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LUCIANO FAIONI

 

FREUD E LA PSICANALISI

 

Dalla Psicanalisi alla Scienza della Parola

 

BIBLIOTECA CIVICA CENTRALE – TORINO

 

QUARTO INCONTRO

17 giugno 2014

 

Questo incontro è quello conclusivo di questa breve serie e, in effetti, si tratterà questa sera di tirare un po’ le somme su ciò che è stato detto negli incontri precedenti e vedere se è possibile fare un passo ulteriore. Ciò che abbiamo considerato fino a qui è ciò che è apparso a molti teorici del secolo scorso, non solo a Freud ma dicevamo anche a molti semiotici, linguisti, ecc., e cioè la priorità del linguaggio, in altri termini, la considerazione che gli umani vivono immersi nel linguaggio, addirittura potremmo dire che è ciò di cui sono fatti. Ora, che gli umani siano parlanti non è né una novità né qualcosa di originale, però al punto in cui siamo è possibile trarre le implicazioni, le conseguenze di una cosa del genere, e cioè che cosa comporta di fatto che gli umani siano parlanti, gli unici su questo pianeta, almeno su altri non saprei dirvi. Ciò che a noi qui interessa in questo quarto incontro è considerare propriamente questo, e cioè le implicazioni di quella considerazione banalissima che gli umani sono parlanti. Freud ha cominciato a considerare attentamente la questione, anche se non era né un linguista né un semiotico, meno che mai un logico, però diciamo che si è trovato costretto a considerare il linguaggio per via del fatto che aveva incominciato ad ascoltare le persone. Cosa fanno le persone? Parlano, dicono cose, e allora la necessità è stata di intendere come queste cose che le persone dicono si costruiscono, come si connettono fra loro, cosa accade di queste cose che dicono in certe situazioni, insomma, ha dovuto occuparsi di tutto ciò. Però, come dicevamo anche negli incontri passati, in quegli anni altri si stavano occupando della stessa cosa con modi e sopratutto con obiettivi differenti. Per esempio, Wittgenstein, di cui abbiamo accennato qualche incontro fa, ha inventato un termine, che poi è stato utilizzato e ripreso anche da me, quello di “giochi linguistici”. È, peraltro, interessante come Wittgenstein sia giunto a questo, perché narra la storia o la leggenda, non si sa bene, che abbia costruito questa nozione di giochi linguistici trovandosi, forse per la prima volta in vita sua, ad assistere a una partita di calcio e si è accorto che questo gioco era ovviamente governato da regole. Per fare un qualunque gioco occorrono delle regole e anche un obiettivo perché sia un gioco, quindi, ciò che determina un gioco è la possibilità di fare, di compiere, certe mosse e il divieto di compierne altre, questo in un gioco qualunque. Ciò che a lui interessava non era la partita di pallone ma il fatto che il linguaggio, che era ciò di cui si occupava, pareva funzionare alla stessa maniera, e cioè ci sono delle regole, poi ci sono delle mosse, dei passaggi. La semiotica ha poi elaborato la cosa in termini più precisi, anche se la semiotica non parla propriamente di giochi linguistici ma di strutture di significazione, però il parallelo lo si può continuare nel senso che ogni volta che c’è un passaggio, cioè da un elemento linguistico si passa ad un altro, può modificarsi il significato, l’elemento di partenza può perdere una parte di significato che va nel secondo, il quale passa a un terzo elemento, il quale può venire modificato e questo terzo elemento può passare una parte del suo significato al primo elemento, insomma, una rete di connessioni straordinariamente complessa e il tutto con un obiettivo finale. L’obiettivo finale nel linguaggio è di concludere con una affermazione, cioè qualunque sequenza è necessario che giunga a una affermazione, ad affermare qualcosa, a questo servono i passaggi. Quando si fa un’argomentazione o si pensa qualunque cosa accade che ci si muova da alcune premesse, che possiamo considerarle come le regole del gioco, vedremo poi di fare degli esempi; poi, ci sono delle regole, che nel caso del linguaggio sono quelle da una parte stabilite dalla grammatica, dalla sintassi, dalla logica ovviamente, ma anche da altre regole che sono quelle cose che il parlante considera cose vere, che utilizza per costruire altri discorsi. Dicevo, giunge a un’affermazione vera, questo è noto da sempre, però non si è mai inteso esattamente perché debba fare una cosa del genere il linguaggio, quindi, di conseguenza gli umani, perché devono affermare continuamente delle verità? Si sa da sempre, perché è così che funziona il linguaggio, cioè una persona parte da delle premesse, compie dei passaggi e giunge a una conclusione, questa conclusione poi servirà a sua volta come premessa per un’altra sequenza, e così via. Ora, questa conclusione, che di fatto è un’affermazione, deve essere accolta come vera dal discorso, se qualcuno si accorge che ciò che sta affermando è falso questa cosa non la utilizzerà per fare altre cose, se è falsa la butta via, in genere avviene così, cioè più propriamente se si accorge che è falsa, il che è diverso perché delle volte uno non se ne accorge. Mi rendo conto che sto dicendo cose un po’ complicate, cercherò adesso di fare qualche esempio in modo di renderle più semplici, d’altra parte non posso esimermi dal dirvele. Ricordate l’esempio della fanciullina che ho fatto altre volte, la fanciullina che immagina che il papà non la consideri, anzi, che la consideri malamente, che è incapace, ecc., e lei per mantenere l’affetto del papà rappresenta questa incapacità. Ecco, in questo caso come funziona la cosa? Beh, ci sono delle premesse da cui muove e la premessa maggiore in questo caso è che il papà la considera un’incapace, questa è la premessa da cui parte e che deve essere mantenuta e che non può abbandonare; a questo punto tutte le derivazioni che compirà a partire da questa premessa saranno tutte derivazioni che mantengono la stessa premessa, tutti i passaggi che vengono compiuti avranno questa funzione di mantenere immobile e stabile, fissa e certa la premessa da cui è partita. Le regole che utilizza sono quelle linguistiche, ovviamente, ma ci sono anche altre regole. Per esempio, se nel corso della sua fanciullezza ha rilevato delle cose