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LE FIGURE RETORICHE DEL DISAGIO: L’ANORESSIA

 

12/5/1998

 

Questa sera parliamo dell’anoressia che da qualche tempo è di moda; anche le malattie e i disturbi di vario genere non sono indifferenti alle mode e agli usi del momento, ma così come abbiamo fatto in altre occasioni inizieremo a descrivere alcune fra le fantasie più comuni, più diffuse, rispetto a questa questione e cioè l’anoressia. Curiosamente sembra che questo tipo di disturbo sia più diffuso fra le fanciulle che fra i fanciulli e in effetti c’è un aspetto che interviene molto spesso nell’anoressia che ha a che fare con il proprio corpo naturalmente, ma soprattutto con il timore che il proprio corpo sia inaccettato e inaccettabile a causa della sua grassezza. Ma questa grassezza cosiddetta che poi il più delle volte non appare tale agli occhi dei più, appare invece tale alla fanciulla anoressica e qui occorre subito porre un elemento che forse può risultare essenziale per il prosieguo e cioè il fatto che uno degli aspetti rilevanti è che il corpo femminile acquistando delle curve cosiddette, appare fortemente marcato dalla femminilità; nel luogo comune più diffuso queste curve sono un attributo generalmente femminile: l’assenza di queste tende a porre il proprio corpo come asessuato. In effetti, il modello a cui molte fanciulle si rifanno è quello delle indossatrici che in genere, visto il lavoro che fanno appaiono essere non grassissime. Dunque un corpo provvisto di curve appare o può apparire eccessivamente femminile; nelle fantasie di alcune anoressiche la femminilità o comunque la sessualità è avvertita per lo più come qualcosa di sporco come si diceva una volta, comunque impuro. Tutto ciò che quindi è grasso è impuro secondo una teoria abbastanza diffusa anche nell’Islam anche se lì è più la carne di maiale che ha questa prerogativa. La purezza, un corpo puro e quindi asessuato, non contaminato cioè dal sesso; la questione sessuale nell’anoressia è spesso un problema; un problema perché è connesso con l’impuro e talvolta anche con il grasso per via della connessione fra il corpo femminile provvisto di curve, la femminilità e la sessualità c’è un’equazione abbastanza rapida. Tutto questo appena per approcciare la questione, che di fatto è poi in ciascun caso piuttosto complessa. Un’altra fantasia che interviene nel caso dell’anoressia riguarda l’idea di compiere, attraverso questo digiuno forzato, una sorta di gesto eroico e in questo non è lontanissima, l’anoressia, da colui che assume droga, forti quantità di droga con l’idea molto spesso di compiere un gesto eroico cioè qualche cosa che può condurre alla morte e d’altra parte anche qualche cosa che pochi fanno o che hanno a loro avviso il coraggio di fare: anche per questo è più diffusa, almeno le droghe pesanti, quelle più pericolose, tra i giovani che tra le persone molto anziane; è difficile trovare un ottantenne che si buchi, perché ha meno velleità eroiche. Ma per tornare alla questione dell’anoressia, l’idea di fare qualche cosa che comunque merita almeno la considerazione da parte del prossimo, per via del fatto che si fa una cosa che nessuno fa: è questo anche in parte il motivo per cui la cosiddetta anoressia difficilmente abbandona la sua posizione; e anche qui, così come per il drogato, non è casuale che l’anoressia cessi il più delle volte di per sé passata una certa età, generalmente l’età molto giovane. Anche qui, in questo caso, il gesto eroico cede il passo a considerazioni più tranquille, si perde la velleità eroica e ci si accorge che tutto sommato non ha nessuna utilità il digiuno forzato; digiuno forzato che giunge in molti casi alla bulimia che come sapete è l’espulsione forzata di tutto ciò che si è ingoiato: nulla di ciò che si ingoia può rimanere all’interno del proprio corpo, di nuovo per una questione di purezza; tutto ciò che viene ingoiato contamina e quindi deve essere eliminato immediatamente, e così accade. C’è anche nell’anoressia qualcosa che ricorda molto le mistiche del medioevo e anche oltre, l’idea di una purezza a qualunque costo e l’idea soprattutto di dovere mantenere una purezza assoluta, incontaminata. C’è una fortissima religiosità nell’anoressia così come anche in molti altri disturbi, come abbiamo visto in molte occasioni. Il problema, in tutte queste forme, questi modi di pensare, (potremmo anche chiamarli così; è solo un modo di pensare), hanno una forte componente religiosa ed è per questo motivo che è straordinariamente difficile intervenire rispetto a questi disagi. Così come stiamo illustrando da tempo, la più parte delle nevrosi e delle psicosi hanno una struttura che è fortemente religiosa e allora chi si pone il problema di curare le nevrosi o le psicosi, potrebbe porsene uno più radicale "come si cura la religione?" A nessuno potrebbe venire in mente di pensare che la religione sia una malattia, in effetti, in genere non avviene. A nessuno verrebbe in mente di curare la religione come una malattia, tuttavia come