Torino, 16 novembre 2006
Libreria LegoLibri
Intervento di Beatrice Dall’Ara
LA SOLITUDINE NELLA COPPIA
Questo è il secondo incontro della Scienza della Parola, un’Associazione nata per la formazione di analisti, che ha promosso una serie di interventi iniziati molti anni fa, interventi che si susseguono regolari. Giovedì scorso ha incominciato Luciano Faioni che è il Direttore dell’Associazione, colui che ci ha formato, con una conferenza dal titolo “La paura di non piacere” e come dicevo qui ci sono le trascrizioni e invece questa sera come avete letto il titolo è “La solitudine nella coppia” e quindi questa sera parleremo della solitudine e di come questa solitudine funzioni all’interno del discorso comune in prima istanza e poi la funzione della solitudine nella coppia. Che cos’è la solitudine? Questo concetto, teniamo conto che è un concetto quello della solitudine, è una definizione che in questo momento io mi trovo a utilizzare e che se la utilizzo in un certo modo potrà essere considerata piacevole oppure se la utilizzo in un altro modo spiacevole. Come è considerata nel luogo comune, come è utilizzata, come è utilizzato questo concetto nel luogo comune? Nel luogo comune la solitudine in molte occasione viene accomunata, trova la sua soluzione, per esempio, in quella affermazione che la solitudine equivale allo stare da soli, come dire che la solitudine è quello stato d’animo per cui io posso arrivare a concludere, e in molti casi funziona così, che sono solo ma questo solo significa solo e abbandonato. In molti casi funziona così, è utilizzato in questo modo “sono solo e abbandonato dal mondo” ed è in questo modo che accade molte volte di ascoltare delle lamentele: la solitudine è un problema, a questo punto quando ha a che fare con una storia di abbandono che non è disgiunta dalla solitudine che potrebbe essere una chance se uno ha bisogno, ha voglia di stare da solo, perché no? E invece molte persone non possono disgiungere questa solitudine da una storia di abbandono, come dire, io non valgo niente sono abbandonata dal mondo… per cui la solitine diventa effettivamente un problema, è un grande problema, anzi direi in molti casi quando si verifica questo utilizzo della solitudine, in molti casi, dicevo, è un problema esistenziale, un problema dal quale la persona non riesce ad uscire perché continua a rappresentare questa storia nella quale ovviamente crede fortemente, è assolutamente vero, è la realtà, quindi la premessa da cui parte il discorso di questa persona sarà questa scena, questa storia di abbandono che come dicevo per la persona può diventare un problema e come tutti i problemi ha un suo utilizzo e cioè fare in modo che la persona cerchi la soluzione del problema e cercando di sbarazzarsi di questo problema non fa nient’altro che riprodurlo, di reimmetterlo, reinserirlo nel suo discorso, cioè continua a farne la rappresentazione in tutte le sue più svariate forme e configurazioni, ovviamente. Quale può essere una fantasia di abbandono? Tanto per intenderci, per fare un esempio, ci sono tantissime storie, si può andare al cinema a vederle, per esempio, una la storia che mi viene in mente, una tra le più conosciute, sicuramente ciascuno di Voi avrà letto “L’esclusa” di Pirandello… ecco questa è una storia di abbandono, è l’abbandono che agisce questa storia, è qualcosa di assolutamente vero che travolge l’eroina che ha da essere esclusa, tradita continuamente in tutte le varie vicende, ovviamente questo romanzo che Pirandello ha scritto e ciascuno di Voi sa il modo in cui descrive e le emozioni che questo testo produce e ha prodotto perché l’abbandono è qualcosa che affascina le persone, le interessa, la storia di abbandono è una storia praticata per lo più, è un programma che viene messo in scena e rappresentato per lo più, è ciò che le persone credono, la solitudine non avrebbe nulla di spiacevole se non avesse in molti casi all’interno di sé questa storia per cui è così gravosa, ed è per questo che suscita tutte le grandi emozioni e sensazioni che solo una storia del genere può produrre …detto questo ho cercato di spiegare cosa intendiamo quando parliamo di una fantasia, una storia di abbandono, uno dei modi in cui viene appunto intesa la solitudine… ma cosa significa la solitudine all’interno della coppia? All’interno di questo gruppo a due, la coppia è un gruppo formato da due persone, è un germe della società in cui funzionano e si contrappongono i gruppi cioè queste persone che si relazionano tra di loro, parlano tra di loro, vivono tra di loro, accolgono le regole di quel gruppo… dicevo quando parliamo di solitudine nella coppia cosa intendiamo, cosa viene inteso per lo più? Beh viene inteso il problema, viene inteso un problema se nella coppia ad un certo momento interviene la solitudine, è un problema che condiziona tutto l’andamento di queste persone che si sono incontrate, quasi magicamente, così si dice, e si sono innamorate, tra di loro poche erano le parole che funzionavano, bastava un sorriso e subito l’entusiasmo le portava a muovere quasi all’unisono, le portava a sognare, le portava a costruire il futuro, cosa accade ad un certo momento in questa coppia? La comunicazione perfetta non funziona più, le due persone ad un certo momento non sanno più