella persona più ignobile che abbia mai abitato questo pianeta e magari quella persona non è cambiata di una virgola, perché dunque ho smesso di vedere quelle cose che vedevo prima? Ovviamente si è modificato qualcosa nel mio pensiero, nel mio discorso, il mio discorso ha costruito l’innamoramento e il mio discorso l’ha distrutto…

 

Intervento: si innamora di un pensiero…

 

In un certo senso sì, se fosse possibile, e in alcuni casi lo è, accorgersi di questo allora ci si accorgerebbe di conseguenza che l’innamoramento non è altro che un percorso che compie il discorso, se invece non ci si accorge di questo allora si attribuisce all’altra persona tutta una serie di virtù, virtù che naturalmente ad un certo punto vengono tolte, prima si attribuiscono e poi si levano a seconda degli umori del giorno e del momento, ma ci si innamora del pensiero? Sì è vero, ma non, come ho detto prima di ciò cui giunge il pensiero, ma del pensiero fine a se stesso, il pensiero che prosegue all’infinito senza fermarsi. Qualunque paranoico si innamora delle cose che dice - ma uno psicanalista non deve necessariamente essere un paranoico, anzi è preferibile che non lo sia - delle conclusioni cui giunge ché le ritiene delle verità universali, allo stesso modo un qualunque tipo di innamoramento è riconducibile sempre a questo: a innamorarsi di qualcosa che si ritiene una verità universale, potremmo anche dire che gli umani si innamorano della verità, qualunque forma, aspetto o profilo essa abbia, si innamorano sempre e comunque della verità, pensando di averla raggiunta, naturalmente sta qui l’abbaglio perché poi si accorgono che non è così. Tutto questo non è molto lontano da ciò che il pensiero degli umani ha compiuto in questi ultimi tremila anni, dalla filosofia in poi, amare la verità, amare il pensiero aspettandosi che questo pensiero debba giungere alla verità ultima, finale, c’è un problema nel reperire la verità ultima e cioè che anche questa verità è costruita dal discorso quindi se uno volesse cercarla dovrebbe cercarla lì, nel discorso, nel modo in cui è fatto, nella sua struttura, se la cerca altrove sarà condannato inesorabilmente al fallimento così come è avvenuto negli ultimi tre mila anni…

 

Intervento: chiedo scusa, se il discorso è differente per ognuno di noi come si può pensare che proprio attraverso il discorso che in sé porta la differenza si possa raggiungere la verità che non conosce differenza, per cui attraverso la differenza si possa giungere a quell’unità che è la verità?

 