che a lei sono parse come conferme del modo in cui lei immagina che il papà la giudichi, allora tutte queste cose piloteranno tutti i suoi pensieri, come se in qualche modo portassero questi pensieri, le suddette regole, alla conclusione finale che deve confermare ciò che lei già sa, e cioè che il papà la considera un’incapace. Il fatto che una cosa del genere funzioni in questa maniera ha degli effetti: il primo è l’inattaccabilità di una cosa del genere, non ci sono argomentazioni o manifestazioni di stima o apprezzamento che possano intaccare un pensiero simile, è come se fosse inaccessibile; poi, questo modo di pensare, se deve mantenere fermo questo concetto fondamentale, cioè che è fondamentalmente un’incapace, organizzerà tutta la sua esistenza, tutta la sua vita sarà pilotata da questo e ogni cosa che intraprenderà, che penserà, che farà, ecc., dovrà anche questa necessariamente concludere confermando la premessa generale, e cioè che lei è un’incapace. Quindi, come forse dicevo tempo fa, le sue relazioni sentimentali, le relazioni lavorative o semplicemente relazioni interpersonali, di qualunque tipo, comunque dovranno sempre condurre alla stessa conclusione che non può e non deve essere messa in gioco, e cioè che lei è un’incapace, perché così ha detto il papà ed è con questo che si trova ad avere a che fare. Ciascuna analisi si confronta con una struttura che è molto simile a questa, e cioè con affermazioni da parte della persona assolutamente incrollabili, certe, sicure, apparentemente inscalfibili. Ma c’è ancora un elemento, forse quello determinante e di cui occorre tenere conto. Vi accennavo la volta scorsa delle fantasie che indicavo come fantasie di potere. Tendenzialmente, si pensa al potere come qualcosa che appartiene a qualcuno e che esercita generalmente in malo modo nei confronti dei sottoposti; forse la cosa è più complessa, pensate a quando, parlando, argomentando, discutendo più o meno animatamente, si affermano delle cose, cioè una persona afferma una certa cosa, se la afferma è perché gli appare vera se no non l’affermerebbe; ecco, se è vera, sempre per la persona ovviamente, è chiaro che questa cosa cercherà di imporla su altri o almeno di farla riconoscere da altri come vera, come dire, “io sto dicendo cose vere, quindi dovete riconoscere questo”. L’avere ragione su altri è una cose più importanti per gli umani, è nota da sempre, praticata ininterrottamente da quando gli umani esistono in modo più o meno forte, più o meno violento in alcuni casi, più o meno persuasivo. Dopotutto la retorica è stata inventata per questo, per persuadere, ma persuadere di che? Del fatto che ciò che io dico è vero e, di conseguenza, quello che dici tu è falso, se accogli la mia verità anche tu beneficerai. Ecco che a questo punto comincia a configurarsi in modo un po’ più chiaro la questione della fantasia di potere, la fantasia ovviamente, l’idea, cioè il fatto che ciascuno parlando, per il solo fatto di trovarsi ad affermare cose e non può non farlo, come sto facendo io esattamente in questo istante, sto continuando ad affermare cose, non posso non farlo perché è il linguaggio che funziona così. Dunque, affermando delle cose è come se implicitamente si lasciasse intendere che ciò che si afferma è vero, vero qui nell’accezione di cui parlavo la volta scorsa, quella più diffusa, quella che i medioevali chiamavano adaequatio rei et intellectus, cioè l’adeguamento della parola alla cosa. Per dirla in modo spiccio, “le mie parole sono vere perché le cose stanno così”, perché sono una descrizione del modo in cui le cose stanno, quindi, è come se in un certo senso parlando non si potesse non esercitare un “potere”, non esiste una parola più appropriata perché di potere si tratta, “potere” nell’accezione più ampia che immaginate, cioè come l’esercitare o imporre la propria volontà su qualcun altro in modo più ampio possibile. Ora, dicevo, parlando è come se non fosse possibile non fare un’operazione del genere perché parlando non posso non affermare e ogni volta che affermo è come se letteralmente fermassi qualcosa, in un certo senso è come se fotografassi una porzione di realtà, ogni affermazione è come se facesse questo, che la persona ne sia consapevole oppure no, però, è così che funziona, perché la persona non affermerebbe quello che afferma se pensasse che ciò che sta dicendo è falso, a meno che non stia mentendo ma questo è un altro discorso che non sposta nulla. Ecco, a questo punto incomincia a delinearsi un pochino che cosa sia una fantasia di potere che, in effetti, non è del tutto consapevole e, come dicevo, appare strutturata dal linguaggio, come dire che se si parla, e non possiamo non parlare, allora non possiamo che imporre le nostre affermazioni, imporre nel’accezione che vi ho appena indicata, cioè mostrarle come vere nell’attesa che qualcuno le riconosca come tali. Certo, può esserci una controversia, ovviamente. Che cosa accade esattamente in una controversia? È la mia verità contro la tua, e vinca il migliore, il migliore, cioè quello che sa argomentare meglio di tutti. Lo stesso Feyerabend diceva qualcosa di molto simile rispetto alla scienza: “vince la teoria scientifica che è meglio argomentata”, non quella più vera, che non significa niente, ma quella che è meglio argomentata, quella che riesce a persuadere meglio, quella vince, quella diventa vera. Torno a dirvi che mi rendo conto che tutto ciò è molto complesso ma è una cosa di straordinaria importanza, oltre che di grande interesse, perché finalmente mostra perché da quando gli umani esistono passano la loro esistenza a imporsi gli uni sugli altri, in qualunque forma, in qualunque tipo di relazione, dalla più semplice alla più complessa. Non possono non farlo perché sono parlanti, ho appena detto che non è possibile parlando non affermare qualcosa, qualunque cosa sia, cioè fermarla, porla come qualche cosa di vero che deve essere riconosciuto dagli altri come tale. Adesso, ovviamente, io schematizzo un po’ le cose, di fatto spesso sono più complesse, però giusto per tracciare una via, una direzione. Ora, provate a considerare che qualunque pensiero, qualunque fantasia, qualunque discorso, qualunque partita, per riprendere l’esempio da