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CONSIDERAZIONI INTORNO ALL’INTERVENTO DELLO PSICANALISTA

 

16/12/1997

 

Dal momento che c’è una curiosità di Roberto circa ciò che si è detto in tutti questi incontri, per sapere a questo punto che cosa fa l’analista, ché dice Roberto, non del tutto a torto, che tenendo conto di queste premesse in teoria non dovrebbe né potrebbe fare nulla, ma invece non è così. In tutti questi incontri abbiamo detto sostanzialmente che ciò che avviene lungo una conversazione analitica è una analisi della struttura religiosa del discorso, e in qualche modo abbiamo già indicato qual è il tipo di intervento dell’analista, il quale fra le varie cose che occorre che faccia è quella di impedire che il discorso religioso prosegua a essere un discorso religioso e cioè che le credenze, le superstizioni di cui è fatto permangano, dal momento che la struttura di ciascun discorso è combinata in modo tale da perpetuare questo tipo di struttura, ma interrompere un discorso religioso cosa significa in prima istanza? Cosa comporta? Comporta questo, che laddove il discorso tende per esempio a concludere che le cose stanno in un certo modo, impedire questa conclusione, sottolineando l’eventualità intanto che la conclusione potrebbe essere differente. Ora questo avviene in vari modi, si tratta di intendere ovviamente ciò che avviene in quel momento, qual è la struttura del discorso in quel momento e quali sono i modi e li abbiamo visti rispetto nei vari discorsi attraverso i quali tende a concludere, a chiudere il discorso. Importa che laddove interviene o tenta di intervenire una chiusura invece ci sia un rilancio, compito dell’analista è fare in modo che il discorso trovi un rilancio, come dire che l’ultima parola anziché essere l’ultima sia soltanto l’avvio di un altro discorso, in altri termini ancora, impedire che il discorso si fermi. Si fermi nell’accezione che indicavo prima cioè immagini di avere trovata la conclusione di un qualche cosa, si diceva il come stanno le cose. Avviare una sorta di percorso infinito, infinito attuale, dove c’è la possibilità rispetto a ciascun elemento di trovare un rinvio, un rinvio tale per cui l’ultima parola, quella che si suppone l’ultima parola sia sempre comunque necessariamente mai l’ultima. Ora come l’analista fa questo? Interviene perlopiù attraverso il volgere una qualunque affermazione in domanda, o cogliere la domanda che c’è in ciascuna affermazione, cioè ciò che continua a domandare e che quindi indica un rinvio. Ora perché possa compiere questa operazione l’analista occorre in prima istanza che per lui stesso il discorso non abbia fine, anche se in molti casi invece non è così e cioè l’analista immagina che il discorso abbia una fine e questa fine corrisponda all’accettazione da parte della persona che è in analisi delle regole che lui impone o della sua teoria, come abbiamo visto in altre occasioni, e cioè che in definitiva sostituisca le cose a cui pensa con altre che gli vengono opportunamente suggerite, ma se non fa questo allora evidentemente non si occupa di togliere una religione per metterne un’altra, ma si limita alla prima parte di questa operazione, considerando che il discorso religioso non è altro che il discorso cosiddetto normale e quindi con tutti i suoi luoghi comuni, i suoi tic, le sue superstizioni, le sue certezze. Come fare sì che una certezza possa essere accolta come atto linguistico? Atto linguistico il cui referente non è fuori di sé? Perché questa è la questione di cui si tratta, ciò che per ciascuno rappresenta la realtà, il dato di fatto, il concreto, come e in qualunque modo vi piaccia pensarla, è un atto linguistico, come tale vincolato alla struttura del linguaggio e quindi alle sue, potremmo chiamarle anamorfosi. Come dunque? Ciò che abbiamo detto dei vari discorsi, in qualche modo indica una traccia, occorre giungere a cogliere ciò che per ciascuno, in ciascun caso interviene e funziona come l’indicibile, che cos’è l’indicibile? Ciò che in nessun modo può essere messo in gioco, non può essere messo in gioco perché non è altri che la realtà, il dato di fatto, il quale per definizione il discorso occidentale non deve né può mettere in discussione, come dire che se dovessi mettere in discussione questo allora tutto crollerebbe ma non è esattamente così, perché un conto è sapere che non tutto può essere messo in discussione, perché è una regola del gioco e una regola del gioco, sì, può essere cambiata, però una volta accolta per giocare quel gioco non