Torino, 16 giugno 2009
Libreria Legolibri
PSICANALISI CLINICA
LUCIANO FAIONI
IL RACCONTO DEL DISAGIO E L’ASCOLTO
Intervento di Daniela Filippini: Buona sera a tutti. Questa sera è l’occasione per riflettere sul tema del disagio e di che cosa avviene quando si cerca di comunicare, di parlare del disagio. Il disagio può essere definito come uno stato mentale, una situazione appunto in cui si prova una sensazione di disturbo, di fastidio in cui non ci si sente sereni rispetto ad alcune cose, possono essere paure, possono essere ansie, angosce dipende dalle proprie fantasie da ciò che si rappresenta con questo disagio, in questa riflessione potremmo pensare a come si parla del disagio, di come si parla dei propri pensieri intorno a questo disagio e che cosa si descrive in realtà quando si parla del proprio disagio. Come descriverebbe Lei Faioni il disagio?
Come l’assenza di agio, alla lettera funziona così, però effettivamente la questione del disagio è sempre stata importante, poi da quando si è avviata la psicanalisi con Freud ha presa una forma ancora più particolare e più specifica. Disagio naturalmente inteso come disagio riguardo ai propri pensieri, non tanto disagio come malattia in quanto tale, anche se molti fra psicologi e psichiatri e anche molti psicanalisti considerano il pensiero come una malattia, ma il pensiero non è una malattia. È pur vero che in molti casi il pensiero può produrre una malattia e così come la produce può anche eliminarla ovviamente, anche se è una questione questa, un aspetto ancora poco esplorato come molti sanno, per esempio molte malattie, le più recenti, le più diffuse come per esempio i tumori hanno una forte componente psichica, però questa è un’altra questione, atteniamoci a ciò di cui dobbiamo parlare e cioè il racconto del disagio e l’ascolto. Come dicevo il disagio in ambito psicanalitico non ha nulla a che fare con la malattia, nonostante gli sforzi da parte di alcuni per fare rientrare il disagio psichico nella patologia medica, però la questione non è semplice poiché il disagio che procede dai propri pensieri è difficile a individuarsi, ciò che la più parte delle persone avvertono non è altro che l’effetto dei propri pensieri che vanno in direzioni che la persona vorrebbe non andassero, cionondimeno rimane il fatto che moltissimi oggi lamentano disagi di ogni tipo, come depressioni, ansia, attacchi di panico, fobie e acciacchi di ogni sorta, supporre che siano delle malattie ha delle implicazioni notevoli poiché una depressione, come gli attacchi di panico, procedono da propri pensieri, ma alcuni suppongono che questi pensieri siano malati, malati cioè non corretti, non sani. Naturalmente è arduo stabilire in questo caso un concetto di sanità rispetto al pensiero, ma quand’è che un pensiero è sano o è malato? Una questione cui non è semplicissimo rispondere, occorre stabilire un criterio, per esempio in base ad un certo criterio può anche stabilirsi che il pensiero religioso sia un pensiero malato e così tutti quelli che credono in un dio sono malati, perché no? In fondo credono in qualche cosa che in nessun modo può essere dimostrata, mostrano una fede assoluta in una cosa che è totalmente arbitraria, perché non considerare malato un pensiero di quella fatta? Eppure il credere in un dio, qualunque esso sia, non è molto diverso da altri pensieri che producono degli effetti che ai più appaiono come malattie, il compito della psicanalisi non è quello di stabilire qual è il modo corretto di ragionare, a questo ci ha già pensato la logica, ma mostrare come funzionano i pensieri e indicare anche la possibilità di questi pensieri di seguire delle direzioni che potremmo definire corrette, ma corrette non in accezione morale ma in accezione logica. Dunque come funziona il pensiero? Visto che il disagio è prodotto dal pensiero occorre quanto meno sapere come funziona il pensiero, sapendo come funziona il pensiero c’è la possibilità anche di sapere in quali occasioni produce disagio: come pensano gli umani quando pensano? E pensano ininterrottamente, il pensiero è un attività attiva ventiquattrore su ventiquattro, quindi è una grossa componente della vita di una persona ed è curioso che pur essendo una attività continua di fatto pochi sappiano esattamente come funziona il loro pensiero e di conseguenza come accade che si trovino a pensare le cose che pensano, e come accade ancora che se si trovano a pensare qualcosa tendano a considerare ciò che hanno pensato come vero, e considerandolo vero si muovono di conseguenza. È importante sapere come funziona il linguaggio, cioè come funziona il pensiero, adesso dico linguaggio ma in realtà il pensiero e il linguaggio sono straordinariamente prossimi, senza linguaggio non si potrebbe pensare per esempio, dunque come pensano gli umani? Il modo è semplice, si muove da una considerazione che si ritiene essere vera, si costruiscono dei passaggi che appaiono coerenti con la premessa e si conclude in modo tale che la conclusione non contraddica la premessa, tutto qui, il pensiero è fatto di questo, qualunque tipo di pensiero, intendo dire sia il pensiero di colui che si occupa di logica formale che il pensiero di chi vuole fare una dichiarazione d’amore in ogni caso penserà così, perché o si pensa in questo modo o non si pensa affatto. Dunque il pensiero ha una particolarità, quella di muovere da qualche cosa che è ritenuto essere vero, se no non viene accolto come premessa, e questo è importante perché ciò che le persone ritengono essere vero determina anche la loro condotta, determina, per esempio, il fatto che quando vi incontrano vi stringono la mano, vi sorridono oppure vi aggrediscano, è una differenza e questa differenza muove da ciò che la persona crede essere vero. Se per esempio suppone e crede essere vero che ciascuno di voi sia un nemico mortale farà di tutto per eliminarvi, questo appare abbastanza ovvio, certo l’esempio è portato all’estremo ma per rendervi più semplice la comprensione. Dunque si pensa in questa maniera, e il disagio da dove procede? È molto semplice, se per esempio una persona considera vera una cosa ma accade che consideri vera anche un’altra che tuttavia non è compatibile con la prima, ecco che si crea un problema. Vi faccio un esempio: prendete un bimbetto piccolo, supponiamo che la mamma gli dica di non mangiare la marmellata ché se mangia la marmellata la mamma muore, è una connessione squinternata però a volte accade che una mamma dica una cosa del genere, allora cosa succede? Il bimbetto si trova di fronte a un problema perché la marmellata lo attira fortissimamente, come rinunciare alla marmellata di ciliegie? Non si può rinunciare alla marmellata di ciliegie, è troppo buona, però se mangia la marmellata allora la mamma morirà ed lui vuole bene alla mamma per alcuni motivi evidentemente, e allora