cui ha tratto Wittgenstein la sua idea di gioco linguistico, qualunque partita abbia come unico obiettivo la vincita, come le partite hanno, quando si fa una partita uno vince oppure perde, e cioè che ogni discorso che si fa, ogni pensiero, ogni considerazione, ogni argomentazione, qualunque cosa, abbia sempre come obiettivo vincere una partita. Adesso, la metto lì provvisoriamente, vedremo di precisare di più, ma se così fosse questo avrebbe un certo rilievo nell’intendimento del modo in cui gli umani si muovono e agiscono da quando esistono, diciamo da quando abbiamo traccia di loro, diciamo da quando parlano, dunque una ricerca del potere che non può non farsi per il solo fatto di essere parlanti, essendo parlanti non è possibile non parlando affermare cose. La questione importante in tutto ciò è che tutto questo comporta un’enorme difficoltà, non tanto nel comprendere una cosa del genere ma nel trovarsi a praticarla, e cioè accorgersi di ciò che si sta facendo mentre si parla, mentre si pensa. Questa è una cosa straordinariamente difficile e c’è un motivo molto semplice, e cioè che ciascuno parlando o pensando, che a questo punto potete considerare come la stessa cosa, continua ad affermare cose e queste cose a lui appaiono assolutamente vere, appaiono che le cose stanno così, “se le cose stanno così perché dovrei interrogarle?”, devo forse interrogarmi sul fatto che questo sia un tavolo? Certo che no, è così, e quindi qualunque cosa potrebbe avere la stessa struttura, e cioè che alla persona che la afferma pare che sia proprio così, quindi non c’è nessun motivo né di interrogare alcunché né di farsi domande strane, è così e basta. Questo mette generalmente la persona nelle condizioni di non domandarsi altro rispetto a ciò che pensa, a ciò che crede, non tanto che questo sia un tavolo, non è questa la questione, ma in quelle cose che ritiene essere dei valori, delle cose importanti. Il fatto che questo sia un tavolo, beh, si è convenuto così e bell’e fatto, ma sui valori invece la cosa è più complessa perché non c’è una convenzione generale rispetto ai valori, perché ciò che è in causa nei cosiddetti valori è la verità di ciascuno, alla quale non rinuncia, e c’è un buon motivo anche per questo. Il motivo per cui non rinuncia facilmente alla sua verità è che la sua verità è ciò che idealmente non soltanto gli dà una direzione in cui muoversi, ma gli dà anche una sensazione di potere, “io so come stanno le cose”, al punto da diventare un problema in alcune strutture di discorso, come il discorso paranoico, per esempio. Dopotutto, “chi più sa più vale”, diceva il nostro amico Dante, ma perché chi più sa più vale, per quale motivo? Già allora era un luogo comune, chi sa di più è colui che meglio di altri è in condizioni di mostrare ad altri qual è la diritta via, qual è la direzione giusta, cioè che cosa devono fare, che cosa è meglio che facciano, poi che lo sia o no questo è un altro discorso, però questa è l’idea e tutto questo perché gli umani sono parlanti se non lo fossero tutto ciò non sarebbe mai esistito, neanche gli umani tutto sommato, ma questa è un’altra questione. Vi dicevo che non c’è la possibilità parlando di proseguire se non affermando cose, cioè affermando il proprio “potere”, mettiamolo tra virgolette, è vero nel senso che è così che funziona il linguaggio, ciascuno può esperirlo quando e come vuole, basta che provi a parlare senza affermare nulla, il suo discorso si esaurisce molto rapidamente, anzi, non potrebbe neanche chiamarlo un discorso. Ora, a questo punto ci sono due possibilità che ci si affacciano: o non sapere nulla di tutto ciò e continuare a vivere travolti da tutto questo, cioè da fantasie di potere, dal volere continuamente imporre ciò che si crede essere vero sugli altri, in qualunque modo e a qualunque costo, come avviene ininterrottamente; oppure, sapere ciò che si sta facendo, questa via non è semplice, è ardua, ma è praticabile ed è l’unica via che toglie la necessità di dovere imporre la propria verità, il proprio pensiero, i propri valori, le proprie credenze e tutto ciò che per la persona costituisce l’”importante”, qualunque cosa sia. E tutto questo molto probabilmente non sarebbe potuto accadere, cioè tutte queste considerazioni, senza il gesto inaugurale di Freud, cioè dall’avere incominciato a interrogare le cose in un modo in cui prima non era mai stato fatto, cioè continuare a interrogarle anche dopo che hanno risposto, continuare a interrogare anche la risposta e interrogare anche la stessa interrogazione, cosa che è possibile fare, certo, non nella vita quotidiana, non avrebbe grossa utilità ma in ambito teorico, cioè quando si riflette sul come avvengano certi fenomeni, come si strutturino, allora, sì, è importante domandarsi anche che cos’è una domanda, a quali condizioni io posso pormi una domanda, come so che mi sto ponendo una domanda e come so che ciò che ho dato come risposta sia una risposta e dunque che cosa intendo con risposta. Non sono cose che uno si chiede generalmente quando deve andare al mercato a comprarsi la maglietta, però, se si riflette con un minimo di correttezza e di quella cosa che a me piace chiamare “onestà intellettuale”, beh, allora non è possibile esimersi anche da queste interrogazioni. Facciamo un’ipotesi: se non esistesse, se non ci fosse da sempre la necessità da parte delle persone, degli umani, di imporsi e di imporre la propria verità, il proprio pensiero, il proprio valore, tutto quello che volete, su altri, cosa accadrebbe? Sicuramente il mondo così come lo concepiamo sarebbe totalmente differente, è anche molto difficile fare delle previsioni su una cosa del genere che di fatto non si è mai verificata, però è interessante porsi la questione anche singolarmente. Il problema è che si toglie questo si toglie la necessità di imporsi sugli altri, si toglie ciò stesso che dà il senso alla propria esistenza e questo è un problema, come potete facilmente immaginare. Sto dicendo che l’unico senso che gli umani trovano nella loro esistenza è quello di imporre la loro verità su altri, riflettendoci bene non se ne trovano di altri. È un problema, certo, perché comporta tutto ciò che comporta, ovviamente i conflitti a questo punto sono