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Torino, 9-5-2006

 

Libreria LegoLibri

 

Beatrice Dall’Ara

LA PSICANALISI DEL PIACERE

 

Bene, buona sera a tutti. Continuiamo i nostri interventi che si susseguono quasi a ritmo regolare, ogni due o tre mesi… martedì scorso c’è stato l’intervento di Luciano Faioni e Daniela Filippini “Le fantasie del sesso” questa sera “Psicanalisi del piacere” questa stasera parleremo di piacere. Tanti hanno scritto o detto del piacere Freud, per esempio, nel corso della sua elaborazione ha scritto anche un saggio “Al di là del principio di piacere” la psicanalisi si è interessata subito e da sempre al piacere. Questa sera parleremo di come è pensato il piacere dalla psicanalisi, da Freud e poi diremo come si svolge il pensiero se può considerare il piacere in tutte le sue accezioni.

Ora leggerò alcune cose che ho scritte per cominciare a dire delle cose:

Freud afferma che il pensiero degli umani è regolato dal principio di piacere cioè che ciascuno pensa proseguendo o interrompendo certe vie al momento in cui intervengono sensazioni considerate spiacevoli per l’economia di quel discorso, come dire che il pensiero si interrompe prende un’altra direzione cioè pensa ad altro quando qualcosa considerato spiacevole interviene allora il pensiero si solleva. Il pensiero si sposta, cambia rotta e automaticamente prosegue in un’altra direzione, coglie la sensazione spiacevole che ovviamente non desidera poiché funziona come una sorta di segnale e parla d’altro, pensa ad altro, interrompe la via . Il piacere quindi è e ciò che domina la scena psichica, una sorta di gioco all’interno di un sistema che mantiene l’eccitazione nei suoi limiti. Eccitazione che deve concludersi perché la troppa eccitazione è avvertita come spiacevole mentre il defluire dell’eccitazione, il risolversi dell’eccitazione apporta la sensazione di piacere, di benessere. Un sistema regolato da un gioco che impone le strade al pensiero, che guida il pensiero attraverso quelle vie che riconosce essere confacenti al suo “piacere”. Al suo piacere tra virgolette perché se ciò che chiamiamo piacere fosse lo stesso piacere per ciascuno, cioè fosse un piacere fuori dalla parola, fisso e immobile allora non esisterebbe la sofferenza che resterebbe una sorta di segnale, una sensazione indefinibile con la funzione di spostare in un’altra direzione il pensiero ed esisterebbe solamente un pensiero, in qualche modo, sempre felice e invece sappiamo che la sofferenza esiste basta ascoltare i discorsi che gli umani fanno, ciò che affermano e subito ci si accorge di come, per esempio, la realtà sia subita, di come si cerchi un rimedio alla realtà utilizzando la fantasia e questo per via di quel piacere che regola l’attività del pensiero, che costringe il pensiero a risolvere per le vie brevi i conflitti o meglio le domande cui non riesce a dare risposta, a rispondere alle domande cui non sa dare risposta modificando il mondo che costruisce, diversificando il mondo che costruisce, costruisce un mondo esterno che può vedere, toccare, annusare dal quale mondo gli provengono tutte le informazioni, un mondo sul quale può agire, se lo vuole. Per esempio, se qualcosa lo infastidisce se ne allontana, se qualcosa o qualcuno lo ostacola o lo fa suo o lo distrugge, e costruisce un mondo interno, che chiama il suo mondo, dal quale, come sa, come ha imparato nascono le sue percezioni, sensazioni, modificazioni che lo avvertono di un cambiamento che sta avvenendo, che gli confermano certe differenze e che preludono alle emozioni, a qualcosa di inatteso che finalmente può compiersi, può farlo muovere, un mondo interno che muove attraverso le emozioni fino a giungere alle emozioni più grandi, ma con queste deve fare i conti e non è semplice perché di queste non ci si può sbarazzare come ci si sbarazza di una mosca molesta, e le sensazioni e le emozioni se superano un certo limite creano eccitazione, creano confusione, non si può decidere la via e allora cosa avviene? Diceva Freud avviene una modifica a quel mondo esterno che si è costruito, tale per cui le sensazioni e le emozioni vengono legate, messe in relazione agli oggetti del mondo che si possono vedere, a quei corpi che si vedono e con i quali si può comunicare, a quei corpi che finalmente posso amare e dai quali posso ricevere amore, sensazioni ed emozioni che ora provengono e appartengono ad un mondo esterno del quale pare non ci sia responsabilità, ma che in qualche modo posso agire perché è qualcosa di reale cioè vero, e il piacere questo gioco all’interno di un sistema è come se necessitasse per darsi di individuare ciascuna volta ciò che è vero per averne soddisfazione, e se non avviene questa proiezione, questa costruzione della realtà, questa costruzione di un corpo, della sostanza, questa rappresentazione tutto rimane indistinto, confuso nessuna via si apre, l’eccitazione è totale, e questo è avvertito come malessere e del malessere ci si vuole sbarazzare.

La fobia, ogni fobia ha dato un nome alla sua paura cioè se non ha individuato ciò che suppone essere la causa del suo problema e cioè ciò che ostacola il suo piacere, non è soddisfatta perché solo a quel punto finalmente potrà prendere una direzione e se ha paura degli spazi aperti, sarà eccitata dagli spazi aperti, si chiuderà in casa e butterà la chiave.

La fobia e il piacere, difficile indovinare un piacere nella fobia e soprattutto indovinare nella fobia la necessità di trovare la verità, il come stanno le cose eppure solo attraverso un analisi è possibile venire a sapere di come il reperimento e quindi il controllo sulla verità sia il piacere più alto. La persona è costretta a improntare la sua vita, a organizzare la sua vita a partire da ciò che è vero che ostacola il suo piacere, perché se non ci fosse questa cosa allora sarebbe felice, per esempio, e in una sorta di difesa è costretta ad allontanarsi da tutto ciò che per qualche motivo è in relazione con ciò che scatena il suo malessere ma per allontanarsene deve mantenere il punto di partenza, se effettivamente volesse sbarazzarsene basterebbe che si chiedesse perché mantiene vera una certa cosa, come dire qual è l’economia di quel discorso, perché non può godere del sole, del cielo, dell’aria, quale vantaggio gli apporta quella verità? Quale piacere? Quale soddisfacimento se il piacere è tutto ciò che si oppone al dolore e questo pare un circolo vizioso, una coazione a pensare le cose al di là di un mondo che ciascun umano costruisce, al di là di un mondo frutto del proprio pensiero, costruzione del proprio pensiero che utilizza delle proposizioni senza potere considerare la ricchezza possibile a sua disposizione solo che lo voglia, solo che far funzionare il suo pensiero. Un pensiero che possa funzionare senza la necessità di fissare il suo interesse su ciò che lui chiama realtà credendo e ingannandosi, barattando il suo piacere, il suo benessere per una realtà costruita dal suo discorso in un’economia, in un risparmio di pensiero che non può giocare nulla, non può divertirsi, non deve di vertere da ciò che lo fa funzionare: un’idea di realtà. Un concetto di realtà, un gioco che diverte il pensiero che lo fa muovere a partire dalla non responsabilità che è un dato essenziale della realtà, se le cose sono reali, sono vere allora posso cercare di modificarle mettendo in atto la fuga o il sacrificio, posso convincermi o persuadere ma le cose sostanzialmente permangono tali e quali perché non ne ho la responsabilità.