può essere messa in discussione, così come se io gioco a scala quaranta con gli amici, non posso ogni volta che inizio a giocare mettere in gioco le regole del gioco, perché non giocheremmo mai. Altro invece è immaginare che qualcosa non possa e non debba essere messa in gioco perché la natura lo vuole, perché la legge del pensiero lo vuole, o qualunque altra cosa perché in definitiva è una sorta di limite, come direbbe Peirce di interpretante logico finale. Ci sono alcuni elementi che non possono essere messi in gioco anche se se ne può parlare, pensate al principio del terzo escluso, è possibile metterlo in gioco? Occorrerebbe variare delle regole, però il problema in questo caso, che per potere variare queste regole occorre utilizzare questo stesso principio, questo è l’unico inghippo, ora in questo caso ci troviamo di fronte a una sorta di limite e il limite come abbiamo detto in varie occasioni è costituito dalla struttura del linguaggio, non ce ne sono altri. Dunque porre le condizioni per potere considerare questi aspetti e cioè accorgersi che ciascuna volta si è presi nel linguaggio e quindi qualunque cosa si faccia, si neghi, si affermi, si immagini, si sogni, è necessariamente un atto linguistico, e qui dico necessariamente perché non potrebbe essere altrimenti, è già un passo per incominciare a sganciarsi da una serie di superstizioni, prima fra tutte e forse la principale, quella che afferma che esiste almeno un elemento fuori dalla parola. Una persona che è in analisi occorre che incominci a pensare che affermare questo cioè che esiste qualcosa fuori dalla parola è arduo, non è provabile, non essendo provabile è arbitrario, essendo arbitrario occorre che se ne assuma la assoluta responsabilità. La responsabilità, torno a dire, non penale ovviamente non è una colpa, ma con responsabilità intendo non potere non confrontarsi con il proprio discorso, cioè con ciò che il proprio discorso produce, e con il fatto che qualunque cosa dica, pensi, faccia ecc. questo essendo un atto linguistico, è una produzione del mio discorso. Ma potremo dire a questo punto che il compito peculiare dell’analista è quello di mettere i bastoni fra le ruote al discorso religioso e cioè impedirgli ciascuna volta di chiudersi, cioè fare in modo che rimanga aperto, aperto rispetto a qualunque questione ovviamente, non ce n’è una che possa rimanerne fuori. Mettere i bastoni fra le ruote può creare qualche problema alla persona che si trova ad essere impedita e talvolta può accadere che una persona che pure avvia l’analisi preferisca non proseguire oltre un certo punto, legittimo...ma in linea di massima occorre riflettere su qual è esattamente il punto su cui l’analisi si interrompe. Freud, taluni sostengono e qualche volta non a torto, ha trovate le cose migliori più interessanti proprio rispetto alle analisi che sono "fallite" fra virgolette, proprio riflettendo sul fatto che laddove una analisi si interrompe, rispetto al punto in cui si interrompe, proprio lì c’è la questione che non si può tollerare cioè oltre la quale non si può andare, una sorta di colonne d’Ercole, come dire tutto, ma questo no, il problema è che invece in una analisi, invece occorre che il "ma questo no" sia invece preso in seria considerazione, evitare questo è evitare l’analisi tout court. Una persona non è che abbia fatto un po’ di analisi o tutta l’analisi, o affronta questo aspetto, oppure è come se non avesse fatto assolutamente niente, oppure avesse così chiacchierato con uno psicologo, che è la stessa cosa. Perché non è un percorso semplice, non è semplice né per l’analista né per chi è in analisi con lui, la persona che indico con analizzante cioè la persona che di fatto analizza il suo discorso, perché è questa persona che analizza il suo discorso, l’analista è solo colui che gli impedisce di non farlo. Solo questo. Ecco dicevo non facile né per l’uno né per l’altro, per l’analizzante per i motivi che abbiamo detti e per l’analista perché si tratta ciascuna volta di trovare i modi e i termini per potere proseguire, visto che questo è il suo compito fare in modo che il discorso prosegua, certo ad un certo punto anche lui si arrende, ma se la persona non vuole più proseguire, non è che si possa costringere, però è forse questo l’aspetto più complesso in una analisi reperire i modi e i termini perché l’analisi prosegua ciascuna volta, non c’è seduta in cui non si ponga questa questione, non c’è seduta in cui tutto sommato non ci si sorprenda del fatto che l’analizzante è ritornato