Sì, è questo che vuole sapere dunque? Bene, e allora lo saprà. L’amore per il discorso porta il discorso quindi il pensiero alle estreme conseguenze, varca quelle che Dante chiamò le colonne d’Ercole poste là “acciò che l’uom più oltre non si metta” vale a dire esplora ciò che è la condizione del discorso senza la quale condizione il discorso non esiste, perché il discorso funziona in un certo modo? Perché chiunque, dovunque si trovi al Polo Nord o a quello Sud, nell’emisfero Australe o Boreale ovunque si trovi se pensa, pensa sempre in un certo modo, vale a dire muove da un elemento che ritiene essere vero e attraverso una serie di passaggi che suppone e spera siano coerenti giunge a una conclusione, perché non è possibile pensare altrimenti? Perché è necessario che ciascun elemento linguistico, ciascuna parola, per esempio, differisca da ciascun altra, e qui si potrebbe rispondere perché se così non fosse, se una singola parola significasse simultaneamente tutte le altre allora non potremmo più parlare né costruire alcun discorso ovviamente. Esiste dunque una struttura che è comune, necessariamente, sottolineo necessariamente a qualunque tipo di discorso perché questo tipo di discorso possa esistere? Se sì allora questa struttura è necessariamente la stessa sempre e comunque perché è quella che fa funzionare qualunque discorso, sia che io pensi che Allah sia la salvezza del mondo o che la salvezza del mondo stia nell’ecologia o in qualunque altra cosa e che pensi queste cose in italiano, in indoeuropeo o in aramaico o in tedesco comunque io sarò costretto a pensare così, se voglio pensare, come diceva Wittgenstein “o si pensa così o non si pensa affatto”. Dunque dicevo, questa struttura che appare essere una struttura molto semplice ci si mostra come la condizione di qualunque pensiero senza la quale condizione non è possibile pensare, come è fatta questa condizione? Abbiamo appena detto che è necessario che ciascun elemento sia distinguibile da ciascun altro e che da una premessa sia possibile giungere a una conclusione, cioè che esista una struttura che consenta questo passaggio, possiamo chiamare questa struttura linguaggio, possiamo chiamarla così, possiamo anche chiamarla in un altro modo però esiste già questo termine e possiamo utilizzarlo però in questa accezione, non nell’accezione in cui interviene spesso come il linguaggio dei fiori, il linguaggio delle mani, della api etc., non in questa accezione ma come una struttura, può pensarlo come un sistema operativo, il sistema operativo fa funzionare un computer, questo sistema operativo cioè il linguaggio fa funzionare gli umani, li fa pensare e senza questa struttura non potrebbero pensare niente, A questo punto cercando dentro al discorso, cercando nelle sue condizioni in ciò che lo fa funzionare si reperisce quella struttura che curiosamente è anche quella struttura che consente, consentendo di pensare, anche di costruire il concetto di verità che non viene da niente, consente di costruire il concetto di esistenza, consente di costruire qualunque dimostrazione, consente di costruire qualunque confutazione…

 

Intervento: non consente anche di pensare qualcosa di più positivo, di precostruito, il concetto di verità non è una costruzione umana, il contenuto è umano…

 

In ogni caso questa è una questione che già gli antichi hanno esplorato, Aristotele per esempio quando diceva che se io affermo che domani ci sarà una battaglia navale o non ci sarà allora delle due l’una, o ci sarà o non ci sarà, una sarà vera e l’altra sarà falsa, lei dice che questo concetto di verità è precostituito? O è necessario per parlare? Se lei si domanda se esiste un concetto di verità precostituito oppure no, cosa accoglierà come risposta a questa domanda? Ciò che ritiene essere vero, non accoglierà ciò che ritiene essere falso, vi propongo adesso una nozione di verità diversa da quella che vi hanno insegnato dalle elementari fino ad oggi: se il discorso prosegue in una direzione, cioè può proseguire in una direzione, allora chiama quella direzione vera, se non può proseguire chiama quella direzione falsa, quando non prosegue? Quando si accorge che ciò che ha concluso contraddice ciò da cui è partito, lo nega, allora non prosegue oppure quando in alcuni casi, questo è il caso più specifico incontra, per esempio, un paradosso, allora non prosegue e chiama quella direzione falsa, se può proseguire allora chiama quella direzione vera: di lì puoi andare, un po’ come funzionano i computer che sono stati costruiti dagli umani e quindi “pensano” tra virgolette come gli umani, porte aperte, porte chiuse 1/0. Ovviamente più il gioco è complesso più intervengono quantità sterminate di possibilità ma per quanto siano sterminate sono sempre computabili, ora quindi la questione della verità in ogni caso, qualunque cosa si penserà della verità, qualunque cosa o il suo contrario io avrò pensato sarà stato costruito da questa struttura che chiamo linguaggio, comunque, la quale struttura ha anche un’altra particolarità curiosissima che non consente l’uscita, una volta che ci si è dentro non si può più uscire perché per uscirne comunque dovrò costruire un’altra struttura e per costruirla devo utilizzare il linguaggio e lo costruirò sempre allo stesso modo cioè un elemento deve essere distinguibile da un altro, devo da una premessa raggiungere attraverso passaggi coerenti, vale a dire che non neghino la premessa da cui sono partiti giungere a un’affermazione, non c’è scampo, non aveva torto Wittgenstein, o si pensa così o non si pensa affatto, non c’è alternativa e se anche io mi ingegnassi a costruire un’alternativa, come ho detto prima, utilizzerei sempre e comunque questa struttura per farlo e anche se volessi uscirne per farlo dovrei comunque utilizzarla, allo stesso modo per affermare che non esiste devo utilizzarla, per affermare che qualcosa non è linguaggio devo utilizzare il linguaggio sempre e comunque e c’è un’altra particolarità che attiene al linguaggio, e cioè che non si ferma, non posso fermarlo, non posso cessare di parlare dunque di pensare, non lo posso fare. Come già Freud si era accorto il pensiero non si ferma mai funziona ventiquattrore su ventiquattro e perché funziona? Posso dargli qualunque giustificazione per qualunque motivo naturalmente, oppure posso più semplicemente prendere atto del fatto che prosegue al solo scopo di proseguire, questo naturalmente ha delle immense implicazioni e di proporzioni spropositate, questa affermazione appena fatta e cioè che il linguaggio prosegue al solo scopo di proseguire, vale a dire che tutto ciò che gli umani hanno fatto, pensato, costruito, distrutto, amato, odiato in questi ultimi tremilioni e mezzo di anni è stato fatto unicamente allo scopo di parlare cioè proseguire questo sistema che abbiamo chiamato linguaggio, per nessun altro motivo, cosa che per alcuni può apparire addirittura blasfema cionondimeno appare inevitabile…

