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14-11-2014

BIBLIOTECA CIVICA

 

LA GRAMMATICA DELLA PSICANALISI

La struttura della teoria psicanalitica: i casi clinici come modelli di una teoria del significato

Luciano Faioni

 

La questione del significato in Freud e cioè la teoria di Freud, nota al mondo come psicanalisi, come teoria semantica sui casi clinici, in effetti se prendete Anna O, l’Uomo dei topi eccetera, in questi casi clinici ciò che Freud rileva è che, come sapete bene, questi sintomi che la persona manifesta significano un qualche cosa che sta altrove che va ricercato nella sua storia, nella sua vicenda quindi il significato del sintomo rinvia a qualche altra cosa. Tutti i casi clinici sono fatti così, d’altra parte il sintomo stesso è un rinvio, proprio come il segno. Però questo già ha posto un aspetto interessante per il periodo in cui lavorava Freud cioè che un disagio di una persona non andava più, secondo Freud, ricercato in qualche cosa che era immanente alla situazione ma in qualche cosa che poteva essere molto più antico, qualche cosa di lontano e che pur essendo molto antico continuava a manifestare, a produrre degli effetti. Cosa che per la medicina di allora e anche di adesso è più difficile da pensare e cioè il sintomo, si individua la causa del sintomo, che è connessa immediatamente con il sintomo ma non è in genere qualche cosa che ha origini molto lontane, come avveniva in Freud, e il motivo di questo era il fatto che Freud non si occupava di fisiologia o di medicina in generale ma di psicanalisi. Questa modalità di rinvio è per esempio evidente in modo molto chiaro nel saggio sul Diniego del 1925, diniego che non è la negazione, c’è in tedesco una parola per “negazione” ed è “Negation” , la negazione come ciascuno di voi sa è l’operazione che trasforma un’affermazione vera in una affermazione falsa, il diniego no, il diniego fa un’altra cosa, il diniego, vi riporto il famosissimo esempio che fa Freud di un suo analizzante il quale gli racconta che “ha sognato una donna ma non era sua madre” quindi il diniego pone un elemento all’interno del discorso che apparentemente non ha nulla a che fare con il discorso e poi lo nega, è come quella famosa frase “qui lo dico e qui lo nego” questo rende conto di ciò che Freud illustra a proposito del lavoro psichico, e cioè del fatto che c’è un lavoro che serve da una parte a mantenere quell’elemento “pulsionale” dall’altra il lavoro per fare in modo che questo elemento “pulsionale”, che non è accettabile dall’Io, possa invece essere mantenuto, possa continuare a essere presente e nel caso specifico in effetti l’elemento “madre” che evidentemente è connesso con dei pensieri non può essere accolto, viene detto ma si aggancia a questa affermazione un’altra affermazione che nega la prima cioè “non era mia madre”, ora supponiamo, sempre sulla via indicata da Freud, che questo sogno avesse qualche risvolto erotico allora connettere un pensiero erotico alla madre è sconveniente, quindi ha sognato una donna che in qualche modo aveva a che fare con la madre, però questo non è compatibile con l’eroticità del sogno e allora ecco l’aggiunta “ma non era mia madre” cosa che nessuno gli aveva chiesto “excusatio non petita, accusatio manifesta” cioè una scusa non richiesta è un’accusa manifesta, quindi questo esempio che fa Freud illustra molto bene ciò che lui elabora rispetto al lavoro psichico che serve a mantenere un elemento che appare irrinunciabile per la persona ma al tempo stesso lo rende accettabile dalla morale sessuale civile, appunto in questo caso. Ora la questione si fa più interessante se si considera da dove viene questa idea e cioè che quella donna che la persona ha sognato fosse sua madre, è una fantasia ovviamente, ciò che a noi interessa è il fatto che la condizione perché il contenuto di questo sogno possa essere disagevole è che ci sia già presente nella persona un giudizio di valore rispetto a ciò che ha sognato e cioè il fatto che la connessione tra la madre e l’erotismo è male, questo è un giudizio di valore, che ci porta su un’altra questione e cioè tutto ciò che accade