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L’ANALISI DEL DISCORSO

 

16/02/199

 

Il tema di questa sera è l’analisi del discorso, una questione importante sicuramente, la centrale rispetto agli ultimi incontri che abbiamo fatti. Dunque, cosa intendiamo con analisi del discorso in prima istanza? Si tratta essenzialmente di cogliere, di intendere rispetto a ciascun discorso quali sono le premesse, quali sono gli assiomi che lo sostengono. L’analisi del discorso in definitiva non è altri che il portare questi assiomi, questi principi su cui si regge un discorso alle estreme conseguenze. Con portare alle estreme conseguenze, intendo dire interrogarli, senza dare nulla per acquisito, nulla per scontato. Per rendere la cosa più chiara e anche più semplice proveremo a fare un esempio a questo riguardo, muovendo da questo stesso discorso che stiamo facendo da qualche tempo. Come è sorto il discorso che andiamo facendo, visto che indubbiamente ha comportato una analisi del discorso, del discorso precedente? Il discorso precedente a questo che andiamo facendo è il discorso che ha promosso Freud, come anche quello che ha promosso Lacan. Leggendo i loro testi è accaduto che abbiamo considerato quali ne fossero le premesse, quali le condizioni, cioè a quali condizioni Freud per esempio poteva affermare ciò che ha affermato. Ora, queste condizioni, questi assiomi fondamentali da cui Freud ha preso le mosse, li abbiamo interrogati per vedere se fosse necessario accoglierli oppure no, vale a dire se fossero affermazioni arbitrarie. Ciò che abbiamo incontrato lungo l’analisi del discorso, per esempio nel caso di Freud, è che gli assiomi da cui muoveva non erano e non risultavano necessari, non necessari nel senso che tutto ciò che affermava poteva essere negato. In effetti lo era negato da noi in quella occasione ma negato con buone ragioni. In altri termini, è come se avessimo domandato al testo di Freud, non essendoci più lui, su quali argomentazioni fondava il suo testo e se queste argomentazioni potessero reggere di fronte per esempio ad un contraddittorio. Ne è risultato che le sue affermazioni, così come anche quelle di altri psicanalisti, non erano sufficientemente potenti da essere credute, da essere prese per vere, ma semplicemente erano delle affermazioni che venivano fatte e che non erano non sostenibili al pari di una infinità di altre affermazioni. Dunque, portare alle estreme conseguenze il discorso di Freud e chiedere ragione al suo discorso della sua stessa esistenza. Ora, una operazione del genere può non essere semplicissima nel senso che si tratta ciascuna volta di non accogliere nulla come dato, come acquisito ma di domandare. Dunque, l’analisi del discorso di Freud ci ha condotti ad abbandonarlo, abbandonarlo perché non sufficientemente robusto e, non essendo sufficientemente robusto, diventava al pari di infiniti altri di scarso interesse, così come per esempio il discorso religioso, che può accogliersi oppure no. Ma ci si domandava: "C’è invece un qualche cosa che invece è possibile accogliere senza dovere credere necessariamente?" Come le persone che mi seguono da qualche tempo sanno, in effetti, l’analisi del discorso di Freud ci ha condotti a riflettere intorno a quali fossero le condizioni di un qualunque discorso, compreso il suo, e compreso anche quello che stiamo facendo, ovviamente, perché se ci sono delle condizioni senza le quali questo discorso come qualunque altro non può darsi allora è questo che ci interessa rilevare e vedremo come questo si può applicare a qualunque discorso. Dunque, dicevo delle condizioni. Per proseguire questa elaborazione ci è venuta in soccorso almeno in parte la linguistica, soprattutto alcuni linguisti i quali già avevano considerato che qualunque operazione si svolga, qualunque operazione di qualunque tipo, necessita di una struttura. Questa struttura è stata individuata dai linguisti in una serie di procedure sintattico-grammaticali che consentono la costruzioni di proposizioni. Ecco, allora, che ciò che consente la costruzione di proposizioni può essere considerato come una delle