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Torino, 15 marzo 2011

 

Libreria LegoLibri

 

INTRODUZIONE ALLA PSICANALISI

Prima lezione

 

Luciano Faioni

 

 

Questa sera parleremo di teoria della psicanalisi partendo da Freud, mostrando, e questo sarà l’aspetto più interessante anche se più complesso, che partendo da alcune indicazioni di Freud è possibile andare molto aldilà di quanto Freud stesso abbia voluto o potuto immaginare. Vi dirò molto rapidamente della teoria di Freud, molto rapidamente perché il tempo è limitato, vi dirò soltanto ciò che occorre che sappiate e che servirà in seguito per dire il resto; l’impianto teorico di Freud poggia su un concetto che lui ha inventato, il concetto di apparato psichico, mi rivolgo ovviamente alle persone che non conoscono molto bene Freud, molte persone qui lo conoscono molto bene e quindi chiedo scusa loro se dovrò fare una cosa molto rapida, questo apparato psichico Freud lo definisce attraverso tre istanze: l’Es, l’Io, il Super-Io. L’Es lo indica come “luogo” tra virgolette, luogo delle pulsioni soprattutto e in particolare le pulsioni sessuali, queste pulsioni sessuali naturalmente hanno come obiettivo il loro soddisfacimento questo soddisfacimento tuttavia viene impedito dal Super-Io che è composto da tutte le inibizioni morali e sociali che impediscono alla pulsione sessuale di raggiungere immediatamente il suo obiettivo, questo Super-Io impone quindi alla pulsione un cambiamento di direzione, di meta, perché la pulsione in questo caso è inibita nella meta, ora l’Io, dice Freud, che fra queste due istanze si trova a dovere fronteggiare le richieste pulsionali dell’Es e dall’altra invece gli impedimenti che provengono dal Super-Io e le inibizioni, i divieti; il Super-Io è grosso modo indicabile con ciò che si chiama la morale sessuale civile, del luogo in cui la persona si trova ovviamente, e quindi l’Io, come dice lo stesso Freud, è servo di due padroni dell’Es e del Super-Io ed è nemmeno padrone in casa sua, ora ci dice anche che la civiltà così come la conosciamo si è potuta produrre proprio grazie all’inibizione delle pulsioni sessuali e cioè grazie alla morale sessuale civile, cosa non indifferente di cui parleremo tra poco. Questo impianto teorico ci dice anche che tutto ciò che nella pulsione sessuale viene impedito cioè non raggiunge la meta subisce da parte dell’Io un certo procedimento che lui chiama rimozione, tutto ciò che è rimosso, insieme con ciò che attiene all’Es, Freud lo chiama inconscio, da contrapporre invece al conscio ciò che è consapevole alla persona, tutto ciò che non lo è, appunto ciò che appartiene all’Es e ciò che è stato rimosso invece è Inconscio. Un processo di rimozione come dice lui che è causa di un fenomeno che chiama nevrosi, la nevrosi sorge dal fatto che l’Io è costretto a costruire una sorta di formazione di compromesso tra queste pulsioni, l’Es e le richieste del Super-Io. Potremmo considerare che senza le regole morali, i divieti, le proibizioni non ci sarebbe nessuna nevrosi, questa è una deduzione molto semplice da fare. Questo impianto teorico ha definito anche la tecnica di Freud, tecnica che lui individua in tre momenti: ricordare, ripetere, rielaborare. Ricordare, non è nell’accezione di Freud esattamente un vivificare dei ricordi, ma il reperire all’interno di racconti, di discorsi eccetera tutti quegli elementi che testimoniano della rimozione, perché la rimozione, lui stesso ce lo dice, o meglio ci scrive, non è una cancellazione, ciò che è rimosso permane e continua a funzionare, a lavorare ed essendo la causa della nevrosi è anche ciò su cui occorre che lavori la tecnica. La tecnica dunque deve reperire soprattutto, dice Freud, attraverso i sogni, il lapsus, gli atti mancati, anche i motti di spirito talvolta, quelle indicazioni del rimosso che rappresentano, come dice lui, la via regia dell’Inconscio. Dunque ricordare, ripetere in analisi ovviamente, ripetere tutto ciò lungo un itinerario analitico, esporlo alla parola e infine rielaborare e cioè considerare che tutto ciò che ha costituito un problema a causa di questo processo che chiama di rimozione, può essere elaborato e parzialmente inteso al fine di volgere ciò che per la persona è inaccessibile in qualcosa di accessibile e di conseguenza sapere in definitiva perché pensa le cose che pensa. Chiedo scusa alle persone che conoscono molto bene Freud per la rapidità con cui ho esposto la base della sua teoria. In Freud, dicevo all’inizio, ci sono due aspetti, due indicazioni che ci pone e che meritano di essere proseguite e ulteriormente elaborate, vi dicevo prima del Super-Io, questo Super-Io che è fatto di divieti e di tutto ciò che rappresenta la morale sessuale civile e quindi di discorsi, di parole, di racconti che la persona acquisisce e che funzionano, ma sono parole, qualunque divieto, qualunque impedimento procede da parole e Freud è stato il primo dopo moltissimo tempo a porre fortemente l’accento sulle parole. Come sapete una persona che si rivolse a lui, una certa Anna O, al secolo Berta Pappenheim, chiamò questo nuovo procedimento che Freud stava inventando “talking cure”, letteralmente una cura parlando che potremmo tradurre molto liberamente ma non insensatamente come il prendersi cura della parole. Le parole per Freud sono determinanti, ne parla in modo esplicito nella Interpretazione dei Sogni, nella Psicopatologia della vita quotidiana, nel Motto di spirito, dove esplora i modi in cui le parole si connettono fra loro, si articolano, si svolgono e creano dei discorsi, delle storie che lui si è trovato ad ascoltare, se dunque il Super-Io è fatto di parole ed è questa la causa del processo che lui chiama di rimozione, allora potremmo dire che se non ci fossero le parole non ci sarebbe neanche il Super-Io e cioè se non ci fossero le parole non ci sarebbe neanche la nevrosi. Questo giusto per dire dell’importanza che Freud ha dato alle parole ma come ho detto è possibile andare oltre. Freud non si è mai occupato esattamente della struttura della parole o del modo in cui funzionano o più propriamente del funzionamento di queste parole in quanto struttura, naturalmente non era né un linguista né un filosofo del linguaggio né un semiotico, era soltanto un medico come tutti sapete e quindi ha dovuto procedere con i mezzi che aveva a disposizione, però tenendo conto dell’importanza delle parole forse è possibile