all’appuntamento. Ora mantenere un discorso e impedire che si arresti, dovrebbe già di per sé consentire al discorso di proseguire ma non è così automatico, perché le cose di cui occorre che l’analista tenga conto sono sterminate e che la persona che sta parlando non è una macchina che reagisce a certi input in un certo modo, qualunque cosa dica l’analista muove, scatena una quantità sterminata di fantasie, di scene, di immagini, ricordi, qualunque cosa, una quantità sterminata di elementi dei quali ciascuno di questi potrebbe interrompere il corso dell’analisi. Ora voi direte è impossibile conoscere questi elementi, certo, è impossibile tuttavia occorre che l’analista non solo sia in condizioni di avvertire questi elementi ma di tenerne conto, tenere conto anche degli effetti che questi potrebbero sortire e tenerne conto chiaramente a partire dalle informazioni che la persona stessa fornisce. Ciascuno parlando che lo sappia o no che lo voglia o no fornisce una serie notevole di informazioni su di sé, anche se parla di tutt’altro, e quindi se si ascolta il discorso si possono reperire moltissimi elementi, soprattutto cose in cui la persona crede, ciò che teme, ciò che desidera, ciò che attende, e ciò che fugge ecc. ecc. Ora come vi dicevo tenere conto di tutti questi elementi non è semplice, non è semplice perché... anche perché non sono sempre gli stessi, ma variano. Ciascuno di questi sterminati elementi non è che si riproponga esattamente allo steso modo la volta successiva, ma cambia. È come se fino ad un certo punto e entro certi termini voi vi trovaste di fronte a una persona che un giorno viene da voi ed è un integralista islamico, il giorno dopo è un fondamentalista cattolico, il giorno dopo ancora è un fervente ebraico, il giorno dopo ancora è un buddista convinto, e quindi ciò che avete acquisito il giorno prima può essere utile fino ad un certo punto, dal momento che cambia fede per così dire con estrema rapidità, rimanendo assolutamente convinto ed è questa la questione che talvolta sconcerta le persone che iniziano a praticare, mantenendo questa persona una assoluta apparente coerenza come se invece si trovasse a credere sempre la stessa cosa, cioè avviene un fenomeno curioso che non tiene conto né può farlo, del fatto che ha cambiato opinione nel corso degli ultimi mesi 17 volte, non lo sa e non può saperlo, è per questi che taluni, diciamo moltissimi anni fa, lamentavano che per questioni loro, gli analisti, lamentavano una sorta di ingratitudine da parte degli analizzanti, "faccio tutto questo per lui e a lui sembra invece che non abbia fatto nulla", però per l’analizzante in effetti è così, come se non avesse fatto quasi nulla perché il modo in cui pensa ad un certo punto, cancella ciò che si pensava in precedenza, è come se non fosse mai esistito e dunque non può né ricordarsi come pensava prima, né quindi in conseguenza avvertire una differenza, solo dopo moltissimo tempo ci sono le condizioni perché possa intendere una struttura cioè la sua struttura di discorso e quindi accorgersi di elementi che sono stati variati, ma fino ad un certo punto no, questo è improbabile e quindi ciascuna volta in cui, per altro avviene per ciascuno, in cui cambia diciamola così opinione, quella precedente viene cancellata, come se non fosse mai esistita, perché? Per un motivo molto semplice è una questione come sempre grammaticale e cioè se io credo oggi vero una certa cosa, non posso continuare a credere vera quell’altra che oggi so essere falsa e quindi viene abbandonata non è più credibile e anzi non si sa neppure come si facesse a credere. Ecco di tutti questi elementi occorre che l’analista tenga conto ciascuna volta, non per rinfacciare: l’altra volta lei pensava questa altra cosa...Non ha nessun interesse, ma per far sì che questo procedere lungo l’elaborazione consenta alla persona di accogliere, sì, certo i suoi cambiamenti di pensiero e di umore ciascuna volta, ma non più accogliendo l’ultima pensata come quella vera, quella definitiva ma come una delle infinite possibili e quindi né vera né falsa, semplicemente una costruzione linguistica, è di questo che si tratta, non c’è nient’altro che questo da fare anche se, vi dicevo prima, può non essere sempre facilissimo. Però visto che è una serata particolare con la neve e ci sono pochi amici, magari possiamo proseguire questa serata attraverso una forma di conversazione con voi, anziché attendere la fine per eventuali interventi, uno può chiacchierare così tranquillamente, già Roberto aveva una questio...

