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14-9-2013

 

Luciano Faioni

 

FREUD, VITA DI UN SOVVERSIVO

 

Il titolo dice: Freud, vita di un sovversivo, che potrebbe apparire, detta così, una sorta di ossimoro. Freud era tutto tranne che un sovversivo, un rivoluzionario, era un tranquillissimo, medio borghese della Vienna imperiale. Cionondimeno le cose che ha fatte, la sua vita intellettuale, le cose scritte, le cose considerate, se portate alle estreme conseguenze, mostrano qualcosa di fortemente sovversivo e dirompente nella cultura del pensiero. Freud ha incominciato ad ascoltare qualcuno, occorre dire che è stata la prima volta forse nel pianeta, che qualcuno ha ascoltato un’altra persona senza precipitarsi a dirgli che quello che diceva era giusto o sbagliato, senza correggerlo, senza riportarlo sulla diritta via, ma lasciare che continuasse a parlare. È stato un colpo di genio perché la persona che incomincia a parlare, dopo un po’, quando ha esaurito i così detti “fatti” da raccontare incomincia a dire altro, qualche cosa che va al di là dei semplici fatti, e cioè incomincia a dire delle cose che riguardano i suoi pensieri, la sua storia, le cose in cui crede, le cose che pensa. Freud si è accorto che queste “fantasie”, lui le chiamerà così, che intervengono nel raccontare i così detti fatti, hanno un’importanza notevole e anzi, mano a mano si accorgerà che queste fantasie determinano i fatti. Incontrarsi con questa nuova situazione, dove le persone raccontano delle loro fantasie è stato importante per Freud, e ha dato sempre più spazio, più risonanza, più rilievo a ciò che andava ascoltando. Freud ha inteso che queste fantasie costituivano una realtà per le persone. Il tedesco, che era la sua lingua, distingue fra realtà psichica e realtà oggettiva “Wirklichkeit” come la realtà psichica, la realtà per la persona, quello che per la persona è la realtà, e la “Realität” come la realtà oggettiva, una distinzione importante, e che diventa sempre più importante. Ciò che le persone fanno, pensano, dicono, fino a che punto è debitore delle loro fantasie? Fino a che punto ciò che una persona crede, sogna, desidera è prodotto dalle fantasie? Oppure invece deve la sua esistenza alla realtà oggettiva? Quella che in tedesco si chiama “Realität”? All’inizio è difficile a dirsi, le cose sembrano molto intrecciate, difficile stabilire un confine netto che consenta di dire fin qui è una fantasia e da qui in poi è la realtà; certo Freud era un medico e come lui quasi tutti quelli che gli stavano intorno, e quindi non sapeva nulla di filosofia, di semiotica, di linguistica, di semantica, non aveva molti strumenti per affrontare la questione della differenza tra fantasia e realtà in modo molto preciso, altre dottrine, altri pensieri che stavano per altro sorgendo in quegli anni invece avevano gli strumenti per farlo. È una distinzione straordinariamente importante quella fra Wirklichkeit e Realität, tra realtà psichica e realtà oggettiva, una distinzione che per altro ha interessato gli umani praticamente da sempre: è sempre stato necessario stabilire come stanno le cose cioè la realtà, ma per quale motivo? Questo lo vedremo fra poco, ma ve lo posso anticipare: l’unico motivo è esercitare il potere, non ce ne sono altri. Fantasie, fantasmi, forse sapete che hanno la radice greca “phaíno”, da cui phainesthai che è l’apparire, quindi ciò che appare a fronte di ciò che è, questa è la differenza. Ciò che è, è una bella questione, che cosa è? A questo riguardo occorre forse fare un piccolo inciso perché può risultare importante questa precisazione, cioè dire che cosa veramente è, cioè ciò che le cose realmente sono, che cosa un qualche cosa è, per quale motivo è ciò che è, in sé e per sé. Come sapete bene sono duemila e cinquecento anni che gli umani inseguono questa domanda, hanno inventato l’ontologia, la metafisica, la religione per potere dare una risposta che fosse almeno soddisfacente, ma questa risposta, che fosse almeno soddisfacente non è mai arrivata. Ciascuna volta in cui gli umani cercano di stabilire