assolutamente inevitabili, cioè fanno veramente parte del gioco. È lo stesso motivo per cui agli umani piace giocare, non importa quale gioco, ma piace giocare, e cioè fare un qualche cosa che abbia un vincitore e un vinto, cioè qualche cosa che renda possibile l’imporsi sull’altro. Un gioco è questo, per quanto amichevole possa apparire, fino ai conflitti mondiali ovviamente, con tutte le varianti che ci sono in mezzo. I conflitti tra persone, tra coppie per esempio, sempre conflitti sono, sono sempre, per usare un termine molto banale, lotte di potere, molto complesse delle volte ma lotte di potere dove ciò che importa è che qualcuno, cioè la persona, possa pensare di essere il vincitore, non che lo sia ma pensare di esserlo. È così che funzionano le cosiddette relazioni umane ed è per questo motivo che sono così complicate ovviamente, è come se fosse sempre una guerra di religione, in un certo senso, perché se io ho la verità, se ho i miei valori, che sono importanti e sono veri, nessuno deve osare mettermeli in discussione o non riconoscermeli come veri e come importanti, se qualcuno lo fa da amico diventa nemico immediatamente e si scatena la guerra. Ciò che la psicanalisi ha fatto in questi cento anni o poco più da quando esiste, in effetti è una disciplina piuttosto giovane, ha condotto a considerare in modo sempre più attento il linguaggio per i motivi che ho esposti almeno in parte negli incontri precedenti, e cioè l’analista ascolta quello che dice la persona e quindi si trova di fronte a dei discorsi, delle sequenze di parole, che per la persona che le sta dicendo sono molto importanti. Ciascuno ritiene importante ciò che dice, se non lo ritenesse non lo direbbe probabilmente, dicendolo lo ritiene importante quindi degno di essere ascoltato, essere ascoltati con attenzione è ciò che si pretende generalmente da un’altra persona al momento in cui parla. Cosa vuol dire che l’altro ascolta con attenzione? Vuol dire che sta dando importanza a quello che dico, se si gira dall’altra parte ridendo viene il sospetto che non consideri sufficientemente le cose che sto dicendo. Tutte le cose che risultano importanti per gli umani hanno questa struttura: il rispetto, la considerazione, l’importanza, l’onestà, la lealtà, sono tutti aspetti della stessa questione. Non sto dicendo, ovviamente, che debbano essere eliminati, certo che no, sto soltanto cercando di intendere come funzionano, solo questo, perché è questo che fa l’analista, intendere come funzionano le cose che una persona dice e fa in modo, ovviamente, che la persona stessa abbia questa opportunità di accorgersi di ciò che sta accadendo mentre parla, di quello che sta facendo. Se non se ne accorge continua a essere travolto dalle proprie fantasie immaginando che sia sempre altro o altre cose la causa dei suoi malanni, come la fanciullina dell’esempio classico di prima che pensa di essere incapace perché il papà è questo che pensa di lei, la fanciullina non sa che il papà non pensa affatto quello di lei, ma deve continuare a crederlo se vuole mantenere, questa è la sua idea, di mantenere l’amore del papà, deve essere ciò che lui dice che è, cioè un’incapace. Ora, questo è un esempio molto rozzo, ovviamente, però per le persone funziona così, ciascuno ha dei propri valori, delle cose in cui crede fermamente, e queste sono le cose che pilotano la sua esistenza e le cose vanno apparentemente bene finché questi valori non vengono messi in discussione da qualcosa o da qualcuno, e allora si scatenano le guerre o liti a seconda dei casi. Non ho nulla contro le liti, sto soltanto, come dicevo prima, cercando di intendere come funziona, tutto qua, non do nessun giudizio morale etico o di valore, nessuna assiologia, nessuna teoria dei valori, ma in quanto psicanalista non posso esimermi dall’intendere ciò che le persone dicono, che cosa accade mentre parlano, da dove muovono le fantasie e di che cosa sono fatte e dove portano quelle fantasie che, come stavo dicendo, sono sempre e comunque fantasie di potere. L’obiettivo è sempre lo stesso, giungere ad un punto in cui io posso dire “ho vinto, le cose stanno così come dico io”. I modi sono differenti, Freud ne ha individuati quattro, perché quattro sono le strutture di discorso che ha individuate: isterica, paranoica, ossessiva, schizofrenica, che non sono altro che figure retoriche, cioè modi in cui le persone si adoperano per raggiungere lo stesso obiettivo, cioè dire come stanno le cose e fare in modo che queste affermazioni vengano riconosciute come vere. Vi faccio un altro esempio. Supponiamo che adesso, in questo momento, qui fra voi ci sia qualcuno che pensa tra sé e sé che tutto ciò che io sto dicendo sia falso, è possibile, diciamo che non è impossibile che succeda una cosa del genere, che cosa sta avvenendo esattamente in ciò che la persona sta pensando? Immagina che le cose che io affermo sia la verità, ora questa persona ha le sue verità, cioè i suoi valori, le cose che io dico vanno in conflitto con le sue verità e allora ecco la necessità, per esempio, di attaccare quello che dico o di mostrarmi che ciò che io affermo è falso o che non è universale, cioè non può applicarsi a qualunque cosa, ma questa è la struttura, ciò che questa ipotetica persona ha in questo momento è la necessità di demolire un verità che si oppone alla sua e che, quindi, deve essere eliminata come se fosse una minaccia, come accade nelle guerre di religione d’altra parte, “il mio dio è quello vero” per forza, è inevitabile e quindi il tuo dio è falso, essendo diverso dal mio è falso e quindi deve essere eliminato, come d’altra parte si è cercato di fare e si cerca ancora di fare da quando esistono le religioni, più o meno l’attività principale è stata questa, massacrare quelli che hanno religioni diverse. Quindi, chiunque si trovi di fronte a una verità che non collima o che addirittura minaccia la propria si sente lui stesso minacciato e quindi reagisce. Ma se ritorniamo con un piccolo passo indietro, ciò che io affermo so essere un gioco linguistico, proprio nell’accezione in cui ne parlava Wittgenstein, come il gioco di pallone, dove le parole si rincorrono fra loro creando significati, alterandoli, modificandoli, in una costruzione