Intervento: avrei da obiettare che l’analista ascolta un significato che è per lui un suo significato...

Ecco, obiezione legittima, solo che occorre fare una distinzione fra due aspetti del linguaggio che abbiamo detto in varie circostanze essere imprescindibili l’uno dall’altro ma tuttavia distinti. Se tu poni una questione prettamente logica allora sì effettivamente è così, è così, non soltanto è così ma possiamo anche andare oltre, tutto ciò che l’analizzante dice non ha nessun senso né può essere utilizzato in nessun modo al pari ciò che dice l’analista non ha nessun senso né può essere utilizzato in nessun modo, cioè non ha nessun rinvio se non assolutamente arbitrario e in effetti è così, però, però c’è un altro aspetto che è quello retorico che può essere considerato e allora cosa avviene? Faccio un esempio, supponiamo che uno venga da me anziché per avviare una analisi per giocare a poker, succede e allora cosa avviene? Che ciò che io dico e ciò che lui dice e altri eventuali, preferibili presenti, tutto ciò che noi diciamo logicamente non è sostenibile non ha nessun senso, però questo non toglie che giochiamo a poker e questo avviene perché provvisoriamente per la durata del gioco accogliamo certe regole, ora avviene qualcosa che non è lontanissimo da questo quando una persona viene da me per avviare una analisi, anche se non lo sa, sta giocando un certo gioco, inevitabilmente con delle regole, ora ciò di cui non si accorge è esattamente questo, che sta giocando un gioco linguistico con delle regole e allora è come se mi proponesse di giocare quel gioco, con quelle regole alle quali mi attengo, e giocando quel gioco è possibile giungere a costruire un altro gioco con altre regole, un gioco che prevede fra le sue regole quella per cui non c’è una affermazione che possa essere affermata e che corrisponda a qualcosa di necessariamente vero, salvo affermare procedure linguistiche, ma queste non portando da nessuna parte una volta affermata sei fermo, e allora ecco che è possibile intervenire, è possibile intervenire esattamente così come è possibile, nonostante la logica così come l’abbiamo definita cioè l’insieme delle procedure che fanno esistere il linguaggio nel modo in cui esiste, nonostante dunque le procedure linguistiche apparentemente blocchino una qualunque possibilità di affermare una qualunque cosa che non sia necessaria perché se tu ne affermi una che non è necessaria allora è arbitraria e se è arbitraria può essere quella come qualunque altra a pari diritto, ma come ciascuno sa, questo non impedisce di giocare anche perché la logica, sempre in accezione che abbiamo definita è tale cioè esiste e funziona perché produce qualcosa e cioè una successione, una sequenza di significanti che costituisce poi tutto l’apparato retorico... per cui dicevo in effetti della logica senza questo altro aspetto, che indichiamo con retorica non potremmo saperne nulla in effetti per cui, sì distinguo i due aspetti ma non è possibile costruire una affermazione che non sia anche retorica. Se tu per esempio affermassi che non è possibile uscire dal linguaggio questa affermazione potrebbe apparire assolutamente logica, ma affermarlo è necessario? No perché posso anche non affermarlo e quindi è arbitrario e quindi è retorico, qualunque cosa si affermi in definitiva rientra in questo ambito che abbiamo deciso di chiamare retorica anche perché questo termine è quello che di più si avvicina a ciò che intendiamo dire, per cui avviene questo che sì qualunque cosa l’analizzante dica non può essere intesa dall’analista, non può essere intesa neanche dall’analizzante, per cui a rigore di logica o a fil di logica tutto dovrebbe arrestarsi lì e invece no, prosegue prosegue accogliendo delle regole di un gioco e giocando quel gioco. Come dire una persona inizia a parlare e io accolgo il suo gioco, per poter rilanciare questo gioco e potere produrne altri e mostrare che è possibile costruirne altri. Posso mostrare che esistono altri giochi? Siamo al punto di prima logicamente no, retoricamente sì...

Intervento: ma il problema...posso far finta di giocare a poker ma posso giocare un altro gioco e lei può non accorgersene io posso barare

Però tu puoi barare a poker soltanto se accetti le regole del poker, cioè se stai giocando a poker di fatto, allora puoi barare perché se noi stessimo giocando a scacchi allora non poi barare a poker, perché stiamo giocando a scacchi, voglio dire che certo tu poi barare (questo comunque è buono a sapersi per una eventuale occasione) puoi barare anche giocando a poker ma comunque ti attieni a queste regole, ti attieni a queste regole perché tiri fuori l’asso dalla manica e metti fuori quattro assi mentre io ne ho soltanto tre, e allora quattro tu e sono sette e comincio a sospettare che forse c’è qualcuno che bara no? Sì però forse la tua questione era più articolata, ti ho interrotto...

Intervento: essendo lei che attribuisce un significato, ad attribuire questa regolarità quasi statistica alle parole che sente, è poi lei che decide se io sto giocando un gioco oppure no, in base al significato che lei dà alle mie parole...io non c’entro nulla. È possibile che lei capisca ciò che io dico oppure lei capirà sempre e comunque quello che vuole capire?

No, né la seconda né la prima, perché potremmo portando il discorso alle estreme conseguenze, affermare che l’analista in una conversazione analitica non capisce ciò che gli si dice, non capisce assolutamente niente, o quasi niente questo lo costringe a chiedere continuamente informazioni circa ciò che si sta dicendo, e dirò di più, cerchiamo di fare un esempio semplice, se una persona mi dice che crede in dio, io non lo so se lui crede in dio oppure no, non so neanche esattamente cosa stia dicendo, so soltanto che ha detto questo, "credo in dio", va bene e quindi cosa comporta questo? Posso cominciare a porre delle domande, senza sapere cosa lui ha voluto intendere dire, senza sapere nemmeno se sia vero, può anche mentirmi, non ha nessuna importanza, importa quello che sta dicendo...(...) sì certo io adesso portavo alle estreme conseguenze, un po’ paradossalmente. Non capisco nel senso che non do per acquisito che lui stia dicendo una certa cosa, che voglia dire una certa cosa...(...) Lo è in un certo senso, lo è, anche se poi di fatto si tratta di affrontare le questioni che la stessa persona enuncia come sue credenze fondamentali, cioè quelle che gli rendono la vita difficile...