per quanto riguarda, badate bene mi sto sempre attenendo a Freud, per quanto riguarda la “rimozione” necessita inesorabilmente di un giudizio di valore, e cioè io devo essere in condizioni di valutare negativamente un qualche cosa perché questo processo che Freud chiamava “rimozione” si metta in atto, se no che cosa rimuovo? Non ho motivo di rimuovere alcunché quindi perché rimozione si produca è necessario che questo processo veda già l’esistenza del linguaggio cioè di un discorso, un giudizio di valore non può formularsi se non c’è un discorso, se non c’è linguaggio quindi di conseguenza, perché comporta una valutazione quindi mettere in relazione delle proposizioni con altre comporta delle considerazioni intorno al fatto che certe considerazioni sono in conflitto con altre considerazioni, valutare che questo conflitto non può permanere e quindi la necessità di reperire una soluzione, tutto questo è un processo abbastanza complesso e non può avvenire se non ci fosse una struttura che consente di compiere tutte queste operazioni, però a questo punto facciamo un altro passo, un passo indietro e cioè torniamo allo scritto di Freud sulle pulsioni nella Metapsicologia, il primo capitolo del 15 “Pulsioni e loro destini”, in questo scritto Freud attribuisce alla fonte della pulsione qualcosa di corporeo, di organico, di biologico il corpo produrrebbe degli stimoli che poi innescherebbero una serie, a cascata, di effetti tali per cui questi stimoli del corpo, che provengono dal corpo devono essere rimossi, ora la cosa è un po’ più complicata nel senso che uno stimolo del corpo perché sia tale necessita in prima istanza di un giudizio di esistenza cioè io devo sapere che questa cosa viene dal mio corpo, e questa è la condizione per la formulazione di un giudizio di valore che dice che questa cosa che viene dal mio corpo è male, la cosa che viene dal corpo è per Freud la pulsione sessuale cioè uno stimolo sessuale per lo più, però dicevo questo stimolo sessuale occorre sia riconosciuto per quello che è cioè per uno stimolo sessuale perché in caso contrario non potrebbe costruire un giudizio di valore che lo definisce essere male, quindi abbiamo bisogno prima di un giudizio di esistenza, e poi di un giudizio di valore, come condizione perché ciò che proviene o “proverrebbe”, possiamo anche aggiungere il condizionale, dal corpo possa produrre degli effetti, che sono quelli che Freud descrive, come dire in altri termini ancora che il giudizio di esistenza e il giudizio di valore sono concetti e quindi proposizioni che appartengono a un discorso che ci indurrebbe a pensare che lo stesso corpo non potrebbe essere avvertito come tale né lui né gli stimoli che da lui provengono, se non esistesse già un discorso, che come dicevo prima, mi dice che degli stimoli vengono dal corpo e questi stimoli sono male, che è una questione interessante perché è come se Freud stesse dicendo, non lo dice ovviamente ma “come se” stesse dicendo, che questo corpo prima che ci sia un giudizio di esistenza e a seguire un giudizio di valore non può fare niente in assenza di queste cose e che quindi se, come sto dicendo, (…) vi dicevo che questa è una questione centrale oltre che nodale perché costituisce il modo per intendere la questione del linguaggio in Freud, che pure non affronta in questi termini ovviamente, se no non avremmo avuto più nulla da fare, e cioè il fatto che perché questo corpo sia un corpo è necessario che sia già inserito all’interno del linguaggio, cosa che ha altri effetti collaterali, come sapete una parte di ciò che è rimosso, per Freud, costituisce l’inconscio, una parte perché dall’altra parte è costituita dalle pulsioni, da quella cosa che Freud chiama “Es”. Es è il pronome impersonale in tedesco. Tutto ciò che viene rimosso non può che essere un discorso, ovviamente, come abbiamo visto prima perché procede da un giudizio di valore e se, come stiamo dicendo, e appare inevitabile ciò che è rimosso è un discorso, una sequenza di proposizioni, come preferite allora questa operazione che lui chiama “rimozione” non è che prende un qualche cosa e lo mette nell’inconscio perché