intendere meglio tutta la questione, come dire che anche la psicanalisi in fondo è un discorso come qualunque teoria e quindi costruita con delle parole: ciascuno ininterrottamente non fa che parlare, che poi parli fra sé e sé o parli con altri per il momento è irrilevante, però tutta la sua opera non è altro che un’analisi, una ricerca intorno alle parole, ai discorsi, ai racconti, tant’è che appunto in un’analisi ciò che si ascolta sono parole quindi discorsi, quindi racconti; è ovvio che anche ciò che non si dice è fatto di parole, quando si parla di linguaggio non verbale si dice un’ingenuità perché questo cosiddetto linguaggio non verbale è fatto di segni ovviamente che devono essere intesi da qualcuno, e un segno fa parte del linguaggio, se non ci fosse un discorso all’interno del quale è inserito il segno questo non sarebbe assolutamente niente, così come taluni credono che si pensi anche per immagini oltreché con le parole, ma di nuovo queste immagini se non fossero inserite all’interno di un discorso che dà a queste immagini l’importanza che hanno per questa persona, le immagini di per sé non sarebbero niente e quindi sia che si supponga di pensare per immagini o si immagini un linguaggio non verbale in ogni caso si è all’interno di questa struttura che chiamiamo linguaggio e di cui parleremo tra poco, per il momento mi serve soltanto porre la vostra attenzione sulle parole, sull’importanza che Freud ha dato in tutta la sua opera, in tutto il suo lavoro alle parole, ai discorsi, ai racconti. Desidero porre l’attenzione su questo, solo questo, sulle parole, come ha fato Freud, per compiere il passo successivo e qui fra poco iniziano le cose più complicate, però sono costretto a raccontarvele perché se no non si intenderà nulla di ciò che seguirà per cui se mentre dico cose complicate c’è qualche cosa che non vi è chiaro, non avete inteso, o avete dei dubbi vi prego di fermarmi immediatamente ed io farò in modo di spiegarvele. Cercherò comunque di raccontarvele nel modo più semplice possibile, dunque queste parole, questi racconti da che cosa procedono? Di che cosa sono fatti? Ciò su cui dobbiamo incominciare a porre l’attenzione è una domanda e cioè da dove vengono le parole, chi le struttura? Chi costruisce i discorsi e chi decide del modo in cui sono costruite? C’è una struttura che appartiene agli umani anzi, direi soltanto a loro, che consente di parlare e quindi di pensare, quindi di costruire storie, prendere decisioni, operare delle scelte, innamorarsi di qualcuno, odiare qualcuno, insomma fare tutte queste operazioni che gli umani compiono generalmente. Tutte queste parole, questi racconti come vi dicevo procedono da un qualche cosa che li produce, questo qualcosa che li produce possiamo chiamarlo linguaggio, che tra poco vi definirò e che è ciò che mette in atto qualunque pensiero, qualunque discorso, un linguaggio che è definito dall’essere una struttura che consente la costruzione di proposizioni. A questo punto forse occorre incominciare a precisare perché incominciano le cose complicate. Come definire questo linguaggio che è produttore delle parole, quindi delle proposizioni, quindi dei discorsi, quindi dei racconti, quindi di tutto ciò che le persone pensano, di tutto ciò che le persone di conseguenza fanno, delle cose in cui credono, delle cose che detestano, che amano, che desiderano, che sperano, che rifiutano, qualunque cosa, come definire dunque il linguaggio? È semplice, o almeno spero che risulti tale: si può muovere da due posizioni, la prima dal modo in cui si apprende, la seconda intendendo quali sono quegli elementi che necessariamente lo fanno funzionare. Incominciamo dalla prima, come si apprende? Come si insegna a un bambino a parlare? In un modo che è molto simile a quello che hanno dovuto inventare gli umani per costruire macchine, i computer, anche quelli sono stati addestrati, essendo strutture più semplici forse possiamo avvalerci di questa allegoria. Quando un certo Alan Turing ebbe la velleità di costruire una macchina pensante, che poi ha costituito il prototipo di tutti i moderni calcolatori, si è posto una questione intorno al modo di addestrare la macchina, cosa insegnargli perché faccia quello che si vuole che faccia, fornendogli delle istruzioni ovviamente, delle istruzioni o più propriamente dei comandi e insieme a questi comandi anche delle istruzioni per potere eseguire questi comandi. Ora se pensate come si addestra o si educa se preferite un bambino, non è così diverso, generalmente, si avvia questo addestramento con una informazione, con un comando molto semplice che veicola delle istruzioni che servono per potere utilizzare questo comando, è un comando molto semplice che dice semplicemente, ve lo riassumo per semplicità: “questo è questo”. In questo comando ci sono due istruzioni che consentono di utilizzare questo comando e cioè se questo è questo allora non è quest’altro, e quindi c’è una differenza, la possibilità di stabilire una identità e una differenza, bene con queste semplici istruzioni, di cui una è un comando le altre due istruzioni, è possibile costruire qualunque discorso, adesso vi parrà strano che da una cosa così semplice, così meccanica, sia possibile costruire quella infinita complessità che è il pensiero degli umani, cionondimeno pensate per esempio al Dna in fondo sono quattro aminoacidi, assemblati in triplette che vanno a costruire proteine che poi costruiranno una zanzara, un dinosauro, o miss Universo, a seconda delle informazioni che ha naturalmente, quindi semplicemente da quattro aminoacidi così come le note sono sette, solo sette, ma con queste sette note è possibile costruire la musica, tutta la musica che è stata costruita, quella che si sta costruendo e quella che si costruirà, tutto a partire da sette elementi. Così come le sette note costruiscono la musica, il Dna costruisce corpi, il linguaggio costruisce proposizioni, molto semplicemente, queste proposizioni hanno un aspetto particolare che d’altra parte non fa nient’altro che veicolare il comando da cui è partito il tutto, e cioè “questo è questo”, un’affermazione che costituisce poi, anzi costituirà dopo, perché non ha ancora gli elementi per farlo, la nozione di esistenza, la nozione di realtà e via di seguito. Tutto chiaro? O sono bravissimo io o siete straordinariamente intelligenti voi, o entrambe le cose perché non è che si escludono …