bisogna trovare una soluzione potere potere mangiare la marmellata senza incappare nel pericolo mortale. Eleonora stavo dicendo di come il discorso, i propri pensieri possono creare dei problemi e facevo l’esempio del bimbetto che vuole la marmellata però la mamma gli ha detto che se mangia la marmellata allora la mamma muore e allora il bimbetto può decidere che la mamma muoia tranquillamente e allora non c’è più nessun problema, ma siccome questo generalmente non si verifica perché al bambino è stato insegnato che è bene volere bene alla mamma, e allora deve risolvere il problema e il problema come si risolve? Come fanno gli adulti, esattamente allo stesso modo e cioè trovano una soluzione di compromesso che soddisfa in parte la cosa, e cioè che cosa fa il bimbetto? Alla marmellata non rinuncia quindi mangia la marmellata, dopodiché incomincia a temere per esempio per la sorte della mamma non perché sia colpa sua ma perché c’è qualche cosa che la minaccia, per esempio, oppure mangia la marmellata e si punisce da solo immaginando la presenza dell’uomo nero che viene la notte a tirargli i piedi o altre cose del genere, cioè costruisce un discorso che gli consente di fare una cosa e l’altra attraverso un compromesso che regge fino ad un certo punto. Anche negli adulti succede qualche cosa di molto simile quando si cerca un compromesso e il compromesso non riesce, ecco che si avverte un disagio, un disagio che talvolta è anche molto forte al punto da indurre una persona a punirsi in modo tragico. Un altro esempio è quello inverso, quello della madre che considera a un certo punto il bambino un impiccio di cui sbarazzarsi, però una volta fatto sbarazzarsene è un problema, c’è anche il codice penale di mezzo, insomma è un problema, non solo ma addirittura non può neanche pensare una cosa del genere perché se la pensa allora non è una brava madre e anche in questo caso deve trovare una soluzione, risolvere il problema dell’impiccio reale, concreto, e d’altra parte anche fare i conti con i suoi sensi di colpa per avere immaginata, pensata la morte di un figlio, che possa accadergli qualche cosa e allora la questione si sposta: non è più lei che vuole la catastrofe per il figlio ma il mondo esterno che è brutto e cattivo e pieno di macchine che corrono velocissime, pieno di criminali armati fino ai denti. Questa è una soluzione di compromesso e questo giustifica, in parte naturalmente, per esempio l’angoscia, l’apprensione della madre che vede continuamente nemici dappertutto, pericoli per il suo figliolo abbandonato al mondo cattivo. Il figlio non corre rischi più di chiunque di noi ma per la madre, siccome la questione si è spostata da lei al mondo esterno, immagina che il mondo esterno abbia la stessa intenzione che ha lei di farlo fuori e quindi il pericolo è reale, concreto, è un po’ come il discorso che fa la mafia, hai presente Eleonora il discorso che fa la mafia? Dice che dovete pagare per la sua protezione e voi potete dire “io non ho nessun nemico” e la mafia vi risponderà: “se non paghi la protezione da questo momento il nemico ce l’hai”. È esattamente la stessa cosa. Ecco dunque il disagio, per esempio quella mamma che è sempre preda di un fortissimo disagio ma perché questo disagio esista, sia reale, sia concreto, deve prendere quella sua fantasia molto seriamente; quale madre non ha pensato in vita sua di far fuori il pargolo, in un modo o nell’altro? Non c’è niente di strano in tutto ciò ma per una mamma può essere una cosa tremenda, impossibile anche soltanto a pensarsi, naturalmente cercando di eliminare questo pensiero si sposta la questione su altro che diventa altrettanto potente, altrettanto forte, altrettanto sconosciuto, la soluzione è molto semplice, si tratta soltanto di affrontare il desiderio della morte nei confronti del pargolo, elaborarlo, semplicemente prenderne atto, articolarlo, prenderlo in considerazione come un pensiero al pari di qualunque altro, ma che cosa si deve salvare qui in questo caso? L’idea della madre perfetta, della madre che se è tale non può in nessun modo e per nessun motivo desiderare la morte del pargolo, se questa è la premessa generale allora è ovvio che qualunque pensiero contrasti questa, che per la madre è una verità assoluta, dicevo qualunque pensiero contrasti questa verità assoluta deve essere eliminato e questa è la struttura del discorso religioso, cioè qualunque verità non collimi con la mia deve essere eliminata perché è ostile, perché è minacciosa, perché è pericolosa. È per questo motivo che una persona che è angosciata, che è spaventata è anche pericolosa, è pericolosa perché immaginando nemici dappertutto scatenerà la sua rabbia, la sua ferocia contro i nemici immaginari, che non esistono ma che lui vede ovunque e per lui sono reali, sono veri, sono la verità. Il racconto del disagio espone tutte queste cose. All’inizio dell’analisi per esempio una persona si trova a raccontare tutte le cose in cui crede, le sue verità, in fondo ciò che accade all’inizio dell’analisi è l’esposizione del proprio sistema religioso cioè di tutte le cose vere, di tutte le proprie verità che sono quelle che portano a delle implicazioni, a delle conseguenze seccanti …
Intervento Daniela Filippini: Quelle che diceva prima per esempio, e cioè se mangio la marmellata allora la mamma muore e che se si desidera la morte del figlio non si è una buona madre cioè tutta la rappresentazione delle proprie fantasie e dei legami che queste tra di loro hanno costruito col passare del tempo nella propria esperienza di vita e che si sono stratificate producendo a loro volta dei collegamenti e delle altre immagini come conseguenza appunto di queste convinzioni di base e all’inizio del racconto psicanalitico quello che la persona si trova a fare è descrivere semplicemente quella che è la sua esperienza di vita credendo di fare una specie di racconto appunto, di cronistoria della propria vita e descrivendo situazioni, persone che sono state importanti che si crede essere state determinanti come se fossero eventi esterni a sé fino ad accorgersi ad un certo punto che il proprio ruolo in questa storia non è soltanto un ruolo descrittivo ma un ruolo di protagonista di colui che ha scritto quella storia, non si è trovato semplicemente a recitare questo film ma lo ha scritto in prima persona, ha scritto la sceneggiatura attraverso le cose che immaginava, che pensava che di volta in volta nella sua vita ha creduto vere e che in tutte le occasioni lo hanno portato a decidere e a muoversi in una certa direzione piuttosto che in un’altra non c’è una causalità, un destino per cui la persona è come un soggetto passivo ma si accorge del fatto che ha deciso, ha voluto andare in una certa direzione e non in un'altra e questo è deciso soltanto da lui e dalle cose che in quel momento riteneva giuste, vere.