questo inconscio non può preesistere il linguaggio, anche se lo considerassimo semplicemente come il luogo in cui si trova l’Es, di questo Es, o qualunque cosa sia, io non posso saperne nulla finchè non c’è il linguaggio, posso dire che l’Es non è dicibile, ma si incappa in un problema se non è dicibile non è pensabile, se non è pensabile come so che non è dicibile? Questo ci condurrebbe almeno teoricamente a considerare da una parte l’impossibile esistenza di qualcosa che sia inconscio, dall’altra mostra la famosissima frase di Lacan cioè che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, come primo modo per rendere conto di questo e cioè che senza il linguaggio parlare di inconscio è problematico, dicendo che “è strutturato come un linguaggio” significherebbe che il modo in cui l’inconscio si manifesta è all’interno del linguaggio, però appare improbabile l’esistenza di quella cosa che Freud descrive come “inconscio” comunque, perché comporterebbe una sorta di contraddizione in termini beh come dice la parola stessa d’altra parte, porre un inconscio fuori dal linguaggio, cosa che ancora fa Lacan comporta dicevo questa contraddizione perché se è fuori dal linguaggio non c’è nessun accesso effettivamente non essendoci nessun accesso qualunque cosa io dica di questo ipotetico inconscio lo dico attraverso il linguaggio e vale a dire attraverso una struttura che è il linguaggio che è fatta in un certo modo, con certe regole e certe procedure, in questo caso allora l’inconscio non sarebbe descritto o riportato nel linguaggio ma sarebbe qualche cosa che il linguaggio costruisce dal nulla, sarebbe un’invenzione del linguaggio. Un’invenzione più o meno utile, nella teoria di Freud l’inconscio ha avuto una sua utilità, nel senso che in questo modo è riuscito a rendere conto o a dare conto di certi fenomeni che altrimenti non sapeva come gestire però, però il problema rimane, il che ci riporta a ciò che dicevamo già molto tempo fa e cioè ciò che Freud chiama “rimozione” può intendersi molto più semplicemente e agevolmente come una sorta di conflitto di credenze, conflitto di certezze che confliggono tra loro nel momento in cui certezze di pari valore ma con segno differente compaiono nel discorso, il quale discorso essendo costruito in modo tale cioè strutturato in modo tale da impedire che elementi contrari fra loro possano coesistere deve eliminarne uno, da qui il lavoro della rimozione e questo lo abbiamo visto recentemente anche a proposito del principio di non contraddizione, due verità contrapposte non coesistono sub eodem, sotto lo stesso rispetto, lo stesso riguardo, questo significa che non possono coesistere, ma non perché qualche cosa sia bene o sia male questo è ancora precedente semplicemente per via della struttura del linguaggio, dopo, se un certo elemento, che per una serie di connessioni, poi vedremo … , appare irrinunciabile si pone simultaneamente o meglio ancora appare come da una parte “bene” e dall’altra “male” , una delle due deve essere eliminata, però deve essere eliminata perché non può coesistere, il discorso non può mantenerle entrambe per il fatto che un ente non può essere e non essere allo stesso tempo. Il giudizio di valore può o segue alla struttura del linguaggio e cioè all’impossibilità suddetta? È possibile. Vediamo se è così. Un giudizio di valore come abbiamo detto è una proposizione che afferma che una certa cosa è male, ma in seguito a che cosa giunge a questa conclusione “che è male”? in seguito a considerazioni precedentemente accolte e accettate se no non c’è modo, perché sono state accettate queste precedenti considerazioni che fanno concludere che una certa affermazione sia male? perché sono state accolte? Sono state accolte perché il discorso, il linguaggio per procedere necessita di affermazioni vere, cioè affermazioni, delle sequenze che siano accolte come vere in modo da potere su queste costruire altre sequenze, e le prime cose che sono accolte come vere sono le prime cose che vengono dette, sono accolte come vere per il semplice fatto che non esiste ancora un criterio per metterle in discussione e quindi esistono, così