 

Intervento: allora io ho una domanda sul questo è questo, cos’è importante? È questo o è

tutta la frase? Molte lingue non hanno il verbo essere per esempio …

 

Può sostituirlo con qualunque cosa, basta che un elemento rinvii a se stesso, che non è naturalmente, questo lo dico per lei, non è né un principio ontologico né metafisico ma è un comando, nient’altro un comando, un input come dicono gli informatici, che quindi non deve nulla all’essere, né naturalmente è dimostrabile, non è provabile, un comando non è provabile, non è né vero né falso, in questo caso questo comando è la condizione per potere, dopo, costruire un criterio verofunzionale per esempio, e allora si potrà stabilire se una certa cosa è vera o falsa in base a dei parametri stabiliti in precedenza, ma senza questo primo comando tutto ciò che segue cioè il linguaggio non può darsi …

 

Intervento: che differenza sulla negazione, come da questo è questo, si deduce che quest’altro non è questo, perché mi pare che per esempio sulle scimmie riescono ad affermare questo è questo ma non riescono a negare …

 

Non sono pratico di scimmie, ma so che inserendo dei comandi nelle macchine queste macchine possono eseguire delle operazioni molto semplici, esattamente come fanno gli umani. Qualcuno aveva posto delle obiezioni al fatto che per esempio, partendo da questo principio sia possibile costruire macchine che pensano come gli umani, è possibile?

 

Intervento: ci stanno provando …

 

Sì, e ci riusciranno perché è possibile, d’altra parte basta immettere nelle macchine tutte le informazioni che una persona acquisisce; è ovvio che deve essere in condizioni di acquisirle queste informazioni, pensate alle informazioni che acquisisce un bimbetto di due anni che incomincia a gattonare in giro di qua e di là, sono miliardi di informazioni mentre il vostro computer adesso è a casa spento e non acquisisce niente, è svantaggiato. Naturalmente non si tratta del vostro computer che avete a casa, è chiaro, però messa la macchina nelle stesse condizioni di acquisire una quantità sterminata di informazioni e di poterle elaborare perché gli sono state fornite le informazioni ecco che si troverà a pensare esattamente come gli umani. Qualcuno obietta “ma comunque sono sempre gli umani a creare le macchine” è vero, ma sono sempre gli umani a creare e ad addestrare gli altri umani, esattamente come le macchine, ci aveva pensato a questo?

 

Intervento:  No …

 

Intervento: però la capacità creativa di ogni soggetto non può essere riprodotta nella macchina perché comunque un altro essere umano deve mettere tutte le possibili opzioni tra le informazioni che ha, che possono essere infinite la capacità metaforica di un essere umano …

 

Qual è il suo nome, scusi? (Laura) ecco Laura, la persona come ha acquisito tutte queste informazioni? Anni e anni di studio?

 

Intervento: no, non è necessario studiare basta avere un tot di informazioni e poi fare dei collegamenti che sono …

 

E perché una macchina non dovrebbe poterli fare?

 

Intervento: perché il numero di collegamenti possibili li inventa comunque un essere umano che li mette …

 

La macchina può fare infiniti collegamenti con una rapidità molto superiore alla sua, e anche alla mia, e valutare possibilità che noi neanche immaginiamo, con una rapidità che neanche possiamo immaginare e quindi come d’altra parte fanno in alcuni casi creano ex novo delle cose, certo con le informazioni che gli sono state fornite, d’altra parte gli umani fanno la stessa cosa, si muovono a partire dalle informazioni che gli sono state “immesse” tra virgolette, che hanno acquisite nel corso degli anni e della loro esperienza e dal modo in cui le sanno utilizzare, ma il modo in cui le sanno utilizzare procede da altre informazioni che hanno acquisite, se no non potrebbero fare niente …

 

Intervento: però se ci sono due esseri umani che hanno acquisito le stesse informazioni è possibile che il soggetto A ha delle conclusioni completamente diverse rispetto al soggetto B …

 

Sì, lei cosa intende o più propriamente come fa a sapere che hanno ricevuto esattamente le stesse informazioni?

 

Intervento: infatti già questo è difficile in un essere umano, in una macchina invece questo è possibile …

 