È ovvio che per poter sbarazzarsi di qualcosa che infastidisce che disturba occorre pensare, si può credere che la mano si sposti per scacciare la mosca automaticamente senza l’intervento di un pensiero, ma questo si può solo credere resta che la mano si sposta se e solo se il pensiero ha giudicato vero che c’è qualcosa che mi turba, dove mi turba? In che luogo? Afferma: sul naso, sì proprio sul naso. Dove sta il naso? In quale direzione? e la mano si sposta, delicatamente o meno, e giunge al naso e lo sbarazza della molestia. Queste alcune delle operazioni “automatiche” del pensiero per giungere, un piccolo riassunto dei passaggi che deve compiere il pensiero, per compiere un’azione banale come quella di scacciare una mosca. Che cos’è dunque il pensiero? È una stringa di inferenze che muove da una certa proposizione che chiama premessa, e attraverso una serie di passaggi coerenti tra loro giunge ad un’altra proposizione che chiama conclusione, questo è il pensiero nella sua formulazione più stringata. È necessario un pensiero, perché qualsiasi cosa avvenga? O è assolutamente marginale perché le cose avvengono e accadono al di là di un pensiero che le inferisce, che le conclude? Se è assolutamente marginale, allora qualsiasi azione è assolutamente giustificata e perciò garantita e allora non rimane che la speranza in una pace dai conflitti psichici, in una pace dai conflitti reali, non rimane che la fantasia per sollevare il pensiero, per distoglierlo da ciò che infastidisce, la fantasia per giocare, per poter giocare qualsiasi gioco anche quello di una realtà che annoia ché non dà emozioni, anche quello di una realtà crudele che invece ne da moltissime. Se invece non è assolutamente marginale il pensiero per l’accadere, per l’esistenza delle cose in quanto è il mio pensiero che pensa le cose che pensa, che è attratto, interessato a quelle cose che pensa, che fa esistere quelle cose nel momento stesso in cui sta le sta giocando, beh, in questo pensiero ci sarà l’assoluta responsabilità di quello che va facendo, di quello che va dicendo, di quello che va affermando e quindi letteralmente fermando perché vero, e non avrà bisogno di compiere nessuna proiezione per risolvere conflitti da addebitare alla natura, al destino e all’altro, un qualsiasi altro o uno specifico altro di cui crede di sapere qualcosa solo rendendolo uguale a sé, identico a sé, controllando il suo pensiero e quindi sapendo cosa pensa, in un inganno incredibile oltre che terribile perché è una rinuncia al pensiero, al proprio pensiero, è non avere la possibilità di affermare nulla perché un’affermazione è tale se è verificabile cioè se può essere fatta vera, dimostrata vera in base ad un criterio e non è sufficiente dire che è vero perché io lo credo e lo credo perché tutti dicono così, questa non è una verifica è l’accogliere la voce del più forte e farla mia, per far fare silenzio e proseguire a dire, ma non è neanche un’affermazione perché non ferma niente ma prosegue sulla via automatica dell’arbitrarietà. Cosa posso affermare del pensiero dell’altro che sia necessario? Ammesso che io possa compiere questa operazione, concedere il pensiero all’altro perché è un atto di estrema generosità poter considerare che anche l’altro pensa, non è così automatico! Posso affermare che è pensiero e che funziona attraverso passaggi inferenziali coerenti alla premessa, all’affermazione da cui discendono, di questo solo posso essere certo, sicuro, tutto il resto è superstizione che discende dall’esercizio di potere millenario cioè da una fantasia infantile, una fantasia femminile quella che afferma che siamo tutti uguali perché non si può constatare nessuna differenza per cui c’è un solo gioco per cui valga la pena giocare, quello dell’inganno. Una fantasia femminile ciò che sostiene l’inganno? Una ben buffa cosa trovarsi a concludere una cosa del genere, è qualcosa che fa ridere gli umani che hanno ben salda cos’è la realtà e cos’è la fantasia, la fantasia serve solo a divertirsi, a stimolare, a togliere la noia, la fantasia è necessaria anche nel rapporto sessuale, senza fantasia pare non potrebbe esserci eccitazione, e senza eccitazione, per esempio, non ci sarebbe la ben nota modificazione degli organi preposti a questa operazione, non ci sarebbe la tensione e gli umori e quindi non ci sarebbe l’orgasmo, la conclusione dell’atto sessuale e sappiamo che ciascuno utilizza per questo compimento, sappiamo che utilizza le sue fantasie a questo scopo, perché questo è il massimo piacere del corpo, il modello del piacere. Forse anche per questo la fantasia ha questo grande plauso da parte degli umani che non hanno grandi pudori a raccontare le loro fantasie o a metterle in atto a seconda dei casi ma hanno un estremo pudore a parlare del mezzo di ciò che utilizzano per giungere alla conclusione, per godere, per raggiungere l’acme, per raggiungere la verità, per soddisfare, temporaneamente, come si dice i sensi, tutta una serie sterminata di operazioni tra le quali l’innamoramento che prelude alla conclusione, ma parlavo dell’inganno di come da millenni gli umani costruiscano l’inganno, costruiscano lo stupro ai danni del loro pensiero che non considerano minimamente visto che dicono che è il corpo che pensa non il contrario che se il pensiero non avesse costruito il corpo il corpo non avrebbe nessuna esistenza.