condizioni per potere affermare qualunque cosa e il suo contrario. Quindi, ciò che è noto come linguaggio ci è parso essere la condizione per potere considerare oppure non considerare qualunque cosa e siamo giunti in effetti a sostenere che ciò che è noto come linguaggio - il linguaggio non è altro che una logica in cui le cose si strutturano - è la condizione per potere pensare e quindi per potere costruire delle proposizioni e, ancora, per costruire quelle proposizioni che possono essere credute vere, false, ecc. e che soprattutto possono essere a fondamento di altre proposizioni che enunciano per esempio un disagio. E sono ancora i linguisti che hanno dato un contributo in questo senso. Mi riferisco per esempio a Austin. Parafrasandolo, potremmo dire che la condizione per cui, ad esempio, io abbia paura dei fantasmi è che creda che i morti dopo la morte in qualche modo vivano e che questo modo sia per esempio quello di creare problemi ai vivi. Se io non credo una cosa del genere ovviamente non potrò avere paura dei fantasmi. In altri termini ancora, occorrono delle condizioni perché un certo enunciato possa riuscire, cioè possa avere effetto. Austin faceva l’esempio di un matrimonio, di un battesimo, del varo di una nave. Se voglio varare una nave perché questo funzioni occorre che io sia preposto a fare questa operazione, occorre che ci sia una nave da varare, occorre che ci sia tutta una serie di condizioni, fuori dalle quali questa operazione è nulla. Posso anche dire "Adesso varo una nave" ma qui, nella sala, siamo sprovvisti di navi, non c’è nulla che mi autorizzi a fare una cosa del genere e quindi questo enunciato è nullo, non ha nessuna utilità, così come altri enunciati. Ora, ciò che fa l’analisi del discorso è giungere a considerare che gli enunciati che, diciamola così, creano un problema, in vari modi e a vario titolo, sono degli enunciati nulli esattamente come quello che afferma che sto varando una nave mentre non lo posso fare, in quanto non significa nulla detto in questo contesto. Allo stesso modo un enunciato che afferma che sono depresso può subire la stessa sorte, cioè giungere a essere nullo, a essere inutilizzabile: diventa inutilizzabile là dove mancano le condizioni perché questo enunciato possa riuscire. Ma vediamo di considerare più attentamente a quali condizioni un’affermazione, un enunciato, una proposizione può riuscire. Intanto, cosa intendiamo con riuscita (ciò che Austin chiamava "felicità") di una proposizione? Perché riesca occorre che siano soddisfatte le condizioni che la proposizione enuncia. Cosa intendo con questo? Intendo che ciò che la proposizione enuncia deve essere coerente con il sistema in cui è inserita. Se io, per esempio, affermo che sto varando la nave, questa affermazione non è coerente con ciò che mi sta circondando in questo momento, non è coerente con niente e in questo caso è nulla. Quindi, dicevo, è necessario che una serie di elementi di questa proposizione siano coerenti all’interno di questa struttura che potremmo anche chiamare gioco, un gioco linguistico. Il caso più evidente di incoerenza è la presenza di una contraddizione: se io mi contraddico il sistema in cui mi sto trovando diventa incoerente al pari se io affermo che sto varando una nave oppure se affermo che io non sto parlando in questo momento, produco una affermazione incoerente, incoerente perché nego una certa cosa che in realtà sta avvenendo. Ora, questa incoerenza che cosa comporta? Comporta che la mia affermazione rischia di non essere utilizzabile, tant’è che se io affermassi una cosa del genere ciascuno di voi si chiederebbe che cosa sto dicendo in realtà perché presa così alla lettera non ha nessun utilizzo e quindi ciascuno magari cercherebbe di intendere un senso nascosto, recondito, una cosa nascosta tra le righe; se per esempio dico "non sto parlando" allora uno intende che sto tacendo delle cose particolari o qualunque altra cosa. Ma, come vi dicevo, la finalità di una analisi del discorso, e quindi di ciò che in prima istanza fa un analista della parola, è rendere degli enunciati non utilizzabili, quegli enunciati