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Torino, 16 marzo 2006

 

Libreria LegoLibri

 

Beatrice Dall’Ara

 

LA RELIGIONE DEL SESSO

 

  

Continuiamo queste conversazioni di psicanalisi, questa nuova serie di incontri diretti da Luciano Faioni e da lui inaugurati giovedì scorso con una conferenza dal titolo “Perché si ama”. Qui ci sono le trascrizioni se vi interessa l’amore, perché si ama afferma l’esistenza dell’amore e risponde a una domanda che generalmente non ci si pone e che riguarda la naturalità dell’amore, perché non è così naturale e scontato che gli umani amino, potrebbero non farlo, potrebbero non averlo costruito, inventato, e se questo non fosse avvenuto non amerebbero, né potrebbero negare l’amore perché cosa negherebbero? Non si può negare qualcosa che non esiste. Dunque gli umani amano e per questo possono chiedersi che cos’è l’amore, per esempio, possono chiedersi se è bello amare, se esiste il sogno dell’amore o se è possibile sperare e trovare l’amore sognato, possono chiedersi chi è giusto amare, amare sé o amare l’altro o amare tutti con lo stesso amore. Gli umani sono tratti dall’amore non sempre necessariamente per qualcuno, l’amore per una idea, per un ideale travolge e spinge a compiere gesta che rimangono immortali nella storia, immortali nel bene o nel male, l’ideale di Hitler e l’ideale di Teresa di Calcutta, c’è un forte contrasto o pare esserci un forte contrasto ma in fondo solo la passione, l’amore per ciò che credevano vero ha spinto la loro azione e li ha portati all’immortalità. Il bene o il male, il giusto o l’ingiusto, il bello o il brutto, il sacro o il profano, al momento in cui ci si interroga sulla condizione di esistenza delle cose o sulla loro naturalità che non dà per scontata diventano elementi di una elaborazione a cui è possibile accedere se si ama giocare, se non è possibile costringere il proprio pensiero nei ghetti di una fede che non lo lascia muovere e lo rende impotente nei confronti di un reale che è tale per un giudizio estetico e niente più, un giudizio estetico che non è possibile considerare tale ma imposto da quello che credo che ho accolto…

Esiste l’amore perché gli umani in quanto parlanti non possono non parlare e parlando hanno inventato l’amore, così come hanno inventato e fatto esistere qualsiasi altra cosa, parlano e quindi amano e quindi esiste l’amore e possiamo contarci; non è un fatto naturale che esista l’amore ma in quanto parlanti gli umani lo hanno costruito, amore che mira alla felicità, al sogno, al bene. Possiamo interrogarci se ci piace l’amore, se non ci piace, ma questo lo possiamo e lo facciamo dal momento in cui abbiamo cominciato a parlare e cioè a utilizzare la parola amore, il concetto di amore. Nessuno può insegnare ad amare eppure ciascuno ama, non importa che cosa ama, può amare qualcosa, può amare qualcuno, può amare un’idea, una curiosità intellettuale; una curiosità intellettuale è amore per la verità, in fondo l’amore non è nient’altro che amore per il vero, ma questa sera il titolo della mia conferenza è la religione del sesso, che ha a che fare con l’amore, perché il sesso è l’amore erotico, il linguaggio non distingue, chiama amore sia l’amore romantico sia l’amore del corpo, l’amore erotico, l’amore dei sensi. Il sesso è il godimento del corpo e questo è amore e quindi anche questa sera stiamo parliamo di amore cioè di attrazione di elementi tra loro, elementi che si attraggono o si respingono, attrazione verso qualcosa, verso qualcuno ma perché ci sia attrazione occorre che lo si possa giudicare, lo si possa affermare “sì, è bello” “no, è vero non mi piace e quindi non è bello”.

Una delle domande che ci si pone o che vengono poste è quella che riguarda se può esistere l’amore romantico senza l’amore erotico o che cosa sia più importante, è risaputa l’importanza dell’erotismo, della sessualità all’interno della coppia e se questi funzionano in genere anche i problemi e le difficoltà della vita vengono superati, insomma perché una coppia possa vivere bene e insieme è molto importante l’erotismo, è importante il piacere e occorre accoglierlo in tutte le sue sfaccettature, accoglierlo senza farne una religione, qualcosa da cui dipendere e in cui credere, credere per esempio che sia la soluzione o la risposta al bisogno…