Esattamente, in effetti prima ho illustrato come funziona il pensiero, si parte da una premessa e poi attraverso dei passaggi si giunge alla conclusione, finché quella premessa da cui parte rimane esattamente la stessa e finché è creduta vera rimarrà la stessa, non c’è nessuna possibilità di modificare la conclusione e cioè la persona continuerà a fare esattamente la stessa cosa, pilotata come se fosse un programma e non ne esce in nessun modo. Il problema è che quella premessa da cui parte non è considerata come tale, cioè la premessa di un discorso, ma è considerata la realtà, un dato di fatto e come tale non può essere messo in discussione né in gioco perché rappresenta lo stato di fatto delle cose e quindi non gli passa nemmeno per la mente che sia possibile mettere in gioco una cosa del genere, e di conseguenza continuerà per tutta la sua esistenza a muoversi esattamente sempre nello stesso modo, è inevitabile. A questo punto interviene l’ascolto dell’analista, cosa ascolta l’analista? Ascoltare non è lo stare a sentire qualcuno come può fare un amico o chiunque, perché in più c’è una considerazione che l’analista fa: tutto ciò che la persona racconta del suo disagio, della sua storia, è tende sempre a concludere nello stesso modo e cioè che le cose sono così, non sa perché ma le cose sono così, e cioè a chiudere il suo discorso, a chiuderlo in modo definitivo se è possibile, il compito dell’analista è fare in modo che questo discorso anziché chiudersi possa proseguire, possa rilanciarsi. In altri termini deve mantenere aperto il discorso sempre e comunque, naturalmente non è semplice perché la persona fa di tutto il più delle volte per mostrare e dimostrare che le cose stanno proprio così come lui dice e che non dipende da lui, diceva prima Daniela, ma dalla mala sorte o dalle persone cattive o chicchessia e fino al momento in cui la persona non incomincia a considerare che le cose che pensa sono una produzione dei suoi pensieri anziché la descrizione di uno stato di fatto, finché non si verifica questo la persona non fa un passo, continua a girare a vuoto.
Intervento di Daniela Filippini: anche perché gli strumenti con cui si trova a considerare la sua storia e quello che va dicendo sono gli stessi che utilizza per analizzarla, le considerazioni da cui muove sono inevitabilmente le stesse e lo portano a concludere sempre nella stessa direzione e se non c’è un intervento esterno che ponga le questioni in un modo diverso, inserisca degli elementi nuovi come eventualmente possibili non c’è la possibilità di porsi in un’altra posizione di appunto valutare in un modo diverso la questione perché inevitabilmente si ripercorreranno gli stessi schemi e questo è il motivo principale per cui non si può fare da sé l’analisi, l’auto analisi non è possibile perché ci si trova ad analizzare con gli stessi strumenti ciò che si vuole considerare.