che cosa è ciò che è, questo qualcosa si allontana perché rinvia a qualche altra cosa, dicendo che questa cosa è quest’altra mi sposto su quest’altra, e così via all’infinito. Freud tutte queste cose probabilmente le ignorava, era un medico, i medici non è che sappiano tantissimo, però ciò che sapeva è stato importante perché ciò con cui si è trovato ad avere a che fare è la fantasia, cioè ciò che appare, abbandonando il ciò che è che sarebbe dovuto essere il riferimento, e ciò che è, è ciò che garantisce della verità di ciò che affermo, come direbbe la mia amica Eleonora: a quali condizioni la proposizione che afferma che io sono qui adesso, è vera? A condizione che io sia qui adesso. Questa questione, come dicevo all’inizio, è di straordinario interesse e adesso spero di riuscire a mostrarvelo, perché se, come Freud ci ha mostrato, indicato, tutto ciò che gli umani pensano, fanno, dicono, descrivono, costruiscono eccetera è mosso da fantasie che hanno come punto di partenza altre fantasie che poggiano su altre fantasie, allora c’è la possibilità di stabilire che ciò che le persone fanno è vero o è falso? Ovviamente no, è semplicemente un gioco di fantasie che si snoda, che si svolge, un gioco. Ecco, la questione del gioco può essere interessante per illustrare il funzionamento di qualcosa del genere, cioè se gli umani vivono di fantasie e non possono agganciarsi a una realtà, allora tutto ciò che concludono le loro certezze, tutto ciò che immaginano sia determinante, sia importante è soltanto una costruzione, un gioco linguistico direbbero altri. Curiosa questione questa perché se ci fosse la possibilità di considerare qualunque esecuzione linguistica, chiamiamola così, come un gioco linguistico e niente più di questo, quelle cose che Freud chiamava nevrosi, in nessun modo potrebbero costruirsi. È una questione irrilevante, marginale, però una cosa del genere come quella che Freud descrive come nevrosi ha come condizione che la persona creda molto seriamente che quello che sta dicendo è vero, se questo non lo può fare allora, come vi dicevo, la possibilità di costruire quella cosa che Freud chiamava nevrosi non c’è, può anche essere un danno perché le nevrosi sono importanti e adesso vedremo perché, un danno. Ma quello che mi interessa riprendere è questo aspetto, quello che dice che le persone costruiscono i loro pensieri a partire da fantasie, da ciò che appare, perché non c’è altro oltre ciò che appare, e queste fantasie sono costruite su altre fantasie e queste su altre ancora, dunque ciò che gli umani pensano non ha una garanzia? Verrebbe da domandarsi perché mai dovrebbe averne una, e più ancora, che cosa si debba intendere con garanzia, e questa ci porta una domanda che a questo punto che potrebbe essere di qualche interesse: perché gli umani si sono inventati l’ontologia, la metafisica, la religione? A che scopo? Per avere una risposta definitiva? Per avere un qualche cosa che potesse dirgli che è così? Perché? Dopo che lo sanno, che succede? Niente, dopo tutto non è che ciascuno muova la sua esistenza in base a delle certezze assolute che può dimostrare, verificare, in modo totale e irreversibile, incontrovertibile, assolutamente no, quindi a che cosa serve? Che cosa serve l’idea di un qualche cosa che dica finalmente come stanno le cose, che tanto non gliene importa niente a nessuno, ma una cosa serve invece, una sola, e cioè a potere imporre la propria volontà; soltanto se io posso mostrare ad altri che ciò che dico è assolutamente vero allora avrò il loro consenso, alloro li piego alla mia volontà, allora faccio fare loro quello che voglio, serve a questo, dubito che qualcuno prima di prendere una decisione o di fare qualunque cosa si metta a valutare se quello che sta pensando abbia un corrispettivo da qualche parte che garantisca di un’assoluta, incrollabile e incontrovertibile certezza, anche perché il più delle volte quando si parla di assoluta, totale e incontrovertibile certezza non si sa neppure di che cosa si stia parlando. È possibile costruire un’assoluta certezza? Certo, si costruisce