parlare tra loro, vale a dire che non c’è più un interesse che li faccia colloquiare, che li faccia parlare, intervengono, come si diceva tempo fa, nel migliore dei casi, le famose comunicazioni di servizio, non c’è più interesse, non c’è più nulla che leghi questa coppia visto che non possono più parlare, non si intendono più, le lamentele sono “lui non mi capisce” “qualsiasi cosa io dica, non lo interessa” “non c’è più nessuna emozione tra di noi” sono due discorsi differenti e infatti perché dovrebbero essere due discorsi uguali? Non è questa la funzione della coppia tutto sommato, però la presunzione è questa che non si parli più la stessa lingua, cioè non ci si capisce più perché non si sa più che cosa dire e allora le soluzioni sono differenti, sono diverse o ci si limita a queste comunicazioni di servizio tanto perché si è stabilito un obiettivo in comune, oppure si cerca un altro interlocutore, un qualcuno o anche qualcosa che possa muovere il proprio interesse perché il proprio interesse pare legato all’interesse di colui che mi ama, colui per il quale io sono importante e sono importante se dico le cose che a lui piacciono o che a lei piacciono…ecco questa necessità di trovare un altro interlocutore che mi possa ascoltare, che mi possa confermare le cose in cui io credo, che possa dare senso alle cose che io dico…posta in questi termini la questione diventa complessa, diventa complessa perché se si va cercando l’interesse da parte dell’altro, cioè se si dipende da questo interesse allora, allora è inevitabile il problema della solitudine e il cercarne la soluzione creerà il colpevole che si agisce o si patisce ricostruendo quindi quella storia di abbandono per cui io sono abbandonata perché qualcuno mi ha abbandonata, non sono io l’artefice di questo abbandono, non ne sono responsabile. Ed effettivamente questo diventa un problema, cosa vuol dire che diventa il problema? che è la cosa principale, quella cosa, quelle proposizioni che continuamente cercano di trovare modo di uscire fuori da questo circolo vizioso, continuando a dirne, continuando a parlarne, continuando a trovare delle soluzioni ma è ovvio che le soluzioni che si possono trovare se non si considera ciò che sostiene tutto questo racconto che la persona fa, se non si considera ciò che la persona crede vero continuerà a prodursi all’infinito questa continua rappresentazione, che viene messa in atto, che viene mostrata, esibita perché anche gli altri possano intendere, perché finalmente le mie parole abbiano un valore, abbiano un senso, siano vere e in questo modo continuo a raccontarla, a raccontarmela o a raccontarla agli altri, e ovviamente di questo problema posto in questi termini non c’è soluzione perché il proprio interesse è focalizzato su quelle immagini di abbandono che mi sono care, immagini, immagine con la quale gioco in tutti i momenti del mio discorso, immagine con la quale gioca il mio discorso trovando continuamente spunti, particolari da cui ripartire… effettivamente non trova soluzione ma d’altra parte non deve avere soluzione perché se avesse soluzione potrebbe la persona, per esempio, raccontare un’altra storia, fare un altro discorso e perché non lo fa? Perché non può compiere questa operazione? Beh perché il suo discorso parte da qualcosa che è assolutamente vero, indubitabile, naturale. Se chiedi alla persona “perché esiste l’abbandono?” Da dove viene questa fantasia? Dice “Perché è vero, è la realtà, molti sono abbandonati, molti sono soli” ed è questa la paura più grande, questo il desiderio appagato che comporta quella rappresentazione, direbbe Freud…. nella rappresentazione si mostra l’appagamento di un desiderio, questo diceva lui, però possiamo rendere più semplice la questione… è come se fosse un dipinto che ci si mostra agli occhi e lo vediamo tale e quale, sì ecco una fantasia di abbandono come capita di ascoltare e di fare i conti in una analisi, posta in questi termini il problema non ha soluzione, non può risolversi fino a quando non si interroga questo problema… c’è l’opportunità di interrogarlo e chiedere conto da dove viene, e a che cosa serve, ovviamente, per risolvere questo problema, e occorre un percorso, detta così può sembrare abbastanza complessa la questione però in un percorso si ha l’opportunità intanto di intendere a che cosa serve una fantasia di abbandono, a temere la solitudine e quindi a porla in atto, perché quando si teme qualche cosa la cosa è lì che mi sta interessando e quindi la sto facendo. Ma perché è così importante nel percorso di una persona questa storia vera che crede e che non può mettere in gioco? Da dove viene? Come l’ha imparato? Beh viene dal luogo in cui vive, dalle storie che la società in cui vive le offre, le ha imparate, infatti se chiedete da dove viene e come è fatta vi potrà mostrare, vi potrà descrivere come è fatta, così come ha fatto Pirandello con “L’esclusa” ma non potrà darne conto, “come l’hai imparata?” niente non lo sa la persona … l’interesse che vuole sempre su di sé, questo stare da sola così osteggiato, questa paura tremenda di rimanere da sola, l’ha imparato e come? dalla società in cui vive, dalle regole che ha dovuto accogliere nel corso della sua vita, per conformarsi a queste regole e come gli è stato insegnato, per