Ma che cos’ha a che fare il sesso con la religione? Anche perché il sesso pare fuori da ogni religione, in molti casi il godimento è pensato in questo senso, come la trasgressione degli obblighi, dei divieti e dei comandi imposti e sono quelli che scatenano in qualche modo certe fantasie e il sesso diventa divertente, nasce il divertimento dovuto alla trasgressione di regole alle quali occorre attenersi ma contraddicendolo. Trasgressione che continuamente viene posta in atto perché è stimolante disobbedire al divieto, comporta emozioni, grandi sensazioni e poi ci sarò il perdono o il modo per riprenderne le fila e ricominciare la storia. Ma dicevo che qui il piacere, il piacere di questo corpo che è supposto godere senza nessuna mediazione, qui il piacere è dato in ordine a questa trasgressione, è il violare la trasgressione che comporta il piacere, ma non tanto il piacere di un corpo di cui si è schiavi perché spinto da istinti non mediabili, questo è il motivo economico direbbe Freud, l’economia di un pensiero costretto nei limiti della fede, è il piacere della trasgressione. Gli umani sono abituati a trasgredire, a imporre delle regole per poi poterle violare, oppure ci si adegua alle regole delle istituzioni religiose e a quel punto se ne seguono i dettami il sesso diventa procreativo, il fine può essere la conservazione della specie, la felicità, il bene mirati a questa promessa di immortalità, visto che il corpo è soggetto a corruzione morale oltre che fisica e l’attesa è sancita, si aspetta, si ritarda il piacere, si frena, si misconosce perché rimanga il culto del piacere, una promessa di paradiso, di un paradiso in cui l’appagamento sarà completo, perché finalmente raggiungerò quel bene, quel bene sarà mio e mia la felicità che cerco e che non è a disposizione sulla terra. Anche questo è un modo in cui si può considerare una questione, la questione del sesso.