 

Intervento: stavo pensando che senza il linguaggio gli umani non esistono…

 

No, non sarebbero mai esistiti o più propriamente porsi la questione se sarebbero esistiti oppure no è un non senso, non significa niente, è un po’ come la discussione che facevano nel medioevo sul sesso degli angeli “sono maschi o sono femmine?” è un bel problema…

 

Intervento: sì tolto il pensiero non rimane assolutamente nulla…

 

Per questo dicevo che è l’unica ricchezza degli umani e di questo devono avvalersi oltre che avvantaggiarsene, perché non hanno nient’altro che questo…

 

Intervento: se non rimane nulla è tutto ciò che hanno…

 

Esattamente, questa è una conclusione corretta…

 

Intervento: in effetti tutto ciò che hanno costruito, tutto ciò che hanno pensato quindi anche lo stesso concetto di esistenza, di verità ecc. e tutto ciò che hanno costruito sulla base di questo, la stessa idea che forse è il pilastro del discorso occidentale cioè che esista anche una sola cosa fuori dal linguaggio a garantire tutto e quindi il concetto di verità, il concetto di dio è una considerazione che comunque è consentita dal linguaggio e quindi che qualcosa esista fuori dal linguaggio è qualche cosa che si può pensare in quanto è consentito dall’esistenza del linguaggio dopo di che si può pensare che sia qualunque cosa ma come dicevamo prima diventa un non senso… non si può provare perché uscire dal linguaggio è impossibile e per la stessa uscita dal linguaggio occorre comunque il linguaggio e quindi dal linguaggio non si può uscire…

 

Non solo, facciamo un discorso per assurdo, fantascientifico, se io uscissi dal linguaggio non potrei mai saperlo, con cosa lo saprei infatti? Sì, l’unica cosa di cui gli umani dispongono e di conseguenza è l’unica cosa che possono amare, essendo l’unica, è il sogno di ogni donna essere l’unica…

 

Intervento: ma lei quando parla di linguaggio parla di linguaggio in quanto parola o di comunicazione?

 

Il linguaggio è la struttura che fa funzionare il discorso, la parola, la comunicazione, qualunque cosa, è la condizione per cui qualunque cosa possa funzionare e naturalmente sapere che sta funzionando, accorgersene…

 

Intervento: può esserci anche qualche cosa di non detto, un atteggiamento, un modo di comportarsi o lei intende proprio?