continua al solo scopo di costruire altre sequenze, perché non ha nessun altro obiettivo. Se so questo allora so che ciò che affermo, qualunque cosa sia, ha la funzione di consentirmi di proseguire a parlare, nessun altra, e cioè non sta descrivendo uno stato di cose, non è una verità e, se non lo è, non ho da imporla su altri ma posso cercare qualcuno che abbia voglia, piacere di continuare a giocare con me, eventualmente, a giocare anziché prendersi a sprangate, a coltellate, che siano simboliche oppure no, tante volte non lo sono affatto però … Ecco, una psicanalisi punta a questo o dovrebbe puntare a questo, non come talvolta accade a trasformare le cose che una persona dice in un’altra cosa, cioè in un’altra verità, che la persona può anche accogliere, perché no? L’importante, come si suole dire, è credere in qualche cosa, non importa che cosa, è così che si suole dire, cioè avere dei valori perché è questo che rende gli umani “umani” , e cioè, in altri termini, voler imporre la propria verità, è questo che rende gli umani tali. Ciò che sto proponendo questa sera al termine di questi incontri è proprio questa possibilità di incominciare a pensare a ciò che si sta facendo mentre si sta parlando, mentre si sta dicendo qualche cosa a qualcuno o mentre si sta pensando, può essere divertente seguire i propri pensieri, le cose che costruiscono, le scene che mettono in piedi come uno scenografo che costruisce un film, con tutti i personaggi che si muovono in un certo modo, che fanno certe cose, quelle che voglio io, ovviamente, visto che le penso io. Può essere divertente seguire come le parole, queste sequenze, costruiscono delle immagini e delle scene, delle volte anche molto complesse, le quali scene e immagini hanno sempre lo stesso obiettivo: giungere a una posizione che io possa riconoscere di superiorità, di privilegio, di priorità. Pensate a quelle fantasie che le persone si fanno, le cosiddette fantasie ad occhi aperti. Uno comincia a fantasticare, si immagina una scena, una situazione più o meno complessa o semplice, non importa dove, lei, la persona è al centro di tutto, tutto il mondo ruota intorno a lei, e questo è l’obiettivo, non soltanto della fantasia ad occhi aperti cosiddetta, ma è l’obiettivo stesso del linguaggio e, vi dicevo prima, le possibilità sono due: o lo si sa oppure no, se lo si sa si può giocare in questo modo sapendo che si sta giocando, se non lo si sa allora si è travolti come se si subisse tutto ciò senza rendersene conto e si continua a voler imporre la propria verità, i propri valori difendendoli strenuamente, valori che sono stringhe, sequenze argomentative, dietro ci sono soltanto altre sequenze argomentative e dietro a queste ci sono altre sequenze argomentative, e così via all’infinito. Non è una questione di porsi la domanda fatidica se esiste la realtà oppure no, è una domanda che non ha nessun senso, nessun interesse, anche perché il porsi questa domanda e qualunque risposta daremo a questa domanda sarà stato un altro gioco linguistico al pari di qualunque altro. Questo e anche altre cose è ciò che l’Associazione Scienza della Parola si è trovata a considerare, a pensare in questi ultimi vent’anni leggendo moltissimo, compulsando testi di ogni sorta e non solo psicanalitici, ovviamente, ma come ho detto in altre circostanze, testi di linguistica, di logica, di semiotica, di filosofia del linguaggio, di retorica. La retorica è importante perché, mostrando come occorre giocare per vincere, mostra anche delle volte quali sono i meccanismi. Ecco, dicevo, considerare tutto questo è stato di un interesse straordinario e la scommessa dell’Associazione è quella di proseguire sempre e comunque la ricerca teorica in modo totalmente irriverente, e cioè non dovendo mantenere fede a nessuno, d’altra parte perché mai? Ciascuno degli autori che ha dette cose importanti anche nella filosofia, ovviamente, va letto molto attentamente e tratto ciò che interessa. Che cosa interessa? Molte volte ciò che interessa sono proprio i punti deboli di una costruzione, sia essa filosofica, linguistica, semiotica, ecc., e cioè quei punti in cui in qualche modo l’autore ha dovuto come rattoppare qualche cosa che non si riusciva a far funzionare bene e delle volte proprio lì c’è qualche cosa di interessante. Ora, questo lavoro che stiamo compiendo è un lavoro che facciamo ogni settimana, ci incontriamo e discutiamo il mercoledì sera nella sede dell’Associazione, che è in via Grassi 10, l’indirizzo del sito è www.scienzadellaparola.it, lì c’è il telefono e tutto quanto… Io vi ho raccontate queste cose in questi quattro incontri anche per invitare altri a giocare questo gioco che è molto interessante e che non ha fine, va avanti all’infinito, un po’ come le parole. Qualcuno aveva tentato di stabilire di trovare l’ultimo elemento della catena, quello che una volta trovato finalmente desse un senso a tutto quanto, ma c’è sempre un qualche cosa che si aggiunge, potremmo dire fortunatamente. Ecco, io invito chiunque abbia voglia di giocare questo gioco con noi a intervenire il mercoledì sera, l’incontro è gratuito, lo facciamo per il solo piacere di farlo, non c’è nessun altro fine se non quello di trovare altre cose, trovare continuamente altre cose, articolarle, elaborarle, farle funzionare in modo che queste cose possano produrre ancora altre cose, e così via all’infinito. Quindi, estendo l’invito a ciascuno dei presenti e anche ad altri assenti se ne conoscete che abbiano questo desiderio, questo piacere della teoria, saremo felici di accoglierli. Come ho detto e ripetuto le cose che ho detto questa sera sono tutt’altro che semplici ma era il caso che le dicessi, magari c’è stata qualche imprecisione ma non importa, ciò che mi interessava questa sera era una sorta di quadro generale del funzionamento del linguaggio. È ovvio che non sono sceso nei dettagli, se volete possiamo farlo ma ho soltanto proposto un funzionamento, ciò che accade mentre si parla in termini molto sommari, molto semplici. È ovvio considerato anche il tempo a disposizione. Ora, a questo punto forse qualcuno ha qualche questione da porre, qualche domanda, qualche obiezione, qualche considerazione, qualunque cosa sia l’accoglierò volentieri