Sì, molto più semplicemente anche, certo l’essere umano incomincia ad acquisire degli elementi e a mettere insieme questi elementi in base al modo in cui gli vengono insegnati, e a questo punto, giusto per darvi una piccola tregua, Eleonora potrebbe spiegarci come avviene questo fenomeno, come per esempio Wittgenstein ci racconta che si impari il linguaggio: con l’uso, si mostra come si usa una parola e il bambino incomincia a usarla, addirittura diceva Wittgenstein che si impara così anche il dolore, anche la sofferenza, adesso Eleonora saprebbe anche dire a che pagina, è laureata in filosofia del linguaggio con una tesi su Wittgenstein e quindi è espertissima di Wittgenstein. Ogni cosa si impara e questo ci dice un’altra cosa importantissima, che dal momento in cui il bambino è nato al linguaggio o nel linguaggio, da quel momento in poi qualunque cosa accadrà in lui o intorno a lui sarà comunque vincolato alla struttura che ha appresa e cioè il linguaggio. Adesso vi faccio una domanda che forse riesce a chiarire un poco la questione: provate a immaginare voi stessi o chi vi pare, in totale assenza di linguaggio, cosa succede? Non c’è più la possibilità di pensare nulla, di concludere nulla, di considerare nulla, tutto ciò che per esempio ha un valore estetico o morale o etico non esiste, tutto ciò scompare anzi, non è mai esistito, non c’è niente. Questo ci induce a considerare che la presenza del linguaggio presso gli umani non sia così marginale come taluni hanno voluto pensare, ma sia la condizione per gli umani per esempio di pensarsi tali, e insieme con questo tutto il resto. Ma vi dicevo che nel momento in cui si apprende ad “utilizzare” mettiamolo tra virgolette per il momento, il linguaggio, incominciano a quel punto a esistere le cose, a partire da - primo lo indicavo con “questo è questo” - da quel momento le cose esistono, esistono per il linguaggio e nel linguaggio cioè c’è la possibilità di accorgersi di qualcosa, di considerare qualcosa, di valutare qualcosa, è questa una questione che appare straordinariamente complicata da accogliere perché si è addestrati a pensare in un certo modo e cioè che le cose non procedano dal linguaggio ma dalla cosiddetta realtà, questo è un inganno al pari di quello di Platone, la nobile menzogna, non è così, non è così per motivi logici prevalentemente. Vi dicevo che dal momento in cui si avvia il linguaggio da quel momento la persona incomincia a esistere, le cose incominciano a esistere, anche la sofferenza, per esempio, la gioia, l’entusiasmo, tutto incomincia a esistere da quel momento. Lei potrebbe chiedersi: ma la sofferenza esiste anche senza il linguaggio? Lo si può pensare certo, e molti lo pensano, ma non è così, questa ipotesi è avvalorata dal fatto che se io pesto la cosa a un cane questo guaisce il più delle volte e allora io stabilisco in base a questo che il cane soffre, certo reagisce a degli stimoli ma ciò che avviene nel linguaggio non ha nulla a che fare con la reazione a degli stimoli, perché io posso anche dire che se prendo una lampadina e la butto per terra e si spacca che in quel momento la lampadina soffre, nessuno mi proibisce di pensare una cosa del genere anche se può apparire un po’ squinternata. Ciò su cui voglio soffermare la vostra attenzione è questo: che cosa accade nel momento in cui il linguaggio si avvia e cioè le cose incominciano a esistere attraverso il linguaggio, nel linguaggio, per il linguaggio, che abbiamo detto essere fatto da un comando e due semplicissime istruzioni, che servono a farlo funzionare, con queste semplicissime istruzioni, come ho detto prima, è possibile costruire tutto ciò che gli umani hanno costruito, pensato, immaginato, sperato, temuto, ogni cosa procede dal comando iniziale che dice “questo è questo”. Che cosa fanno gli umani? Perché si può desumere una cosa del genere anche dalla condotta degli umani, affermare “questo è questo” significa affermare un’identità, significa affermare ciò che dopo si chiamerà verità per esempio, ebbene pensate al modo in cui gli umani si muovono, alla loro condotta, a ciò che fanno tutti necessariamente da quando esistono, nessuno escluso, è una cosa semplicissima: vogliono avere ragione, adesso la dico in modo semplice, vogliono avere ragione, ragione sull’altro, imporre la propria ragione, detestano per esempio, che qualcuno li contraddica, e non possono credere vero ciò che sanno essere falso, vogliono concludere con qualcosa che risulti vero non possono partire né costruire alcunché da ciò che sanno essere falso, perché fanno tutto questo? Perché? Non glielo ha ordinato nessuno, eppure lo fanno tutti, da quando esistono, da tre mila anni, almeno da quando c’è traccia di loro, prima non abbiamo molti elementi ma possiamo pensare che anche prima funzionasse così, e cioè qualcosa che gli umani fanno, tutti da sempre necessariamente e aggiungerei che non possono non farlo. Questo è un modo teoricamente poco corretto di porre le questioni però diciamo che retoricamente può essere efficace per illustrare un qualche cosa che attiene a ciascuno indistintamente, e mostrare anche perché hanno questa necessità di concludere il ragionamento con qualcosa che ritengono essere vero, che lo sia di fatto oppure no, questo è un altro discorso, ma che ritengono essere vero perché se trovano che la loro conclusione è falsa non viene più utilizzata, e un giorno mi sono chiesto perché, una domanda legittima anche se insolita, cosa li costringe a muoversi nel modo in cui di fatto si muovono, che cosa? Non qualcuno perché nessuno li costringe, ma è proprio questa struttura di cui vi dicevo prima e cioè il linguaggio che deve non soltanto iniziare da una identità, che come ho specificato prima è un comando e nient’altro che questo, un comando per potere costruire delle cose, così come qualunque gioco è determinato dalle regole di cui è composto, se io affermo che due assi sono superiori a due sette, nel gioco del poker questa affermazione è vera, ma al di fuori non significa assolutamente niente, mentre spesso gli umani sono indotti a pensare che due assi battono due sette ma non perché sia una regola del gioco ma perché è una verità assoluta, una verità, come dicevano gli antichi, sub specie æternitate, è così e tanto basta perché le cose stanno così, perché dio lo vuole! E poi ciascuno ci mette del suo. Queste infinite possibilità che si producono da delle istruzioni continuano a ripetere questo comando iniziale. Che cosa fa una ricerca teorica, anche la più sofisticata, la più elaborata, la più complessa? Pensate alla teoria della relatività o ai teoremi di Gödel o a quello che vi pare, come concludono? Questo è questo, è così, le cose stanno così. Questa è la dimostrazione perché le cose stanno così cioè questo è questo. Potrebbero concludere altrimenti per potere essere accolte? Perché se si verifica che questo non è questo allora si ricomincia da capo, potrebbe essere altrimenti? Gli umani fanno qualcosa di differente? Posta così la domanda può fare sorgere immediatamente delle obiezioni, appunto per la complessità del pensiero degli umani che tuttavia se voi ci pensate bene è sempre riconducibile a una sorta di affermazione di identità cioè è così. Non dimenticate che stiamo sempre parlando di psicanalisi, di ciò che la psicanalisi deve necessariamente fare e cioè interrogare la base su cui poggia a questo punto non solo più la psicanalisi ovviamente ma il pensiero degli umani, e la psicanalisi ha a che fare con il pensiero degli umani naturalmente, in questa accezione la psicanalisi non è più qualche cosa che serve a eliminare un acciacco di qualunque genere ma un vero e proprio metodo di pensiero, un metodo, per i tecnici potrei dire un algoritmo, e cioè un metodo che serve a risolvere qualcosa in qualche cos’altro vale a dire un discorso, un racconto, un’affermazione, un asserto di qualunque tipo a risolverla nelle condizioni di questo asserto o di questo racconto, in ciò che lo fa esistere. Tutto ciò chiaramente estende il concetto di psicanalisi che a questo punto non è più limitata, come voleva qualcuno al suo ristretto ambito più o meno terapeutico, ma all’intero pensare, a qualunque pensiero, e cioè la psicanalisi ha il compito di interrogare anche discipline che apparentemente non hanno nulla a che fare con essa. Ho citato la teoria della relatività o i teoremi