 

Qualunque cosa sia, anche un non detto, un gesto, se non c’è qualcuno che interpreta questo gesto quel gesto non significa assolutamente niente perché per essere tale, per essere un gesto quindi per essere un segno occorre che significhi qualcosa per qualcuno e perché possa significare qualcosa per qualcuno occorre che questo qualcuno abbia gli strumenti per poterlo decodificare, cioè inserirlo all’interno di un gioco, sapere che se ha fatto questo gesto allora vuole dire quest’altra cosa…

 

Intervento: anche se fosse la stessa persona che il gesto lo compie quindi l’emittente e il ricevente fossero la medesima persona che si costruisce un proprio sistema?

 

Esattamente, come avviene sempre, una persona compie esattamente questa operazione, in fondo buona parte delle idee, delle convinzioni di una persona si creano proprio così, sono una serie di conclusioni di giochi di cui si è persa la memoria, ciò che si ricorda è il fatto che questa catena infinita di sequenze ha prodotto questo risultato il quale risultato segue a tutta una serie di conclusioni precedenti. A un certo punto si avvia il linguaggio, con una istruzione che è fondamentale quando la madre o chi per lei, dico la madre perché in genere è la mamma che se ne occupa ma tecnicamente potrebbe anche essere una macchina afferma che “questo è questo” non che è un orologio, ma che è qualche cosa fornendo con questo il primo concetto di esistenza e di conseguenza anche la possibilità di rapportare un’esistenza ad altre, questa prima istruzione è ciò che consente l’avvio di quel sistema che chiamiamo linguaggio ché se “questo è questo” allora non è quest’altro, per esempio, perché c’è una differenza e da lì si può costruire anche la metafisica volendo o l’estetica trascendentale se preferisce. Da anni ci stiamo occupando del linguaggio, una volta giunti a questa considerazione che è l’unica ricchezza che gli umani posseggono allora occorre praticarla, prendersene cura, sapere come funziona, saperla gestire, giungendo anche a considerare che ciascuno, ciascuna persona non è nient’altro che le cose che dice, le cose che pensa, non è altro che questo infatti quando una persona muore quelli che rimangono si seccano perché quella cessa di parlare, se continuasse a parlare non sarebbe morto, sarebbe vivo in qualche modo, a modo suo ma continuerebbe a interagire col prossimo, in effetti si è considerata la morte proprio come l’assenza di linguaggio, assenza di linguaggio = morte…

 

Intervento: quindi è un problema…

 

Sì, un problema che esiste perché c’è il linguaggio, se no non si potrebbe neanche porre questo problema. I problemi esistono perché esiste il linguaggio quindi il pensiero e quindi il discorso e gli umani cercano continuamente i problemi e quando non li hanno sotto mano se li inventano oppure li cercano per passare il tempo, ma sono sempre alla ricerca di problemi ininterrottamente…

 

Intervento: ma quale parte dell’umano? Il cervello, il cuore, la pancia?

 

Adesso dovremmo aprire qui qualcuno per verificare… lei dove vuole situarlo? Può situarlo dove le pare tanto nessuno potrà confutala né provare quello che afferma quindi può situarla nel cervello o sulla punta del naso, dove preferisce. La neurobiologia ha cercato di trovare l’intelligenza, qual è il fulcro dell’intelligenza, questo bene che gli umani, tranne rare eccezioni gli umani posseggono, ma dove andare a cercarla, nell’interazione fra neuroni? Nelle interazioni chimico elettriche? Allora perché non portare l’indagine ancora oltre e cioè all’interno della cellula, nel nucleo oppure nei suoi componenti fondamentali? Gli atomi, i neutroni, gli elettroni? È lì che c’è l’intelligenza o nei quark? C’è un punto dove questa ricerca mostra la corda: o attribuiamo l’intelligenza agli elettroni e ai protoni oppure diventa un problema, dove sta, dove? E se invece stesse in questa stessa condizione che ci consente di cercarla? Per esempio, sarebbe sempre interessante quando uno si pone una domanda, qualunque domanda sia, soprattutto se è una domanda in ambito teorico, chiedersi che cosa avrà fatto quando si sarà data una risposta qualunque essa sia, cosa avrà fatto esattamente? Avrà costruita un’altra proposizione ovviamente poi questa proposizione può essere coerente con qualche altra precedente e allora la prende per buona o essere incoerente e allora la prende per falsa, ma di fatto non è nient’altro che un’altra proposizione, che altro è? È un po’ come affermare che comunque esiste qualcosa fuori dal linguaggio e infatti lo posso dire, lo ho appena detto, ma c’è un problema che è anche una sorta di virtù di questa struttura che chiamiamo linguaggio vale a dire che posso affermarlo ma non lo posso provare e questo è un vantaggio rispetto, per esempio, alla famosa prova di Gödel sull’indecidibiltà dell’aritmetica, aveva considerato che l’aritmetica o è completa oppure è incoerente, invece in questo caso il sistema è coerente e completo perché il sistema comprende l’affermazione che esiste un elemento fuori dal linguaggio ma non lo può provare e quindi è coerente, se potesse provarlo allora sarebbe incoerente al pari dell’aritmetica e invece è completo e coerente, è perfetto, anche perché è lui stesso che costruisce tutti questi criteri, è ovvio che la verità è un elemento linguistico, è il linguaggio che la costruisce, che fornisce anche i criteri per verificarla, per trovarla, per confutarla, sempre il pensiero che funziona nel modo che abbiamo appena descritto…

