17-5-2015

seminario dell’I-AEP

INTER-ASSOCIATIF EUROPÉEN DE PSYCHANALYSE

 

Luciano Faioni

 

C’è una questione fra le molte e importanti che sono emerse ieri, una questione che riguarda la tecnica di cui si è parlato molto. In effetti anche questa mattina se ne è accennato e la domanda è “come mai la tecnica è così affascinante, così interessante?”.

La tecnica possiede una proprietà, e la proprietà della tecnica, la particolarità della tecnica è che mantiene esattamente quello che promette. Cosa che non è così frequente presso gli umani. Questo fatto pone chi utilizza la tecnica a trovarsi, ad avere a che fare con delle promesse che la tecnica propone e sapere che queste promesse verranno mantenute, che cosa dice la tecnica? Dice che puoi fare quello che vuoi, perché io ti offro gli strumenti per fare tutto quello che vuoi. Entro i limiti posti dalla tecnica ovviamente. Ci sono pochi pensieri che possono competere con una cosa del genere, un qualche cosa che offre una simile possibilità: la possibilità di un controllo totale. La tecnica offre la possibilità di controllare praticamente tutto.

L’idea per qualcuno che utilizza questa tecnica oggi, è di avere la possibilità di sapere ciò che le persone fanno, gli amici, i conoscenti, eccetera, sapere tutto quello che fanno e dove sono in tempo reale, una sorta di occhio onniveggente, che vede tutto, che sa tutto. Ora questa idea di controllo totale in alcuni casi è una sorta di illusione, però per quanto riguarda quel complesso di strutture note come Echelon che ha la possibilità di processare tutte le comunicazioni che passano sul pianeta, non sono più sicurissimo che si tratti soltanto di un’illusione.

Oggi la tecnica si pone come ciò che soddisfa o può soddisfare qualunque desiderio, immediatamente, da qui il suo fascino ovviamente. Spesso si è detto che il desiderio non è esaurito dal raggiungimento di un oggetto, c’è anche chi ha sostenuto che il desiderio dell’uomo sia il desiderio dell’Altro, e mi sono sempre chiesto come mai l’Altro dovrebbe desiderare qualcosa, ma la questione interessante è che per sostenere questo si è inventato un altro concetto, il concetto di “mancanza”, una mancanza strutturale, mancanza ineludibile e incolmabile. Tutto questo si regge sulla teoria delle pulsioni di Freud, una bella teoria metafisica, Ma d’altronde anche la psicanalisi lo è. Come qualunque cosa che produca quella cosa che chiamiamo “senso”.

Una mancanza strutturale dunque. È possibile. È possibile nel senso che è possibile costruire argomentazioni che sostengono questa conclusione, così come è possibile costruire argomentazioni che giungano a una conclusione diametralmente opposta. Ovviamente poi ciascuno utilizza la conclusione che è più funzionale alla teoria che sta costruendo, così come per lo più accade per altro.

Ma la questione importante nella tecnica è il desiderio di potenza. Nietzsche parlava di “volontà di potenza”. Che gli umani cerchino il potere a qualunque costo, questo è noto fino dalla notte dei tempi, forse chi ha ripreso la questione in termini radicali è stato proprio Nietzsche, che come è noto pone la volontà di potenza come prioritaria su qualunque cosa, come se qualunque altro desiderio fosse soltanto una modulazione, una configurazione della volontà di potenza. È anche possibile che non abbia torto.

Ma la domanda essenziale riguarda il perché gli umani vogliono il potere. Che cosa se ne fanno una volta che ce l’hanno?

Tuttavia perché ci sia un desiderio di potere, così come una qualunque altra cosa, è necessario che ci sia una serie numerosa di altre cose, e cioè giudizi di esistenza, giudizi di valore, considerazioni intorno a ciò che è conveniente, a ciò che è importante, a ciò che si vuole, a ciò che non si vuole, una quantità infinita di considerazioni che sono quelle considerazioni che sono consentite da quella struttura che comunemente chiamiamo “linguaggio”. E allora forse per intendere perché gli umani vogliono assolutamente avere il potere, occorre intendere qual è la struttura che consente e che forse costringe loro ad avere questo desiderio, di manifestarlo, e se questa struttura è il linguaggio allora è proprio nel linguaggio che si manifesta l’“esigenza di potere”.

Ciascuna volta in cui si parla si afferma qualche cosa, inevitabilmente, e a questo qualcosa che viene affermato si impone un significato, qualunque esso sia adesso non ha nessuna importanza, imponendo questo significato si compie un’operazione necessaria, perché se non si fa questo allora ciò che affermo non ha nessun significato, e questo non mi consente di proseguire a parlare, perché ciò che seguirà, non muoverà da nulla.

Questa è una considerazione molto banale, che cioè quando si parla accada questo, e cioè si affermi qualche cosa e a questo qualche cosa si attribuisca, o meglio si imponga un significato. Questa imposizione del significato si potrebbe anche intendere come la prima figura del potere, come dire che non posso, parlando, non esercitare un potere su quello che dico: il significato di ciò che dico.

A questo punto la conclusione inevitabile è che questa “esigenza di potere” viene dalla struttura stessa del linguaggio, e di conseguenza non è eliminabile. Sarei portato a considerare che quanto di meglio possa farsi a questo riguardo sia sapere, e non potere non sapere, ciò che accade mentre si parla.

C’è una frase di Novalis, una frase che illustra bene la mia posizione nei confronti del linguaggio, una frase che a mio parere racchiude in sé quanto di meglio sia stato detto intorno al linguaggio, dal Περὶ ἑρμηνείας di Aristotele fino alle Philosophische Untersuchungen di Wittgenstein. Novalis dice questo: “Il linguaggio parla soltanto per se stesso, e questo è il motivo per cui non lo comprendiamo”. Ecco, il linguaggio parla per se stesso, che significa che non parla di un qualche cosa, di un oggetto, di una fantasia, di un’emozione, di una sensazione, di una paura di un accidente qualunque, ma le fantasie, le immagini, le rappresentazioni, le paure, le angosce, tutte queste storie sono create dal linguaggio.

Il linguaggio non parla di queste cose, parla di sé, parla del suo funzionamento

Parlando del suo funzionamento continua a costruire sequenze argomentative, quindi proposizioni, racconti, e storie all’infinito, e costruisce tutte queste cose per niente, assolutamente per niente. Ma questo non ha nulla né di tragico né di angosciante anzi, potrebbe anche essere considerato divertente il fatto che non ci sia nessun fine, nessuno scopo, nessuna teleologia, nessuna escatologia, niente di tutto ciò.

Tutto questo per porre una questione intorno alla tecnica e a quell’altra questione che le è strettamente connessa che è il potere. Grazie a ciascuno di voi.