che bloccano o arrestano il sistema. Gli enunciati che arrestano il sistema sono quelli creduti assolutamente veri, certi: se una cosa è sicura, è certa, oltre non è possibile andare. Ora, naturalmente io posso credere vera qualunque cosa. Poniamo che io creda vera la proposizione che afferma l’esistenza di dio, a questo punto l’esistenza di dio è una sorta di fine corsa oltre la quale non posso andare, non posso andare perché lo ritengo vero, così come gli enunciati intorno alla realtà delle cose, la stessa realtà delle cose è considerata come l’ultima barriera, le cose "stanno così" e non possono essere altrimenti, questa è la realtà e quindi non possiamo farci niente. Ecco, questi enunciati costituiscono una sorta di arresto come se il discorso al di là di questo punto non potesse andare, come se fossero una sorta di colonne d’Ercole. Il linguaggio, invece, come già i linguisti avevano notato, non si arresta di fronte a una cosa del genere ma non soltanto, l’analisi del discorso conduce a concludere che è il linguaggio che costruisce la realtà e non, come talvolta accade di pensare, che il linguaggio sia soltanto uno strumento per descrivere la realtà. Senza questo strumento, chiamiamolo così, senza questo apparato logico ciò che chiamiamo realtà non potremmo chiamarla tale perché non avremmo nessuno strumento per potere compiere questa operazione né potremmo chiamare nulla in nessun modo. Il problema che sorge a questo punto è che non potremmo nemmeno parlare di esistenza e pertanto qualunque cosa non esisterebbe, in quanto non c’è nessuno che la fa esistere parlandone. C’è l’antica obiezione "ma le cose esistono lo stesso" ma perché io possa affermare questo occorre che io lo sappia che esistono lo stesso, ma come lo so? Come posso sapere una qualunque cosa se non ho uno strumento per pensarlo? Quindi. a questo punto la domanda o la questione che si chiede se le cose esiterebbero lo stesso si volge in una sorta di non senso, cioè in una proposizione che non è utilizzabile, non utilizzabile perché non si sa cosa farsene dato che produce un’informazione che non ha nessun utilizzo. Ma la questione centrale vi dicevo è giungere a porre le condizioni perché una buona parte di proposizioni si trasformino in proposizioni che non hanno nessun utilizzo, come per esempio una proposizione che afferma che sono depresso. Se questa proposizione non ha più nessun utilizzo, cioè se non so che cosa farmene, non mi dice nulla, accade qualcosa ma accade soprattutto perché anche le proposizioni che sostengono quella sensazione nota come depressione, giungendo a non essere utilizzabili, si dissolvono nel nulla. Per potere affermare, adesso faccio l’esempio della depressione perché è una delle cose che al momento è più diffusa, per poter affermare che per esempio "sono depresso" occorrono, come direbbe Austin, tutta una serie di elementi perché questo enunciato abbia una qualche utilità, un qualche utilizzo. Occorre, innanzitutto, che io avverta una certa sensazione di inutilità, che di solito accompagna la depressione, quindi io sono inutile e non soltanto ma tutto ciò che mi circonda è assolutamente inutile. Per potere compiere questa affermazione, direbbe Austin, è assolutamente necessario che io abbia una nozione di utilità - in caso contrario non potrei nemmeno pormi la domanda - e che questa nozione di inutilità sia costruita in un certo modo. Se io vario questa nozione di utilità oppure la porto alle estreme conseguenze, per esempio, chiedendomi perché mai qualcosa dovrebbe essere utile, proseguendo lungo questa strada posso giungere a modificare questa nozione di utilità che, così modificata, non fa più da sostegno a quella proposizione che afferma che tutto quanto è inutile perché a questo punto affermare che tutto è inutile o tutto è utile è assolutamente la stessa cosa. Dunque, abbiamo già eliminato una delle premesse su cui si sostiene in questo caso la depressione, in quanto la proposizione che afferma che io sono inutile che tutto quanto è inutile non significa più niente, non mi dice più niente, ha perso il suo utilizzo, non raggiunge l’obiettivo