esempio, questo interesse che deve mantenere su di sé, questo sguardo continuo, che non la deve mai abbandonare? questo “qualcosa di fisico”… una mano sempre tesa che la conduca ché se no non muove, se no, non può fare, non può muovere, dicevo che l’ha imparato, per esempio, quando bambina continuava con i suoi no, no di fronte a qualsiasi cosa le venisse ordinato “devi mangiare la zuppa… devi mangiare il passato di verdura” no, no e la mamma “ se non mangi il passato di verdura allora la mamma muore, se ne va, non ti fa più giocare” e allora la bambina impara a mangiare il passato di verdura, volente o nolente perché se no la mamma se ne va e non la fa più giocare, non vuole più giocare con lei, non la guarda più. Lo impara così, impara così a mantenere questo sguardo di qualcuno che la deve amare, perché così risolve i suoi problemi, fa le cose che deve fare e questo è vero, e questo è amore e l’ha imparato con un ricatto, ricatto per accogliere le regole appunto del vivere comune, quelle regole che non conosceva perché tutto era aperto per lei….ed era solo quello che funzionava, nella vita poi questo non viene più considerato, pare risibile, pare risibile l’immagine di quella bambina che si mostra a negare tutto ciò che le viene imposto ma bisognosa, per molti versi, sempre di quella attenzione, di quell’interesse perché se no lei non conta nulla, non è nulla, perché non c’è nessuno che la fa muovere, non c’è nessuno che la fa giocare. Così l’ha imparato, ha imparato che la cosa più importante è che ci sia qualcuno che mi ami …è una menzogna, se uno considera l’amore in tutte le definizioni che di amore sono state date, quelle che si trovano sul vocabolario, ecco l’amore dovrebbe essere una cosa meravigliosa, aperta al mondo, non dovrebbe essere chiuso in un comando “amami! se no io non ti voglio più bene” è un po’ riduttivo, però la persona lo considera la cosa più importante, questo è l’ideale d’amore, un vincolo come quello che unisce una madre ad un figlio, un dipinto… considerate, per esempio, quello che accade ad un bambino che ha sempre giocato, che ama giocare, che ama correre, che è stato all’asilo e che deve fare la prima, la prima elementare… ad un certo momento si trova costretto per cinque ore sui banchi di scuola e il maestro, povero! deve insegnare ai bambini a scrivere, a leggere quindi ci deve essere un attimo di ordine, di tranquillità perché se no i bambini continuano a saltare e allora dice “state buoni, bambini, mi fate contento se state buoni, vi do la caramella” e il bambino è contento, molti bambini sono contenti di fare piacere al maestro e di avere la caramella, però poi ad un certo punto si accorge il bambino, che l’interesse del maestro non è più per lui, a lui spetta la caramella ma l’interesse del maestro è per quei bambini che continuano a giocare, a scazzottarsi, a farsi del male e a buttare per terra la forbice e la biro, e a quel punto il bambino si accorge che l’interesse del maestro è per quei bambini e a quel punto incomincia a fare quei bambini, comincia a picchiare, comincia a saltare, perché? beh, quello che lo interessa non è certamente la caramella, è l’interesse del maestro e fare in modo che il maestro in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera si occupi di lui, che gli voglia bene e per tutta la vita continua a credere che questo sia possibile, lo vuole, lo esige, lo pretende, questa è la cosa più bella che lui possa sperare di avere e in una coppia in molti casi funziona così, funziona fino a che c’è l’interesse che è l’unica cosa che crea, costruisce le emozioni, e la coppia funziona, quando l’interesse che c’era nell’innamoramento, per esempio, prende altre forme, altre vie allora i giochi si interrompono, i giochi non collimano, non si gioca più insieme. Ecco ma tutto questo viene considerato, la storia di abbandono, naturale, quel vincolo che unisce le genti e che fa innamorare le persone tanto per cui possono parlare la stessa lingua è naturale, è quello che si racconta per lo più, è quello che viene dato per scontato tutto sommato ma ecco a questo punto cosa avverrebbe se si potesse considerare che l’abbandono questa storia non è per nulla naturale ma è una costruzione linguistica? è un gioco linguistico, è un programma che la persona utilizza, ma per fare che cosa? Beh per continuare a parlare, tutto qui, per continuare a dire quelle cose che lei crede vere, non lo può dimostrare che sono vere, ovviamente, ma siccome tutti pensano così e allora se tutti pensano così, allora è vero e se è vero non lo si può mettere in gioco, non lo si può giocare arrivata lì, arrivata a questa realtà, a questa storia di abbandono in cui si trova infelice e abbandonata, racconta la sua storia, costruisce il nemico, crea il colpevole… cosa avverrebbe se potesse considerare questo che è un gioco linguistico? uno fra i tanti giochi linguistici che vengono utilizzati dagli umani che sono parlanti, in prima istanza, beh certamente se avesse gli strumenti per farlo, almeno, la prima soluzione sarebbe quella di giocare un altro gioco, un altro gioco linguistico… qualsiasi cosa avvenga, avviene perché i parlanti che possono “anche” chiamarsi umani hanno costruito questo gioco e avviene proprio per questo perché esiste questo gioco linguistico