Intervento:

Sì questo può avvenire, talvolta in una analisi una persona fa anche questo, proprio per evitare di affrontare magari una questione che immagina o comunque avverte come penosa o fastidiosa, disagevole e cioè opera questa operazione di depistaggio, cioè pone la questione che apparentemente non lo riguarda e né lo interessa, però avviene che una qualunque questione che si dica se è proseguita conduce a ciò che questa questione tende ad evitare, perché ? c’è un motivo molto semplice, perché ciò che si vorrebbe evitare, è presente al punto tale da costringere a inserire un altro elemento, non è assente, è presente e insiste e continua e continua a insistere in tutto ciò che si dice, per cui come dicevo prima il fatto di mentire in una analisi può essere anche marginale, come dire anche se pensa di mentire comunque questa menzogna che ha detta, può non essere del tutto casuale e può consentire di reperire, anche abbastanza rapidamente, la persona stessa, qual è l’elemento che è in gioco. Poi ci sono due aspetti da considerare il primo è che una persona che si ha di fronte, non essendo una macchina, come si diceva è attraversata da un’infinità di credenze, di superstizioni, di luoghi comuni, soprattutto che sono abbastanza facilmente individuabili, l’altro è che deve tenere conto che si fa comunque continuamente un gioco retorico, dove di fatto ciò che si dice almeno si ha, almeno da parte dell’analista, l’assoluta consapevolezza che non ha un significato ultimo, è soltanto l’applicazione di regole linguistiche, che fuori dal gioco che si sta facendo non significano niente, questo impedisce sicuramente di immaginare di avere capito quello che l’altro vuole dire, o di avere trovato il significato, come dicevo prima non so cosa la persona vuole dirmi né da che cosa venga tutto ciò che mi sta dicendo, posso saperne dopo se me lo dice, in seguito eventualmente, ma come dicevo non è neanche essenziale.

Sì ci sono altri che vogliono intervenire?

Intervento: quando il "paziente" smette di parlare, si blocca.... il silenzio è importante quanto il linguaggio?

Possiamo dire intanto che non è fuori dal linguaggio, il silenzio come lei stesso notava è certe volte molto carico di elementi, può accadere come talvolta accade di avere talmente tante cose da dire da non riuscire per esempio a stabilire da dove cominciare e già lì può esserci un intoppo e quindi un silenzio, però questo silenzio generalmente non è che sia molto produttivo, non lo è per il fatto che in quel momento non c’è un confronto con la parola, come se qualcosa girasse a vuoto e allora si interviene generalmente perché questo silenzio trovi il modo di dirsi, qualunque cosa sia non ha nessuna importanza. C’era chi come Lacan diceva che questo silenzio fosse sempre connesso con un pensiero intorno all’analista, può anche essere non necessariamente, però è un momento in cui sì, si sa che sta avvenendo qualche cosa ma finché non c’è la parola cioè finché non dice l’analizzante qualche cosa, non si sa cosa sia, per cui interpretarlo così al buio, visto che stiamo parlando del poker, è sempre molto poco interessante, perché io posso attribuire qualunque pensiero all’altra persona ovviamente, però occorre che sia questa persona a dire cosa sta avvenendo e cosa sta pensando, se no, l’analisi la faccio io e bell’è fatto, però sicuramente ha una portata, come se in ogni caso si ignorasse che lì c’è qualche cosa, qualche cosa che non riesce a dirsi, non può dirsi e allora si tratta di intendere per quale motivo, che cosa impedisce la parola, ma interpretare un silenzio, al di là del fatto che ci sia qualche intoppo eventualmente, sembra un po’ azzardato. Può esserci anche l’eventualità che in base agli elementi forniti l’analista possa avere qualche idea di ciò che sta avvenendo, però è preferibile che non ne tenga conto...

Intervento: all’interno delle regole del gioco dell’analista si instaura il discorso ipotetico dell’analizzante...

Però... ciò che tu dici è assolutamente corretto riferito alla più parte degli analisti, fanno esattamente così, ma in tutti questi anni che vado dicendo che invece non è così, cioè questo è esattamente ciò che occorre che l’analista non faccia e cioè avere già degli elementi...

Intervento: Non sono sicuro che non sia possibile non farlo

Perché non dovrebbe essere possibile visto che non è necessario farlo?