Gli umani amano l’inganno e quindi lo agiscono, amano farsi ingannare per poter continuare ad ingannare perché conoscono una sola via, come i bambini, quelli piccini, i quali immaginano un solo sesso, senza distinzione e una sola via da praticare, la sola via da cui possono nascere ancora altri bambini. Freud che ha fatto un listaggio delle fantasie che sostenevano i discorsi delle persone che andavano da lui e per le quali fantasie si incolpavano e si dilaniavano senza sapere che la quasi generalità degli umani fruisce di queste fantasie e non se ne lamenta ne data la fissazione al periodo pregenitale sadico anale.

Negli incontri precedenti abbiamo proseguito alcune questioni che partono dal linguaggio, dal suo funzionamento e di come l’umano che è linguaggio non possa non cercare la verità perché è il suo discorso, il suo pensiero che lo spinge a compiere questa operazione, senza la verità non può proseguire perché non può concludere, di come l’umano dalle conversazioni più banali con gli amici, alle conversazioni più importanti come la pace nel mondo si trovi ad affermare cose vere, a difendere ciò che lui afferma, ad avere ragione, l’umano vuole avere ragione e se ne ha a male quando qualcuno lo contraddice cioè non è d’accordo con lui, nessuno ha mai badato più di tanto a questa curiosa questione “che ciascuno parlando vuole avere ragione” abbiamo chiamato tutto questo esercizio di potere, ciascuno è portato parlando a esercitare il potere, fino ad imporre il proprio potere con le armi, fino ad imporre il proprio potere con il suo amore, per esempio, in una relazione sentimentale, in una relazione tra madre e figlio, un esercizio di potere imposto dalla struttura del linguaggio che per funzionare deve costruire proposizioni vere. Ma il linguaggio è una struttura, una serie di comandi che costruiscono proposizioni, questa struttura necessita di una fantasia per funzionare? Assolutamente no. Il linguaggio per funzionare deve individuare un elemento per distinguerlo da un altro perché se ogni elemento fosse simultaneamente tutti gli altri allora non esisterebbe nessun pensiero e quindi nessuna fantasia neanche la fantasia di potere che genera l’inganno, la fantasia è uno strumento fra gli altri.

 Ma è possibile allora sapere qualcosa dell’altro, dell’altra persona? Platone, il poeta, faceva dire al Sofista in quel dialogo con lo straniero che gli magnificava tutto ciò che vedeva e che gli chiedeva “lo vedi anche tu quell’albero?” il sofista rispondeva “ come faccio a vederlo se non me ne parli? parlami, descrivi il tuo albero e anch’io potrò godere delle meraviglie” . Ecco cosa comporta sapere e poter tenere conto della responsabilità di ciò che penso perché è solo attraverso il mio pensiero che esistono le cose, senza la possibilità di pensare e quindi di dire a me delle cose letteralmente le cose non ci sarebbero, non potrei godere di nulla, non potrei gioire di nulla, non potrei soffrire, non potrei indovinare e vedere il mio corpo. Nessuna domanda e quindi nessuna risposta, nessuna differenza.

Freud aveva inteso la menzogna della realtà, l’inganno della realtà costruita, diceva lui, dalla psiche degli umani e quindi è stato costretto a costruire l’inconscio, l’infantile, le prime parole, il primo gioco che il bambino costruisce e dal quale ricava il primo piacere come operatore nella vita, è stato costretto nella sua teoria a fondare la non responsabilità degli umani, forse perché essendo un medico in prima istanza e poi anche un logico non si è interrogato sulla verità, su come opera la verità e su come gli umani amino la verità delle loro ragioni, amino non essere contraddetti e siano disposti pur di continuare a parlare, a raccontare, a rinunciare al loro pensiero che è l’unico responsabile di quel racconto, l’unico responsabile di quella teoria. Si può costruire un altro racconto, un’altra teoria considerando che è solo il piacere intellettuale ciò che opera, ciò che spinge a mettere in gioco, a muovere, a confutare, ad assentire? Come? per esempio, partendo proprio dalla verità, intendendo il ruolo della verità nel pensiero e chiedendosi se possa darsi una verità necessaria, se ci sia una verità necessaria su cui contare e da cui partire sempre nelle proprie riflessioni. Cos’è vero? l’unica verità che abbia una senso è che ci sia una struttura che costruisca la verità. Quale nome ha questa struttura? Ha questo nome linguaggio. Posso uscire dal linguaggio? certo lo posso immaginare ma cos’è l’immaginazione se non una stringa di proposizioni che il pensiero costruisce?