e l’obiettivo di questa proposizione era quello di farmi credere che effettivamente le cose stanno così, che tutto è inutile e quindi essendo inutile deve o essere eliminato oppure tutta una serie di cose che seguono generalmente a questa considerazione. Ecco, allora, che comincia a delinearsi un pochino la questione dell’analisi del discorso. Qual è la sua utilità, in effetti? La sua utilità consiste nel modificare diciamo pure così l’utilizzo di alcune proposizioni. Come viene utilizzata una proposizione, per esempio quella che afferma che tutto è inutile? Sicuramente dal depresso viene utilizzata in un certo modo, da me in un altro, se io dico che tutto è inutile non succede assolutamente niente, "tutto" cosa? "tutto" rispetto a che cosa? quale nozione di utilità? Occorre un’analisi molto dettagliata per potere stabilire una cosa del genere e poi c’è l’eventualità di accorgersi che una proposizione del genere di per sé non significa niente, come mai c’è questa differenza tra me e il depresso? Perché cambia l’utilizzo di questa proposizione (adesso continuiamo a fare questo esempio che afferma che "tutto è inutile!"). Dunque, come vedete, è sufficiente modificare l’utilizzo di una proposizione perché tutto cambi completamente, così come spesso accade inconsapevolmente senza accorgersi: le cose sembrano nere e catastrofiche, sembra che ormai non ci sia più alcuna speranza e poi all’improvviso, senza sapere né perché né percome, tutto quanto diventa roseo, tutto tranquillo e non c’è più nessun problema. Le condizioni esterne cosiddette sono rimaste assolutamente immutate eppure è come se fosse cambiato tutto radicalmente. Ecco, la proposizione che afferma che "tutto va a catafascio" nel primo caso aveva un utilizzo, nel secondo un altro. Si tratta, e questo è l’aspetto più complesso, di volgere all’interno di un discorso delle proposizioni che hanno un particolare utilizzo in proposizioni che apparentemente sono le stesse ma hanno un altro utilizzo. Che cos’è l’utilizzo di una proposizione? Forse occorre precisare questa nozione. Con utilizzo di una proposizione intendiamo i rinvii che ha una proposizione, cioè gli agganci, le connessioni. Una certa parola detta a una persona produce una certa cosa, detta ad un’altra produce tutt’altro, come mai? La parola è la stessa, evidentemente per una persona quella certa parola ha alcuni rinvii, per l’altra persona ne ha tutt’altri e quindi ha un senso totalmente differente. Si tratta di operare la stessa cosa all’interno di un discorso ma in modo tale che sia sempre possibile in qualunque momento compiere questa operazione e cioè modificare l’utilizzo di una proposizione, accorgersi in altri termini che può essere utilizzata anche in un altro modo, come dire che se la utilizzo così allora vuol dire che tutto quanto è una catastrofe, se la utilizzo in una altro modo invece non significa niente. Muoversi in questo modo comporta avere la possibilità in ciascun caso e di fronte a qualunque circostanza di poter operare questa variazione tale per cui una cosa che angoscia o che spaventa o che crea dei problemi per qualunque motivo, cessi di farlo, cessi di farlo perché, modificando questa proposizione, questa cosa che crea paura, spavento o ansia o angoscia, non è più utilizzabile, non so più cosa farmene. Faccio l’esempio ancora più semplice e più banale, quando avevo forse tre o quattro anni, se qualcuno mi diceva che nell’altra stanza c’era l’uomo nero, magari mi spaventavo, oggi non mi spavento più, perché? Cosa è successo? Questa stessa proposizione oggi non ha più l’utilizzo che aveva allora, ne ha un’altra, magari quello di farmi domandare se chi mi dice una cosa del genere è fuori di testa, eventualmente. L’analisi del discorso conduce esattamente a questo, a intendere in ciascun caso qual è l’utilizzo di una proposizione e acquisire gli strumenti per potere variare questo utilizzo per cui non si è costretti a utilizzarla sempre ed esattamente in quel modo. Per tornare all’esempio della depressione, è come se il depresso fosse costretto a utilizzare questa proposizione, che afferma che tutto è