Intervento: ciascuno di noi che si trova qui, e che al mercoledì si trova da vent’anni in Associazione a discutere, a lavorare lo fa con piacere, con estremo piacere e non è costretto, anzi, direi che non può non farlo, il percorso come ciascuna psicanalisi inizia, almeno nella maggior parte dei casi, perché ci sono dei problemi, in effetti la psicanalisi è diventata una psicoterapia cioè qualcosa che serve per “guarire” , ecco anche per noi, parlo di me la cosa è iniziata con una psicanalisi, volevo intendere perché mi trovavo a pensare certe cose (e a subirle). Bene a questo punto io sto lavorando con estremo piacere ed interesse e non potrei non farlo, per costruire, per elaborare , per proseguire in questo discorso che è la chance mia in prima istanza, e poi mi auguro anche per chi vorrà giocare con noi, con me, perché gli umani non hanno nessun’altra chance per modificare il loro modo di pensare, di agire quindi, e infatti continuano da sempre a farsi la lotta l’uno con l’altro e ad uccidersi pur di vincere. Io sono assolutamente certa, sicura, che se gli umani potessero addentarsi nel mondo del linguaggio, mondo che il linguaggio ha costruito, potrebbero intendere ben altre vie e giocare in ben altro modo.

Intervento: ho trovato interessante ciò che lei ha detto però anche questa è una teoria e altre teorie dicono cose diverse ….. che ciascuno si trovi ad affermare la propria verità da persona a persona è ovvio però può essere tutto ridotto al gioco linguistico anche se questa teoria possa essere molto interessante e suggestiva