Freud inventò la psicanalisi tanti anni fa, quando le persone andavano da lui e lui incominciava ad ascoltarle, ad ascoltare i loro racconti, i loro sogni, le loro attese, i loro desideri che in molti casi non potevano ammettere né riconoscere, le ascoltava e si trovava a fare i conti con fantasie che riguardavano gran parte di quelle persone, erano raccontate in modo differente da ciascuna persona per cui cambiavano i luoghi o i personaggi, le trame ma in fondo ripetevano sempre le stesse storie, raccontavano sempre la stessa verità, fantasie infantili, le chiamava lui, che datavano il momento in cui l’interesse si era fermato su qualcosa di assolutamente importante, di così importante e affascinante da non potere concludersi, tanto è vero che le persone lo rappresentavano, lo rendevano presente continuamente nel loro racconto, bastava un piccolo dettaglio che subito c’era lo spunto per riproporre quel gioco, un gioco infinitamente bello, l’unico che si può giocare, ma gelose di quel gioco, in moltissimi casi vergognose di quel gioco da bambino, un bambino “perverso e polimorfo” così lo definì una psicanalista, fantasie comuni alla maggior parte degli umani, ma mantenute nel segreto, quasi un tesoro che se si mostra si dissolve, come è pensato dissolversi il piacere che occorre mantenere, che occorre rimandare, che occorre coltivare non importa come, basta un aggancio, un qualcosa che ricordi quel gioco, uno spunto. Fantasie di bambino che incomincia a parlare e a intendere un mondo assolutamente nuovo, fatto di elementi che si connettono e trovano facilmente una via perché tutto è vero e quindi tutto è possibile, un mondo in cui le cure della mamma, i suoi vezzeggiamenti, i suoi giochi, si confondono con gli affetti, con il bene che viene da un corpo che necessita di molte attenzioni, deve essere pulito, lavato, nutrito… Freud si trovò ad affermare che la nevrosi esiste per problemi sessuali, problemi di sesso, e che è questa la questione della nevrosi, si trovò anche a dire che gli umani sono una via di mezzo tra la nevrosi e la psicosi, ma che il nevrotico esiste perché il suo problema principale è un problema legato al piacere del corpo, di un corpo che non può godere, che non può ammettere il suo godimento, il nevrotico vive del film che si proietta, continua a produrre fantasie con le quali gode ma senza poterlo ammettere, vietandoselo continuamente, costretto in questa visione, proiezione continua del film che gli è più congeniale, quello che gli serve e che gli è particolare, utile al suo “godere” qui godere tra virgolette perché questo godere in molti casi si configura come qualcosa che non è concesso ad un corpo e quindi questo corpo è costretto a subire, per esempio, l’impotenza, per esempio la frigidità. Quindi Freud definisce nevrotici gli umani perché hanno problemi di sesso, certamente questa è un’opinione di Freud, non tutti gli umani hanno dei problemi di sesso e non per questo non sono nevrotici. Il nevrotico dicevo continua a proiettare i suoi film per goderne, ma per poterli mantenere occorre la condanna, occorre il peccato, condanna questo film che si proietta e che gli è congeniale, nasce la condanna e con la condanna nasce il senso di colpa, nasce e si rafforza il discorso religioso. Sempre Freud affermava che la nevrosi si limita a sognare, a tradurre in immagini ciò che il perverso pone in atto, la differenza tra la nevrosi e la norma, tra i nevrotici e le persone normali è che le persone cosiddette normali non costruiscono il problema del sesso, costruiscono un sacco di altri svariati problemi in compenso, ma vivono il loro sesso senza farne un problema, senza che diventi il problema del sesso, perché si può godere senza la necessità di soffrire, per esempio, o di impedirselo, o di giocare con le trasgressioni o di ritardare il godimento e poi giungere al lamento e quindi al riprodurre la stessa scena. Oggi si è convinti che le idee in questo periodo siano delle idee di ampio respiro, che l’apertura sia estrema, che mano a mano il pensiero, per esempio nei confronti del sesso sia sempre più libero, sappiamo che gli omosessuali che all’inizio del 900 e anche oltre erano considerati un difetto di natura, ora fortunatamente stanno cambiando anche queste opinioni… però era solo per considerare come le mode cambino e con le mode si modifichino anche le superstizioni, oggi gli omosessuali possono sposarsi, nulla in contrario, ciascuno può fare ciò che più gli aggrada, in effetti sono barriere che non hanno più nessun motivo di esistere, possono convivere, avere gli stessi diritti delle copie eterosessuali e possono adottare un bimbo, benissimo, ma non stanno facendo nient’altro che confermare un modello, quello del papà e della mamma che amano e vogliono un bambino, è cambiata la moda, sono cambiati gli usi e i costumi, le usanze il pensiero è più libero, è considerato più aperto, di più ampie vedute ma i modelli rimangono: il papà e la mamma e un bambino che finalmente possono amare e dai quali ovviamente il bambino pretende quell’amore che a lui è dovuto. Ma qual è la religione del sesso? Ché non abbiamo ancora detto qual è la religione del sesso: il sesso si fa religione quando costruisce il problema del sesso, quando vive in funzione del sesso, del modello, credendo che il sesso sia dato da un corpo che