 

Intervento: non le è mai capitato di pensare qualche cosa che dà l’impressione di non voler essere capita e di non poter essere capita, di non poter passare attraverso quel canale che lei chiama linguaggio, quella struttura?

 

Temo di non aver inteso bene la questione, cosa è che mi è capitato?

 

Intervento: di aver percepito qualche cosa che non voleva essere spiegato…e che non può essere spiegato, un senso, un sentimento di qualcosa (magicamente) sì io avevo pensato attraverso il linguaggio come fare a giustificare…

 

Il fatto che io non sappia perché ho pensato una certa cosa questo non significa che non ci sia un motivo, significa soltanto che non sono capace di trovarlo, nient’altro che questo, certo ci sono dei concetti che appaiono irresolubili come il concetto di cerchio quadrato, per esempio, è pensabile un cerchio quadrato? Dipende, se io intendo con pensabilità una certa cosa allora è pensabile se ne intendo un’altra allora non è pensabile, se io decido che alcune cose non appartengono al linguaggio allora posso continuare a pensare che non appartengono al linguaggio posso decidere quello che voglio, il problema in ambito teorico interviene quando si vuole provare ciò che si afferma se no più che affermazioni sono decisioni estetiche, come dire “a me piace pensare così” va bene, certamente, però non è sostenibile se non come un gusto personale, a me piace pensare che l’amore sia frutto di cupido che lancia la freccia, va bene, perché no? Qualcuno potrebbe provare che non è così? No naturalmente, non può nemmeno provare che sia così è ovvio, del resto tutte le religioni sono fondate su questo, su un qualcosa che rimane misterioso: “credo qui absurdum” diceva Tertulliano e tanto più assurdo e tanto più lo credo. L’idea è che alla base di tutto ci sia qualcosa che non è comprensibile, è un’idea come un’altra, perché dovrebbe essere così? Come dicevo prima il fatto che io non sappia comprendere, non riesca a comprendere non significa che non sia comprensibile, significa solo la mia incapacità, questa con assoluta certezza. Chi altri vuole aggiungere qualche elemento o toglierlo se preferisce farlo? Daniela cosa stava considerando con estrema attenzione?

 

Intervento: ha già detto tutto lei…

 

Allora… non c’è nulla di incoerente, discrepante?