e allora io potrei giocare con un altro gioco, potrei cambiare gioco, per esempio, visto che posso considerare la mia sofferenza in una storia di questo genere e posso considerare che la mia sofferenza è data dal mia pensiero che gioca, che muove attraverso giochi linguistici ma se posso considerarlo allora posso considerare che qualsiasi cosa è un gioco linguistico e quindi posso scegliere di giocare un altro gioco, per esempio, appunto cambio gioco perché tutto sommato quella sofferenza non è così piacevole, non mi piace soffrire, affermo così che non mi piace quindi… se avessi l’opportunità e gli strumenti per considerare e per non poter non tenere conto in ciascun istante ciò che il mio pensiero costruisce ininterrottamente, e che muove attraverso o meglio fa giochi linguistici sarebbe importante oppure no? È irrilevante o no? Beh intanto potrei accorgermi che è il mio pensiero l’artefice di quella scena di abbandono, perché lì c’è il mio interesse, lì c’è il mio piacere, lì c’è qualche cosa dalla quale il mio discorso parte e ritorna, potrei considerare la responsabilità delle mie affermazioni quando parlo non quando utilizzo ciò che dico come espressione della mia anima, come un mezzo per raccontare ciò che avviene dentro di me ma ciò che fa, ciò che mi fa, ciò che mi costruisce e che quindi sono responsabile di quelle cose, che credendo il linguaggio o meglio il mio discorso un mezzo per raccontare delle cose non fa nient’altro che costruirle, reimmetterle nel discorso, beh, questa sarebbe intanto già una bella cosa, tenere conto di quello che vado dicendo e quindi di quello che vado facendo mentre dico le cose che dico, avrei l’opportunità di chiedermi qual è la condizione del mio pensiero, di cosa è fatto il mio pensiero visto che funziona attraverso giochi linguistici. È fatto ovviamente di elementi linguistici, di proposizioni, che funzionano ininterrottamente ma questa è la chance della persona, del pensiero che può considerarsi tale, non è un limite, non è il limite considerare che non si può uscire dal linguaggio perché il mio pensiero è linguaggio che sta funzionando, non è null’altro, certo, nulla di meno di questo e neanche nulla di più, è la chance dell’umano che può a questo punto interrogare tutto ciò che ha imparato e che lui crede la realtà, interrogare questo gioco linguistico a questo punto, interrogarlo… dirgli, chiedere conto del perché è lì fermo nel mio pensiero e non fa funzionare il mio pensiero come un pensiero funziona velocissimamente, in certi casi in molti altri no, pare fermo ma costruisce edifici assolutamente artificiali, fatti ad arte dal parlante perché il suo pensiero, direbbe Wittgenstein, fa vacanza, fa vacanza perché il suo pensiero ha trovato la verità, una verità che non può interrogare e non può interrogare perché non crede di esserne responsabile, di averne l’assoluta responsabilità crede che sia vero, che sia qualcosa che il suo pensiero non può assolutamente modificare. È ovvio che se è vero, se le cose stanno così, non lo posso dimostrare, certamente, non si può dimostrare …nessuno può dimostrare perché le cose stanno così, è solo perché glielo hanno detto, lo ha imparato…ma se avesse la possibilità di considerare il suo pensiero, come si muove, come funziona, di che cosa è fatto, non avrebbe più la necessità di costruire la paura, non gli servirebbe più a nulla perché non si può avere paura di qualcosa che si sa che sono io che costruisco attraverso giochi linguistici, certamente, attraverso storie, quelle storie funzionali al mio pensiero, al mio discorso quelle che ho accolte… ché non si può credere più, a questo punto, a nulla che si ponga come vero ma che vero non è perché non è dimostrabile in nessun modo, beh, questa è la chance. La solitudine intellettuale è a questo punto la chance del pensiero che può considerare che di qualsiasi cosa si trovi a vivere non può incolpare nessun altro che se stesso, non esiste più la colpa ma mi trovo a fare i conti continuamente con ciò che penso, con ciò che dico, con ciò che affermo e delle mie affermazioni ho l’assoluta responsabilità…bene direi che forse adesso si tratta di parlare, qualcuno vuole aggiungere degli elementi chiedere… Nadia tu hai scritto qualcosa?
Intervento: rispetto al sentirsi soli nella coppia anche in mezzo agli altri, qui cosa vuol dire? A cosa si pensa e perché si arriva a concludere di essere soli. Certo inizialmente non si è consapevoli del proprio pensiero e forse ciò che richiama la nostra attenzione, quasi sempre, sembra essere un malessere un fastidio, una sensazione di rabbia che ovviamente ha come referente, obbiettivo il proprio compagno, la propria compagna o gli altri… o anche perché ci si ritrova ad essere interessati ad altri possibili partner per cui chi viene a trovarsi in tali circostanze da principio attribuisce all’altro il problema, in quanto non ha la capacità di reperirlo in quello che va dicendo nel proprio discorso…ecco allora il compagno premuroso diventa lo diventa troppo poco, oppure non avvertire quelle attenzioni che lo caratterizzavano, che magari non gli sono mai state date, oppure sentire di non voler più condividere i propri pensieri anche solo le banalità del giorno passato perché tanto, forse, non sarebbero accolte, quindi