Ecco ho scritto, spero, brevi riflessioni interrogandomi appunto sul pensiero, in prima istanza, sulla responsabilità che ha il pensiero ciascuna volta che si trova ad affermare delle cose cioè a parlare. Certo, noi sappiamo che l’attività degli umani è parlare, vivono di parola e quindi necessitano, gli umani, di continuare a parlare e inventano qualsiasi motivo per farlo, per continuare a dire, per trovare cose da dire, per inventare cose da dire. Non possono non parlare, non vivrebbero, non ci sarebbero, non ci sarebbe la vita, non ci sarebbe la morte; però ci sono la vita e la morte, sì certo “è vero!” ci sono, esistono qual è la condizione della vita e della morte? È il linguaggio che le ha costruite che ha costruito le regole per cui si possa parlare di vita o di morte. Gli umani non possono non parlare, devono continuamente dire, perché il linguaggio necessita di funzionare costruendo delle proposizioni e quindi gli umani non possono non farlo visto che sono linguaggio e che funzionano come il linguaggio. Ma allora parlare è pensare? è possibile distinguere il pensiero dal parlare perché non si può non farlo? È possibile distruggersi, per esempio, intendendo il piacere fuori da ciò che io sto dicendo, da ciò che io costruisco, distruggersi alla ricerca di un piacere che, posto in questi termini è dato da una storia, da quella storia che io preferisco e che continuo a raccontare, e che continuo ripetere con delle varianti, certo, perché se no la riconosco, mi accorgo, ma invece non la riconosco e continuo a riprodurla senza sosta. Certo, è il mio pensiero che la produce, è ciò che dico che la produce ma è possibile considerare il piacere cioè il benessere, il poter parlare senza fare i conti sempre con delle antinomie? Bene, male: parlare di una cosa ed escludere l’altra, presi in un automatismo che permette soltanto di dire delle cose, accogliere delle cose, utilizzare delle proposizioni senza avere la possibilità di obiettare nulla, certo senza avere la possibilità di pensare nulla, perché si immagina che il pensiero nulla possa contro il malessere che io costruisco o quel benessere… non ha importanza perché quello che dico è soltanto qualcosa che racconto, qualcosa che dipinge il mio malessere e non mi accorgo che lo costruisco, proprio perché non ho la possibilità di sapere che è il mio pensiero che compie tutte queste operazioni e che quindi ne ha responsabilità. Ma questo dove si insegna, dove si impara? Nessuno lo insegna, solo in un’analisi è il luogo dove deve accadere la responsabilità, analisi che è la traversata del piacere, piacere che in molti casi la persona non riconosce immediatamente perché parla di disagi, parla di paure e dicevo solo in una analisi, c’è l’occasione di intendere la propria responsabilità, la responsabilità di quella storia che racconto, che vivo e dalla quale traggo il maggior piacere per e nel raccontarla, senza poter fare nulla ed è questa la parte più difficile, proprio più difficile, per l’addestramento cui gli umani sono sottoposti dalla nascita. Questa è la parte più difficile far accorgere e quindi far accogliere alla persona che quel racconto può avvenire perché lei, la persona, lo costruisce, è una sua responsabilità cioè sono suoi i responsi, potrebbe raccontare un’altra storia, potrebbe raccontare altre cose e invece no, è lì che c’è il suo interesse, è lì che c’è il suo godimento proprio godimento in accezione giuridica, già Lacan poneva il godimento del racconto come del godere di qualche cosa che è mio, gode del suo racconto perché non sa raccontare un’altra storia, non può immaginarsi un’altra storia, non ha nessun altro referente con il quale fare i conti perché “è vero!” la storia che vivo è questa, è reale, è la realtà che sto raccontando e la impongo all’analista, la impongo allo psicanalista perché devo avere ragione a tutti i costi. Beh, questa, dicevo, è la parte più difficile, e questo deve sapere un analista, che la persona cerca in tutti i modi di imporre le sue ragioni, fino a restringere sempre di più il campo, certo, fino a soffrire….indescrivibilmente pur di aver ragione, pur di poter mostrare, raccontare quella verità che spinge a parlare. Beh, dicevo, è la parte più ardua e l’analista deve trovare mano a mano il modo che la persona si accorga che è il suo pensiero che compie questo miracolo, dopo di ché, dicevo, gran parte del lavoro è fatto perché al momento in cui la persona si accorge che è l’agente, l’artefice di tutto quel soffrire, di quello star male, beh, intanto si chiede come mai compie un’operazione di questo genere? Solo, per avere ragione? Per continuare a mostrare e a inventare mille altri modi…? A che scopo? quale soddisfazione? Tutta questa operazione non si fa più, proprio perché quando si intende che non è bello darsi delle martellate sulle dita e continuare a farlo per imporre la propria ragione, è per lo meno ridicolo e allora si comincia effettivamente ad interessarsi alle questioni che reggono tutto questo impianto e se la persona lo vuole, proseguire il percorso di formazione per insegnare anche ad altri che lo vogliano di come avviene l’inganno del pensiero, di come avviene lo stupro del pensiero degli umani da parte del pensiero stesso.

 Se lo vogliono, per divertirsi per, finalmente, parlare d’altro e cioè cominciare a confrontarsi delle questioni. Qualcuno vuole aggiungere qualche cosa?

Intervento: allora come fa lo psicanalista, visto che anche lui è vittima del linguaggio, inteso come struttura mentale…

L’analista colui che si è formato e ha costruito la necessità, l’unica verità necessaria, la condizione per cui gli umani possono pensarsi e quindi affermarsi tali, l’unica verità necessaria e cioè il linguaggio una struttura… e come può una struttura che produce l’agire o il patire rendere vittima proprio l’analista della Parola? Non è mica un analista finanziario…

Diciamo che proprio grazie all’analisi, grazie alla formazione l’analista della Parola acquisisce un sapere, sa, in prima istanza, di essere linguaggio e quindi sa anche i modi per non essere ingannato, sa i modi lo agisce, e sa i modi per insegnare alle persone a compiere questa operazione. L’analista non può essere ingannato dal linguaggio, non è stupito dal linguaggio perché sa di essere linguaggio, e perciò sa come funziona, sa come il linguaggio costruisce la verità e a cosa gli serve, quindi agisce linguaggio, letteralmente, per cui può giocare con qualsiasi verità che la persona giochi, sa benissimo le lusinghe che in molti casi vengono messe in atto, durante le analisi al solo fine di continuare ad affermare e a mantenere e a controllare la propria verità, come se non fosse possibile trovare un altro modo, ecco perché l’analista deve sapere almeno questo, sapere la forza della verità, e solo con questa può confutare, negare e quindi fare in modo che accada qualcosa in quel discorso, e cioè incominci a riflettere su di sé, su ciò che costruisce, una riflessione intorno al perché io mi trovi a costruire il mio dispiacere, il mio malessere, per esempio, oppure a costruire la necessità di religione, credere in qualche cosa che mi salvi, che mi liberi, altra questione fondamentale …questo deve sapere l’analista, per questo occorre sapere come funziona il linguaggio per non essere ingannati, per questo un’analisi può essere anche molto lunga, è chiaro dipende dal palato della persona, dalla sua curiosità intellettuale che è ciò che la spinge, certo…sì

Intervento: stavo pensando alle questioni iniziali quelle del piacere e come il piacere sembri strettamente collegato al funzionamento del linguaggio, alla struttura del linguaggio e mi veniva in mente questa considerazione: che se il linguaggio si muove in questo modo a partire da una certa premessa e attraverso determinati passaggi coerenti, il pensiero cerca la propria conclusione che deve essere coerente con i passaggi precedenti… è veritiera, con la verità e mi chiedevo questo: se il piacere poteva essere considerato come reperimento di questa verità da parte del pensiero, parte dalla verità e arriva al compimento della questione