La soluzione al disagio, qualunque esso sia, richiede l’accorgersi delle cose in cui si crede fortemente, e si crede fortemente senza pensare che questo comporti una responsabilità perché le cose sono così quindi non sono io che credo a queste cose ma sono così, e io non posso fare niente. Certo, posta la questione in questi termini effettivamente non si può fare niente e la persona continuerà per tutta la sua esistenza allo stesso modo, ma se la persona ha paura di qualche cosa è evidente che se ha paura di questo qualche cosa crede che questo qualche cosa sia assolutamente vero, ma se avesse l’opportunità di accorgersi che non è esattamente così, è possibile avere paura di qualche cosa che si sa essere falso, e di conseguenza non reale? No, non è possibile. La paura al pari di qualunque altro disagio scompare nel momento in cui ci si accorge di che cosa la sostiene, cioè su quale verità è stata costruita. Quella premessa di cui dicevo che sostiene tutto il proprio discorso e che crea sì, certo, del disagio ma non solo, oltre a fare questo pilota tutta l’esistenza direttamente o indirettamente, per questo un’analisi è di straordinario interesse anche per una persona che non avverte nessun particolare disagio però vuole, per così dire, agire la propria esistenza anziché subirla, cosa intendo con questo? Subire la propria esistenza significa muoversi ed essere pilotati dalle proprie fantasie, dalle cose che si credono vere senza accorgersene, in questo caso si subisce, si è come, come dicevo, pilotati letteralmente come fosse un programma, cioè ogni volta che succede una certa cosa la persona reagisce in un certo modo e non ha modo di venirne fuori; agire invece la propria esistenza significa conoscere perfettamente le proprie fantasie e decidere sempre e ciascuna volta o, più propriamente, avere la possibilità di decidere di sé sempre e comunque della propria esistenza e questo comporta non avere più paura perché non c’è più bisogno di avere paura. Le persone sono state addestrate fino dalla più tenera età ad avere paura di qualunque cosa e questo per buoni motivi perché le persone che non hanno paura non sono gestibili, non sono ricattabili in nessun modo e quindi per esempio qualunque stato, qualunque governo preferisce persone spaventate, ché sono molto più facilmente gestibili, ma una persona che ha inteso perfettamente come funzionano le sue fantasie, quali sono e perché pensa le cose che pensa di fatto non ha più nessuna possibilità di essere ricattata perché non ha più paura né c’è la possibilità che possa averla in nessun modo: è questo che intendo con agire la propria esistenza, se no la si subisce, senza saperlo ovviamente, senza accorgersi, si subisce nel senso che ciascuno è travolto dai suoi pensieri, dalle sue fantasie di cui ignora totalmente l’esistenza e di cui ignora la portata soprattutto, ma cionondimeno ne è travolto ininterrottamente senza saperlo e pensando di muoversi sempre in base alla realtà delle cose, alla verità. Come sapete gli umani si muovono sempre in base alla verità, che lo sappiano o no, che lo vogliano o no, sia che dichiarino e scatenino una guerra nucleare sia che portino i fiori alla fanciullina, in ogni caso è sempre la verità a pilotarli ma non per un caso, ma perché ciò di cui sono fatti e cioè il loro pensiero funziona esattamente così: una premessa che deve essere vera e da lì considerazioni e inferenze che non contraddicano la premessa e quindi la conclusione che deve risultare vera all’interno di quel gioco, infatti nessuno segue una via se sa che quella via è falsa, perché non lo fa? Perché ciò di cui è fatto glielo impedisce, così come non è possibile per nessuno credere vero ciò che sa essere falso, è ciò di cui è fatto che glielo impedisce, cioè questa cosa che chiamiamo linguaggio, che è una cosa straordinaria, in effetti è l’unica cosa che rende gli umani tali, non ce ne sono altre. A questo punto possiamo proseguire con il dibattito se ci sono interventi, per esempio Eleonora, se vuoi intervenire adesso puoi farlo, visto che sei arrivata tardissimo …
Intervento: adesso no …
Adesso no, allora ne approfitti lei, sì, dica?
Intervento: io vorrei capire una cosa, perché il disagio …
Si è mai chiesto perché vuole capire le cose?
Intervento: per cercare di comprendere …
Questo sposta solo la questione ma perché? A che scopo?
Intervento: per capire …
Sì, questo l’abbiamo già detto ma, perché? Perché invece di volere capire, volere conoscere, perché invece non gliene importa assolutamente niente delle cose …
Intervento: io desidero sapere …
Questo lo abbiamo inteso, ma perché? Non le faccio questa domanda per caso …
Intervento: per cercare la verità …
Ecco, questa è già una risposta, comunque prosegua poi magari riprendiamo la questione …
Intervento: questo disagio che purtroppo si sta vivendo in questa società si può dare la colpa a questo sistema di vita, a questa velocizzazione del sistema imposto dai mass media cioè noi lo vediamo insomma sono venuto in autovettura da … c’è gente che sorpassa … nessuno si rende conto che provoca del disagio … penso che tutti noi l’abbiamo provato …
Certo, ma il fatto di dare la colpa a tutto ciò, la fa stare meglio?
Intervento: allora sogno l’isola … nell’Oceano Pacifico e non voglio più vedere nessuno …
Va bene, nessuno glielo impedisce, ma tutto questo non è la causa del suo disagio. Quando io ero piccolo, mia nonna si lamentava che ai suoi tempi le cose erano molto diverse e che allora c’era rispetto e che le persone non erano così squinternate come lo erano in quel momento, però si rendeva conto, la mia nonna, che la sua nonna diceva esattamente le stesse cose e cioè che quando era giovane lei le cose andavano molto meglio perché c’era più rispetto, le persone erano più consapevoli e non c’era tutta ansia che manda la gente fuori di testa, per esempio il telefono, l’energia elettrica o altre cose che vengono dal diavolo. Se noi volessimo dare la colpa al progresso nessuno ce lo vieta anzi, probabilmente troveremmo molta gente che è d’accordo con noi ma detto questo non avremmo detto assolutamente niente, possiamo dare anche la colpa al demonio, una volta lo facevano ma non per questo vivevano meglio o, come diceva sempre mia nonna, era stata la bomba atomica che aveva rotto l’aria e allora aveva reso le persone squinternate, è una teoria anche questa, ora mia nonna non aveva grosse informazioni riguardo alla fisica nucleare ma le piaceva questa idea e ci credeva. La sua era una spiegazione? Sì certo, al pari di qualunque altra, ma non porta assolutamente da nessuna parte. La questione è antica, molto più antica di ciò che oggi chiamiamo progresso, della presenza del telefono, della presenza dell’energia elettrica, il disagio va cercato forse in ciò che ci rende umani, in ciò che ci consente di pensare perché come ho detto prima evidentemente non in modo abbastanza forte il disagio è prodotto dal pensiero, se non ci fosse il pensiero non ci sarebbe disagio e per questo ho detto che sarebbe opportuno per ciascuno sapere come funziona il pensiero: se una persona sa esattamente come funziona il pensiero e quindi il linguaggio di cui è fatto allora c’è la possibilità che questa persona, dico possibilità ma in realtà si tratterebbe più di una certezza, che questa persona non sarebbe più in condizioni di provare disagio, tecnicamente funziona così, qualcuno potrebbe anche dire che a quel punto non è neanche più umano perché non soffre e la sofferenza è tipica degli umani, mentre una persona, una cosa che non pensa, che non parla, il fatto che soffra o che non soffra è nostro arbitrio stabilirlo, ma di fatto non sappiamo, invece gli umani sì, gli umani sì perché lo dicono, lo urlano in alcuni casi, fanno un gran fracasso e soffrono, soffrono per via dei loro pensieri e per soffrire occorre che qualche cosa sia importante e che questa cosa importante sia venuta meno e perché qualche cosa sia importante occorre crederci fortemente, e che sia importante è la conseguenza di una combinatoria di pensieri. Senza pensieri niente è importante, assolutamente niente, e se niente è importante non si perde niente se non si perde niente non c’è nessun problema. Come funziona l’ascolto Eleonora? Cosa ascolta l’analista?