di incompletezza di Goedel, o qualunque altra cosa, interrogare non tanto le procedure, quelle sono meccaniche e le fanno anche le macchine ma la base, gli asserti da cui queste teorie muovono, una costruzione che una persona fa e che la porta a concludere, per esempio, con una fobia, un’angoscia, una paura, un accidente qualunque, che è una teoria, né più né meno, è costruita esattamente come una teoria, muove da qualcosa che si ritiene essere vero e da lì attraverso una serie di passaggi più o meno coerenti giunge a una conclusione. Se io supponessi che all’interno di questa sala ci sia una persona provvista di una bomba a orologeria che esploderà fra sette minuti allora mi allontanerei, e il fatto che io mi allontani a questo punto è perfettamente coerente con il mio asserto di base e cioè che c’è una persona all’interno della sala che ha una bomba che sta per esplodere. Io desidero vivere? Riposta sì o no? Sì, per vivere cosa devo fare? Restare qui o uscire? Stare qui, no. Uscire, sì. Faccio molto rapidamente tutti questi passaggi e mi allontano rapidamente. Questa sequenza di passaggi è una teoria, che parte da un certo presupposto e conclude coerentemente. La costruzione di qualunque fenomeno che Freud chiama sintomo, è esattamente come una teoria, muove da qualcosa che la persona ritiene assolutamente certo: potrei avere paura di qualche cosa che per me non è assolutamente vera? Certo che no, e per essere angosciato da qualche cosa questo qualche cosa deve essere importante e cioè ci deve essere stato un discorso che ha deciso che quella cosa è importante. In altri termini questo elemento deve essere supportato da qualche cosa, da un discorso, e questo discorso deve essere ritenuto vero. Ma se io mi trovassi nella condizione di potere valutare meglio questo discorso e considerare che forse non è necessariamente vero, a questo punto una paura per esempio potrebbe essere non più necessaria e così un’angoscia o qualunque altro acciacco dicevo, così come gli attacchi di panico che adesso vanno molto di moda, la paura di volare, tutte queste paure procedono da un discorso che la persona ha prodotto in base a una serie di cose e che questa persona ritiene assolutamente vero per qualche motivo. Una persona che ha paura di volare sa benissimo che la probabilità di morire su un aeroplano è fortemente inferiore a quella di morire per strada, lo sa perfettamente, è inutile stare a raccontargliela, cionondimeno appena sale sulla scaletta dell’aeroplano gli viene il malore. Ma questo lo vedremo nel prossimo incontro, adesso mi interessa soltanto, come vi ho detto prima, porre la vostra attenzione sull’importanza, la priorità che il linguaggio ha per le persone che incominciano a essere persone, con tutto ciò che comunemente si attribuisce a questo termine, dal momento in cui incominciano a parlare cioè incominciano a pensare, perché il pensiero non precede le parole, uno immagina che il linguaggio non sia nient’altro che l’espressione dei pensieri, è un modo molto ingenuo di porre la questione, come penso senza linguaggio? Il mio pensiero come si costruisce? Non posso pensare senza linguaggio, non posso fare niente, per dirla in altri termini: gli umani da quando esistono fino a quando si spengono costruiscono storie, ininterrottamente, e questa struttura ovviamente decide del modo in cui pensano, non solo ma anche del modo in cui definiscono la realtà. La realtà è vera per definizione almeno così la tradizione filosofica, perché? Chi l’ha detto? Chi ha stabilita una cosa del genere? E soprattutto, visto che parliamo in ambito teorico, è provabile una cosa del genere? Per esempio, posso dimostrare che esiste la realtà, cioè le cose che io tocco vedo, sento? È una domanda importante ma anche straordinariamente complicata perché o mi do la risposta, dico che esiste perché sì! E questa è comunque una risposta, ma di non grandissimo interesse in ambito teorico dire che è così perché è così, non ci porta molto lontani, e allora cosa dovremmo fare per rispondere a una domanda del genere? Intanto dire che cosa intendiamo con esistenza? E cioè che cosa diciamo quando diciamo che qualcosa esiste? Stiamo dicendo qualcosa o non diciamo niente? Diciamo qualcosa in genere, comunemente il mondo che mi circonda cosiddetto è definito da ciò che cade sotto i sensi, ciò che posso vedere, toccare eccetera, ma è una definizione che non è necessaria, io ho deciso che chiamo realtà ciò che cade sotto i miei sensi, va bene, nessuno me lo vieta ovviamente, ma è una decisione che non è per nulla necessaria, quindi che cosa faccio dicendo che la realtà è ciò che cade sotto i sensi? Impongo a questo concetto che io chiamo realtà una definizione, nient’altro che questo, posso anche stabilire che la realtà è ciò che dio vuole che sia, molti lo fanno e lo hanno fatto, o che è tale perché esistono dei marziani che mantengono le cose in un certo modo, nei film è stato fatto anche questo. A questo punto si porrebbe un grossissimo problema, ancora più complicato di tutto ciò che vi ho detto finora, e che magari vi risparmio, e cioè il problema della dimostrazione, della prova. Voi sapete che in ambito teorico quando si fa un’affermazione si usa anche provarla, non basta dire che è così perché lo dico io, non è sufficiente. Questione complicata, che se volete possiamo affrontare ma prima una precisazione, e cioè che cosa ha a che fare, come dicevo, tutto questo con la psicanalisi? Ha a che fare con il pensiero e la psicanalisi si occupa del pensiero, del modo in cui le persone pensano, perché soltanto sapendo perché le persone pensano in un certo modo, cioè quali discorsi sono costruiti, quali storie prese per vere è possibile sapere perché pensano le cose che pensano, per esempio perché una persona si trova a credere in un dio? O perché è giunto attraverso a delle sue considerazioni più o meno attendibili, o perché la tradizione vuole così, o perché glielo ha detto la mamma, ma comunque c’è qualche cosa che l’ha mosso in una direzione anziché in un'altra e così in tutti i pensieri c’è un discorso che supporta qualunque decisione, qualunque conclusione, qualunque affermazione si compia. Questo discorso è costruito dal linguaggio: qualunque affermazione sia compiuta questa di per sé non è né vera né falsa se non all’interno di un gioco, ricordate prima che vi dicevo dell’asso e il sette: due assi battono due sette, è vero certo all’interno del gioco del poker ma fuori dal gioco del poker non significa niente e allora, dicevo, se fosse possibile che le cose per me importanti, quelle in cui credo, sono delle costruzioni linguistiche, dei giochi linguistici e queste cose per me sono importanti a partire da altre, da altri racconti, allora c’è la possibilità che io smetta di credere necessariamente vero qualcosa, che per esempio ci sia tra noi una persona con una bomba pronta ad esplodere, se io cesso di credere questo cesso di avere paura. È semplice, almeno apparentemente, perché c’è un problema che già Freud aveva rilevato e cioè che la persona in realtà non vuole abbandonare la sua paura, ma questa è una questione di cui parleremo più in là, questo rende un’analisi spesso complicata però a questo punto sono talmente tante le cose che abbiamo immesse questa sera che forse è il caso di incominciare eventualmente a precisare qualcosa se voi lo volete, se no vado avanti all’infinito. Qualcosa non vi è abbastanza chiaro, volete delle precisazioni, avete dei dubbi, delle perplessità? Avete anche una chance in più a questo punto, se volete ovviamente, e cioè interrogare per esempio una vostra perplessità, un vostro dubbio, perché interviene una perplessità, perché? Perché non è possibile ancora stabilire che questo è questo, che è così, e se quello che io dico, per esempio che ho detto questa sera, scusate adesso utilizzo termini un po’ rozzi, non collima con che voi credete essere vero allora farete di tutto per “provare” fra virgolette che quello che io ho affermato è falso, e non potete fare altrimenti, che vi piaccia oppure no, perché così funziona e non da oggi da sempre da quando esistono gli umani gli umani pensano così non c’è un altro modo, cosa diceva Wittgenstein Eleonora? O si pensa così o non si pensa affatto, perché non c’è un altro modo, gli umani non hanno un altro strumento cioè un altra struttura, un altro linguaggio da utilizzare.