ha il potere, che ha qualsiasi potere, un corpo che è lui il padrone e che gode senza la mediazione del pensiero, senza che il pensiero possa intervenire. Eppure ciascuno sa che se l’uomo non potesse pensare non potrebbe neanche produrre quelle fantasie che, per esempio, gli sono utili per raggiungere l’orgasmo, per raggiungere l’orgasmo il pensiero costruisce quelle fantasie che gli sono congeniali e che lo portano a concludere, a concludere l’atto d’amore. Orgasmo, un attimo di morte, così diceva Freud, così chiamava Freud l’orgasmo, un attimo di morte da cui poi ricomincia la vita, un attimo di pace estrema. Non potere considerare il pensiero il produttore, il costruttore di quelle fantasie che sono congeniali all’umano per godere comporta non dare nessuna chance al pensiero, non considerare che queste fantasie sono delle storie che il pensiero costruisce, e che non può non costruire al momento in cui vuole godere, e il corpo gode proprio per questo, perché il pensiero gli permette di godere. Così come è religioso pensare che il pensiero nasca da un corpo che tra le altre cose gode, significa relegare il pensiero a qualcosa di fisiologico, ma senza il pensiero quel corpo che gode non potrebbe godere, senza un pensiero che pensi che sta godendo il corpo non avrebbe nessuno strumento per concluderlo, occorre il pensiero perché avvenga la conclusione “che io sto godendo” o “che io voglio godere ancora” oppure “che io non sono capace di godere” e immaginare che solo un corpo possa compiere questa operazione. Ma il pensiero potrebbe esistere senza una struttura che lo fa esistere? Il pensiero non è nient’altro che linguaggio che sta funzionando e funziona come funziona il linguaggio, è la condizione perché io possa pensarmi pensante e quindi considerare che ho un corpo che necessita di godere, senza questa struttura il corpo non solo non esisterebbe perché non avrebbe nessun modo di accorgersi di sé, ma non sarebbe mai esistito, non avrebbe esistenza, come l’amore e come qualsiasi altra cosa. Parliamo da molti anni di linguaggio e non possiamo non farlo dal momento in cui abbiamo considerato e siamo arrivati all’unica necessità, all’unica verità se così possiamo chiamarla, alla costrizione logica che il linguaggio è la condizione perché qualsiasi cosa esista, senza linguaggio un corpo che gode non solo non esisterebbe ma non avrebbe nessuna possibilità di godere. È il discorso della persona, quello che la persona pensa, quello che la persona fa con il pensiero, quello che muove il suo pensiero che costruisce il suo piacere, non è la persona, è il suo discorso, le persone non sono state addestrate a interrogarsi, per esempio sulla condizione della naturalità delle cose, le persone danno per scontato e per naturale che quello che vanno dicendo esista perché lo vedono, non il contrario, che ciò che vedono esista perché lo dicono, immaginano che ciò che vedono sia reale e al di là di quello che ne possono dire e quindi non danno nessuna importanza al linguaggio, al loro discorso, si trovano a parlare, a raccontare ininterrottamente i loro piaceri ma soprattutto i loro dispiaceri, i loro problemi, e costruiscono i problemi per continuare a dirne, per continuare a parlarne, e siccome immaginano che il linguaggio sia solo un mezzo per costruire, non tanto per costruire, sì, possono anche saperlo, chi si interessa di psicanalisi sa delle costruzioni che avvengono in una analisi, ma immaginano anche in questo caso che il linguaggio sia un mezzo per costruire una fantasia, un passaggio, non immaginano che il linguaggio sia la condizione perché qualsiasi cosa esista e quindi se c’è un problema e se questo problema lo si vuole risolvere occorre interrogarsi su come funziona il discorso che costruisce quella persona, il discorso che costruisce il modo in cui è fatta, costruisce il modo in cui quella persona sente. Il problema della persona è quella persona che lo sta costruendo, per continuare a parlare, e non potrà mai uscire da questo vortice o da questo giro vizioso che il suo discorso fa se non dà nessuna importanza al linguaggio, il quale linguaggio pare provenire dalla sua bocca, pare provenire da un corpo e non si sa bene perché c’è il linguaggio, forse ce l’ha donato dio o la natura ci ha fornito di linguaggio. Il linguaggio funziona così ma non si vuole intendere che invece è proprio non considerando il discorso della persona e i motivi linguistici per cui lo produce e riproduce e che solo agendo sulla sua struttura qualcosa può effettivamente mutare, che la persona può abbandonare il suo racconto e finalmente parlare d’altro, interessarsi ad altro, essere attratta da altro, finché non avviene questo, finché il linguaggio rimane un mezzo a disposizione dell’umano per raccontare delle cose, per descrivere delle cose, il linguaggio continuerà all’infinito a costruire le stesse storie, partendo dai modelli che ha sempre costruito. Non si può modificare il funzionamento del linguaggio, linguaggio che muove da una premessa e attraverso passaggi coerenti con la premessa conclude, perché è il funzionamento stesso del pensiero, ma c’è modo di variare, di modificare la struttura dei discorsi che produce a partire da tutto ciò che danno per scontato, per ovvio, per naturale quindi vero. Siamo analisti della parola, abbiamo costituito