Lei dice ridotto? Non so se è proprio una riduzione anche perché…

Intervento: che tutta la comunicazione si basi … io sono molto affascinata dal linguaggio …. Vivo anche molto di parole per il mio lavoro però dico c’è qualche cos’altro oltre la parola, io stesso ho esagerato a fidarmi spesso soltanto della parola vorrei considerare di più delle cose reali, più concrete

Certo, questa considerazione, questa priorità data al linguaggio è una cosa antica. In effetti, la domanda fondamentale a questo punto è se esiste qualche cosa che non è linguaggio o se qualunque cosa appartiene al linguaggio, che è una domanda fondamentale. Ora, per esempio, per alcune discipline l’esistenza della cosiddetta “realtà” comporta dei grossissimi problemi, non il fatto di riconoscere il foglietto ma di sapere indicare con precisione che cosa sia. Ogni qual volta gli umani hanno tentato di dire che cos’è veramente la realtà hanno trovato delle difficoltà immense e si sono arenati in un rinvio infinito. Pensi alla metafisica, l’obiettivo della metafisica è stato questo stabilire che cos’è la realtà e così anche dell’ontologia, in fondo l’Essere è ciò che è reale, ma che cos’è esattamente? Come dicevo prima, non è la questione di sapere se questo c’è o non c’è, questo è soltanto un gioco linguistico che abbiamo appreso tutti quanti da piccoli, ma se io volessi dire esattamente che cos’è quella cosa, qualunque essa sia, mi scontrerei da subito con una serie di problemi, e cioè qualunque cosa io dica che quella cosa è comunque è un’altra cosa, perché è un rinvio. Questo foglio io posso definirlo, posso denominarlo come foglio, ma la definizione che darò saranno una serie di parole e allora procedendo lungo questa via in particolar modo la semiotica ma anche la psicanalisi, perché quando Freud parla della Wirklichkeit, il tedesco offre due termini per dire della realtà, la Wirklichkeit lui la intendeva come “realtà psichica” il fantasma, la Realität, “la realtà oggettiva”, però, poi di fatto constata che questa realtà oggettiva comunque passa attraverso il fantasma e allora la realtà quella oggettiva, quella vera…

Intervento: la realtà oggettiva, non so se ho capito bene è comunque sempre filtrata dalla parole in qualche modo o rappresentata

Sì, al punto che nel momento in cui si giunge, come ha fatto in parte la metafisica, a considerare che qualunque cosa dirò di questa realtà comunque sarà un’altra cosa da ciò che io voglio sapere, allora a questo punto non posso non chiedermi che cosa sto facendo domandandomi che cos’è la realtà. È una domanda inevitabile e la risposta a questa domanda è molto semplice: “sto costruendo un gioco linguistico”. Allora, a questo punto, sic stantibus rebus, io posso soltanto ipostatizzare la realtà, postularla, e cioè credere che ci sia, credere che esista, credere che ci esista qualche cosa al di sotto, che è nota come ipostasi, credere che qualche cosa che sta sotto garantisce ciò che sta sopra, posso crederlo, la più parte degli umani lo fanno ma non posso provarlo in nessun modo, per questo dicevo che posso postularlo. Io dico: “la realtà c’è”, va bene, però non posso andare molto oltre, posso anche dire che la realtà è ciò che i miei sensi percepiscono ma in questo modo non ho detto che cos’è la realtà, ho soltanto stabilito un criterio per definirla nient’altro, ma che cosa sia non lo so. Vede, il problema insito in questa questione, così come anche in altre, è il problema della metafisica, dell’ontologia in generale, è imporre qualche cosa fuori dal linguaggio e, una volta posto fuori dal linguaggio, pensare di interrogarlo e aspettare che risponda per dire che cosa realmente è. Questo non succederà mai, per questo la realtà posso postularla ma non potrò mai dire che cos’è perché non mi risponderà mai; primo, perché sono io che l’ho inventata questo concetto; secondo, perché se lo immagino fuori dal linguaggio non potrà fare niente. Il fatto di dire che questo c’è, che esiste, come dicevo prima, è un gioco che ho imparato ma che di per sé non dice niente. I giochi linguistici si imparano, più o meno bene ma si imparano; infatti, ciascuno sa muoversi nel mondo circostante, gli si è insegnato che esiste una realtà, ma a questo punto si può fare un passo ulteriore, e cioè chiedersi perché mai è stata inventata la “realtà” e la risposta a questa domanda potrebbe essere interessante, e cioè la realtà come garanzia: se quello che io dico è agganciato a qualcosa che è fuori dalla parola, dal linguaggio, lì, immobile, eterno sub specie aeternitate, allora ciò che io dico è assolutamente vero, è l’unica garanzia. È l’unico modo di usare il concetto di realtà che abbia un qualche utilizzo, e cioè garantire della verità di ciò che dico, nessun altro, e garantire della verità di ciò che dico mi consente di imporla su altri, “vedete le cose stanno così e quindi dovete fare quello che dico io”, in genere viene utilizzata così. Dicevo prima della retorica “perché persuadere, a che scopo?” per far fare ad altri ciò che io voglio che facciano, da sempre, dai tempi di Gorgia con il suo famoso Encomio di Elena.