finendo per chiudersi dentro a quel silenzio. Dicevamo quindi del sentirsi soli, sentirsi solo presuppone però una curiosità cioè sentire il proprio discorso individuale come se ad un certo punto ci si fosse staccati da un ideale ingombrante la coppia come unità cioè e non come invece composta da due singoli discorsi e questo può comportare questo abbandono iniziale cioè avvertire di essere singolo ma poi sta lì l’occasione per non riproporre situazioni similari alle precedenti, cogliere quindi l’occasione per reperire in se stessi gli strumenti per portare avanti il proprio discorso, interrogandosi quindi sul proprio pensiero perché appunto sento questo? essere solo in coppia significa aver colto la propria individualità che il mio discorso è altro dal suo discorso a volte i due discorsi si incontrano perché fanno gli stessi giochi ma non si confondono più, cioè appunto serve per comprendere la propria solitudine, comprendendola ci si può avviare verso un modo di essere più genuino laddove la propria verità cioè ciò che io credo vero può trovare degli spazi consoni e degli interlocutori più vicini al proprio discorso…
Bene, certo può essere una chance anche questa quella di intendere che il mio discorso è particolare e non ha nulla a che fare con la particolarità di un altro discorso ma questo non è un problema è effettivamente la chance che ci può trovare a giocare è ovvio che se l’interesse della persona è fare in modo che siano avvallate le cose vere che io credo, è sempre e soltanto il mio discorso che vale, il discorso dell’altro non ha nessuna importanza e dare dignità al discorso di colui con il quale per esempio divido la mia vita, non è cosa da poco, non gli richiedo di aiutarmi, di amarmi, di volermi bene perché se no lo abbandono ma gli richiedo di istigarmi continuamente, in che senso? Intellettualmente portando il mio pensiero a muovere e questo è un partner per il momento ideale, e forse potremmo accorgerci se con amore possiamo intendere tutta una serie di cose ma questo è l’amore nell’accezione più alta che si possa provare: un partner che mi istighi e che continui a farmi giocare, a fare giocare il mio pensiero… questo è effettivamente l’amore più grande cui può giungere un parlante sì, è la chance trovarsi discorso, trovare il proprio discorso, il proprio pensiero il proprio pensiero che ha la possibilità di rivolgere il suo interesse al pensiero stesso e a come funziona… sì qualcuno?
Intervento: un esempio questa visione intellettualistica…due contadini della bassa padana che non conoscono Lacan o De Saussure o compagnia bella che possibilità hanno di amare o di stimolarsi vicendevolmente (parlano!) sì ma hanno pochi strumenti purtroppo…
Hanno pochi strumenti ma si amano non hanno il problema e se ce l’hanno ce lo devono venire a dire in qualche modo, ma gli strumenti sono a disposizione di ciascuno laddove parla, l’amore nessuno l’ha imparato, nessuno ha insegnato alle persone ad amare, amano… (…) non dico che le cose avvengono continuamente, non dico neanche che sia un ideale questo può avvenire laddove si considera il pensiero ma vede l’analisi, la psicanalisi non è che insegna alle genti, ai popoli come comportarsi… quali ideali, lo insegna, lo mostra alle persone che sono interessate ad un percorso intellettuale ad intendere questo grande amore l’ amore per la verità… i contadini della bassa padana che non conoscono Lacan, De Saussure si amano, però invece chi non è soddisfatto di quello che si trova a vivere in certi momenti e ha una curiosità intellettuale, beh, allora a questo punto forse occorre che la metta in gioco e quindi che acquisisca quegli strumenti per fargli intendere e tener conto in ogni istante che quello che sta avvenendo è un gioco, un gioco linguistico, e che questo è ciò che gli apre la porta, la strada per non credere che tutto ciò che il linguaggio, i discorsi hanno costruito da sempre per continuare a dire delle cose, solo per soddisfare poi il funzionamento del linguaggio il quale linguaggio non ha nessun altro scopo che di costruire delle proposizioni vere, costruire discorsi è ovvio che questo attiene alla curiosità di colui, per esempio, si trova a formare degli analisti, delle persone che chiedono di poter accedere alle conversazioni analitiche, all’analista della parola in prima istanza il quale deve ascoltare dei giochi per non essere giocato, perché se no può capitare che si trovi lui a raccontare la storiella e la persona a crederci e questo non è certo la funzione dell’analista colui che compie questo percorso fino ad accorgersi di quello che costruisce e perché lo costruisce e come lo costruisce. Ovvio che a questo punto molte cose perdono di importanza cioè non ingombrano il pensiero e può cominciare a giocare in altro modo, certo giocare
Intervento: ma anche l’analista e il suo discorso, il suo racconto non è il racconto dell’analista…
Vede l’analista interviene proprio perché la persona possa di volta in volta tenere conto di quello che dice, di come lo dice e perché lo dice, non è un racconto dell’analista è un intervento che fa in un percorso analitico, in un percorso di parola, non in un percorso di spiritualità ma di parola e di questo deve tenere conto l’analista. Certo noi parliamo alle persone, facciamo conferenze a cicli continui, indichiamo quelle che sono le vie per accorgersi e per tenere conto di questo poi ciascuno è libero di percorrere la sua strada però per lo meno dirlo dell’inganno tremendo al quale gli umani sono sottoposti se non considerano la cosa più importante e cioè che parlano e non possono non farlo e che questo è assolutamente prioritario su tutto il resto…