Tutto ciò che io ho affermato questa sera è provabile oppure no? O anche questo dipende da un giudizio estetico, e cioè mi piace pensare così quindi penso così? A questo punto sono costretto a dire alcune cose circa la prova, la dimostrazione: è possibile costruire una dimostrazione in assenza di linguaggio?

Intervento: no …

Dice di no, e in effetti devo avere degli elementi, poterli valutare, considerare, prendere delle decisioni, soppesare, devo farlo per forza e quindi qualunque dimostrazione sarà costruita dal linguaggio. Ma posso utilizzare proprio il modo in cui il linguaggio funziona per verificare se qualche cosa è necessaria oppure no, mi spiego meglio: l’unica cosa che appare necessaria che sia è come abbiamo detto per buona parte della serata il linguaggio, ora se questa è l’unica cosa necessaria, necessaria anche se volessimo affermare che non è l’unica cosa necessaria, badi bene, perché se qualcuno di voi volesse confutare tutto quello che ho detto dovrebbe ovviamente comunque utilizzare il linguaggio e questo costituisce un problema, almeno logicamente, perché per dimostrare l’inesistenza di un qualche cosa devo utilizzare questo qualche cosa e logicamente costituisce un problema però consideriamo il linguaggio come l’unica cosa necessaria anche appunto per affermare che non è l’unica cosa necessaria, in ogni caso è necessario. Allora qualunque altra cosa non sia questa appare arbitraria e cioè una costruzione, l’unica cosa che fa funzionare il linguaggio è che un elemento sia se stesso, appunto il “questo è questo”. Vi faccio un esempio semplicissimo: prendete un dizionario, un buon dizionario, quante parole ci sono in un dizionario? Duecentomila più o meno, ora immaginate che ciascuna di queste parole o lemmi significhi simultaneamente tutte le altre, provate a immaginare questa situazione, sarebbe possibile parlare oppure no? Ovviamente no, a questo punto avete immediatamente sottomano un elemento che è necessario perché il linguaggio funzioni e cioè che un elemento sia identico a sé, sia individuabile, quando dico identico a sé intendo dire che sia individuabile ma questo non per un principio di identità ma per un comando, e non è dimostrabile, in effetti non c’è nessuna prova per una cosa del genere, si può provare certo attraverso la retorica che un elemento è identico a sé, si può anche provare che è differente da sé, si può provare che non c’è altro che differenza, si può provare che non c’è altro che identità, a piacere, la retorica è fatta per questo. Per esempio vi dimostro che non è possibile l’identità: scrivere A = A è un’identità assoluta, A è A è una tautologia, ma qualcuno ha detto che non è un’identità, perché per esempio una A sta a sinistra e l’altra a destra e quindi viene a mancare il criterio fondamentale e cioè che entrambi i termini abbiano necessariamente tutte le proprietà in comune, ma almeno una non c’è e quindi non sono identiche e quindi questo proverebbe l’impossibilità di stabilire l’identità, adesso vogliamo dimostrare il contrario? Se io scrivo che A = A e dico che questa non è un’identità, che A non è identico ad A, quando dico che un elemento non è identico a sé come faccio a saperlo? Se questo elemento fosse differente da sé non potrei individuarlo in nessun modo, sarebbe comunque sempre altro, quindi affermare che questo è identico o differente non avrebbe nessun senso, a meno che l’elemento sia effettivamente identico a sé allora posso stabilire che è differente da qualche altra cosa, per esempio da sé, per cui per affermare che un elemento differisce da sé deve essere identico a sé se no non lo posso affermare.

La questione è che molte persone senza accorgersi si trovano a credere delle cose e crederle come certe, assolute, provate, cose che in realtà tali non sono affatto, e si muove di conseguenza e quindi può fare danni perché se io credo vera una certa cosa poi mi muoverò di conseguenza, se una fanciullina crede assolutamente che il suo fanciullo l’abbia tradita si muove di conseguenza, se invece pensa che non l’abbia affatto tradita si muoverà in un altro modo, cioè ha delle conseguenze. Vi invito a riflettere ancora su una piccola cosa, questa necessità di cui dicevo che procede dalla struttura stessa del linguaggio, degli umani di affermare la loro ragione, potrebbe essere considerata la causa di tutti i conflitti fra singoli e fra nazioni, perché no? In fondo un conflitto non è altro che una lotta per decidere chi dei due ha torto e chi ha ragione, una volta si usava il giudizio di dio, due impugnavano la spada e si battevano fino a che uno dei due moriva, quello che moriva era quello che aveva torto perché dio è giusto e quindi se ha fatto morire quello vuole dire che era in torto, non fa una grinza neanche questo ragionamento che pure a voi appare squinternato, ma una volta non appariva affatto squinternato, era una certezza assoluta, basta credere certi presupposti e le conseguenze vengono da sé …

 

Intervento: pensavo ad A = A in altri ambiti trans culturali, cambia solo la connotazione spaziale.