Intervento:

No, certo, è una sorta di esercizio, una sorta di addestramento a pensare, addestramento che conduce al punto in cui si instaura una processo irreversibile cioè non puoi più non fare così, sia che tu sia seduto in un’analisi, sia che tu sia ovunque a parlare con chiunque e a fare qualunque cosa, non puoi cessare, potremmo anche dirla così che analista è chi non può non ascoltare, che poi non intervenga questo è un altro discorso, che è chiaro che se parlo col tabaccaio...ma non posso non ascoltare se la persona parla, non posso non accogliere le questioni e le interrogazioni che ci sono nel discorso, se c’è analista non può non farlo, che lo voglia o no

Intervento:

Questo è un altro discorso (...) Se parla con un interlocutore sì, dipende, dipende, per esempio sì, in un’analisi accetta le regole dell’interlocutore ma per un motivo ben preciso, visto che l’interlocutore gli ha fatto una domanda altrettanto precisa si attiene a ciò che gli è stato chiesto ma al di fuori di questo, no, non è che accetti...non necessariamente anzi non lo fa

Intervento: l’analista che gioco fa?

Quello che ritiene più opportuno...se è solo con sé generalmente riflette a delle questioni, oppure è attraversato da pensieri che possono essere più o meno piacevoli (...) un momento non è che l’analista abbia il controllo della parola, intendiamoci bene, non è che ha un potere, un dominio totale sulla parola, ha solo questo elemento in più che gli consente di non essere travolto da ciò che pensa, perché pensa qualunque cosa, può pensare qualunque cosa in genere ma le condizioni in cui si trova gli impediscono di attribuire a questa cosa una tale portata, un significato, diciamola così, tale da esserne travolto. Ma può essere attraversato da qualunque pensiero, pensiero di ogni sorta belli, brutti, ma nessuno è così come dire? Creduto così tanto da acquistare una portata tale da impedirgli di pensare, o da costringerlo a una posizione religiosa, come dire? È così, in questo senso, pensa di tutto, delle cosacce....

Intervento: è più importante ciò che si sente o ciò che si dice?

Il problema è che ciò che sente occorre che lo dica. (...) No è preferibile che l’analista non sia travolto né da una cosa né dall’altra.(...).Sì lo si può pensare certo, tuttavia è ciò che occorre che faccia, per questo non è facile divenire analisti. Perché vede, se fosse travolto dal sentire dell’altro allora si produrrebbe una sorta di immedesimazione nel discorso dell’altro e sarebbe molto distratto da ciò che invece occorre che faccia e cioè ascoltare esattamente quello che dice, così come accade per esempio in una situazione fortemente emotiva si perdono i dettagli di ciò che circonda, il che può anche essere piacevole in certe circostanze ma in tali altre può diventare problematico perché laddove invece sono proprio questi dettagli che importa che lei accolga, e cioè che cosa la persona esattamente sta dicendo, pur essendo travolta da emozioni, da sentimenti da qualunque cosa, comunque sta parlando, sta dicendo delle cose e siccome l’unico strumento di cui dispone l’analista è la parola di chi sta parlando, occorre che a questo si attenga quindi "utilizzare" tra virgolette questo strumento, anche perché una persona sente una certa cosa ma quell’altro non è che senta la stessa cosa, anche volendo magari non potrebbe sentire come sente quell’altro, e se lo compatisce cioè sente insieme con lui, accadono questi inconvenienti cioè che cessa di ascoltare ciò che sta dicendo, diventando assolutamente inutile in quel caso la sua posizione cioè non sta più lì a far niente, al massimo come un amico che sta lì ad ascoltare e dà una pacca sulla spalla, però ecco l’analisi non è esattamente questo, cioè non è questo l’obiettivo, dare un sollievo momentaneo, occorre che faccia ben altro, cioè occorre che ponga le condizioni perché questo travolgimento che porta il malessere di cui si tratta cessi non di esistere, ma di potere esistere. Cosa che è molto più complessa, che dire "non te la prendere vedrai che tutto passa col tempo", il tempo è un buon guaritore, non sempre, poche volte, ecco perché è preferibile che non sia travolto da ciò che dice e in particolare da ciò che ascolta. Freud parlava di attenzione fluttuante, attenzione fluttuante lui la intendeva in parte in questo modo, cioè non essere travolti dal contenuto, dal significato delle cose che sta dicendo ma unicamente dalle parole che si stanno dicendo, e cioè non tenere conto del fatto che una persona sia lì angosciata, disperata, e devastata dalla sofferenza ma di che cosa dice in questa condizione perché lì nelle parole che dice è possibile reperire, dopo un po’, quali sono le condizioni per cui questa persona si trova ad essere devastata, per esempio, in caso contrario no, non saprà mai. Ma siccome una persona viene lì esattamente per questo motivo, è il caso che l’analista faccia almeno questo e cioè si attenga a ciò che occorre che faccia e quindi ascoltare ciò che si dice per, dicevo prima, porre le condizioni, perché ciò che sta avvenendo non abbia più la possibilità di riprodursi, grosso modo una cosa del genere. Sì?