Intervento: il discorso …
Questo è fuori di dubbio, se no cosa sta lì a fare?
Intervento: le sue premesse, i passaggi partendo dalle conclusioni cerca di arrivare alle sue premesse …
Esatto, sapere che cosa crede …
Intervento: individua al contrario dell’analizzante che è totalmente inconsapevole …
Alcune volte sì perché di fatto l’analista ha soltanto le parole a disposizione; qualcuno si era anche sbilanciato più in là e aveva detto che anche le espressioni della persona sono importanti, i suoi gesti, se è nervoso, se si agita, se fa cose strane, sì, se uno vuole può utilizzare anche queste cose però di fatto tutti questi movimenti e queste agitazioni vengano interpretati dall’analista a parer suo, e questo non è bello perché è preferibile che la persona dica quello che sta succedendo nei suoi pensieri ma non perché l’analista lo sappia, non è neanche questo che è fondamentale, occorre che la persona si accorga di quello che sta dicendo, il compito dell’analista è soltanto questo: fare in modo che la persona si accorga di quello che dice e del perché pensa le cose che pensa. Può anche accadere che un analista intenda molto rapidamente qual è la questione, ma il fatto che lo intenda l’analista è totalmente irrilevante, è la persona che deve confrontarsi con i suoi pensieri, esponendoli e accorgendosi di quello che sta dicendo e dopo, mano a mano, accorgersi del perché pensa le cose che pensa e a quel punto ecco che si spalanca un universo straordinario, e cioè si accorge di come funzionano i pensieri, di come funziona il linguaggio, di come tutto quanto proceda dal fatto che gli umani parlano, ché se non parlassero non solo tutto questo non si porrebbe in nessun modo ma non sarebbe mai esistito, neanche gli umani sarebbero mai esistiti, ché non ci sarebbe nessuno in grado di dire che è umano, e quindi affermare che esisterebbero lo stesso non significa niente, è una stupidaggine. C’è qualche altra questione intanto alla quale volete che io risponda? O qualche obiezione? Ecco qualcuno mi ponga un’obiezione? Mi mostri che tutto ciò che ho affermato è falso …
Intervento: non è facile …
Ci si può provare …
Intervento: i pensieri … e mi sta anche molto bene mi differenzia da una mucca ma le emozioni? Però ho l’impressione che quello che mi è successo … è un disagio, più che un disagio … però ho l’impressione che le emozioni siano diverse dai pensieri …
L’emozione? Ci rifletta bene, perché lei provi un’emozione occorre che qualche cosa per lei sia importante, perché se non avesse nessuna importanza per lei …
Intervento: non ci sarebbe nessuna emozione …
Bravissimo, ora a quali condizioni qualcosa diventa importante? Può averlo imparato, possono averglielo detto, può esserci arrivato lei attraverso una sua deduzione e da quel momento quella cosa è importante, da quel momento quella cosa può produrre quelle sensazioni che spesso si chiamano emozioni, ma la condizione per provare un’emozione è che per lei qualche cosa si sia costruito all’interno del suo discorso come importante, in caso contrario non c’è nessuna emozione, per questo sì certo possiamo anche dire che il cane prova emozioni, possiamo anche dire che questo orologio si emoziona ogni volta che lo carico, chi potrebbe provare che non è così? Ma al di là di queste amenità rimane il fatto che le emozioni fanno parte dei pensieri in modo strettissimo, in fondo che cos’sé un’emozione? Lei prova quella sensazione, la prova fisicamente in moltissimi casi, dei pensieri hanno dei risvolti anche nel fisico, quando si verifica qualche cosa di fortemente atteso e si verifica in un momento inusuale può provocare un emozione, o quando ci si sente, per esempio, fortissimamente importanti come la madre che si trova il suo bambino improvvisamente in braccio perché prima non c’era, c’era ma non era in braccio più propriamente, oppure la fanciullina che viene eletta miss universo ha sicuramente una forte emozione, il suo presidente del consiglio quando viene acclamato dal popolo, tutte queste sono forti emozioni. L’emozione è data da qualcosa che è ritenuto essere straordinariamente importante, come il consenso, il consenso universale è una delle emozioni più forti che gli umani possano provare. Dunque le emozioni non esisterebbero se non ci fossero i pensieri, nulla emozionerebbe perché non ci sarebbe niente di importante da muovere un emozione …
Intervento: c’era ancora una parte …
Non è necessario stare bene o stare male, una persona può anche cessare di domandarsi se sta bene o se sta male, non ha più bisogno di chiederselo semplicemente fa ciò che ritiene più opportuno cioè ciò che gli interessa, e quindi potremmo dire che vive bene e svolge la sua vita agendola e quindi facendo ciò che è più interessante …
Intervento: non so quanto abbia a che fare con il pensiero …
L’istinto è una questione complicata, così come la natura, è naturale per esempio se ci sono troppi cuccioli per una madre sbranare quelli in eccesso, mangiarseli, è assolutamente naturale così come è naturale per una gatta se arriva un cane e sbrana i suoi cuccioli non fare assolutamente niente, li annusa per un poco, vede che non reagiscono più e se ne va via. È questa la natura, gli umani invece avendo il linguaggio costruiscono intorno a una persona una serie di considerazioni, di pensieri che gli animali non hanno, non gliene importa assolutamente niente e quindi a partire da queste cose la persona per esempio diventa importante e poi di qui a cascata tutta una serie di altre cose ovviamente però …
Intervento: io non capisco quando parlate di pensiero, il linguaggio corrisponde a inconscio?