È proprio questa la questione, il piacere è proprio la conclusione. Piacere, così è raffigurato nel discorso, in quella storia, in quelle rappresentazioni, da quelle figure retoriche che mostrano l’amplesso e quindi l’orgasmo di un corpo come conclusione e quindi come piacere, ovviamente il piacere è la conclusione coerente con la premessa quella che permette il funzionamento del linguaggio, il piacere è proprio la conclusione, è “l’allora B”… è la conclusione, è la possibilità che ha il linguaggio di continuare a funzionare, di continuare a quel punto a costruire proposizioni vere. Questo è il piacere, è piacere intellettuale, in effetti è il piacere del pensiero, il quale pensiero non ha la necessità di essere fissato, fermo su dei punti, la psicotizzazione… quando c’è fissazione del discorso? quando qualcosa funziona come trauma? Perché lì è successo qualcosa di importante e il pensiero continua a ricamarci sopra. La psicotizzazione è il fermo del pensiero, è quello che procura la riproduzione del racconto della persona, è la premessa, perché lì c’è qualcosa che la persona conclude che è vera, e lì riporta il suo discorso e lì riprende il giro infinito. Il pensiero non ha bisogno di psicotizzazioni necessita solo di funzionare e se sa di poter costruire prosegue senza nessun ritorno e se costruisce un pensiero, delle proposizioni coerenti tra di loro e necessarie perché partono dalla necessità, da una costrizione logica, il pensiero va avanti, funziona senza bisogno di inventare dei problemi, ecco perché ogni piacere è un piacere intellettuale, anche quello del bambino, quello che comincia a parlare e quindi a giocare, quello che comincia a dire le prime parole, prime parole che si pongono in relazione tra loro e inventano i primi giochi con i quali si diverte e continua a giocare, beh, anche questo potremmo dire è divertimento intellettuale, perché ha cominciato a concludere che le cose stanno in un certo modo e quindi può continuare a parlare poi man mano si aggiungono elementi, nuove parole e quindi nuovi giochi. Certo il piacere è il compimento.

Intervento: quindi la ricerca del piacere che viene continuamente messa in atto dagli umani è collegabile al funzionamento del pensiero, che continuamente cerca di concludere e di arrivare a reperire la verità all’interno del gioco che sta facendo, ciascuna volta è questo che il pensiero ricerca, appunto arrivare alla verità e attraverso questo raggiungimento proverà anche quella sensazione di piacere che poi cercherà di ripetere in qualsiasi occasione

Sì, troverà quella sensazione di piacere… certo, questo si può immaginare ma il linguaggio necessita di costruire delle proposizioni e questo piacere, questo reperimento della verità è quello che gli dà la possibilità di funzionare, il piacere intellettuale è proseguire, certo

Intervento: vorrei capire un po’ meglio come funziona una psicanalisi …soffro per abbandono, per la perdita e io tramite l’analisi capisco che è il mio pensiero, se non ho capito male? il passaggio è quello di responsabilizzarmi perché è tutta una costruzione del mio pensiero?

Certo, questo è uno dei passaggi fondamentali, poi altri passaggi, interesse per la formazione e quindi intendere come è fatto il pensiero, però certo questa è la questione fondamentale e la più difficile, proprio perché l’umano è addestrato a pensare che la realtà possa esistere fuori da quello che io ne penso, e cioè sia fuori di me e sia qualcosa che io posso soltanto descrivere, ma non mutare

Intervento: io non riesco a capire, dal momento che io capisco che questa mia sofferenza è dovuta al mio pensiero, capisco le cause, capisco che è tutta una mia costruzione e che questa sofferenza potrebbe non esserci…. però come faccio a togliere il dolore che avviene automaticamente al momento in cui io subisco una perdita e questo dolore lo provo… come faccio a togliere questo dolore anche dribblando…

Certo, ha ragione: ché il dolore si toglie se esiste, però facciamo un esempio, io prima parlavo della fobia, se lei sentisse male e pensasse di essere costretta… una mano spinta da qualcuno che non vede, che non può vedere, la percuote inesorabilmente, inferisce “qui c’è qualcuno che mi costringe” e come se lo toglie questo dolore, se non soffrendo? Bene allora ad un certo momento scopre che è lei, vede il proprio volto e vede che la sua mano e non c’è qualcuno che la spinge, che la obbliga ma che è lei che sta comandando alla sua mano di darsi le martellate fortissime sul dito, in prima istanza cosa fa automaticamente? Smette di darsi le martellate e subito, se non ha la mano devastata, smette di soffrire, per un momento per lo meno smette di compiere tutta questa operazione e qual è l’altra operazione che compie il suo pensiero quando si accorge dell’inganno? Si accorge, ovviamente, durante un’analisi e quindi in un arco di tempo che può variare, quando lei si accorge che è lei a dare l’ordine alla sua mano intanto si chiede, perché fa un’operazione di questo genere? “perché io mi do le martellate?” credendo che sia la forza del destino o del fato ecc. perché compio un’operazione di questo genere? Beh, al momento in cui lei riesce a spostare il suo pensiero, per esempio, dal male cioè da questo giro vorticoso, questo viluppo ossessivo del suo pensiero, il pensiero dell’ossessivo gira continuamente sulle sue questioni e riprende i suoi giri e soffre moltissimo, ecco al momento in cui lei può spostare, anche solo per un attimo, la sua attenzione da questo qualcosa che la interessa così tanto perché le procura tanto dolore e si accorge di essere lei l’autrice, beh, spostando intanto il suo pensiero e cioè cominciando a fare un altro discorso, risponde a una nuova domanda che non si era mai posta, lei non soffrirà più perché sta pensando ad altro, sta effettivamente cominciando a parlare in un altro modo e quindi a pensare in un altro modo perché gli elementi che si aggiungono la portano necessariamente a non interessarsi più a qualcosa che sa essere falso cioè non più vero rispetto a un certo gioco, quel gioco che poteva funzionare solo senza la sua responsabilità, poi certo dipende da quali sono le sue curiosità intellettuali, voler sapere perché è giunta a bendarsi gli occhi fino a quel punto e quindi chiedersi perché, qual è l’economia del suo discorso che deve infliggersi martellate sulle dita per soffrire così tanto… Non è necessario soffrire, per esempio, in una fobia, in una paura ci si accorge per la coattività della questione, tutti, gran parte delle persone sono attratte da qualsiasi tipo di paura, nella fobia la persona è interessata a questa cosa che vede, e in molti casi sa anche essere lui o lei che la costruisce, è per questo motivo che richiede un’analisi, se no le persone vivono di paure e se non si accorgono che c’è qualcosa, che forse è esagerato e riguarda il suo pensiero, beh, non va in analisi e allora dicevo la fobia, già in una semplice fobia c’è il caso di accorgersi, Freud parlava di “controvolontà” noi parliamo di non responsabilità e cioè della credenza in un mondo esterno che la costringe a vivere in un certo modo, per esempio, la fobia dell’essere ammalato, l’ipocondria… molte persone hanno paura di tutti i mali, di tutte le malattie e provano tutti i sintomi che sentono descrivere dalle persone, tutti i sintomi li fanno suoi, e quindi sono disposti, ad andare a cercarne altri sul dizionario medico, un business pazzesco, l’ipocondria non è molto riconosciuta e se non supera un certo limite è la norma, gran parte delle persone sono continuamente ammalate, sono quindi portate a fare analisi mediche, visite e ispezioni che ovviamente quando ci si immette in un certo circolo “vizioso” sono richieste e quando effettivamente ci si accorge che si sono superati i limiti? Quando riconosco la fobia e, curioso, vado dall’analista, chiedo il suo aiuto perché mi spieghi cosa sta avvenendo, visto che tutte le volte risulta che non c’è nessun motivo per andare all’ospedale e fare tutti gli esami e le risonanze e le tac… allora può sorgere il dubbio “forse c’è qualcosa nel mio pensiero che mi fa fare tutte queste cose” e allora come, analiticamente, può risolversi questa ipocondria? Mostrare la costrizione che sta in fobia, che regge tutta questa impalcatura per cui io mi muovo, vado, faccio le analisi, mi faccio bucare di qui, di là… insomma tutte le cose che avvengono e mostro il mio corpo in tutti i modi e luoghi possibili perché, ovviamente, la scienza medica richiede queste ispezioni, però dopo trenta volte, quaranta che si verifica la stessa questione mi viene il dubbio, la generalità degli umani non ha dubbi, però a qualcuno può venire il dubbio e allora cosa succede? Qual è l’impianto? Un possibile impianto? un esempio, per rendere le cose più semplici in tutto questo, la fobia attribuisce a tutta questa serie di cose un nome, dice “io ho paura di essere sempre ammalata” e quindi sono costretta, poverina, a fare tutta una serie di cose che non sopporto… che cosa c’è che non va? Cos’è che sostiene tutto questo? cioè chiama questa cosa paura della malattia, paura per la sua conservazione, e quando si sgonfia tutta questa questione e non ho più paura e quindi non soffro più e quindi finalmente faccio altre cose? Quando mi accorgo di ciò che mi spinge a compiere tutte queste operazioni: soffrire, ammalarmi e a farmi vedere in tutti i modi? Quando io mi accorgo di qualcosa che in prima istanza non posso confessare a me, perché non si accorda con un certo ideale che ho costruito e che riguarda la mia persona, ideale o idea che regola il mio piacere, impone delle regole a ciò che chiamo piacere e che quindi non lo posso riconoscere, se mi accorgo che il mio piacere è di poter mostrare, denudare il mio corpo e questo è l’unico modo che ho, perché ciò possa accadere, e quindi continua ad avvenire ciò che avviene perché il mio piacere sta in quello, poi bisogna considerare perché sta proprio in quello, ma questa è un’altra questione, ma per rendere più semplice… CAMBIO CASSETTA… quando ho inteso che il mio piacere sta proprio in qualcosa che non potevo ammettere, già qui non ho più la necessità di compiere questa operazione e quindi di aver paura e quindi di farmi triturare ogni pezzettino della mia pelle, e del mio corpo pur di adempiere a un desiderio infantile, a una fantasia infantile, a quel punto ci sono altri modi per proseguire il discorso, avere la responsabilità, poter considerare ciò che mi spinge quindi ciò che per me funziona come vero, cioè quelle proposizioni “vere” dalle quali parto per costruire il mondo.