a tavolino, si stabiliscono delle regole in base alle quali se una certa cosa soddisfa delle regole allora la chiamo “assoluta certezza”, e chiuso il discorso. Però ciò che si cerca, ciò che gli umani cercano è una garanzia, una garanzia che venga da fuori, fuori di loro, fuori quindi delle loro fantasie, fuori dalla Wirklichkeit ma che venga dalla Realität, dal modo in cui le cose sono e non possono non essere, è il richiamo alla realtà, quante volte accade di sentire questo richiamo alla realtà? Quello che fa la psicoanalisi è ricondurre quella cosa che si chiama Realität, questa che è un’altra fantasia, la realtà è un’altra fantasia, ricondurla alla Wirklichkeit, il fantasma, una persona crede che siano vere certe cose? Va benissimo, queste cose che crede essere vere rientrano all’interno di un sistema di fantasie, credenze, di cose a cui gli piace credere. Spesso accade di sentire da parte della psicoterapia un richiamo alla realtà, e cioè una persona ha qualche acciacco, come angosce, depressioni, eccetera, perché ha un cattivo adattamento alla realtà, cioè sta dicendo che la fantasia deve essere raffrontata con la realtà che è un’altra fantasia, la sua, quella dello psicoterapeuta; la psicoterapia è un addestramento, freudianamente, alla psicosi, perché è questo che fa la psicosi, prende le parole come cose, è un addestramento alla psicosi, cioè lo psicoterapeuta cerca di trasformare la persona in uno psicotico, almeno quanto lui. Queste considerazioni sorgono immediatamente appena si considera che ciò di cui gli umani sono fatti: sono fantasie, e le fantasie sono discorsi. Certo la contrapposizione di cui dicevamo prima fra fantasia e realtà è stata posta, è stata posta per i motivi che abbiamo detto, la realtà occorre che ci sia perché se non c’è la realtà io non posso governare, non posso esercitare nessun potere perché non ho nulla a cui appellarmi, qualunque cosa io dica c’è sempre qualcuno che ribatte “questo è quello che dici tu, io dico un’altra cosa”, l’unica condizione è che quello che dico io sia garantito dalla realtà e allora nessuno può dire niente, e le persone faranno quello che voglio io. Come vi dicevo la realtà serve a questo. Ma posta in questi termini la questione diventa complicata perché a questo punto anche qualunque discorso, non solo il discorso che la persona racconta al suo analista, ma qualunque discorso, anche una teoria, è fatta alla stessa maniera, e cioè costruzioni fantastiche, ma qui “fantastiche” non ha nessuna connotazione negativa, sto dicendo che c’è soltanto questo, c’è soltanto ciò che la persona costruisce, ma a partire da che cosa? Dalle cose che incontra quindi da altre fantasie, potremmo indicare la fantasia in questo modo, come l’apparire di ciò che appare nel modo in cui appare, e cioè particolare a ciascuno ovviamente, perché il modo in cui le cose appaiono a ciascuno non è lo stesso, anche se qualcuno in un suo delirio sfrenato decidesse che la realtà è questa, sarebbe quella che dice lui naturalmente, comunque il modo in cui le persone la osserverebbero, la raffronterebbero, la considererebbero sarebbe sempre assolutamente personale, ciascuno vede le cose nel modo in cui le vede, ha altra via? L’altra via sarebbe vedere la cosa in sé, in sé e per sé, ciò per cui qualcosa è quello che è e non può non essere, l’occhio di dio. Che è un’altra fantasia naturalmente, questa posizione in alcuni casi ha creato qualche perplessità come dire: “ma allora non c’è niente di fermo, non c’è niente su cui appoggiare il piede? Nulla che possa garantire alcunché?” no, certo che no, ma perché dovrebbe esserci? Cosa ce ne facciamo? Per avere una certezza? Per diventare psicotici, come dicevo prima? Sì, si può anche diventare psicotici, non è proibito, ma non è neanche interessante, e come vi dicevo invece la psicoterapia induce a fare questo, diventare psicotici, cioè ottimi cittadini. Che cosa deve fare il bravo cittadino? Fare quello che il governo gli dice di fare, e perché lui faccia, il cittadino, deve essere convinto che quello che dice il governo è la realtà…