inutile, sempre esattamente allo stesso modo, mai per esempio dire tutto è utile, che meraviglia, uno potrebbe anche dire così, perché no? E invece no, tutto è inutile e quindi…catastrofe immane. La volta scorsa vi dicevo dello statuto dell’analista della parola, di che cosa occorre che sappia; questa sera abbiamo in parte precisato ciò di cui si tratta. Che cosa occorre che sappia e che cosa non può non sapere? Che qualunque proposizione è costruita per un utilizzo, qualunque esso sia non ha importanza. Potremmo indicarla come una regola del linguaggio, come già i linguisti avevano sottolineato: nessuna proposizione è costruita se non ha un utilizzo, nessuno parla se non ha un motivo per farlo, qualunque esso sia, può anche essere il piacere di sentire la propria voce, ma c’è una motivo, cioè è un qualche cosa che muove in definitiva. In effetti, potremmo indicare con motivo ciò che fa proseguire il linguaggio. A cosa serve il linguaggio? Potremmo rispondere in modo così forse un po’ drastico ma inevitabile: l’unico utilizzo del linguaggio è quello di produrre se stesso, non ne ha nessun altro. È come se il non potere non tenere conto di questo costringesse di fronte a una qualunque proposizione a individuarne l’utilizzo, visto che non ha nessun altra esistenza se non per servire a qualche cosa. Sa certamente che il suo utilizzo fondamentale è quello di prodursi ma producendosi produce anche dei rinvii, produce quindi altre proposizioni e queste proposizioni possono essere credute vere, assolutamente vere, ma qualcosa che è assolutamente vero costringe all’assenso e, costringendo all’assenso, costringe anche a muoversi in quella direzione. Se è un fondamentalista islamico il fatto che creda fermamente una certa cosa lo fa muovere anche in un certo modo, più o meno violento, se cessasse di crederci cesserebbe per esempio di pensare che chiunque non sia maomettano debba essere eliminato, così come il cristiano che pensa che chiunque non sia cattolico debba essere eliminato necessariamente e così via. Ciascuno può trovare una infinità sterminata di esempi in questo senso. Poniamo che questa proposizione che afferma che chiunque non è islamico debba essere eliminato non sia più utilizzabile, cioè non produca più niente anziché produrre una grande eccitazione e correre subito alle armi come forsennati per dare la caccia all’eretico o al miscredente, non è più utilizzabile, cioè non dice niente, esattamente come l’esempio che vi facevo all’inizio: se io affermassi "ecco adesso varo questa nave e la chiamo Elisabetta I!" vi guardereste attoniti non sapendo cosa farvene di questa affermazione se non eventualmente qualche riflessione sulla mia sanità mentale, ma l’affermazione in quanto tale non direbbe niente; se io invece fossi preposto da un armatore a compiere questa operazione, ci trovassimo in questo momento a Genova di fronte al porto e ci fosse una enorme nave mercantile e io armato di champagne opportunamente legato fossi in procinto di gettare questa cosa, allora la proposizione che afferma che sto per varare la nave avrebbe un altro utilizzo. Detto questo, possiamo magari sentire perché io ho saltato molte cose che invece è opportuno precisare, sentiamo se c’è qualche questione che è possibile riprendere in modo più preciso. Mi rendo conto di avere tagliato corto su moltissime cose anche perché molte cose sono state dette negli incontri precedenti quindi chi forse non era presente può avere qualche difficoltà magari a connettere alcuni passaggi che io invece posso riprendere e spiegare in termini molto più articolati all’occorrenza. In effetti, se voi pensate qualunque proposizione, qualunque cosa diciate, ha sempre un utilizzo necessariamente. Se non ha un utilizzo cosa accade? Accade che non si dica. Non si dice più. Già Austin aveva notato questo dettaglio, se la proposizione non ha nessun utilizzo nel mio discorso non si dice, semplicemente, perché non c’è un motivo per farla e il motivo è il suo utilizzo, non mi sarebbe mai passato per la mente di dire seriamente che sono qui per varare Elisabetta I, come mai? Perché non ha nessun utilizzo.