 

Intervento: incoerente… che fa paura…

 

Non deve spaventarsi di nulla, però può chiedersi a quali condizioni una persona può avere paura, questo sarebbe interessante, a quali condizioni è possibile che una persona abbia paura, perché occorrono delle condizioni, dalla paura più stupida a quella considerata più drammatica in ogni caso ci sono delle condizioni sia che una abbia paura del topo, il famoso topo classico, anche i ragni, i cani i gatti no, in genere no…

 

Intervento: i propri pensieri per ricollegarci al discorso di prima signorina, perché in qualche modo la paura si istilla quasi magicamente a impossessarsi quasi della persona e quindi può rimanerne quasi spaventato perché non ne sa dare un significato… suggerivo questo per continuare ciò che dicevamo prima…

 

Sì, in fondo qualunque paura ha sempre una condizione, anche la paura più tremenda che è considerata quella di perdere la propria vita, generalmente si considerano tre cose che sono care agli umani e sono quelle che gli si levano a seconda dei crimini che si commettono: i quattrini, la libertà e la vita, la multa, la galera, la decapitazione come ultima ratio, ma anche in quel caso perché una persona ha paura di perdere la vita? Perché dovrebbe? Perché in fondo preferisce vivere, sì, certo, ma potrebbe anche preferire non farlo e in alcuni casi avviene che uno preferisca non vivere e una persona si uccide. Qui arriviamo alla questione centrale e cioè la responsabilità, ciascuno è responsabile sempre e comunque di quello che pensa, di ciò che decide, anche di continuare a vivere perché nessuno lo obbliga a farlo, può avere degli ottimi motivi per continuare a farlo di questo non si discute in ogni caso la responsabilità è sua, e poi a cascata da qui qualunque altra responsabilità ovviamente a maggior ragione tutto ciò che si pensa, che si dice, tutto ciò che si afferma, cosa vuole dire responsabilità? Non che è una colpa naturalmente, non è una responsabilità penale, ma è da prendere alla lettera come rispondere, se il mio discorso crea questo il mio discorso risponde del perché lo crea e di tutte le implicazioni. L’analisi fa questo, fa in modo che la persona risponda, non è l’analista che risponde in quanto tale e se lo fa è soltanto per consentire al discorso di proseguire ma è il discorso della persona stessa che deve rispondere perché è di lì che può trarre le risposte e poi altre ancora e poi altre ancora fino a una sorta di infinitizzazione delle risposte, quando cioè si accorge che può rispondere qualunque cosa e il suo contrario altrettanto legittimamente e a questo punto accade una sorta di effetto strepitoso, si cessa di avere bisogno di credere in qualcosa, nel momento in cui una persona è in condizioni di confutare qualunque cosa o provare qualunque cosa a suo piacimento è ovvio che cessa di credere, non ha più bisogno di credere, non se ne fa più niente e di conseguenza non ha la necessità per esempio di partire per guerre sante, di farsi saltare per aria all’interno di un cinematografo con trenta chili di esplosivo o di allestire dei lager di qualunque genere, fisici o psichici a seconda delle circostanze, non ha più questa necessità. Potremmo dire che cessa di essere umano se queste sono le prerogative degli esseri umani, quelle di massacrarsi ininterrottamente a vicenda, se questi sono gli umani allora ciò cui conduce l’analisi è esattamente a essere inumani…

 

Intervento: beh di sicuro a non essere divini però perché mi sembra che il concetto di divino sia assolutamente estraneo alla sua…

 

Il concetto di divino è quello che lei vuole che sia, né più né meno, quante definizione potrebbe dare lei così su due piedi di divino? Dieci, venti…

 

Intervento: non me ne permetto neanche una…

 

Può, può permettersi tranquillamente…

 

Intervento: lei ha condotto il suo discorso in maniera molto consapevole, molto cosciente ma se posso permettermi un tantino presuntuoso…

 

Moltissimo, e arrogante, di un’arroganza totale, assoluta, naturalmente un arroganza intellettuale, io sono una persona molto mite e tranquilla, tuttavia di fronte a delle conclusione che sono tratte dalla struttura stessa del linguaggio non posso che accoglierle inesorabilmente perché è quella stessa struttura che mi consente di pensare qualunque cosa, lei ha paura a definire il divino? Perché? C’è gente che ha paura di un sacco di cose, si può avere anche paura del divino in effetti gli ebrei, per esempio, lo temono tant’è che ancora oggi a causa delle loro malefatte ogni tanto arrivano le tragedie note come olocausto e chiaramente anche i cristiani hanno paura, hanno paura dell’inferno “se non farai così allora succederà questo”, la stessa cosa per i mussulmani, grosso modo tutte le religioni sono fondate sulla paura, tolga la paura e crolla tutto, lo sapevano bene nel medioevo per questo impedivano la lettura della Poetica di Aristotele che invitava al riso: gli umani non possono ridere, e se poi incominciano a ridere anche di dio? Chi li tiene più? La paura è fondamentale, si inculca fino dai primi mesi di vita, consente di ricattare, di far fare alle persone ciò che si vuole e di instillare il senso di colpa chiaramente, Freud diceva che senza senso di colpa non si governa, già per cui effettivamente la paura è funzionale…