un’associazione “Scienza della Parola” una decina d’anni fa e nei nostri interventi con il pubblico sappiamo che è difficoltoso proprio per l’addestramento cui tutti sono stati sottoposti, che è difficile parlare del linguaggio e fare considerare che se non ci fosse il linguaggio qualsiasi cosa letteralmente non potrebbe esistere, è molto difficile però proprio per questo continuiamo a portare avanti il nostro discorso e a ripetere, partendo dalla costrizione logica, ciò che è necessario, per trovare noi stessi i modi perché diventi semplice per chi ci ascolta e incominci l’interesse per il linguaggio, l’interesse per il proprio pensiero: l’unica ricchezza di cui ciascuno può disporre. Nessuno si è mai trovato a dire quello che noi stiamo dicendo, e cioè che qualsiasi cosa esiste per una struttura che la fa esistere, non ci si cura di questo piccolo particolare, né alcuno ci ha mai pensato; in fondo per un verso è semplice, per un altro molto difficile rinunciare alle superstizioni su cui poggia tutto il pensiero occidentale e di conseguenza la quasi totalità dei discorsi, è difficile e si continua in questo modo ad accreditare quelli che sono i dati di fatto o le realtà che ciascuno costruisce quando si trova a parlare senza sapere di essere un discorso e senza poterlo modificare, per cui se ha il problema del sesso, per esempio, se non si accorge di quello che va facendo e soprattutto di quello che va dicendo resterà un problema mai risolto. Il sesso non necessariamente è un problema, non deve diventarlo se non lo è. La nostra associazione che forma analisti, analisti della parola, nasce da un percorso di psicanalisi, per lo meno agli albori, così come Freud l’ha inventata, si è sempre occupata del pensiero, la psicoterapia non ha nulla a che fare con la psicanalisi perché appunto la psicanalisi si occupa del pensiero, e noi abbiamo portato alle estreme conseguenze quelle che erano le interrogazioni che sono partite con Freud, che hanno permesso e che permettono un percorso analitico, abbiamo portato alle estreme conseguenze le domande “come lo so che questa cosa sta in questo modo anziché in un altro?” Questo per potere muovere il nostro discorso e poi muovere il discorso di quelle persone che ci chiedono di intervenire. È importante sapere a chi ci si rivolge, qual è il sapere in questo caso dell’analista della parola, il sapere dell’analista della parola è che qualsiasi cosa è un elemento linguistico e non può non saperlo e non tenerne conto in ciascun istante, in ciascun momento, perché ha a che fare con delle persone che si rivolgono a lui, o a lei, fanno domanda di analisi e quindi a quel punto hanno l’intenzione di mettersi in gioco, di mettere in gioco il proprio pensiero, il proprio pensare che credono sia un pensare sbagliato, un pensare male, per questo può avvenire una psicanalisi, perché le persone hanno la necessità di mettere in gioco il loro pensiero, il loro modo di pensare e quindi il loro sapere. In un percorso di analisi avviene il benessere, ma non è ciò per cui è nata la psicanalisi, il benessere è un effetto del lavoro analitico, la psicanalisi è nata per il pensiero, l’analista sa moltissime di cose e le sa perché nel suo percorso si è interessato a tutto ciò che riguardava il suo “problema” tra virgolette, legge e ha letto moltissimo, quindi sa molte cose ma l’importante è che sappia l’unica cosa necessaria, cioè che qualsiasi cosa avviene per via di un gioco linguistico, perché qualsiasi cosa avvenga o possa esistere è necessario che esista una struttura che la produce. Questo è necessario, perché se no l’analista si trova a credere, non ad ascoltare quello che l’analizzante dice. Ciascuno è sempre pronto a esercitare il suo potere, nel senso che è sempre pronto a difendere le sue verità, a difendere quello che la realtà delle cose gli impone, e se l’analizzante impone all’analista la verità del suo stare male, del suo disagio, del suo non riuscire nella vita, l’analista letteralmente perde la partita, cioè non gioca più, ma l’analista deve sapere giocare per insegnare a giocare, anche per questo l’analista deve sapere e tenere conto in ciascun momento quello che sta avvenendo, cioè l’analisi di un discorso, di un discorso particolare ovviamente. Complice quel discorso che “parla” con lui, l’analista pone le condizioni per cui questo discorso possa accorgersi di quello che va affermando con le sue parole, e possa avere in prima istanza la responsabilità di quello che va facendo, di quello che va dicendo, di quello che va lamentando. Questo è il passo più difficile, cosa vuole dire avere la responsabilità? Non certo la responsabilità morale, e nulla a che fare con la colpevolezza, ma il fare tenere conto alla persona che è l’artefice di quello che va costruendo. Come potete immaginare il suo interesse comincia a concentrarsi non più sul quel malessere che credeva fermamente o sul suo problema che crede capitatogli per via di un destino poco benevolo, dalla sfortuna, dal fato o da un dio ostile, a questo punto l’interesse della persona si sposterà e interverrà la domanda “come avviene che sono io a procurare tutto questo?” E lì potrà incominciare ad agire un discorso che era fermo, fermato da fantasie risibili, mai risolte, mai decise. Bene, adesso è il caso che qualcuno incominci a dire… se ci sono domande…