Intervento: la uso in un altro modo.

Certamente sì, questo è chiaro (...) Esatto, questa è la variante retorica. Infatti, facevo l’esempio prima, è come se vi dicessi qui "adesso non parlo" ecco che allora c’è una variante retorica, viene intesa in un altro modo, allora ha un utilizzo perché allora vuol dire "che non parla cioè non ci dice delle cose che invece vuole dire…", cioè viene trasformata in una proposizione che ha un utilizzo se no di per sé logicamente non ne avrebbe nessuno "se sto parlando…"

Intervento: quindi il discorso di chi sta male è un discorso fisso, non interrogabile, una cosa che sta lì

Prima ho fatto delle obiezioni a Freud, però va letto perché è un raccolta formidabile di luoghi comuni, forse la più esaustiva. Ecco, dicevo come già Freud aveva notato la persona che enuncia il suo malessere è difficilissimo che voglia abbandonarlo pur dicendo che non lo sopportava, e lui si sorprendeva "le persone vengono da me perché hanno un certo problema poi quando cominciano a elaborare questo problema c’è una sorta di rifiuto, si tirano indietro, si spaventano, vogliono andarsene, come se effettivamente volessero mantenere la loro condizione". Ma lui poteva spingersi anche oltre, in effetti nessuno costringe una persona a stare male, mica l’ha ordinato il medico, perché lo fa? Perché c’è un tornaconto, c’è una sorta di costrizione fantasmatica ed è la costrizione che indicavo prima come linguistica, cioè se io credo vera una certa proposizione la mia condotta terrà conto necessariamente di ciò che credo, così come l’islamico è costretto a imbracciare il fucile per andare alla ricerca di miscredenti perché crede vera una certa proposizione. Allo stesso modo il depresso è costretto a stare malissimo, angosciato, ecc., perché crede assolutamente vera una certa proposizione, la struttura è esattamente la stessa, la difficoltà è anche la stessa, provate a persuadere un islamico che Allah non esiste, che è solo una sua fisima, provate a dire al depresso che questa depressione è una sua costruzione, in realtà la proposizione che afferma che tutto è inutile non significa assolutamente niente, avrete una reazione molto simile…(Praticamente è un assioma) Sì, un principio, un principio portante. D’altra parte quando si dice, anche il Papa lo dice, che occorrono i valori … ecco i valori hanno la stessa funzione, sono dei principi portanti a cui ciascuno occorre che si attenga, a cui ciascuno deve credere, perché se cessasse di farlo la civiltà si dissolverebbe, la civiltà così come è configurata, come è pensata, lo stato i governi non potrebbero avere più nessun credito e probabilmente perderebbero di avere un utilizzo, perderebbero questa possibilità …. (Come se una persona si conoscesse in quel modo e non riuscisse) Sì, questo in alcuni casi, se no … è come l’affermazione che dice "la realtà è questa e non posso fare niente", che è uno dei luoghi comuni più accreditati, oppure "la verità è questa", per un islamico il fatto che Allah esista e sia una certa cosa è una verità assoluta, non può essere messo in discussione, lui è la realtà delle cose, allo stesso modo, certo, per il depresso il modo in cui costruisce il suo discorso è la realtà e non c’è modo di venirne fuori perché finché si immagina che la realtà sia quella … La realtà è una costruzione ovviamente, ciò che ciascuno pensa che sia, non ha una esistenza di per sé, però il linguaggio produce delle proposizioni che per una serie di vicissitudini diventano utilizzabili in un’unica direzione, diciamola così, una specie di codice di accesso, per cui ogni volta che compare quella proposizione, quella parola si apre un programma, sempre e soltanto quello, se sul computer premo sull’icona di un certo programma si aprirà sempre quello, non è che può aprire un altro programma così a suo piacere … (È una cosa meccanica) Sì, diciamo così. A ciascuno di voi sarà accaduto una infinità di volte di trovarsi a parlare con una persona che appare funzionare in questo modo come quando si dice che qualcuno ha i paraocchi, cioè non ragiona, è proprio inamovibile su una sua posizione e nonostante ogni argomentazione non si muove di lì e non si muove perché non lo può fare, non lo può fare perché muoversi di lì comporterebbe mettere in gioco una serie di cose e questo è inaccessibile, così come per un programma è inaccessibile aprirne un altro, non lo può fare, non è programmato per questo. Possiamo fare miliardi di esempi, uno che ha paura dei topi appena vede il topo si spaventa, non è che una volta si spaventa e una volta no, c’è una reazione inevitabile, la vista del topo ha un unico utilizzo che è quello di produrre uno spavento in seguito a tutta una serie di questioni ovviamente, non è che nasce così dal nulla. Però, ecco, potere utilizzare ciascuna proposizione in una infinità di modi può essere una chance, una chance perché si perde la possibilità di stare male, non soltanto si cessa di stare male ma si perde la possibilità di stare male, non diventa più possibile, non ci sono più le condizioni, esattamente così come non ho più la possibilità di spaventarmi se qualcuno mi dice che nella stanza di là c’è l’uomo nero, non succede niente, ecco la struttura è esattamente la stessa. Cesare cosa sta pensando?