No, ma se vuole può anche farlo corrispondere …
Intervento: mi scusi l’emozione secondo me arriva dall’inconscio se io provo un’emozione vuol dire che c’è stato qualche cosa che mi ha toccato un qualcos’altro che io ho già dentro e che mi ha scatenato un’emozione poi arriva il pensiero perché l’emozione viene elaborata e quindi poi costruisco un pensiero razionale poi, lo elaboro, poi avviene tutto un ragionamento … dipende dalla scuola di pensiero siamo stati abituati da un centinaio di anni a questa parte a pensare l’inconscio, Freud, poi Jung con l’inconscio collettivo poi ecc. quindi questo linguaggio vorrei capire quali sono le basi …
È una domanda più che legittima, quello che lei dice è vero, in effetti la psicanalisi da Freud in poi si è immaginata l’esistenza dell’inconscio, di un quid che è chiamato inconscio e nel quale inconscio ci sono sia le cose rimosse, l’Es e qualche altra cosa, però di questo inconscio di fatto non ha dato una definizione che risultasse soddisfacente, né ha mai avuto l’opportunità di provare la sua esistenza, cosa che ha fornito ai detrattori della psicanalisi ottimi argomenti per considerare la psicanalisi una stupidaggine, fondata su niente, e certo detta così può sembrare una cosa molto banale ma effettivamente mi sono formato anch’io come psicanalista in base alla teoria di Freud. Mi sono formato con uno psicanalista che viene proprio da Freud, perché Freud ha avuto Abraham fra i suoi analizzanti, Abraham ha avuto Lövenstein, Lövenstein ha avuto Lacan, Lacan ha avuto Verdiglione e Verdiglione ha avuto me, questa è la dinastia. La teoria di Freud è stata ripresa poi, per la ripresa che ne fece Lacan negli anni 60/70 soprattutto, è stata ripresa in modo massiccio, lui, Lacan parlava di ritorno non a Freud ma di ritorno di Freud nel pensiero psicanalitico, che a suo parere era stato travisato, abbandonato e mistificato da tutti gli psicanalisti che gli hanno fatto seguito, Jung in prima fila naturalmente, anche questi psicanalisti pur attenendosi rigorosamente e scrupolosamente al pensiero di Freud non hanno tenuto conto di alcuni aspetti: come si fa ad attenersi scrupolosamente a un testo? È un problema, ciascuno infatti delle varie scuole psicanalitiche, come è avvenuto anche per la bibbia, come avviene anche per il corano, ciascuna di queste scuole si ritiene l’unica depositaria del verbo del maestro. Taluni preferiscono Jung, oppure Freud, oppure W. Reik o altri ancora, ma è una decisione prettamente estetica, piace di più quella e va bene così. È con questo panorama che ci siamo trovati circa vent’anni fa ad avere a che fare e allora ci chiedemmo: “la psicanalisi è fondata su affermazioni totalmente gratuite che richiedono un atto di fede, che richiedono che io creda che esiste l’inconscio, che si faccia quelle cose che dice Freud e che si comporti esattamente nel modo che dice lui oppure che creda che l’inconscio sia quella cosa che dice Jung? Ma se io non avessi voglia di credere che faccio?”
Intervento: un punto di riferimento … al vero, al più vero possibile …
E come fa a sapere qual è il vero possibile? Con quale criterio? Il fondamentalista islamico lui è assolutamente sicuro di essere nel vero, senza alcun dubbio, e se lei lo nega le taglia la gola tanto ci crede, e lo junghiano sosterrà a spada tratta la verità e il freudiano lo stesso e il reikiano lo stesso, tutti sostengono la verità ma è un atto di fede, credere qualche cosa che in nessun modo è dimostrabile. Certo la psicanalisi non ha mai fatto cose terribili come hanno fatto le religioni ma non ha mai avuto neanche tanto potere per farlo, ma aldilà di questo la questione della verità che lei ha posta è interessante, ciascuno ritiene di possedere la verità o di dire la verità o di avvicinarsi alla verità, come Popper, che sosteneva che la verità in realtà non è raggiungibile, si può solo andare verso alla verità, affermazione piuttosto bislacca dal momento che se non è raggiungibile nessuno può sapere in che direzione sia la verità, come fa a sapere che la direzione è quella giusta? Non lo saprà mai per cui può prendere qualunque direzione che tanto va bene e allora come dicevamo prima ci siamo trovati con un panorama piuttosto desolante, così desolante che se non avessimo trovato qualche cosa di sostenibile avremmo abbandonato ogni speranza e probabilmente la psicanalisi stessa a questo punto, dando ragione ai suoi peggiori detrattori, abbandonandola come una delle peggiori fesserie mai state costruite dagli umani, delle peggiori, perché la psicanalisi in quanto tale mente, mente perché è supportata da affermazioni che non può provare e che spaccia come vere senza potere provare che lo siano, in questo come si distingue da una qualunque religione? Naturalmente a questo punto occorreva trovare qualcosa che fosse provabile, e prima ancora trovare un criterio di prova e prima ancora trovare qualcosa che potesse costruire un criterio di prova, perché la posta in gioco era altissima, ne andava non soltanto a questo punto della psicanalisi, questione che era diventata marginale, ma della possibilità stessa di pensare: o è possibile pensare oppure gli umani sono condannati a girare in tondo intorno a qualunque cosa passi loro per la mente. Quindi come ho detto la posta in gioco era altissima e ha richiesto notevole impegno per venirne fuori, volete sapere anche come? Bene, per farla molto rapida perché se no vi tengo qui tutta la notte e magari avete altri impegni, si trattava di trovare un qualche cosa che fosse necessario, non soltanto vero per qualcuno ma necessario, cioè qualche cosa che non potesse non essere in nessun modo, questo era l’obiettivo: il necessario, che