 

Intervento: Una curiosità, lei mi dice che il linguaggio è fondamentale nel rapporto tra l’analista e l’analizzante?

 

No, no è fondamentale perché esista l’analista ed esista l’analizzante, questo è fondamentale: senza linguaggio non ci sarebbero né l’analista né l’analizzante…

 

 Intervento: sì chiaro, senza comunicazione lei dice, no?

 

No, no non senza comunicazione, io sto dicendo che perché io e lei qui possiamo esistere e quindi parlare è che esista quella struttura, il linguaggio, che letteralmente ci fa esistere, senza questa struttura, senza linguaggio noi non potremmo chiamarci, per esempio, io l’analista e lei la persona che mi sta ad ascoltare, come faremmo? Non ci sarebbero gli strumenti né per me per riconoscermi e quindi per dirmi che sono Beatrice Dall’ara, che sono analista che fa parte dell’associazione “Scienza della Parola”… non ci sarebbero gli strumenti, né per lei ci sarebbero gli strumenti che affermano che lei è venuto ad una conferenza di psicanalisi. Senza linguaggio tutto questo non ci sarebbe perché tutto quello che noi ci siamo trovati a dire questa sera non sono nient’altro che delle proposizioni, delle affermazioni che concludono partendo da una premessa attraverso una serie di passaggi coerenti fra loro, concludono ad altre proposizioni. Ora non si tratta di comunicazione, siano ancora al di qua, si tratta della condizione essenziale perché qualsiasi cosa esista, perché l’esistenza stessa possa esistere, senza questa struttura non è assolutamente possibile pensare che qualcosa possa esistere, proprio perché non ci sarebbero gli strumenti per poterlo fare. Il linguaggio produce proposizioni che continuamente devono affermare e quindi concludere e non ha mai avuto il linguaggio la necessità di accorgersi di questo “uovo di colombo” e cioè che perché si dia qualsiasi cosa è necessaria una proposizione che l’affermi, che concluda una serie di passaggi, un atto di pensiero, una proposizione vera, per l’esattezza, il linguaggio costruisce anche proposizioni che negano il linguaggio, cioè dicono che qualcosa non è linguaggio, ma solo dicendolo, o meglio affermandolo, potrai dimostrarmi che esiste qualcosa che non è linguaggio, ma non lo potrà mai fare perché non c’è possibile uscita dal linguaggio se non credendoci, ovviamente, uno va avanti a pensare cosi perché tutti sono abituati a pensare così e così il linguaggio va avanti all’infinito senza preoccuparsi dei discorsi che produce, non dando molto credito e non occupandosi del suo discorso continua a parlare all’infinito credendo che il linguaggio sia un mezzo per descrivere delle cose, per esprimere i suoi sentimenti, per dire che sta bene, per dire che sta male, per inventare la teoria della relatività. Uscire dal linguaggio… non abbiamo gli strumenti per farlo, non abbiamo nessuno strumento per farlo, come possiamo fare? Dovremmo uscire e da lì, fuori dal linguaggio parlare, ma con che cosa, e come? È una fantasia…