come esistono anche molto dopo quelle affermazioni che vengono fatte dalla persona che affermandole le pone e ponendole appaiono vere perché esistono, “esiste quindi è vero” esiste nel linguaggio naturalmente però in seguito a una serie di altre considerazioni la persona immagina che esistano di per sé ma questo è un altro discorso, dunque parrebbe, così come la questione è posta che sia la struttura del linguaggio in definitiva a decidere del fatto che un’affermazione che pone una certa cosa simultaneamente come bene e come male non possa permanere, ma che soltanto uno dei due corni del dilemma possa rimanere l’altro debba essere eliminato, quindi diciamo che strutturalmente appare essere la struttura del linguaggio a costringere a un giudizio di valore. Il giudizio di valore dice che una certa cosa è bene e fin qui potrebbe non accadere nulla finché questa stessa cosa non è simultaneamente anche male, per altri motivi e allora c’è l’intoppo, e in effetti per la persona sono bene entrambi, vi ricordate l’esempio che ho fatto un milione di volte? cioè l’esempio del bambino con la marmellata e la mamma, qui c’è la mamma e qui c’è la marmellata tutte due cose buone, per motivi diversi perché la marmellata si mangia e la mamma non necessariamente però, però ad un certo punto la mamma dice che se lui mangia la marmellata allora la mamma se ne dispiace, piange, muore, non so che altro fa … allora a questo punto mangiare al marmellata è perdita della mamma, mantenere la mamma cioè darle retta è uguale a perdita della marmellata, che si fa? Freud dice che a questo punto si crea la formazione di compromesso, il sintomo, e allora per salvare “capra e cavoli” per salvare entrambe le cose si trova una soluzione di compromesso appunto e allora non è più la mamma che mi proibisce la marmellata, che mi fa paura ma è un’altra cosa per esempio l’ “uomo nero” o qualunque altra cosa non ha importanza, cioè ho creato un sintomo che posso portarmi appresso anche per tutta l’esistenza però dicevo per il bambino in questione la marmellata e la mamma sono bene, entrano in conflitto cioè confliggono nel momento in cui uno dei due per qualche motivo, in questo caso per le parole della mamma diventa alternativo all’altro, se no per il bambino non ci sarebbe nessun problema sta con la mamma e si mangia la marmellata, se no che problema c’è? Però le parole della mamma impongono una scelta, una decisione tra due, e quindi una stessa cosa buona e il suo obiettivo si volge in due cose contrapposte che non possono coesistere insieme, ma a questo punto non è il giudizio di valore propriamente nel senso che c’è una decisione su cosa vale di più ma è il fatto che comunque una delle due deve essere eliminata per la struttura stessa del linguaggio. E possiamo anche dire quale verrà eliminata delle due, verrà eliminata o più propriamente giriamola così, viene mantenuta quella soluzione che consente di mantenere entrambe e in questo Freud non aveva torto perché di fronte a una situazione di stallo la trovata della terza soluzione è quella che permette al discorso di proseguire e cioè posso mangiare la marmellata “sì, la mamma mi sgriderà però non la perderò” perché non è lei che mi fa paura a questo punto, non è più lei ma è l’ “uomo nero”. In questo modo la soluzione che viene adottata è quella che consente al discorso di proseguire e cioè risolve questa situazione di stallo. Ma qual è la situazione che consente di proseguire? più propriamente ancora qui dobbiamo fare un altro passo indietro e cioè al saggio di Freud nel quale cerca di porre rimedio a un errore clamoroso compiuto nella Metapsicologia e cioè come dicevo la volta scorsa “Al di là del principio di piacere” e cioè che ciò che consente alla persona di proseguire o meglio ancora, mettiamola così più freudianamente, la meta della sua spinta è il “piacere”, è questo che secondo Freud della Metapsicologia è l’obiettivo da raggiungere ed è quello che muove tutto, sarebbe il primum movens e cioè il raggiungimento del piacere, “pulsione di vita” o “pulsione di morte”? la pulsione di vita mantiene il piacere, pulsione di morte che distrugge