cosa è necessario? Abbiamo trovato la definizione più potente è cioè ciò che è e che non può non essere, perché se non fosse allora non sarebbe né quella né nessun altra cosa, questo abbiamo inteso con necessario. C’è qualche cosa che risponde a questo requisito? Fra tutto ciò che gli umani hanno pensato in questi ultimi tre mila anni? No, assolutamente niente, e allora era un problema, che si fa? Perché eravamo molto pignoli su queste cose e non si transigeva: o si trova qualcosa che risponda a questo requisito o non se ne parla nemmeno, non se ne parla nemmeno di accogliere una qualunque cosa passi per la testa a noi o ad altri spacciandola per verità. Di fronte alla considerazione dell’impossibilità di stabilire una qualunque verità che non possa essere confutata, cosa già nota per altro da tempo, ci siamo chiesti: che cos’è che consente di costruire il concetto stesso di verità? La verità, come si sa da tremila anni è sempre evanescente, ma se io voglio costruire un criterio di verità di che cosa mi servo? Di quello che vedo? Altri possono vedere altre cose, l’osservazione è un pessimo criterio da cui partire, infatti la psicanalisi parte dall’osservazione e ciascuno osserva quello che ritiene più opportuno, e dunque valutati tutti i criteri possibili a disposizione, considerato che nessuno era affidabile ci siamo rivolti verso quell’unica cosa che costruisce qualunque criterio: cos’è che costruisce qualunque criterio? Intanto come lo si costruisce? Attraverso il pensiero, attraverso delle deduzioni, delle inferenze naturalmente, se no non posso pensare niente, e allora questa struttura che mi consente di pensare è ciò che costituisce il fine corsa oltre il quale non è più possibile andare, cioè questa struttura che chiamo linguaggio è quella che mi consente per esempio, di fare delle deduzioni, di compiere delle inferenze, dei pensieri, di volere per esempio stabilire un criterio: il linguaggio, è possibile andare oltre? No, non è possibile perché non c’è più nessuno strumento con cui farlo, per questo andiamo dicendo spesso che non c’è uscita dal linguaggio, dal momento in cui si incomincia a parlare non c’è più uscita: uscire dal linguaggio comporterebbe una struttura tale da potere compiere questa operazione, ma per compiere questa operazione occorre il linguaggio cioè occorrono delle inferenze, occorrono delle deduzioni, occorre il pensiero in definitiva, cioè occorre il linguaggio, come dire che per uscire dal linguaggio occorre il linguaggio e non c’è uscita da questo. A questo punto avevamo a disposizione qualche cosa di abbastanza potente e cioè quell’elemento che consente di costruirne qualunque altro e senza il quale non solo è impossibile costruirne nessuno ma non sarebbe neanche pensabile costruire qualche cosa, non verrebbe neanche in mente a nessuno perché non si porrebbe mai il problema in nessun modo. Dunque abbiamo detto che il linguaggio costituisce l’elemento che consente di costruire qualunque altro pensiero e tutto quanto, quindi costruisce anche il criterio di verità, costruisce anche la nozione di verità, è ovvio perché senza il pensiero nessuno potrebbe sapere che cos’è la verità, nemmeno potrebbe porsi la domanda. Arrivati a questo punto non restava che intendere come funzionasse esattamente il linguaggio e attenerci al suo funzionamento, che cos’è la verità? È molto semplice, come agisce il linguaggio? Se una direzione prosegue allora chiama quella direzione vera, se non può proseguire allora chiama quella direzione falsa, a questo punto ogni metafisica è aggirata perché non è più un’ipostasi, semplicemente è un effetto del funzionamento del linguaggio. Di che cosa è fatto il linguaggio? Di pochissimi elementi, in realtà sono pochissime istruzioni, così come pochissime istruzioni sono quelle utili al codice genetico per costruire il corpo umano, sono quattro aminoacidi, tre triplette che si combinano in determinate sequenze e costruiscono tutti gli esseri viventi, per cosa? Per niente. E il linguaggio, al pari del codice genetico non è altro che un’istruzione per la costruzione di proposizioni, per cosa? Per niente naturalmente, per quale motivo dovrebbe costruirle? Le costruisce e basta, così come il codice genetico costruisce il corpo di Eleonora, a che scopo? Perché? Perché ha queste istruzioni, se fossero state istruzioni diverse avrebbe costruito una gazzella o una zanzara, bastava un’istruzione differente …
Intervento: e cos’è che da le istruzioni?
Ecco, questa è una bella domanda, naturalmente per potere rispondere a questa domanda occorrerebbe trovarsi fuori di questo sistema: che cosa c’è in assenza di linguaggio? Cosa c’è prima? Cosa c’è dopo? Occorrerebbe esserne fuori e questo non è possibile farlo, non è possibile uscire dal linguaggio come dicevo prima, per cui può rispondere a questa domanda tutto quello che vuole e il suo contrario, indifferentemente, senza nessun problema: dio, i marziani, la natura, la volontà celeste, a quel punto qualunque risposta lei darà non sarà in nessun modo provabile, sarà solo una questione estetica: piace pensare così, va bene, le piace pensare che ci sia un dio, va benissimo non c’è nessun problema, molti lo fanno, ma ciò di cui possiamo dire e ciò a cui ci atteniamo è ciò con cui abbiamo a che fare appunto, unicamente ciò che il linguaggio di cui siamo fatti ci consente di costruire, certo ci consente anche di costruire proposizioni che chiedono per esempio conto del linguaggio, da dove viene, ma senza linguaggio una domanda del genere non avremmo mai potuta pensarla, e perché lo fa? Perché vuole sapere da dove viene? È un po’ la domanda che facevo prima al signore, perché lo vuole sapere? Perché?