 

Intervento: lei diceva prima che i problemi in realtà si possono riscontrare nel linguaggio e quindi basterebbe cambiare linguaggio e il problema svanisce…

 

Non è che il problema svanisce, come ho detto il linguaggio è un sistema che funziona, funziona e ha l’unico scopo di produrre proposizioni, se non produce proposizioni il linguaggio si ferma e nulla più esiste, come se ogni cosa fosse identica a tutte le altre cose di cosa parlerebbe il linguaggio? Il linguaggio esiste e funziona, funziona con proposizioni, importante per il linguaggio è costruire delle proposizioni, andare avanti e quindi le persone, che sono linguaggio, sono portate a parlare, a raccontare, a sognare ma questa è soltanto una produzione di proposizioni e quindi quando la persona non sa come fare ed non ha molti argomenti a sua disposizione è costretta, proprio per la struttura del linguaggio, questa sera del linguaggio ne abbiamo parlato molto semplicisticamente, è costretta a costruire problemi perché il problema è quel gioco che dà moltissimo da dire per risolverlo, produce tantissime proposizioni e la persona di questo non può assolutamente accorgersi perché non ha assolutamente nessuna cura di ciò che è la condizione per la costruzione del problema, e quindi continua, credendo di trovare un modo per risolvere il problema, a costruire tantissime direzioni… per esempio Freud nel saggio “Il Disagio della Civiltà” che scrisse negli ultimi anni della sua vita si trova depresso di fronte a quello che aveva immaginato. Aveva immaginato che costruendo la psicanalisi e la psicanalisi avendo fatto il giro del mondo, avesse portato gli uomini ad accorgersi che sono degli eterni bambini e che amano giocare per lo più sempre con lo stesso gioco e quindi sono costretti a divertirsi con quel gioco, per esempio, le guerre… di lì a poco sarebbe scoppiato il secondo conflitto mondiale e lui rifletteva e scriveva “perché gli umani sono costretti a rinunciare alla loro intelligenza, spinti dalle passioni, spinti da ciò che costruiscono, spinti da fantasie di bambino e non possono risolvere?” Credeva che quello fosse il modo per distogliere gli umani dai conflitti, credeva che questa spiegazione fosse il modo per gli umani di non divertirsi più con conflitti atomici o personali, di non divertirsi più con le guerre e invece si accorgeva che le persone erano pronte di nuovo a costruire un sacco di problemi, costruire un sacco di cose ed era molto depresso… ma Freud non aveva considerato, non aveva potuto farlo costruendo la sua teoria sull’inconscio, che la condizione per cui qualsiasi cosa possa accadere è una struttura all’interno della quale le cose avvengono, e l’inconscio in qualsiasi modo lo si definisca o lo si voglia definire ha una funzione specifica: quella di togliere la responsabilità. Non si era accorto che il disagio che descriveva nella civiltà poteva esistere grazie a una struttura linguistica, se Freud si fosse accorto di questo non sarebbe stato così pessimista, né ottimista d’altra parte, perché tutto esiste grazie a questa struttura, a giochi linguistici. Allora l’interesse immediatamente si sposta al funzionamento di questa struttura, a come funziona, a come funziono io elemento di questa struttura, a come posso agire il linguaggio. Il linguaggio è la chance degli umani, se possono giocare il linguaggio e se sono sufficientemente attenti al loro pensiero, alla loro ricchezza…

 

Intervento: come fare a cambiare questo linguaggio?

 

Interessandosi al proprio pensiero, alle proprie parole e interrogandosi sulle verità, sulle cose vere che si accolgono senza poterle mettere in gioco, senza poterle provare… interessandosi al linguaggio, per esempio, venire alle conferenze, perché se ne ha inteso la portata continui a coltivarne l’interesse e forse Luciano Faioni…

 

Intervento di Luciano Faioni

 