Intervento: io ho trovato molto stimolante… disagio in tutte le sue varie forme correlato a giochi linguistici… un racconto che può cambiare gioco, però non è facile cambiare gioco…
Sì, certo sono d’accordo con lei che non è facile cambiare gioco è la questione più ardua questa perché potere fare un altro gioco, scegliere i giochi per cui vivere non è semplice al momento in cui uno crede nella realtà che ha imparato, tuttavia, non è facile e questo appunto presuppone la responsabilità della persona che non è una responsabilità penale ma il potere tenere conto in qualsiasi istante e in qualsiasi momento che comunque tutto ciò, questo non potere cambiare gioco avviene ad opera del proprio pensiero sono i propri pensieri che non permettono di cambiare gioco perché i propri pensieri non possono considerare che sono gli artefici di qualsiasi cosa, al momento in cui io so, mi accorgo, di che cosa costruisco e della storia continua che vado costruendo se questa storia è vera cioè è la realtà e io questa realtà non la posso mettere in gioco perché è così, non c’è via d’uscita, tutti la pensano così, la società qualsiasi cosa ma io in prima istanza immagino che la realtà sia uguale per tutti, mentre la realtà ovviamente è ciò che per ciascuno è quella realtà che si trova a vivere, non è una questione di universali ma universale è il termine, il concetto come viene utilizzato ma per ciascuno la realtà è quello che è, al momento in cui si può considerare di che cosa è fatta questa realtà, può considerare che questa realtà è un gioco, può interrogare perché questo gioco linguistico particolare è all’interno dei suoi pensieri e quindi i suoi pensieri giocano solo con questo gioco e non può giocare un altro gioco, questa è la condizione per poterlo fare, il potere considerare che non è possibile uscire dal linguaggio, da una struttura linguistica ha questa funzione direi proprietaria quella di poter fare compiere, muovere delle domande, muovere il pensiero laddove non è assolutamente possibile muovere perché il mio pensiero è limitato da ciò che vedo, da ciò che è fuori di me quindi da ciò che è vero, ma non è vero è qualcosa che il mio pensiero costruisce utilizzando il linguaggio al momento in cui io so che qualsiasi cosa io mi trovi a considerare, qualsiasi cosa io mi trovi a vivere lo posso fare per via di un gioco e quindi quella verità attiene a quel gioco beh allora posso effettivamente incominciare a interrogare quello che io credo perché io lo credo ma non è vero. È la condizione per poter muovere l’interrogazione e per poter far funzionare il proprio pensiero. Un pensiero che è stato limitato proprio dalla realtà, dalla naturalità delle cose …se le cose sono naturali, nell’accezione in cui è utilizzato questo termine, come posso considerare che invece è il mio pensiero che le produce? Che le conclude partendo da una premessa attraverso una serie di passaggi? Senza la mia conclusione quelle cose non ci sarebbero, se non potessi concludere che vedo delle cose, ovviamente, se non ci fosse questa conclusione che vedo queste cose da parte del mio pensiero quelle cose non le potrei vedere, perché non potendo concludere non saprebbe che cos’è quella cosa che io vedo. È il mio pensiero che compie tutte queste operazioni meravigliose per un verso e tremende per un altro.
Intervento: anch’io dico che è molto stimolante quanto detto però mi pare che vada soprattutto bene per i casi di depressione. I casi sul versante criminoso, delinquenziale per gli psicopatici e per altri tipi di paranoici probabilmente più che sensazioni di abbandono è una sensazione di essere vittime di attacchi dall’esterno…
Sì certo, gli attacchi dall’esterno sì (…la società che mi condanna ingiustamente…) siamo noi che deduciamo questo da quello che può pensare un criminale, questo pensano i criminologi è ovvio che questi sono i modi in cui si rappresentano le varie cose che si credono ed effettivamente questo è un modo che attiene più ad un discorso paranoico, è la persecuzione che avviene da parte di un nemico, sì certamente, che può portarlo a compiere quello che in molti casi si sente sui giornali ma questo non è che sia una patologia è un modo di pensare e forse se si potesse considerare questo, anche proprio nei casi estremi, che è una struttura linguistica che produce il criminale, perché questa struttura funziona in un certo modo, beh forse si potrebbero considerare molti e molti aspetti. Perché per esempio, questa fantasia di persecuzione è posta in atto? Già Freud parlava di queste fantasie di persecuzione che possono funzionare, certamente… perché lei dice che ciò che diciamo va bene per la depressione, è sempre una fantasia, forse, parliamo in qualche modo di un’altra configurazione che può prendere la fantasia di abbandono, di questa realtà in cui ci sono gli eletti, i buoni, i cattivi, è una variante certo le vie per uscire le abbiamo dette… Sandro?