 

Lei dice che in altri ambiti una cosa del genere non funzionerebbe più? Cioè occorrerebbe che non ci fosse più la nozione di identità, di uguaglianza e quindi l’impossibilità di stabilire che una cosa è quello che è? (no) e come no? Sarebbe una conseguenza inevitabile. Lei stabilisce che una cosa è quello che è e cioè che questo è questo, io posso anche scrivere questo = questo e metterne un altro a fianco, è uguale, è una nozione che è indispensabile per il funzionamento del pensiero il potere stabilire che un elemento è identico a sé, quindi utilizzabile, perché se non è identico a sé ma è qualunque altra cosa non è più utilizzabile, è questo l’unico motivo, per cui dicevo che è un comando, si impone che questo è identico a sé. È un comando. Quando un programmatore programma una macchina e che dice questo equivale a quest’altro, non è che la macchina chieda perché, è un comando che serve a fare funzionare i programmi, non c’è nessun altro motivo e l’identità è esattamente questo. Ho detto che A = A non è provabile, certo non è provabile perché in effetti essendo una istruzione, un comando, non è sottoponibile a un criterio verofunzionale, ci si può provare ma si rischia di cadere in una sorta di regressio ad infinitum inarrestabile o trovarsi presi in aporie, in antilogie, paradossi infiniti, d’altra parte basta affermare che esiste una x e che questa x è fuori dal linguaggio per costruire un paradosso: io posso affermare che questa x è fuori dal linguaggio se e soltanto se questa x è nel linguaggio, perché per potere valutare se è fuori o dentro il linguaggio deve essere all’interno di una serie di considerazioni, discorsi, implicazioni, e quindi all’interno del linguaggio e quindi posso affermare che esiste una x che è fuori dal linguaggio se e soltanto se questa x appartiene al linguaggio, solo a questa condizione, e quindi affermare che qualcosa è fuori dal linguaggio è preso già in un paradosso. Molti pensano che qualcosa sia fuori dal linguaggio perché forse hanno un’idea di linguaggio non abbastanza articolata e precisa, perché una volta che questa nozione si articola e si precisa allora ci si rende conto che dal momento in cui si avvia il linguaggio, si avvia l’esistenza stessa delle cose, della persona, di tutto.

 

Intervento: ad esempio io penso che gli esseri umani proprio dotati di linguaggio sono in grado di sopportare una certa vaghezza dei concetti quindi per renderla utilizzabile non è che deve essere A = A , deve essere grosso modo A = A tant’è che rispetto alla psicanalisi …..ci sono tante teorie ma quella su cui Lacan si basava, tutto il meccanismo del linguaggio era sempre sostituzione, metonimia, una cosa è cosa non è…tutto con la negazione eccetera quindi vedo che soprattutto in un ambito psicanalitico questa necessità del principio di identità viene a mancare e proprio nella psicanalisi Lacan funziona la metafora la metonimia o condensazione e quindi non vedo come torni.

 

Torna, torna rapidamente perché lei ha fatto una sorta di sovrapposizione tra l’identità come principio ontologico, metafisico e l’identità come comando. È vero, tutta la psicanalisi e soprattutto quella che ha fatto seguito a Lacan ha preso le mosse in buona parte da De Saussure, da Jakobson e si è avvalorata proprio da questo, e cioè dal fatto che le cose sono differenti da sé, ma come dicevo prima per potere compiere questa affermazione che qualcosa differisce da sé, questo sé deve essere individuabile.

 

Intervento: io credo che quella gente lì direbbe che è una fantasia perché non è individuabile perché è solo ciò che non è, io ho inteso così quello che ho letto riguardo a queste cose, poi non dico che sia così …

 

Però anche quando lei afferma che questa cosa non è quest’altra, compie un’affermazione impegnativa perché qualunque persona un po’ attenta a quello che lei dice potrebbe chiederle “come lo sa?” in base a che cosa lei giunge a questa conclusione? È una petizione di principio, è un qualche cosa in cui lei crede fortemente? Oppure è la conclusione cui lei è giunto dopo una serie di argomentazioni? Le prime due le scarterei, dunque è giunto a questa conclusione. Quali sono le argomentazioni che l’hanno condotta ad affermare che qualunque elemento differisce da sé? Come lo sa? E qui diventa complicato. È vero che Lacan afferma questo, e non solo lui, lo so benissimo, ma se dovessi chiedere perché afferma una cosa del genere diventa un po’ complicato rispondere in modo sensato …

 

Intervento: quando parliamo di linguaggio parliamo comunque dell’ambito, di un ambito? Il linguaggio è un quadro, una struttura perfetta all’interno del quale poi prende corpo, prende vita un discorso e l’arbitrarietà è l’elemento principale del linguaggio, se ho bene inteso il suo esempio sul provare o meno che A è uguale ad A è un esempio che ha come fine quello di dimostrare che in realtà il linguaggio è di per sé un ambito arbitrario, dove il soggetto che costruisce il proprio discorso partendo da dei presupposti e arrivando a delle conclusioni che essendo un discorso all’interno del linguaggio ed essendo il linguaggio arbitrario anche il discorso è arbitrario …

 

Beh, fino a un certo punto, è vero, il linguaggio costruisce una quantità sterminata di affermazioni assolutamente arbitrarie e cioè che non sono provabili essere né vere né false oppure sono provabili all’interno di un gioco particolare, ma per potere fare questi giochi, questi infiniti giochi che il linguaggio costruisce, è necessario il linguaggio oppure no? (sì) quindi almeno una cosa è necessaria …

 

Intervento: Sì, ma infatti quando il signore parlava di Lacan effettivamente Lacan diceva che è il pensiero che è strutturato come un linguaggio e quindi il linguaggio è il presupposto di qualunque discorso e infatti poi sono i discorsi …

 

Lacan diceva che l’inconscio è strutturato come un linguaggio …

 

Intervento: sì ancora di più ma diceva che è il pensiero in generale dell’essere umano tanto è vero che parlava di …

 

La nozione di Lacan di linguaggio non è esattamente quella che intendo io …

 

Intervento: forse il problema era sul fatto che parlando di linguaggio a tutti viene in mente Lacan.