Intervento: per conoscere …
Questo sposta solo la questione …
Intervento: mi sembra fondamentale …
No, è totalmente irrilevante …
Intervento: è rilevantissimo, perché lo scopo della vita qual è secondo lei?
Perché dovrebbe essercene uno intanto?
Intervento: perché c’è, c’è per forza altrimenti non avrebbe senso tutto questo …
Non ci siamo proprio, nel senso che abbiamo abbandonato, e infatti è per questo che non seguiamo questa via, la questione religiosa ormai da tantissimo tempo …
Intervento: non ne faccio una questione religiosa …
Lei non lo pensa ma lo è, lei immagina che comunque ci sia un senso, comunque da qualche parte, perché, chi glielo ha detto? Come c’è arrivata a questa considerazione?
Intervento: perché le cose hanno un ordine …
Come fa a saperlo?
Intervento: la terra gira intorno al sole c’è qualcosa …
Non c’è nessun ordine, c’è solo quello che lei vuole vedere …
Intervento: no, è una questione scientifica il fatto che l’universo è governato da determinate leggi…
Dovrebbe andare cauta con queste affermazioni, perché sta facendo affermazioni pericolose, non per sé naturalmente ma in ambito teorico pericolose perché portano a considerazioni che chiudono la questione, affidarsi alla scienza è altrettanto pericoloso, sempre in ambito teorico naturalmente, perché capita di trovarsi in condizioni disperate dove la scienza stessa non sa più che pesci pigliare, quando cerca, per esempio, l’intelligenza all’interno del cervello e poi sempre più giù, nei neuroni e poi dove? Dove c’è l’intelligenza? Dentro gli atomi? Nei protoni? Nei neutroni?
Intervento: non è che sia quantificabile l’intelligenza …
Stavo dicendo che chi la pone in questi termini fa una cosa di scarso interesse, e la scienza su cosa si basa? Ci sono dei filosofi della scienza, pochi purtroppo, che si sono interrogati su quello che stanno facendo in realtà e cioè sui loro fondamenti, Feyerabend tanto per dirne uno, e sono giunti a delle considerazioni quanto meno interessanti: i fondamenti della scienza sono o l’osservazione o il calcolo numerico, non ce ne sono altri, l’osservazione lascia il tempo che trova, il calcolo numerico come lei sa non è fondabile, quindi è fondata su niente …
Intervento: il calcolo numerico in termini di linguaggio?
Il calcolo numerico è un modo di utilizzare il linguaggio certo, ma è un gioco, un gioco linguistico al pari di qualunque altro e qualcuno ha si è posta questa domanda: è fondabile l’aritmetica? Esiste un sistema per dire che l’aritmetica è fondata su qualcosa oppure no? Ha trovato dopo una serie di passaggi che la risposta è no, non è fondabile. Ora la scienza costruisce un sacco di marchingegni, questo lo sappiamo benissimo e ce ne avvaliamo tutti i giorni, però in ambito teorico si dovrebbe procedere con maggiore cura per le proprie affermazioni, affermare come ha fatto lei che c’è un ordine nell’universo è un’affermazione molto impegnativa, primo dovremmo sapere che cosa è un ordine esattamente, secondo chi ha stabilito che l’ordine sia esattamente quella cosa che abbiamo detto noi, come dire che quando si procede in modo rigoroso ciascun termine che interviene deve essere preso in seria considerazione, e allora non si parla più così con leggerezza di ordine ma ci si interroga su che cos’è e soprattutto quando avrò data una definizione di ordine che cosa avrò fatto esattamente? Avrò definito qualcosa che è lì da qualche parte? Identico a sé da sempre nei secoli dei secoli? O semplicemente ho costruito altre sequenze di proposizioni? Sono domande legittime e doverose per chi procede lungo questa direzione, ed è così che procedendo lungo questa direzione in questo modo che abbiamo trovato quello che ho chiamato prima “il fine corsa” e cioè quella struttura che chiamiamo linguaggio, che è l’unica che ci consente di fare tutte queste belle considerazioni, se no ce le perderemmo tutte quante. Signora qual è il suo nome se posso permettermi di chiederglielo …
Intervento: Lidia …
Bel nome, quindi proceda Lidia nelle sue considerazioni, non si fermi, vada sempre oltre …
Intervento: proceda? Mi sembra di andare alla cieca …
No, non va alla cieca perché è mossa da un criterio molto forte: qualunque elemento lei incominci a prendere in considerazione lo interroghi, chieda di rendere conto di sé e utilizzi questo come criterio inizialmente …
Intervento: mi fa un esempio pratico, secondo la vostra teoria come i risolve un disagio, per esempio, partendo dai vostri …
Un disagio può toglierlo anche un amico volendo, ma la psicanalisi è l’unica che ponga la persona nelle condizioni di non potere più provare disagio, il che è diverso, perché un disagio si può levare anche facilmente ci sono, delle fanciulle che lo levano anche andando a fare shopping, ma poi torna.
Intervento: ma io sto parlando di disagi a partire dalla timidezza fino alla schizofrenia …
Di questo, proprio di questo intendo parlare domani sera al corso che teniamo settimanalmente, ogni mercoledì in via Grassi 10, la invito personalmente e così potrà intendere. Grazie a tutti e buona serata.