Intervento: probabilmente verrò anch’io…

Bene, mi fa molto piacere. Tutte le cose che ho detto hanno avuto un senso, cioè invitare qualcuno a giocare questo gioco e la teoria, ultimamente in questi ultimi decenni la cultura è stata un po’ deprezzata per una serie di motivi, d’altra parte meno le persone pensano e più facilmente sono manipolabili, questo è noto da quando esistono gli umani, quindi si può anche rendersi conto del motivo per cui la cultura, il sapere e la teoria, che è stata sempre più messa in disparte, eppure è possibile anche pensare che da questo si possa trarre una delle più grandi soddisfazioni, dei piaceri della vita: uno, ce ne sono anche altri però questo è uno e sicuramente non il minore, perché comunque rimane il fatto che l’unica soddisfazione gli umani possono trarre è continuare ad affermare, a interrogare e poi affermare, creare problemi e risolverli. Questo fanno ininterrottamente, l’emblema sono le parole crociate o i giochi in generale, proprio i giochi, quelli ludici… Uno si crea un problema per potere risolverlo, perché dovrebbe fare una cosa così stupida? Non c’è il problema, perché devi crearlo per risolverlo? Se non c’è non c’è, e invece no e invece lo crea per poterlo risolvere, solo questo, non accade solo per i giochi cosiddetti ludici ma accade anche nella vita crearsi problemi per potere risolverli.

Intervento: per non cadere in depressione?

Può accadere anche questo. Una volta una persona mi disse in seduta: “ma se non sto più male dopo che cosa faccio?”, che è abbastanza emblematico il modo in cui spesso gli umani si trovano a pensare. Allora, vi invito e mi farà molto piacere se vi vedrò, se non vi vedrò proseguirò lo stesso, ma se vi vedrò proseguirò con maggiore piacere.

Intervento: io è la prima volta che assisto all’incontro, io seguo gli incontri su Freud, e ho detto vado e sono stata davvero molto contenta, contenta perché ho seguito tutti con attenzione e lei è stato molto chiaro per una che non è …. ho capito tutto ed è stato molto interessante

Mi fa molto, molto piacere.

Intervento: a proposito di libero arbitrio non sappiamo che cosa è scattato

Beh, che cosa ha incuriosito…

Intervento: posso dire che ho fatto bene a venire.

Grazie, sapere che cosa accade nel dettaglio è straordinariamente complesso anche perché la rete di elementi che intervengono è quasi sterminata. Forse, solo un computer potentissimo riuscirebbe a costruire delle sequenze forse.

Intervento: questa specie di riunioni hanno una specie di percorso?

Dipende dai periodi. Per esempio, in questo momento stiamo riconsiderando alcune questioni che ci sono apparse importanti che riguardano la semiotica e quindi stiamo rivedendo alcuni testi di semiotica però vedendo quelle parti che a noi interessano, e cioè quelle più specifiche intorno al funzionamento del linguaggio che noi stiamo considerando. D’altra parte leggiamo così qualunque testo, anche un testo di logica formale lo leggiamo in questo modo, non è che ci interessa la logica formale in quanto tale, ci interessa ciò che può darci per potere proseguire in modo più interessante il lavoro che stiamo facendo, dipende dai periodi, da ciò che mano a mano incontriamo.

Intervento: la logica formale, vi occupate di logica formale?

È successo anche questo, ma la logica formale ci ha interessati per una serie di motivi. Dopotutto, una logica, una qualunque logica,, non fa nient’altro che reperire quali sono le condizioni di verità di certi enunciati, di certe sequenze, e questo ci interessa non tanto il gioco che fa propriamente la logica formale, questo è relativo, ciascuno fa i suoi giochetti, ci interessa per quello che può dire, perché la logica si è occupata di stabilire a quali condizioni una certa sequenza è vera o falsa.

Intervento: allora paradossalmente tutti i libri che ci sono in questa biblioteca sono tutti giochi linguistici?

Sì, assolutamente sì.

Intervento: come si fa pensando che tutto è un gioco linguistico e anche gli altri sono un gioco linguistico? … c’è anche il linguaggio del corpo

Forse non mi sono espresso bene. Io intendevo “gioco” non in accezione ludica ma gioco come attività governata da regole al fine di ottenere un certo obiettivo. Questo è un gioco linguistico, in particolare può diventare anche ludico, divertente, ma di per sé il gioco è soltanto questo un’attività regolamentata da regole che dicono che questo si può fare e questo no per ottenere quel risultato. Lei dice che c’è il linguaggio del corpo, certo, c’è il linguaggio dei fiori, ci sono tanti linguaggi o chiamati tali che però di fatto sono segni, un linguaggio del corpo che lei comprende, per esempio uno sguardo cattivo, dolce, ecc., lei lo comprende, come fa a comprenderlo? Lo comprende perché per lei costituisce un segno che rinvia a qualcosa e se un segno che rinvia a qualcosa è già nel linguaggio.

Intervento: scusi la musica e la pittura?

Lei pensa che se non fosse mai esistito il linguaggio ci potrebbe essere la musica? Certo che no.

Intervento: le note…

Sono segni anche quelli, sono segni che vengono decodificati, tant’è che una macchina per esempio un computer può eseguire una sinfonia a modo suo ma la esegue perfettamente.

Interventi vari

Questo è uno dei motivi per cui stiamo riprendendo alcune cose della semiotica, è che la semiotica ha avvertito che una qualunque cosa perché possa essere qualche cosa deve essere un segno per qualcuno. Bene dobbiamo concludere, è tardi, e tutte queste questioni le riprenderemo, buona serata e grazie a voi.