 

Io ho posto il linguaggio come una sequenza di istruzioni che costruiscono proposizioni, e la presenza del linguaggio cioè di questa struttura è l’unica cosa necessaria per potersi chiedere, per esempio, se il linguaggio è necessario oppure no, appare come l’unica cosa che è necessaria che sia, tutto il resto effettivamente è arbitrario perché sono costruzioni, sono giochi linguistici e come tali, come ho detto prima, sono veri o falsi in base alle regole che man mano si stabiliscono per giocare un certo gioco, ma l’unica cosa che non possiamo in nessun modo dire che non è necessaria è il linguaggio perché per poterlo dire o negarlo comunque dobbiamo utilizzarlo. Potremmo a questo punto dare una definizione di necessario, cosa che non è facilissima però noi lo facciamo e cioè tutto ciò che è e che non può non essere perché se non fosse allora non sarebbe né quella né nessun altra cosa. Togliete il linguaggio e togliete tutto, non c’è più niente, anzi non c’è neanche più il niente perché neanche il concetto di niente sarebbe possibile né pensabile, ecco perché tutto questo discorso che può apparire lontano in realtà dalla psicanalisi di fatto ha moltissimo a che fare con la psicanalisi anzi, direi che il linguaggio costituisce a questo punto quella cosa che gli umani hanno cercato da quando esistono, da quando c’è traccia di loro e cioè il fondamento, vale a dire quella cosa che è necessaria per qualunque altra, l’hanno cercata nell’essere ma l’essere non è necessario a niente, anche perché anche l’essere per poterne discutere ha bisogno del linguaggio.

Questa sera ho dette tutte queste cose solo per porre la vostra attenzione sul fatto che il linguaggio è prioritario non soltanto su ogni cosa ma è la condizione di qualunque cosa, e quindi non è irrilevante incominciare a riflettere su come funziona, perché se si sa come funziona esattamente il linguaggio allora si sa come pensano necessariamente gli umani, tutti in assoluto, cioè si saprà che saranno sicuramente condotti da un elemento che credono vero, attraverso certi passaggi a giungere alla conclusione e questa conclusione se l’avranno accolta è perché l’avranno creduta essere vera. Si saprà anche che se crede una certa cosa è perché c’è un discorso che supporta questa conclusione che fa credere vera una certa cosa in base alla quale poi si muoverà. Certo non è facile pensare in questo modo, significa tenere conto che ciascun elemento è necessariamente un elemento linguistico e non potere non saperlo in ciascun istante, ci vuole un po’ di esercizio …

 

Intervento: però da questo dedurre che senza linguaggio non ci sarebbe niente, d’accordissimo, però da questo dedurre che tutto è linguaggio io ho più problemi anche perché per rifarmi agli esempi quello che aveva fatto lei quello dei geni e poi il progetto genoma … si è trovato tutto si poteva curare tutto ma poi si è capito …

 

Questi sono altri dettagli irrilevanti …

 

Intervento: mica tanto, la musica, le note con le note nessuno sa spiegare come esce un’armonia … il linguaggio alla stessa maniera secondo me, capisco che senza linguaggio non ci sarebbe niente, quindi tutto è riconducibile all’interno del linguaggio mi sembra un salto, una scelta di fede che non è dimostrato, la macchina di Turing, la matematica che è molto più rigorosa del linguaggio … è stato tentato questo progetto di logicizzazione cioè spiegare con le regole della logica la matematica e non ci si è riusciti, si è arrivati a Gödel e altre cose e quindi se non si riesce a dimostrare questa cosa della matematica, come fare a dimostrare il linguaggio ordinario che è ancora più …

 

Bravo, infatti è proprio così, proprio tenendo conto di Gödel e del problema che ha rilevato all’interno dell’aritmetica, mostrando che tutto il sistema o è completo o è indecidibile, invece per quanto riguarda il linguaggio è completo e decidibile, perché io posso affermare che esiste qualcosa fuori dal linguaggio, quindi posso inserire anche questa affermazione ma non la posso dimostrare, quindi il sistema è completo e decidibile. Ci rifletta bene.

 

Intervento: con il termine linguaggio cosa intende?

 

Una sequenza di istruzioni, di comandi per la costruzione di sequenze che chiamiamo proposizioni, dalle proposizioni discorsi tutto, sì una stringa di input …

 

Intervento: facciamo rientrare nel campo del linguaggio anche il canto delle balene, il cinguettio degli uccellini che loro sanno tra di loro, ho sete, ho sonno eccetera noi no …

 

Intervento: il linguaggio inteso come codice …

 

Dovrebbe andarsi a vedere un linguista francese, un tale Benveniste che ha scritto un saggio interessante su questa questione, a proposito delle api. Il cosiddetto linguaggio delle api non è in realtà un linguaggio perché le api non possono decidere di fare altrimenti da quello che fanno, possono solo fare quello che sanno fare e nient’altro, non possono per esempio fare uno scherzo, dire alle altre api che là c’è del polline così che le altre vanno ma non c’è niente e si mettono a ridere tutte, no, non possono modificare la loro condotta, gli umani sì, gli umani sono gli unici su questo pianeta che possono mentire …

 

Intervento: un tale a proposito di linguaggio ha parlato di leggi universali e di relazioni di espressioni facciali …

 

Sì, ci sono dei segni certo, se per esempio una persona urla, sbraita e inveisce mostrando i pugni sulla faccia di qualcuno allora io posso dedurre che questa persona è arrabbiata, ma posso farlo perché esiste una struttura che mi consente di decodificare dei segni e naturalmente possiedo tutta una serie di discorsi e questioni che mi consentono di sapere quello che succede, perché se uno fa la stessa cosa nei confronti di un grillo questo grillo non reagisce perché non sa cosa sta facendo, semplicemente.

Purtroppo dobbiamo chiudere qui, però martedì prossimo approfondiremo due aspetti in particolare e cioè la tecnica psicanalitica che si avvale di tutte queste cose che abbiamo dette questa sera e dello psicanalista, cioè che cosa fa lo psicanalista, che cos’è lo psicanalista che, come dicevo all’inizio, è definito da quello che fa. Per il momento vi ringrazio e vi auguro una buona serata.