Intervento: se non ci mette la sua creatività…

Sì, la sua intelligenza, ma lo stato, il governo più propriamente provvede a fare in modo che questo non si verifichi, poi non ci riesce sempre naturalmente e per fortuna, però l’intendimento è questo: se io voglio che qualcuno faccia esattamente quello che voglio io, non deve prendersi molte iniziative, deve attenersi alle cose che io gli dico che sono vere, se fa quello che vuole lui è finita. Dicevo delle scompiglio che una cosa del genere potrebbe provocare, dico “potrebbe” provocare, ma in realtà non provoca assolutamente niente, è soltanto una chance, un’occasione per continuare a giocare, che è ciò che un’analista invita a fare, invita a giocare. Quando una persona parla procede per affermazioni, il discorso procede così, non ha un altro modo per dire le cose, afferma delle cose e a un certo punto accade che una o più affermazioni è come se volessero attestarsi su qualche cosa e stabilire che è così, è a quel punto che sorgono i problemi, ed è lì che l’analista interviene a fare in modo che anziché essere bloccato su questo punto il discorso possa riavviarsi, possa cioè continuare a giocare; quando il gioco si ferma e si smette di giocare allora le cose si fanno serie, si fanno gravi e in effetti diventano gravi, la gravità sta lì, nel pensare che qualcosa sia grave ovviamente. Questo che fa l’analista, ed è la cosa più straordinaria perché soltanto l’analista può fare una cosa del genere, nessun altro può farlo, perché soltanto l’analista è stato diciamo così “addestrato” ad ascoltare un discorso. Ascoltare un discorso vale a intendere che cosa all’interno di questo discorso sta cercando di chiudersi, di fermarsi, di bloccarsi, di stabilire che le cose stanno così, e se le cose stanno così il gioco è finito, non c’è altro da dire, altro da fare ma è così e basta, e allora all’analista non rimarrebbe altro che prendere atto che le cose stanno così. Ma le cose non stanno così, non stanno neanche in un altro modo, non stanno effettivamente, sono prese in un gioco continuo è come, avete presente il caleidoscopio, quando ero piccolo si giocava con il caleidoscopio. Il caleidoscopio mostra continuamente altre immagini, altri giochi, altri colori ininterrottamente, incessantemente, ecco, potete pensare al discorso come qualcosa del genere, che non si attesta più da nessuna parte perché non ha motivo di farlo, perché ha smesso di credere che le cose siano in un certo modo, che debbano essere in un certo modo, perché non c’è niente, né in questo mondo, né in nessun altro, che possa dimostrare che stanno in quel modo. Ma a questo punto interviene un’altra cosa ancora: supponiamo che tutte le conclusioni di ciò che ho detto adesso, tutto ciò che ho affermato io lo applichi alle stesse argomentazioni che mi hanno condotto a queste conclusioni, che succede Eleonora a questo punto? Succede che tutte queste argomentazioni che ho fatte, che ho costruite, non dicono come stanno le cose, ma producono quelle cose che hanno creato negli umani una sorta di terrore, e cioè i paradossi, i paradossi dell’autoreferenzialità, cioè utilizzare le conclusioni di certe argomentazioni sulle argomentazioni stesse, i paradossi famosissimi, antichissimi “Epimenide cretese dice tutti i cretesi mentono”, che hanno così tanto spaventato gli umani che addirittura Russel ha posto il divieto su di essi. Non è che abbia risolto il problema ovviamente, ha semplicemente detto “questo non si deve fare” non si deve fare, non si deve pensare oltre un certo limite se no fa male, se no succedono problemi, se no non va più bene. È questo che è sempre stato insegnato agli umani, e questo invece è ciò che la psicoanalisi può dire: “non c’è limite al pensiero”. Non c’è limite a ciò che le fantasie possono costruire, e per altro anche i limiti, se li volete imporre a tutti i costi, anche questi procedono da fantasie, non hanno vita autonoma. In un’analisi una persona parla, racconta le sue fantasie che poi non sono neanche tante, sono quelle che Freud ha elencato grosso modo rispetto ai quattro discorsi: isterico, paranoico, ossessivo e schizofrenico. Per esempio la fantasia nel discorso paranoico è quello di essere la “prima donna”, soprattutto se è un uomo, il discorso paranoico deve imporsi su tutti, deve avere l’attenzione di tutti, nessuno deve contraddirlo perché solo lui sa come stanno le cose, e su questo costruisce la sua esistenza. L’ossessivo immagina di essere l’immondo, deve essere reietto, e immagina che tutti si accorgano di questo, è al centro dell’attenzione di tutti che lo colgono in fallo, continuamente, e su questo costruisce la sua esistenza. L’isteria pensa di essere l’unica, non ce ne sono altre, curioso per esempio nel caso di una donna nell’isteria, perché non c’è una competizione con le altre donne, perché le altre donne, semplicemente, non esistono, c’è solo lei. È una fantasia anche questa. Queste sono fantasie, ma la persona crede davvero che sia così, l’isterica di essere l’unica, il paranoico di essere quello che deve essere al centro del mondo ci crede davvero, e si comporta di conseguenza ovviamente, è un po’ come il fondamentalista islamico, lui crede davvero che quando sarà morto dopo avrà le sue settanta vergini, e siccome crede veramente in questa cosa che si fa saltare per aria dentro a un cinematografo affollato. Bisogna credere nelle cose molto fortemente perché succedano queste cose. Ho accennato brevemente a ciò che mi interessava dirvi, adesso bisogna lasciare qualche momento al dibattito, che per altro si è già avviato in qualche modo, per cui possiamo semplicemente proseguire. Per alcuni tutti questo è scatenare l’inferno, Freud cita una frase latina: “Si nequeo Superos, Acheronta movebo” che potremmo tradurre così “se non posso piegare gli dei, scatenerò l’inferno”.