Intervento: le critiche che vengono fatte alla psicanalisi come psicoterapia sono che non basta ….” se l’analista dice al paziente “tu hai un’ossessione di lavarti sempre le mani!” oppure “tu sei un timido!” quello, non è che dall’oggi al domani dice “ho capito che sono timido” però continuo a riproporre questo sistema comportamentale… la psicoterapia…

Sì, certo, sono d’accordo anch’io con le obiezioni che vengono fatte alle varie psicoterapie, psicodrammi, e psicanalisi, certo sono d’accordo anch’io, ci sono delle grosse obiezioni da fare a coloro che credono che l’altro non pensi, che non pensi quella persona che accede a una psicoterapia, a quelle psicoterapie che vengono chiamate psicanalisi. Ho delle grosse obiezioni perché questo è proprio ciò di cui parliamo e di cui, lei c’era la volta scorsa? Parlavamo dell’esercizio di potere e avevamo mostrato come questo sia l’ esercizio di potere, un’imposizione del potere, cioè credere che la persona, per esempio, quella che viene da me non abbia pensiero, non sia pensiero ma abbia da essere educata, che lo psicoterapeuta possa insegnare a quella persona qual è l’unica via, senza portare quella persona alla responsabilità. Come fa uno psicoterapeuta a portare la persona alla responsabilità se non sa, quando parla di responsabilità, di che cosa sta parlando? se crede nella realtà, se la realtà gli è imposta da quella persona che va da lui ad esercitare il suo potere in una così detta psicoterapia. Io quando parlo di analisi, ovviamente, non parlo di psicoterapia, alla psicoterapia non importa il pensiero, alla Scienza della Parola invece sì, perché sa che il pensiero è necessario per compiere qualsiasi azione. Lei pensi a un kamikaze oppure a un terrorista quelli che si fanno saltare in mezzo alle persone e uccidono, lei crede che questo terrorista non abbia un pensiero? Che non pensi? Certo. Che sia da educare? Che gli si possa dire “guarda non è bello quello che tu stai facendo?” senza considerare che quella persona dà la sua vita, il bene più alto per compiere quella cosa, lei crede che non pensi, quella persona? Gli addetti alla psicoterapia detta anche psicanalisi, non hanno nessuna cura né interesse per il pensiero, credono di poterlo controllare, dominare, questo perché? per esercitare il loro potere, ma si ingannano….questa deve essere una distinzione molto chiara, la distinzione che noi andiamo facendo perché si deve intendere di che cosa parliamo quando parliamo di analisi e di psicanalisi, perché manteniamo la parola psicanalisi? Certo, come ho detto, Freud aveva inteso l’inganno della realtà, l’aveva inteso benissimo, aveva spiegato nei minimi particolari quali sono le fantasie che sostengono tutto un impianto di questo genere, solo che, come dicevo, non è arrivato alla necessità, ha fondato un reale psichico e per forza allora ha dovuto, necessariamente, introdurre nella sua teoria qualcosa che lo togliesse lui, in prima istanza dagli impicci, spiegasse a lui perché le persone continuano a giocare da quando nascono a quando muoiono con il giochino preferito, e ha costruito l’inconscio e in questo modo ha mantenuto e irrobustito le credenze degli umani di fronte alle questioni che intervengono, alle guerre che succedono, si parla di umanità bestiale, che non sa fare i conti con i suoi istinti, un po’ come quelle psicoterapie che dicono “non si comporta bene la persona e quindi deve comportarsi da così a così”. Gli umani sono linguaggio, sono ciò che pensano di essere e quindi se credono una certa cosa se la credono vera agiscono continuano all’infinito, perché non hanno più niente da dire, non hanno altro da dire… ecco accorgersi che il reale psichico è una costruzione del linguaggio è accorgersi che non è assolutamente necessario, che occorre andare oltre, in effetti la psicanalisi è andata oltre, interrogando come ha cominciato a fare Freud e portando alla risoluzione moltissime cose, però ecco, a questo punto occorre introdurre la responsabilità far intendere che la realtà non si può solo descrivere perché la si agisce sempre e in qualsiasi momento, in qualsiasi istante, poterlo sapere comporta non avere più bisogno dei conflitti patologici o psichici, comporta che se queste cose non interessano più alle persone, quelle persone possono finalmente parlare d’altro perché ci sono cose molto più interessanti e degne del pensiero, e allora anche i conflitti termonucleari diventano delle storielle, cose che non interessano, non interessando non faranno più paura e saranno costruzioni abbandonate, non utilizzate dal linguaggio il quale può effettivamente parlare d’altro, può fare altro… per esempio laddove gli umani continuano a costruire problemi per risolverli perché non hanno altra via per continuare a parlare, l’analisi modifica la struttura e come lo modifica? Mostrando che il problema viene costruito soltanto per continuare a dire, per continuare a mettere in atto la sua risoluzione. Quindi per togliere il disagio occorre modificare la struttura che sostiene il disagio, se no è una conversione.