Intervento:

Sì questa è una domanda legittima certo. Il pensiero degli umani è fatto in un modo strano, se uno pensasse solo in termini logici, lo riterrebbe fra i più squinternati e bizzarri e sconclusionati che si possono produrre tuttavia così accade. Come fa una persona a sapere che si sta comportando bene? O che sta facendo bene? Chiaramente può saperne qualcosa se sa qual è esattamente l’obiettivo, se io so che per andare a Milano devo andare da qua verso ovest allora posso andare verso ovest, ma farò tutto il giro della terra prima di arrivarci, se invece so che deve andare verso est, magari ci arrivo prima, quindi in quel caso posso essere consapevole di sapere che sono sulla strada giusta. La strada giusta è data dall’obiettivo, qual è l’obiettivo in una analisi? l’obiettivo in una analisi è cessare di credere ciò che in nessun modo si vuole cessare di credere, l’obiettivo è esattamente questo. Questo rende conto immediatamente di qualche difficoltà che può intervenire, ne abbiamo parlato in varie occasioni, lo stesso Freud si accorgeva che ad un certo punto le persone che erano in analisi con lui, proprio laddove si trattava di affrontare una certa questione, preferivano interrompere, per questo dicevo che, forse l’altra volta, che una domanda d’analisi se considerata in termini logici è assolutamente paradossale, perché è una domanda di sbarazzarsi di qualche cosa che nessuno costringe a mantenere, per cui la persona sarebbe logicamente libera di sbarazzarsene in qualunque momento. Perché non lo fa? Cosa glielo impedisce? Glielo impedisce che da una parte vuole sbarazzarsene e da un’altra no, e allora quest’ultimo aspetto che è più arduo da affrontarsi, anzi l’unico da affrontarsi, una persona va dall’analista perché soffre, ma la questione che si tratta di affrontare è perché vuole soffrire, non ce ne sono altre, inteso questo può continuarla a fare oppure no, ma a questo punto sarà una sua decisione. Per questo una persona può lungo un’analisi trovarsi ad un certo punto in cui le cose sembrano molto peggio di com’erano prima e questo è quasi, non dico scontato, ma frequente perché è un luogo comune, perché al momento in cui tutto ciò che si è cercato, magari per trent’anni di evitare di considerare, ci si trova invece a doverlo considerare, be, può creare qualche problema, qualche marasma, qualche disorientamento e quindi la situazione è peggiore di quella nella quale si è iniziato, però tant’è che occorre pure affrontare queste questioni, se no, l’analisi non serve assolutamente a niente, ecco che allora questa domanda che lei pone, posta in quel momento avrebbe questa risposta, i risultati che ho dall’analisi sono peggiori dai risultati che ho ottenuto senza, quindi devo smettere l’analisi, lei la interrompe e non saprà mai perché stava male, però se la interrompe va bene, se la prosegue va bene, nel senso che l’analisi è una esperienza strana e assolutamente arbitraria, non è necessaria, come vado dicendo da molto tempo, è un’occasione, un’occasione in più che è possibile darsi ma occorre che ci sia una curiosità, una curiosità di sapere come funziona il proprio discorso e la curiosità di sapere perché una persona pensa le cose che pensa, se questa curiosità non c’è può venire magari il pretesto è come diceva lei un disagio, uno stare male e allora questo è un pretesto, uno dei pretesti più diffusi per iniziare l’analisi, però perché prosegua occorre che si instauri questa curiosità di sapere perché penso le cose che penso, visto che nessuno mi costringe a pensarle, sono una mia invenzione, perché penso questo? Se non c’è questa curiosità è difficile che prosegua, come dicevo se non si instaura. Per cui rispondendo in termini più precisi alla sua domanda è molto difficile potere valutare i risultati dell’analisi, se questi risultati come dice lei, ci sono e intervengono allora in effetti la domanda cessa di avere la sua portata cioè non ci si chiede neanche più, nel senso che si pensa in un altro modo.

Intervento:

Sì è come nell’amore, uguale, è come nel caso dell’innamoramento uno sa quando comincia ma non sa quando finirà, anche se può essere vero fino ad un certo punto ovviamente, perché è una sorta di innamoramento nei confronti del discorso che si va producendo, analisi che può divenire interminabile laddove c’è la curiosità, può instaurasi una curiosità rispetto al proprio discorso da costringere a proseguirlo, chiaramente poi le sedute cambiano il ritmo, il tipo, c’è comunque la volontà, il desiderio di un confronto continuo con il proprio discorso, che trova la sua condizione ideale proprio in una conversazione analitica. Quando vuole che finisce una analisi allora l’analisi finisce...