Intervento: non esistono più i buoni e i cattivi

"Buoni e cattivi" è una riflessione etica. Per stabilire i buoni e i cattivi ci vuole già un criterio (….) Sì, in genere avviene così, in effetti, la più parte dei massacri che avvengono e sono avvenuti sul pianeta muove da una cosa del genere, i buoni siamo noi, i cattivi gli altri. È sempre stata una cosa del genere. I buoni sono quelli che hanno la mia divisa e che è di colore blu, i cattivi sono quelli che hanno la divisa verde ... La divisione tra buoni e cattivi o meglio la divisione più generale fra il bene e il male è una divisione che necessita anche questa di un criterio e questo criterio sarà sempre arbitrario, uno lo accoglie oppure no a seconda di quello che intende fare. Però io posso anche affermare che una certa persona è buona, con questo non ho diviso il mondo in buoni e cattivi, sto utilizzando un significante "buono" all’interno di un gioco, lo uso così con una valenza quasi estetica ma non comporta affatto che io pensi che una certa cosa sia buona o sia cattiva, la uso come figura retorica anziché come affermazione necessaria, così come dice il Manzoni "Don Abbondio non aveva il cuor di leone", è una affermazione retorica. Ci sono altri che hanno qualche pensiero, qualche dubbio o desiderano che io riprenda una questione in modo più preciso, Luisa per esempio?

Intervento: nel nostro quotidiano per esempio…Non ho ben capito …

Si tratta di questo, di giungere a porre delle condizioni in modo che una qualunque affermazione, di qualunque tipo e per qualunque motivo la si faccia, possa avere un numero, infinito di utilizzi e cioè non abbia più la necessità di essere utilizzata in un unico modo... Facevo l’esempio della depressione, così per rendere la cosa più chiara (Un depresso il più delle volete vuole la conferma del suo star male.) Il più delle volte avviene così certo… (Lei parlava dell’inutilità e sta male al momento in cui nessuno raccoglie questo.) Sì, anche, ma la questione che ponevo è il come mai si trova in questa condizione e cioè qual è (Generalmente questa persona ha delle ragioni e sono motivate…) Sì, occorre distinguere perché io mi riferisco chiaramente alla persona che chiede un aiuto e allora lì si tratta di trovare il modo per intervenire, è chiaro che se una persona dice di sé di essere depressa perché il mondo va a catafascio ha tutti i suoi buoni motivi per esserlo, può continuare a esserlo, non è proibito, non c’è nessun problema (...) Questo ha a che fare con la situazione dove una persona depressa, che per qualche motivo non ha più intenzione di esserlo, cerca un modo per sbarazzarsi di questa condizione - se in effetti una persona è depressa e vuole rimanere depressa non c’è nessun problema, se una persona è depressa va benissimo, che problema c’è? Il problema sorge quando una persona viene da lei e dice "io sto malissimo, cosa devo fare? Faccia qualcosa perché la depressione passi, perché io non riesco" (...) Sì, una dichiarazione, per esempio, come avviene in una psicanalisi, una persona si rivolge a qualcuno e... (...) È chiaro che occorre che una persona sia disposta (...) Sì, certo, poi uno può anche riflettere sulla struttura della depressione ma che una persona sia depressa oppure no non importa assolutamente nulla. Importa al momento in cui la persona che dice di essere depressa e si rivolge a un’altra perché per esempio non vuole più essere depressa, così come qualunque altra cosa. Allora si tratta di trovare un modo perché possa cessare di esserlo, se no non cesserà di esserlo