Forse è il caso di precisare la nozione di linguaggio, visto che ne stiamo parlando rispetto alla religiosità. Potremmo affermare che il linguaggio è l’unica occasione, l’unica possibilità per uscire da una struttura religiosa. La religione in effetti è costruita su una serie di affermazioni che non possono essere provate, qualunque religione di fatto poggia su atti di fede, qualunque essa sia non ha nessun importanza, atti di fede vale a dire affermazioni non possono essere provate, ma essere provate in base a che cosa? A dei giochi particolari che si è stabilito che costituiscano il criterio di prova ovviamente, anche perché la stessa scienza, che alle origini non era distinta dalla religione, può provare le cose che afferma in base semplicemente a dei criteri che ha stabiliti, ma non può in nessun modo verificare la validità di tali criteri, questo comporta che qualunque affermazione della scienza di fatto è provabile, sì, all’interno dei criteri che la scienza ha stabiliti, ma al di fuori di essi non significa niente, vale a dire che ha bisogno, esattamente come la religione, di un atto di fede per sostenersi. La questione può apparire complessa, in realtà, come forse alcuni di voi sanno, si è tentato di dare un fondamento a tutto ciò che gli umani ritengono per certo senza riuscirci, questo ha condotto alla famosa crisi dei fondamenti agli inizi del 1900, perché nessuno è stato in condizione di provare con assoluta certezza le affermazioni sulle quali si regge tutto il pensiero. Questo potrebbe non essere un problema, in fondo perché provare ciò che si afferma? A che scopo? In teoria si potrebbe anche non fare però in genere le persone amano fornire motivi delle loro affermazioni, anche se in realtà non lo possono fare, possono motivare della affermazioni assolutamente gratuite con altre affermazioni che accampano a giustificazione o a prove che di fatto sono altrettanto gratuite, per cui in teoria chiunque potrebbe affermare qualunque cosa e il suo contrario senza nessun problema. Ciò che la scienza ha chiamato legge, come per esempio la gravità, è tale perché il fenomeno si verificherà in qualunque circostanza, in qualunque situazione e chiunque lo potrà esperire in qualunque momento, se tutte queste condizioni si verificano allora è una legge se no, no. Tuttavia c’è un problema, questa serie di condizioni che sono state poste per accertare una legge scientifica sono necessarie oppure no? Chi le ha poste ha compiuto un’operazione arbitraria o necessaria? È un problema, perché se è arbitraria allora questi criteri valgono esattamente quanto valgono le regole del poker, né più né meno, oppure sono necessarie, e se lo sono allora occorre provarlo, ma con che cosa? Certo l’esperienza mostra il fenomeno, è vero, ma l’esperienza è un criterio di certezza? Se sì, perché? Non sono certo problemi di oggi, è da 2500 anni che gli umani si danno da fare per risolverli come dicevo prima senza riuscire a farlo, senza riuscire a risolverli. E c’è un motivo per cui di fatto non sono riusciti a farlo: qualunque criterio si utilizzi, compresa l’esperienza, risulta arbitrario. Si può prendere il criterio che si preferisce, compresa la volontà di dio, perché non può essere un criterio? Perché non è provabile? Beh, prima occorre intendersi su che cosa significa prova, e ciascuna volta che ciascuno darà la sua definizione di prova questa definizione sarà arbitraria, e non c’è via di scampo, ed è un grosso problema, però il problema sorge poiché da sempre si è cercato di costruire un criterio che reggesse, che fosse necessario, che fosse inattaccabile, che fosse sufficientemente forte da reggere qualunque obiezione, ma questo non è avvenuto, non è avvenuto ma già gli antichi sapevano che, formulata una qualunque affermazione, è sempre possibile costruirne un’altra che la neghi, a meno che non si prenda come unico criterio di verità ciò stesso che consente di costruire qualunque criterio. Come si costruisce un criterio? Si considera per esempio un elemento e si cerca di provare che questo elemento è vero, ma occorre che sia vero per qualunque criterio e qualunque criterio non mostrerà di sé di essere vero perché avrà sempre bisogno di un altro, tranne il linguaggio, il linguaggio è l’unico fondamento perché senza il linguaggio non è possibile costruire nessun criterio, non è possibile pensare nessun criterio e neppure porsi la questione di costruire un criterio, in nessun modo, e pertanto la struttura del linguaggio è quella che fornisce l’unico criterio che non è né negabile, come diceva prima Beatrice, né confutabile in nessun modo, ecco perché è stato posto come il criterio sul quale costruire una teoria, in questo caso una teoria del linguaggio. Una teoria ineccepibile perché in questo caso non ha bisogno di altri criteri per potersi sostenere. Anche se la logica vieta di procedere in questo modo, non è consentito utilizzare in una prova ciò stesso che deve essere provato, ma in questo caso la situazione è più complicata: siamo costretti a utilizzare ciò stesso che deve essere provato per provarlo, perché non abbiamo nessun altro mezzo se non il linguaggio per costruire proposizioni. Che cos’è il linguaggio? Possiamo dare una definizione amena, vale a dire ciò che consente agli umani di dirsi tali e insieme con questo qualunque altra cosa, oppure una definizione più precisa: una sequenza di istruzioni per costruire proposizioni. Nient’altro che questo, però è tutto ciò di cui gli umani dispongono e la loro unica ricchezza, gli umani esistono perché esiste il linguaggio, se il linguaggio non esistesse gli umani non sarebbero mai esistiti insieme con qualunque altra cosa. Si può affermare l’esistenza di qualche cosa, ma c’è un problema, che o si può provare questa affermazione oppure rimane un atto di fede, e allora posso affermare che esiste dio, che esiste topolino, che esiste tutto ciò che io ritengo opportuno, e posso anche affermare che non esiste, è la stessa cosa, non c’è nessuna differenza perché o posso provare ciò che affermo oppure ciò che affermo è arbitrario, perché non provabile, e allora logicamente vale esattamente quanto la sua contraria. Il linguaggio è ciò che costituisce il punto di arresto, la fine corsa, e l’unica limitazione che ha è il fatto che non è possibile uscirne, dal momento in cui ciascuno si trova a parlare, da quel momento in poi non può uscire dal linguaggio, questo è l’unico limite, non ce ne sono altri, poi può costruire qualunque cosa. La signora chiedeva se si cambia il linguaggio, no, il linguaggio non si cambia, è una struttura, è una sequenza di istruzioni, non può cambiare, se per assurdo il linguaggio si modificasse allora cesseremmo di pensare cesseremmo di pensare e quindi il problema a questo punto sarebbe risolto comunque. La priorità del linguaggio che stiamo ponendo consiste in questo, che il linguaggio, questa struttura di cui dicevo è la condizione del pensiero, quindi di qualunque cosa, sia del benessere, sia del malessere e il fatto che costituisca tale condizione potrebbe apparire non indifferente. Se gli umani sono costruiti dal linguaggio e pensano così come è fatto il linguaggio, anche perché non possono fare altrimenti, allora il fatto che il linguaggio sia strutturato in un certo modo potrebbe non essere indifferente e potrei anche giungere a considerare che qualunque cosa io mi trovi a pensare o a non pensare è stata una costruzione di questa struttura che chiamiamo linguaggio, per cui potrei cessare di avere paura, per esempio, di cose che riguardano delle mie fantasie se ho l’occasione di accorgermi che il mio stesso discorso le ha costruite, e posso anche chiedermi perché le ha costruite e posso anche rispondere, posso fare un sacco di cose, ciò che non posso più fare è stare, male questa struttura me lo impedisce per lo stesso motivo per cui una infinità di cose cessano di interessare, per lo stesso motivo per cui un bimbetto ad un certo punto gioca con i soldatini e poi mano a mano cresce e cessa di giocare con i soldatini, la cosa non lo interessa più, e così lo stare male subisce la stessa vicissitudine, cessa di interessare. È ovvio che per giungere a questo occorre potere considerare che cosa lo ha costruito, perché si è mantenuto, a che scopo, e considerato tutto questo cessa l’interesse di stare male, e a questo punto non è che una persona debba necessariamente stare bene, diciamo che non si pone più la questione di stare bene o stare male, semplicemente fa le cose che lo interessano, si occupa di ciò che lo interessa e abbandona tutto ciò che generalmente per gli umani costituisce motivo di esistenza, e cioè la necessità di essere importanti per qualcuno, per esempio, o trovarsi ad avere bisogno di avere paura o trovarsi a credere infinite cose, più che cessare di credere c’è la possibilità di cessare di avere bisogno di credere, ma in ogni caso tutto questo porta ad una assoluta ed estrema libertà, se si cessa di avere paura, se si cessa di avere bisogno di credere a qualunque cosa e al suo contrario, allora ci si trova in una libertà estrema. La libertà di potere pensare senza che il proprio pensiero sia vincolato, sia costretto dalla paura, da superstizioni di ogni sorta, e c’è l’eventualità di vivere meglio, è una eventualità che però merita di essere presa in considerazione, ciascuno può vivere ovviamente come ritiene più opportuno: male, bene, benissimo, malissimo, non è proibito, se una persona desidera soffrire può farlo, nessuno glielo impedisce, però il più delle volte questa persona non si accorge di essere lei a volere soffrire e c’è anche un motivo per cui non si accorge, è che per continuare a soffrire è necessario che questa sofferenza sia pensata, immaginata venire dall’esterno, essere quindi subita, solo a questa condizione è possibile soffrire e cioè pensare di subire la sofferenza, tant’è che se qualcuno suggerisce l’eventualità che invece di subirla la sta agendo, la sta costruendo, questa persona si offende. Teoricamente non dovrebbe offendersi né aversene a male, e invece se ne ha a male, non tollera l’idea che qualcuno possa insinuare che questa sofferenza è non soltanto costruita da lei ma anche mantenuta. Perché si soffre? Per provare forti emozioni, per lo stesso motivo che si va a vedere un film che fa piangere, nessuno costringe ad andare a vedere un film strappalacrime, vedere comunque cose che fanno stare male. Tutto ciò che fa stare male attrae da sempre, Aristotele ci ha costruito addirittura una scritto sulla tragedia, e dice in modo esplicito che per interessare gli umani occorre parlare di cose tragiche, non di cose divertenti, quelle sono effimere, fanno ridere sul momento ma non hanno lo stesso coinvolgimento, occorre puntare alla tragedia. Così funziona, si tratta di tenerne conto, se si ha voglia di farlo.