Intervento: riflettevo, ritornando al discorso della solitudine e della coppia e riportando questa fantasia al tema della conferenza, la questione della solitudine è un problema perché funziona un ideale, funziona un ideale che è la coppia ideale, in effetti rispetto alla solitudine funziona la fantasia della comunione cioè di questa sorta di unità, che in modo un po’ paradossale già Lacan metteva in discussione dicendo non c’è rapporto sessuale come dire che di due persone non si costituisce un unità ma i due rimangono sempre due. Tuttavia questo ideale funziona, funziona fin dai tempi di Platone, da quando ce lo descrive nel Simposio e funziona in questi termini proprio nella costruzione cui accennavi tu, spesso hai accennato alla questione del vero, della verità, quindi questa verità che deve diventare condivisa, il controllo della verità, la questione importante è questa come ad un certo punto la solitudine cos’è che sottolinea? Sottolinea, come dicevi tu, la mancanza di interesse, il fatto di non essere capiti, il fatto di sentirsi soli ma rispetto a che cosa? Rispetto al proprio discorso come dire che è il proprio discorso che non interessa più, che non è più importante per l’altro, questo che cosa significa? che non è più vero per l’altro, l’altro prova interesse nel proprio discorso se lo riconosce come vero, diversamente, se lo riconosce importante comunque, importante il giudizio, importante perché pensa una certa cosa, il poter confrontarsi ecc. ma è sempre intorno a una sorta di dimostrazione cioè ad un mostrare la verità, quello in un certo qual modo si trova la persona che si sente sola è appunto questo non avere più la garanzia che immaginava di avere perché in effetti sono fantasie che funzionano, non immagina più di avere appunto quella garanzia che ciò che sta dicendo è accolto dall’altro ma è accolto in che senso? È accolto come vero, come funzionante quindi come quel qual cosa che consente di poter proseguire quindi di poter continuare a compiere quel gioco che si è instaurato al momento stesso in cui si è formata a coppia nell’innamoramento, è importante la questione della verità perché dicevamo e lo diciamo sempre, al questione della verità è fondamentale perché è ciò che gli umani hanno sempre cercato, la verità sotto tutte le loro forme, la verità è un termine che sintetizza tutta una serie di figure che sono quelle alla base del vivere quotidiano per cui anche la coppia di contadini, di cui parlava il signore prima, si trova a confrontarsi continuamente anche nel loro gioco con la verità, certo non in termini intellettuali, come dicevamo prima o di alta filosofia ma nelle loro piccole azioni quotidiane e quindi la questione è come spesso si ascolta, ci si sente soli appunto abbandonati da qualcuno, fisicamente abbandonati ecco che allora una delle cose che si dice è per esempio “persa questa persona la vita non ha più senso” come dire che era l’altra persona che dava un senso e che quindi dava una verità, dava la possibilità di sapere che cosa era giusto e che cosa era sbagliato, dava la possibilità di poter proseguire perché la verità in effetti ha solo questa funzione, poter proseguire. Ecco che allora la solitudine o l’abbandono implica questa sensazione di arresto, questa sensazione, come dire come se ad un certo punto le cose si fermassero e dopo non c’è più nulla, una sorta di abisso… proprio come se noi diciamo il linguaggio ma vale a dire la possibilità di pensare si arrestasse e il linguaggio essendo la condizione del pensare…noi utilizziamo il linguaggio come struttura ma poi nell’atto, nel suo agire il linguaggio è la possibilità di pensare e quindi la possibilità di costruire, la possibilità di immaginare…qualunque cosa cioè il linguaggio è la condizione di qualunque cosa, la chance in tutto questo qual è? Comporta che si può non affidarsi più ad un interlocutore che si immagina fuori di me, che sia nel mondo, che sia reale ma a questo punto affidarsi ad un altro tipo di interlocutore che è esattamente quello da cui vengono tutte le proprie fantasie, quello da cui vengono i propri pensieri, quindi diciamo il linguaggio a questo punto, perché anche la solitudine è vissuta in un certo qual modo per via delle proprie fantasie, una certa situazione può produrre in una certa persona una certa reazione con determinati effetti, in altre assolutamente no come mai questo? Questo per via di fantasie, dicevo prima il credere vero sono poi fantasie, le cose che noi diciamo sono alla base dell’esistenza perché sono quelle che danno al direzione, sono quelle che ci portano a pensare delle cose piuttosto che ad altre, sono le nostre piccole credenze, piccole certezze ma sono quelle che ci portano avanti nelle cose che pensiamo, nelle cose che diciamo, nelle decisioni che prendiamo ecc… e allora incominciare a rendersi conto accorgersi che tutto ciò è costruito appunto da queste fantasie che per noi sono la realtà delle cose ecco perché interviene la questione della realtà mentre invece essendo delle costruzioni delle nostre fantasie non sono più così costrittive, non sono più così vincolanti ma possono essere prese per quello che sono quindi credenze che si sono costruite in un certo modo e se si sono costruite in un certo modo anche per certi motivi e quindi ecco che si può in questo modo arricchire anche il nostro pensiero, arricchirlo perché cominciamo a renderci conto di che cosa stiamo facendo quando stiamo parlando, quando stiamo agendo, quando stiamo pensando… incominciare a renderci conto di cosa sta accadendo…