Intervento:…

Sì, certo, si tratta sempre di inserire uno spostamento da una cosa ad un’altra. Ora, per trovare un modo per intervenire in una questione del genere è chiaro che occorre riflettere anche sulla struttura della depressione, cioè che cosa la consente e ciò che la consente è una serie di proposizioni che sono tutte vere, necessarie. Che esista una persona depressa così come ansiosa di per sé non è nessun problema, che problema dovrebbe sussistere? È una riflessione che invece accade di fare laddove si è richiesti di intervenire, allora sì, certo. Se non è richiesto di intervenire … dice "sono depresso", va bene e allora? A meno che non mi chieda di intervenire e allora sì devo possedere quegli strumenti che mi consentono di fare in modo che la struttura cambi, questi sì occorre che li possegga. Sì? Enzo?

Intervento: è possibile che uno dica sono depresso e non lo sia….

Occorrerebbe stabilire esattamente cosa deve intendersi esattamente con depressione. La depressione comincia ad essere tale, mettiamola così, quando la persona non riesce in nessun modo a sbarazzarsene, allora può diventare un problema se no uno può essere depresso un momento perché è successa qualche cosa, ma non è assolutamente niente. Ma se incomincia a non potere più sollevarsi da una cosa del genere ecco che può diventare un problema. Sergio trova che sia un buon sistema questo di modificare l’utilizzo di una questione? Può funzionare?

Intervento:…

Sì, ho inteso quello che dice. In effetti è una questione e va precisata, il fatto di potere utilizzare una proposizione in un infinito numero di modi va inteso in effetti. Questo può avvenire però la si utilizza tenendo conto del gioco che si va facendo ovviamente, la questione è che si sa che è un gioco e che la si utilizza in quel modo perché è una regola di quel gioco, così come quando gioco a carte con gli amici non è che utilizzo le carte come mi pare, le utilizzo attenendomi a quel gioco indubbiamente ma so che è un gioco, per cui stiamo giocando con quelle regole, e non ha a che fare con un dato di fatto, come talvolta invece può accadere di pensare. Quindi, dicevamo la volta scorsa, accorgersi che si sta giocando e continuare a giocare, dicevo che l’analista della parola gioca soprattutto, gioca e insegna a giocare, a divertirsi, divertirsi nelle cose che avvengono soprattutto rispetto al proprio discorso, certo….(...) No, teoricamente è infinito poi di fatto è deciso dalle regole del gioco che sta giocando, l’essenziale è sapere che è un gioco (...) Prendere le distanze è un altro modo per dire le cose cui accennavo, cioè utilizzare in un altro modo le proposizioni certo….(...) Sì, ci sono situazioni in cui non è tanto semplice, certo, in alcuni è semplicissimo in altre magari non lo è, chiaro .... Sì, tenere conto in prima istanza del proprio discorso è la cosa più complicata, anche perché gli strumenti che si utilizzano rispetto al proprio discorso sono quelli di cui è fatto il proprio discorso e pertanto si rischia di girare in tondo.