 

Intervento: di conseguenza anche l’amore per la sofferenza…

 

Intervento: Intervento: infatti non poter considerare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico conduce inesorabilmente alla costruzione delle guerre, dei disastri…

 

Alle tragedie, sì certo tutto diventa pesante…

 

Intervento: le guerre sono da millenni, si ripetono e si riproducono in onore di quel dio che occorre amare ma soprattutto temere perché se no quel dio si ribella e produce e permette altre tragedie e mi chiedevo prima che cosa non consente all’umano di considerare il suo pensiero, di considerare di che cosa è fatto il suo pensiero e da dove trae la forza per proseguire ma soprattutto consideravo quello che noi continuiamo a ripetere che viene accolto abbastanza facilmente e cioè che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, c’è però qualche cosa che pare essere ciascuna volta non tenuto in conto quando è abbastanza semplice considerare la questione che qualsiasi cosa io mi trovi a dire, e questo è abbastanza limitante, è un elemento linguistico come ciascuno può constatare ma c’è qualche cosa c’è questo “io che parlo” io non sono un elemento linguistico, non lo posso essere e questo è la menzogna più grande che ci hanno insegnato da bambini fin dai primi mesi di vita che quello che io dico è qualcosa che proviene dal mio spirito, dal mio sentimento, qualcosa che io sento ma non è qualcosa che produce il mio pensiero ed è a questa menzogna cui gli umani credono, credono che il linguaggio, credono che il discorso che fanno che è soggetto a tantissime regole anche soltanto grammaticali, sintattiche logiche… gli umani sono convinti anche se è “facile” tra virgolette considerare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, sono convinti di non essere elementi linguistici ma sono persone che utilizzano la parola, utilizzano un discorso per dire delle cose e il linguaggio è solo un mezzo per dire delle cose, è ovvio che non potendo considerare diversamente la questione e quindi non portando alle estreme conseguenze qualsiasi cosa è un elemento linguistico, sono presi in questo inganno madornale credendo di poter dire le cose che sentono, che immaginano… il linguaggio non è un mezzo, ciò che chiamiamo linguaggio è una struttura che funziona e all’interno della quale qualsiasi cosa esiste e quindi gli umani non sono nient’altro che linguaggio che sta funzionando, non poter considerare questo significa godere delle tragedie come delle commedie e non poter utilizzare e usufruire di quella ricchezza di cui si diceva…

 

Intervento: come se il fatto di credere un dio da una parte desse sicurezza e dall’altra chiudesse il discorso che è il contrario di quello che fa la psicanalisi perché quella sensazione di mistero e quella sensazione che si sente e non si capisce magari viene da molto più lontano però se uno mette dio arriva lì e si rassicura però non va oltre per cui naturalmente se uno ha questa curiosità di andare oltre a cercare di capire quali sono quelle sensazioni e quei pensieri e da dove vengono forse può trarre qualche spiegazione in più, se uno la vuole avere…

 

Intervento: la curiosità appartiene anche a chi in qualche modo crede in dio cioè una persona che crede in dio non è meno curiosa di una che non ci crede anzi credo che lo scopo sia lo stesso, il movente sia il medesimo c’è un elemento in più un elemento in meno non saprei neanche come collocarlo perché in realtà mi spiazza un po’…

 