Intervento di Luciano Faioni

Mi rendo conto che sono state dette cose impegnative, anche perché per quanto riguarda moltissimi termini come “potere”, “responsabilità” e molto spesso anche “psicanalisi” è molto difficile intendersi, si rischia di parlare a lungo senza che nessuno intenda niente, che è seccante, e allora occorrerebbe precisare questi termini. Ciascuno grosso modo li sa usare, tuttavia così come accade per alcuni termini molto diffusi come “bene”, per esempio, o “giusto” ciascuno sa grosso modo cosa siano, cionondimeno gli umani intorno a queste parole, come sapete, si fanno la guerra da quando esistono e quindi c’è l’eventualità che intendersi su alcuni termini possa costituire un problema. Parlare di responsabilità nell’accezione in cui veniva fatto poc’anzi è complicato perché comporta l’affermare, come è stato fatto, che ciascuno è responsabile del proprio piacere, da dove viene questa idea? Ché non è così automatico che sia, viene da una serie di considerazioni, innanzi tutto quella che riguarda il piacere, è possibile dare una definizione di piacere? È possibile certo, ciascuno può fare ciò che ritiene più opportuno ma di fatto il piacere non è nient’altro che ciò che ciascuno ritiene che sia, poi si può aggiungere che è ciò che ciascuno cerca, almeno così si dice, e perché lo cerca? Perché per questa persona rappresenta il bene, ecco di nuovo un altro termine complicato, ma in ogni caso è la direzione in cui va comunque necessariamente, potremmo dire che più che cercare il bene ciascuno va in una direzione e chiamiamo questa direzione bene o piacere a seconda dei casi, ora il fatto che ci vada in quella direzione può essere di qualche interesse poiché il più delle volte nessuno lo costringe, perché va in quella direzione? Quella che per lui è il bene o il piacere? Ovviamente se ci va sono i suoi pensieri che lo spingono in quella direzione, tutto ciò che ha immagazzinato nel corso della sua vita, tutto ciò che in definitiva lo ha convinto a pensare che quella direzione sia quella più vantaggiosa, qualunque sia il vantaggio per lui adesso non ci interessa, che gli porti il bene anche se di fatto non sa esattamente cosa sia, cionondimeno va in quella direzione, cosa che di per sé potrebbe apparire già abbastanza curiosa ma al di là di questo, al di là di questo il fatto che per una certa persona una certa cosa sia il bene non è, come diceva Beatrice giustamente, del tutto casuale, ma è la conseguenza di una serie di pensieri che ha fatti, pensieri che possono essere sorti già dai primi anni di vita ma in ogni caso è qualcosa che gli appartiene e questo è fuori di dubbio. Dunque il piacere gli appartiene e ciò che gli fa piacere è qualche cosa a cui è giunto attraverso una serie di considerazioni e il fatto che queste considerazioni possano non essere presenti non significa che non ci siano, e diceva ancora Beatrice, che cosa rende possibile queste conclusioni e quindi il piacere? Il linguaggio, diceva, anche questo è un altro termine sul quale termine ciascuno può immaginare e pensare qualunque cosa, il più delle volte si intende con linguaggio la verbalizzazione, il chiacchierare su qualche cosa, uno pensa delle cose e dopo le verbalizza oppure vede delle cose e le descrive attraverso il linguaggio, non è affatto in questa accezione, proprio per nulla, ma Beatrice intendeva con linguaggio qualcosa di molto più vasto e importante, vale a dire un sistema, un sistema che consente a ciascuno di pensare, di concludere, di immaginare, di sognare, di vivere, di accorgersi di vivere, e senza la quale struttura nulla di tutto ciò sarebbe mai potuto esistere. Tutto questo può apparire molto bizzarro perché ciascuno è stato addestrato fino dai primi vagiti a pensare che le cose non stanno così, che le cose esistono e che il linguaggio serve soltanto a descriverle, eventualmente se si riesce a modificarle, e se non fosse così? Nessuno ci ha mai pensato di fatto, ma se non fosse così? E cioè se invece ciascuno avesse l’opportunità e l’occasione di pensare queste cose, compreso anche il fatto che le cose esistono di per sé, soltanto perché c’è un sistema che consente di costruire, cioè mettere insieme delle parole alle quali è stato attribuito un senso e mettendo insieme questi elementi linguistici si formano dei discorsi provvisti di un senso e che questo senso è ciò di cui sono fatto poi in definitiva, perché tutta la mia esistenza è fatta di queste cose e senza questa possibilità non ci sarebbero discorsi, pensieri, conclusioni, niente, assolutamente niente, allora esisterebbero comunque le cose? Che domanda è, se non ho la possibilità né di verificarla né di pensarla e in definitiva nemmeno di saperla? È un po’ come chiedersi se gli angeli sono maschi o femmine. Questa struttura che chiamiamo linguaggio è un sistema, un sistema fatto di istruzioni, mi rendo conto che sto dicendo cose straordinariamente difficili ma tant’è, sono costretto a farlo, di istruzioni che regolano quel gioco che è il gioco linguistico, sapete che senza regole non si può giocare, se non ci fossero le regole, in questo caso grammaticali, non si potrebbe parlare, se non esistesse una regola che impedisce a ciascuno di contraddirsi non sarebbe possibile parlare, perché ciascuna cosa varrebbe quanto la sua contraria e quindi tutto il sistema crollerebbe, io non potrei più giungere a nessuna conclusione, non potrei pensare niente e non potrei neanche dire che sarebbe seccante perché non avrei neanche i termini per fare questa operazione, al pari di questo aggeggio qui (un libro) che non si chiede se le cose che ci sono scritte sopra sono interessanti oppure no. Allora ecco perché intendere come funziona il linguaggio, perché è la risposta, quella che gli umani hanno cercato da tre mila anni a questa parte: che cos’è la vita, da dove viene, cos’è l’esistenza e perché esistiamo anziché no? A questo punto la risposta è molto semplice, tenendo conto che:

1) la condizione per farsi queste domande risiede nel linguaggio

2) che la condizione per potere rispondere a queste domande risiede nel linguaggio

3) che in assenza di linguaggio questioni del genere non si sarebbero potute porre mai, in nessun modo.

Forse potrebbe cominciare a nascere il sospetto che il linguaggio ha qualche importanza poiché è ciò di cui ciascuno vive, ciò per cui vive e senza il quale non solo non vivrebbe ma non sarebbe mai esistito. Torno a dirvi, come ho già detto prima, le cose che sto dicendo sono straordinariamente difficili, me ne rendo perfettamente conto, eppure sono costretto a farlo perché non c’è altra possibilità, qualunque risposta voi diate a qualunque domanda è possibile perché esiste una struttura che consente di fare questa domanda, e potete rispondere perché sapete che cos’è una risposta, sapete a quali condizioni qualcosa viene accolto come risposta, e quindi utilizzate questo sistema di cui ciascuno di voi vive. Ora a questo punto è possibile parlare di responsabilità, poiché chi è responsabile? Se non chi ha costruito qualunque cosa e continua a costruirlo incessantemente e cioè il linguaggio, lui è responsabile, posso dire che sono responsabile io? Certo che posso dirlo ma io di che cosa sono fatto se non delle cose che dico, che penso? Quindi questo sistema, questa struttura che andiamo chiamando linguaggio. Di cosa è fatta questa struttura? Di cose molto semplici che tuttavia fanno girare tutto: la possibilità di distinguere un elemento da un altro e un sistema inferenziale, quello per cui se c’è un elemento allora posso dire che ce n’è un altro, posso dire, certo, in fondo il linguaggio è costituito essenzialmente da queste istruzioni: consente di distinguere un elemento da un altro e consente di mettere in connessione questi elementi, nient’altro che questo, su questo potete costruire qualunque cosa e il suo contrario, senza questo non costruite niente, assolutamente niente, neanche l’eventualità della vostra esistenza. Dicevo della responsabilità, che è il linguaggio che è responsabile, nel senso letterale, cioè risponde, visto che è lui che crea la domanda lui solo può rispondere, non c’è nessun altro, e quindi è lì che va cercata la risposta a qualunque domanda, visto che è il linguaggio che ha costruito la domanda. Da dove viene il linguaggio? Ecco, il linguaggio ha delle prerogative che sono facilmente rilevabili e cioè impedisce, una volta che si è instaurato, impedisce di uscirne perché non posso più farlo, con che cosa lo farei? Per potere uscire dal linguaggio devo costruire delle proposizioni, un sistema, una teoria che mi consenta di farlo, e come la costruisco senza linguaggio? Ecco perché la domanda “da dove viene il linguaggio” al pari di “che cosa c’è fuori dal linguaggio” è un non senso, è una domanda alla quale non c’è risposta, al pari di quella che dice “come sarei se non ci fosse il linguaggio?” non lo saprò mai, non lo saprò mai perché dovrei uscire dal linguaggio e da lì considerare, ma se sono fuori dal linguaggio con che cosa considero? Con niente, e quindi non considero e pertanto non so. È questo che si impara mano a mano che ci si avvicina alla questione del linguaggio e ci si accorge anche che tutto ciò che gli umani hanno costruito, pensato in questi ultimi tre mila anni e continueranno a farlo per molti altri, esiste grazie al linguaggio, compresa la sofferenza, potremmo dire con assoluta certezza che in assenza di linguaggio non c’è sofferenza, neanche piacere.

Intervento: e il bambino non soffre?

Ad un certo punto sì, prima no, affermare che soffre è una mia considerazione che faccio a mio uso e consumo, in realtà in assenza di linguaggio il bambino soffre esattamente come soffre un termometro inserito all’interno di un frigorifero: ha freddo? Il bambino ha delle reazioni, certo, è provvisto di un sistema nervoso centrale, almeno così appare, che ha delle reazioni e a delle azioni reagisce, anche il termometro inserito all’interno di un frigorifero reagisce, cioè il mercurio diminuisce di volume, possiamo dire per questo che il termometro ha freddo? Oppure non lo diciamo, certo possiamo anche dirlo perché no? Possiamo dire quello che ci pare ma sempre tenendo conto che è il linguaggio che ci consente di dire questo, la cosa ancora più curiosa, oltreché determinante, è che è sempre il linguaggio a costruire qualunque criterio di verità io decida di adottare, io decida di utilizzare, che sia la mia impressione, che sia la mia sensazione, che sia un calcolo logico, che sia un ragionamento deduttivo, sia come sia è sempre il linguaggio a costruire, a permettermi di costruire un criterio di verità. Cosa, dicevo non del tutto marginale, visto che a questo punto qualunque criterio di verità io avrò costruito lo avrò costruito sempre e necessariamente grazie al linguaggio, e allora a questo punto il passo successivo e definitivo è quello di prendere il linguaggio e la sua struttura come l’unica possibilità, l’unico criterio di verità, poiché non ce ne sono altri, nel senso che qualunque altro è costruito attraverso questa struttura e allora, certo, posso dire che il bambino soffre, posso dire che questo affare soffre, o posso dire che non soffre, posso dire quello che mi pare e il suo contrario, nessuno potrà smentirmi. E tanto basta. Grazie a ciascuno di voi e buona serata.