Intervento:

No, io non mi riferivo all’innamoramento delle due persone in causa, fra loro, no, parlavo di innamoramento dell’analizzante rispetto al discorso che sta producendo, questo poi può comportare anche l’innamoramento nei confronti dell’analista, ma è sempre una cosa indiretta, quasi sempre...se no questo innamoramento non è altro che l’essere sedotti letteralmente cioè portati a sé, dal proprio discorso, è un esempio che calza fino ad un certo punto certo, in parte c’è questo aspetto, e rende conto del perché non si sa quando finisca...

Intervento: Lei parla sempre di curiosità per il proprio discorso, perché non curiosità per il proprio sentire...

Sì, può formularsi così però di questo sentire, proprio per sapere di che cosa è fatto occorre cominciare a dirne, a confrontarsi con "ecco io sento questo e questo ha prodotto quest’altro" ma sono di fatto parole, ciò che si sente come lei dice e che apparentemente sembra fuori dal linguaggio, fuori da ogni cosa, non è altro che la conclusione di una serie numerosissima di inferenze di cui tuttavia si conosce soltanto la conclusione. Visto che abbiamo parlato dell’amore, proprio come nel caso dell’innamoramento, una persona non sa perché si innamora di un’altra, pensa che sia un fenomeno così naturale, spontaneo, mentre non è altro che la conclusione di una serie di inferenze di cui tuttavia si ignora tutta le serie di passaggi. L’analisi non è che costruisca i passaggi propriamente, però induce a riflettere sul fatto che questa conclusione cui si giunge è l’effetto di una serie di passaggi, inferenze deduzioni, questa persona è fatta così e quindi vuol dire questo, mi guarda così e quindi quest’altro, fa questo e quindi...quindi sono innamorato. È una sequenza di deduzioni o di induzioni a seconda dei casi ma una sequenza di inferenze logiche e anche molto rigorose nonostante si pensi che l’innamoramento sia un caso di irrazionalità, segue un andamento rigorosissimo, di cui qualche cosa si può anche venire a sapere lungo l’analisi, degli elementi possono anche trarsene...e quindi occorre che questo sentire occorre che lo si senta proprio e quindi ci sia un discorso in cui inserirlo e allora venirne a sapere qualche cosa e allora questo sentire può anche variare, può mutarsi in un altro sentire, perché se no non abbiamo nessuno strumento per poterci fare nulla di questo sentire. Come dire io sento gioia, sento paura, sento tristezza, però se non me ne dice niente io posso solo prenderne atto, non andiamo molto lontano e allora occorre che questo sentire cominci a svolgersi in un discorso, ecco perché il discorso è importante, perché lungo questo discorso veniamo a sapere di cosa è fatto questo sentire, cosa sostiene e che cosa sente magari esattamente, c’è questa eventualità...

Intervento: non è necessario dovere sbarazzarsi del disagio per iniziare un’analisi

No, sarebbe una contraddizioni in termini, perché il disagio è qualche cosa di cui ci si vuole sbarazzare, la felicità no, però le persone che iniziano un’analisi per curiosità, questo sì e sono i casi migliori in effetti, perché non c’è da stare a perdere un sacco di tempo...certo, sì per curiosità intellettuale anzi dovrebbe essere così...

Intervento: quando si incontra la censura nel sogno il linguaggio che fine fa?

È censurato...(è sopraffatto da che cosa?) È sopraffatto da forze di causa maggiore, quando lei incontra una persona che detesta a morte e vorrebbe sparargli in fronte, non lo fa, questo suo atto è censurato in questo caso dal codice penale, o da altre considerazioni però non è che cessi di esistere questo pensiero, soltanto preferisce non andare avanti perché creerebbe qualche problema e il sogno fa questo e lo fa quasi sempre attraverso quel fenomeno che è noto come incubo quello che sveglia, come dire che il sogno sveglia ad un certo punto per impedire che il discorso proceda oltre un certo limite che non è tollerabile e allora sveglia di brutto, così paradossalmente continua a dormire cioè non accorgersi di ciò che sta accadendo. Infatti si diceva un po’ così paradossalmente, umoristicamente che l’incubo sveglia per poter continuare a dormire e lo stesso Freud lo dice, poi in definitiva, protegge il sonno, diceva lui, da pensieri sgradevoli, un po’ come gli hobby, le distrazioni, proteggono da pensieri fastidiosi, se io sto immobile e senza fare niente sono assalito da pensieri intollerabili e quindi è meglio che mi occupi a fare del bricolage o qualunque cosa. Nulla contro il bricolage né contro qualunque altra cosa ma spesso si chiamano diversivi per questo motivo, perché divertono letteralmente e cioè portano altrove da pensieri che sarebbero magari spiacevoli, potremmo dire lungo questa via, se proprio volessimo essere...che gli hobby sono degli incubi, in questa accezione ovviamente impediscono di continuare a sognare e cioè di elaborare, di articolare, di confrontarsi con un pensiero...Va bene, questo è l’ultimo incontro del 1997, arrivederci nel 1998 e buona notte.