tutto ciò che glielo impedisce, compreso se stesso se lui stesso fa da impedimento, che può apparire bizzarro ma se ci si pensa bene non tanto, ora il rimedio che Freud trova al suo stesso errore e si accorge a partire dalle nevrosi di guerra, nevrosi traumatiche e al fatto che queste vengano ripetute che quindi allora non può essere il piacere l’obiettivo, ciò che la persona vuole, lì considera che ciò che la persona vuole è il controllo, la persona,il soldato ripete l’evento traumatico per poterlo gestire cioè per poterne fare un’economia, una gestione ( è nel “for da” che si intende questa questione) sì, anche, però viene il primo momento in cui Freud si accorge di questa cosa, che è il controllo della situazione, poi certo è antichissimo lo diceva già Aristotele (non può essere la gestione del “dispiacere”) ? la gestione del dispiacere? Sì, però a me interessava adesso arriviamo anche alla questione della nevrosi traumatica, nevrosi da guerra perché il soldato ripete la situazione traumatica, perché traumatica? Perché non era gestibile. Che cos’è un trauma? Un trauma, una tragedia, per usare i termini aristotelici, la “tragedia” è l’evento per definizione che non gestisco, che mi travolge di cui sono vittima, che subisco, non la agisco la tragedia, se io la agisco qualcun altro la patisce, nel senso che sono io che lo colpisco, quindi verrebbe da pensare che il trauma psichico corrisponda o abbia a che fare con la perdita di controllo e cioè trovarsi in una situazione della quale non si ha il controllo e questo provoca dispiacere, ma perché è così importante il controllo? Qualcuno potrebbe dire “chi se ne importa di controllare le cose?” ma non è così, e questo quel qualcuno lo sa molto bene perché di nuovo, la soluzione, la risposta a questa domanda viene come il caso precedente dal funzionamento del linguaggio: perdere la gestione di qualche cosa, perdere il controllo e non potere concludere, la questione rimane in sospeso, io non posso fare niente, di fronte alla tragedia più immane io sono totalmente impotente cioè non gestisco niente, ora questa cosa qui di per sé non avrebbe motivo, uno perde il controllo e va beh e allora che importanza ha? ne ha per il modo in cui lui è fatto e cioè perché è fatto di linguaggio e il linguaggio costringe a chiudere la proposizione, a concludere, questo è talmente importante che ogni volta che si conclude in qualche modo ciò che ho concluso da quel momento esiste, ogni conclusione è un’affermazione esistenziale che piaccia o meno quindi è come se, senza “come se”, l’umano, il parlante, la persona è fatta di linguaggio, e dunque si muove esattamente così come si muove il linguaggio, il linguaggio deve concludere per potere proseguire perché non ha altro obiettivo ma concludere comporta che un qualche cosa trovi una sua soluzione, trovare una soluzione è gestire per esempio la sequenza, se io la concludo la gestisco, da qui il motivo per cui è importante trovare sempre il perché, trovare la soluzione, trovare quella cosa che conclude in un modo o nell’altro, ed è anche il motivo per cui le persone si arrabbiano a morte se si toglie loro il potere perché non sono più in grado loro di concludere le cose, non hanno più il potere di farlo (…) esattamente, e la questione aperta infastidisce, non le è mai capitato di avere una parola sulla lingua, sulla punta della lingua e non riuscire a trovarla? ecco questo è un esempio molto banale certo però ciò che a noi interessa è perché a noi dà fastidio, anziché non dare minimamente nessun fastidio “non mi ricordo quella cosa” va bene e invece no uno si arrovella (quella parola potrebbe risolvere il problema) certo la parola che si è dimenticata e che magari poi ci si ricorda è quella che conclude la storia, la chiude ora a questo punto la cosa interessante è che tutti i problemi che Freud incontra e che risolve utilizzando concetti abbastanza problematici per molti aspetti in effetti possono essere intesi in modo molto più semplice e più chiaro utilizzando unicamente il funzionamento del linguaggio, consapevoli del fatto che le persone sono parlanti e quindi tutto ciò che fanno, che