Intervento: ci sono varie questioni che meritano di essere riprese, su una stavo riflettendo adesso e cioè la connessione, che per altro è stata posto in modo molto preciso, tra la solitudine e l’assenza di un interlocutore. Tant’è che in effetti una persona avverte la solitudine quando non ha nessuno con cui parlare, finché c’è qualcuno con cui può parlare non si sente sola. Questione che pone l’accento sull’importanza del potere parlare con qualcuno tant’è che una pene più feroci che possono venire inflitte è l’isolamento e cioè l’impossibilità di parlare con qualcuno, dicono che taluni addirittura siano impazziti per questo. Questione che dà da pensare sull’importanza della parola alla quale spesso non si presta una grande attenzione ma forse è molto più importante di quanto comunemente si immagini, addirittura è la vita, tant’è che una persona si considera e ciascuno si accorge che una persona è morta quando cessa di parlare, quando non può più parlare e rileva “che la persona non parlerà più” come fosse se in qualche modo una delle cose più importanti e probabilmente lo è, una di quelle cose che consentono di dire, per esempio, che si esiste. Dell’interlocutore si è detto in vari modi che in una relazione ma non soltanto… /…/ che ad un certo punto non c’è più l’interlocutore e cioè che cosa fa quest’altra persona? Non accoglie le cose che dico, non da alle cose che dico l’importanza che dovrebbe dare, non c’è un riscontro per dirla in breve non rilancia il gioco, cosa che invece avviene nei primi tempi, spesso, non sempre ma sia come sia… rilanciare il gioco non è facile, l’idea che possa darsi un interlocutore che sia in condizione di non rifiutare niente, di non abbandonare mai e di dare sempre importanza a ciò che ascolta è l’idea dell’interlocutore perfetto, quello che non è mai stanco di ascoltare e che trova sempre il modo per rilanciare la questione, per dare a ciascuna questione una veste nuova, inedita cioè sorprendere in un certo senso: è l’interlocutore perfetto. Sembrava di individuare in ciò che veniva detto prima da Beatrice che l’analista ha un compito, uno solo: fare in modo che la persona che sta parlando e che si è rivolta a lui possa giungere a porsi lei stessa come il proprio interlocutore perfetto, cioè che non ha bisogno di altri per esistere, può farlo per piacere ma non ne ha bisogno, è una cosa molto diversa. Verrebbe da domandarsi perché gli umani hanno bisogno continuamente di parlare, perché? È una domanda che nessuno si pone, che nessuno si è mai posta, è curioso, perché hanno bisogno di parlare ininterrottamente, e lo fanno senza tregua al punto che se glielo si impedisce questo è preso come una delle peggiori punizioni che si possano infliggere. Cos’è che costringe gli umani a dovere parlare continuamente? Anche quando sognano, praticamente venti quattro ore su ventiquattro, da quando incominciano a parlare fino al giorno in cui cessano. Ha risposto Beatrice: è qualche cosa di cui sono fatti gli umani, e cioè il linguaggio. Generalmente lo si considera un mezzo per descrivere qualche cosa o per comunicare comunicazioni di servizio, non è proprio così, cioè si può fare anche questo ma non è questo che fa propriamente, ma costringe gli umani a parlare ininterrottamente, che non è poco, perché parlando ininterrottamente costruiscono discorsi e questi discorsi devono avere una caratteristica cioè devono essere veri o concludere con una affermazione vera, perché se è falsa viene abbandonata e allora se concludono in un modo ritenuto vero ci si comporta di conseguenza, con tutto ciò che questo implica ovviamente, per cui la parola, come dicevo all’inizio, è qualcosa di molto più rilevante di quanto comunemente si immagini, è ciò di cui e per cui gli umani vivono, ciò di cui sono fatti. La parola, cioè la possibilità di parlare e dunque di pensare, dunque di accorgersi di esistere e in seguito a questo una quantità di altre cose. Pertanto accorgersi di una cosa del genere, incominciare a praticarla e non potere in ciascun atto non sapere e quindi non potere non tenere conto di una cosa del genere in tutte le sue configurazioni, ecco, questo è ciò che l’analista deve fare, in modo tale che una persona che si rivolga a lui abbia l’opportunità di accorgersi in ciascun istante e non possa più non farlo di ciò che sta avvenendo. Perché pensa le cose che pensa, che non è affatto naturale, ma un gioco… /…/ supportata da altri discorsi, altre supposizioni, altre credenze che vengono scambiate generalmente con la realtà delle cose e a questo punto, proprio perché scambiate con la realtà delle cose, mai considerata, mai messa in discussione. Talvolta sono proprio le cose più ovvie quelle che offrono maggiore possibilità di riflessione, di considerazione, di attenzione per giocare altri giochi, accorgersi che è in proprio potere farlo, e la difficoltà, che pure c’è, consiste unicamente nel non volere abbandonare il gioco precedente, questione che già Freud ai tempi suoi aveva avvertito chiedendosi: come mai le persone vengono da me, mi pagano per risolvere un problema, e ad un certo punto fanno di tutto per non risolverlo, perché? È una questione: perché le persone cercano i guai? Se non li trovano li creano, da sempre… perché?
Intervento: a voler cambiare la propria prospettiva si va incontro ad un caos assoluto cioè in pratica se io vedo le cose in un certo modo, sempre che io riesca ad arrivare in fondo alle esperienze iniziali che mi hanno portato a una certa visione diciamo distorta, se io mi accorgo che la visione non va più che cosa faccio in pratica bisogna iniziare da capo e quindi sopportare sofferenze notevoli penso sia quello che appunto Freud non considerava. È facile dire “non va questa visione” bisogna ricostruirsene un’altra…
Intervento: No, non è questa la questione, non è che non va, va benissimo, il problema è proprio intendere perché per la persona va così bene che non l’abbandona…
Intervento: anche perché ci sono dei vantaggi secondari tra l’altro…
Intervento: certamente, così come in alcuni casi di malattia, o come nel caso della depressione, il tornaconto spesso è diventare immediatamente importanti per un sacco di persone, essere al centro dell’attenzione, e questo è un ottimo vantaggio, molti lo praticano, molti più di quanto si possa immaginare…
La rappresentazione di cui si parlava prima… bene giovedì prossimo Daniela Filippini ci intratterrà sulla felicità mancata. Vi invitiamo e vi saluto. Grazie e buona notte.