Intervento: magari non è una questione da ricollocare alla stessa fede, magari questa stessa cosa è un modello di educazione di cultura non è per forza un discorso di fede… magari la fede in dio può essere sicuramente un discorso, magari questi stessi pensieri non son dettati dalla fede… quello che diceva questo mistero che si crea in noi stessi cioè il mistero dell’esistenza è chiaro che riconducendoci alla fede diventa una cosa più, non dico semplice, ma ti fermi lì e magari non vai oltre ….è una cosa che va vista da diversi aspetti non è che è solo una questione di dio o di fede…

 

Intendiamoci non è che io sia contro la religione, non ho nulla in contrario, neanche nulla a favore ovviamente, ciascuno è libero di credere ciò che ritiene più opportuno Ci sono tanti tipi di religione e ognuna ha il suo dio, ciò che accomuna ciascuna di queste forme è il fatto di trovarsi ad arrestare il proprio pensiero su un certo punto in quanto è dato per vero senza nessun motivo, in realtà è soltanto il gusto estetico come dire a me piace pensare che esista o che gli umani siano stati messi sul pianeta dai marziani, perché no? In fondo che differenza fa?

 

Intervento: credo che questo sia il pensiero che ha permesso a Lei di fare il pensiero successivo ma che ha in autonomia di pensiero…

 

È possibile, non si areni dunque…

 

Intervento: ma non lo faccia neppure Lei…

 

Ho appena detto che non mi areno, io continuo a non arenarmi…

 

Intervento: lo faccio anch’io ma lo faccio proprio smettendo di pensare quello che invece permette a Lei di proseguire il mio pensiero, nel senso che è quello che mette come limite perché dice il mio pensiero lì si arena… ma è proprio da lì che il mio pensiero parte da quello che per lei è un punto di fermo per me è il punto di partenza…

 

Sì certo, può essere qualunque cosa, come dicevo prima Lei può credere qualunque cosa anche che questo orologio è dio perché no? Può farlo, è proibito? No, io posso dimostrare che non è dio? No, posso provare che lo sia? No ovviamente, per cui va bene, che problema c’è? Perché non crede allora che ci siano stati i marziani, è una possibilità, si sentirebbe di provare che non è così? Ha le prove che non è affatto così? No, naturalmente no…

 

Intervento: no, però non potendo affermare il contrario non mi sento neanche di…

 

E quindi, quindi crede nei marziani perché non può affermare il contrario…

 

Intervento: oddio mi sono…

 

Sara perché non viene a trovarci domani sera? In modo che affrontiamo questa e molte altre questioni notevoli e bellissime a disquisirsi, potrebbe essere un’occasione, magari per trovare altre vie, in fondo si tratta di un gioco, un gioco piacevole a farsi, divertente, in fondo è l’unica cosa che hanno gli umani: pensare, toglie questo e cosa rimane? Tolga il pensiero, cosa resta?

 

Intervento: è bella quella descrizione che ha fatto prima rispetto alla ricchezza che ciascuno ha a disposizione, mi veniva da pensare che è una ricchezza che si acquisisce cessando di pensare che le cose stanno così come appaiono essere, si passa dalla descrizione di cose che si pensa esistere di per sé e ci si accorge ad un certo punto che le si produce con il proprio pensiero e quindi si acquista la responsabilità in quello che si sta facendo ma non solo anche di quello che si vive, di quello che capita nella propria vita, questa è quell’apertura è una porta spalancata verso la ricchezza, è una bella definizione…

 

Bene, domani sera proseguiremo questa conversazione. Sara potremmo domani sera Lei ed io continuare a parlare di dio…

 

Intervento: non riuscirò ad esserci…

 

Questo mi dispiace molto. Tutti i mercoledì ci troviamo, non sempre parliamo di dio però… Lei crede immagino nel dio dei cristiani…

 

Intervento: io… lo sto cercando…

 

Lo sta cercando? Allora lo ha trovato.

 

Intervento:…

 

Il fatto che sia un uomo questo lo discuteremo. Grazie a tutti voi, vi aspetto domani. La prossima conferenza è l’otto di aprile, parlerà Daniela Filippini sul “Bisogno di amare”.