immaginano eccetera è fatto di linguaggio, prendete una fantasia, la fantasia è stata definita in tanti modi generalmente si contrappone alla realtà, Freud come sapete mille volte perché ve l’ho detto più di mille volte, distingue tra Wirklichkeit e Realität, la realtà psichica e realtà oggettiva, la fantasia ha di particolare questo che è un discorso ovviamente, un pensiero che ha come premessa un altro discorso e che conclude con un altro discorso, cioè non ha nessun riferimento a quella che Freud chiamava la realtà oggettiva (…) però la fantasia dicevo muove da discorso e conclude su un altro discorso, la domanda è “è possibile altrimenti?” cioè è possibile un riferimento alla realtà oggettuale? La risposta è no, ovviamente per gli stessi motivi che abbiamo visto rispetto al corpo, e cioè perché gli stimoli del corpo siano qualche cosa occorre un discorso che li faccia esistere e cioè che formuli un giudizio di esistenza, affermazione esistenziale “esiste una x e questa x è un corpo” questa sarebbe la formulazione metafisicamente corretta, oppure “esiste un ente e questo ente è un corpo” questa sarebbe la formulazione corretta in ambito metafisico, sono sempre molto incerto se fare un lavoro sulla metafisica o seguire altre vie, perché si era parlato di Paul Grice, ma ci sarebbe anche Peirce da prendere in considerazione, ma anche un saggio di Heidegger sulla metafisica che non è niente male e quindi dicevo attenersi a ciò che fa degli umani quello che sono e anche ciò che consente di intendere ciò che accade mentre parlano, ciò che accade parlando continuamente, ininterrottamente, fantasie certo c’è qualche cosa che non sia una fantasia? Dipende da che cosa si intende con fantasia ovviamente, però se ci atteniamo alla definizione che ho appena data ovviamente no, non c’è nulla che possa non essere una fantasia cioè non essere un discorso che ha come premesse altri discorsi o un altro discorso per giungere a un altro discorso ancora. E questo ci permette di considerare Freud, sì, in questo modo gli facciamo dire cose che non ha mai detto e se non le ha mai dette peggio per lui, però sicuramente Freud ha indicata una direzione in molti casi anche contraddicendosi però in questa sorta di contraddizione comunque ha aperto una strada che poi si è rivelata straordinariamente proficua, oltre che prolifica e ha consentito aperture del pensiero che sarebbero state assolutamente inattuabili senza la psicanalisi, per cui rimane sicuramente la posizione di pensiero forse la più interessante che sia mai stata formulata, e l’ha formulata Freud e di questo bisogna dargli atto, però certo come abbiamo detto miliardi di volte è chiaro che gli strumenti di cui possiamo disporre oggi o di cui potremmo disporre fra cinquemila anni ….. sono strumenti di una tale cogenza e potenza inimmaginabili, ci saranno l’intelligenza artificiale sicuramente fra alcune centinaia di anni metteranno fortissimamente in crisi certe certezze, sicurezze che gli umani hanno adesso rispetto a sé, un po’ come la rivoluzione copernicana o come la psicanalisi di Freud che ha fatto questo, potrà giungere al punto in cui le macchine potranno ricrearsi o ricreare umani a seconda delle loro decisioni molto meglio degli umani attuali, molto più resistenti alle temperature, agli urti quindi molto più resistenti, molto più intelligenti (….) chiunque avrà accesso anche alla possibilità di scaricare direttamente nel proprio cervello dati in quantità praticamente illimitata ( ….) fantascienza ovviamente ma anche andare sulla luna era fantascienza per Giulio Verne (…..) perché le macchine non possono cessare di andare avanti? Perché è ciò di cui sono fatti che li costringe ad andare avanti, perché ogni elemento è quello che è in base a ciò che è stato e al successivo (….) esatto e il linguaggio non si ferma quindi non può che produrre altre sequenze all’infinito sempre, sempre, non è la ricerca, sì Aristotele diceva che è connaturato all’uomo uno stupore, una parola greca “thauma” che Severino traduce con “timore” e in effetti sì ma è connaturato con ciò che fa l’uomo tale il linguaggio che non può fermarsi.