abbiamo in varie occasioni messo in evidenza, la struttura è esattamente la stessa anche nel caso dell’anoressia; prendete la fantasia che citavo poc’anzi, ma potrebbe essere una qualunque, della purezza, della necessità di mantenere il proprio corpo incontaminato: perché mai un’idea del genere? Occorre che sia molto fortemente radicata l’idea del male, l’idea dell’impuro, che come ciascuno sa non è necessaria; tuttavia è così forte al punto da potersi paragonarla a una mistica. Questa idea di mantenere il proprio corpo in assoluta purezza è l’idea che ha ciascuna suora, anche se utilizza dei mezzi differenti, ma l’idea di mantenere il corpo puro e non contaminato è la stessa. Comunque si tratta a questo punto soprattutto di intendere che l’anoressia, al pari di altre manifestazioni, è un modo particolare di pensare che molto deve alla struttura religiosa, ma poi ci mette del suo. Per tornare a quanto vi dicevo prima, posta la questione in questi termini, domandarsi se è possibile guarire dall’anoressia, dalla bulimia, non è così lontano dal domandarsi se è possibile dalla religione e porsi la domanda può essere relativamente facile, più difficile è provare a tentare una risposta a questo quesito. Vedete, nel caso dell’anoressia, così come in qualunque altra circostanza, questa idea della purezza, che scompare per lo più dopo una certa età, non è che scompaia del tutto, semplicemente si modifica, cioè la persona riprende a mangiare regolarmente; però ciò che ha motivato questo episodio anoressico rimane, anche se poi mangia tutto quello che vede, cioè se non ha più questo problema, la questione rimane. Per esempio, il più delle volte rimane un elemento che può essere più o meno psicotico; un forte legame con l’idea, comunque di purezza, che può essere la purezza per esempio morale, politica o di qualunque altro genere; in altri termini subisce una variante però assume una configurazione, in seguito, che non è più perseguita, né dai famigliari né dagli amici perché una forte moralità o un forte ideale politico non sono considerati malattia nella nostra civiltà; l’anoressia sì. E allora il problema che ci si trova di fronte in un caso di anoressia, non è poi dissimile dal caso di qualunque altro tipo di "disturbo", è esattamente la stessa cosa; il fatto che assuma una configurazione particolare, non comporta una differenza così radicale da altre forme differenti, così come l’altra volta si accennava, per esempio all’angoscia; vedremo poi l’ansia e la depressione, depressione che per altro si accompagna spesso con l’anoressia: perché si deprime l’anoressica? Perché comunque per quanto faccia, potrà pesare anche mezz’etto, ma in ogni caso quel mezz’etto è grasso ed è impuro e quindi non si toglierà mai l’idea di essere impura e comunque di avere dello sporco addosso. È un po’ come ai tempi di Freud: c’erano le casalinghe che pulivano moltissimo, infatti racconta una cosa che egli chiama "la nevrosi della casalinga", la quale deve pulire assolutamente ed ininterrottamente qualunque cosa; incessantemente, perché è sufficiente un istante successivo al passaggio del piumino per la polvere e già subito la polvere si è ridepositata, perché la polvere fa parte dell’atmosfera in cui esistiamo e non è toglibile salvo utilizzando dei sistemi molto complicati e cioè togliendo l’aria completamente, però diventa poi difficilissimo perché bisogna respirare attraverso respiratori, altrimenti la polvere si rideposita immediatamente e quindi la casa sarà sempre necessariamente sporca e quindi si è assicurata un motivo dell’esistenza; perché dovrà sempre rincorrere ogni granellino di polvere il quale, paradossalmente, fornisce il motivo della sua esistenza, la sua giustificazione. Al pari di questo, l’anoressica insegue e persegue questo obiettivo, di togliere tutto il grasso cioè tutto lo sporco, tutte le impurità; operazione che la coinvolge 24 ore su 24, perché inesorabilmente essendo un’idea non ci sarà nulla al mondo che potrà dissuaderla dall’essere grassa, anche se pesa mezz’etto; quel mezz’etto comunque è grasso, quindi è grassa e pertanto potrà proseguire con questa idea, finché non ha l’occasione di mutare questa cosa che appare essere piuttosto giovanile, così come l’assunzione di droghe pesanti. Sono malattie infantili, con l’età e con l’acquisto della saggezza generalmente si perdono queste velleità; certamente avvengono dei casi in cui i genitori preoccupati impongono un ricovero ospedaliero, allora la persona viene nutrita artificialmente, che non è sicuramente il modo per sbarazzarsi dell’anoressia, anzi generalmente la conferma, però i genitori in alcuni casi sono spaventati dall’eventualità che la fanciulla possa morire di inedia; in effetti, sembra che perdendo le forze oltre un certo livello l’organismo reagisca male a qualunque stimolo. Finché permane questa idea di santità e di purezza, l’anoressia non scompare, esattamente così come finché nel giovanotto che deve compiere l‘atto eroico, finché questo non scompare, lui continuerà a "farsi", perché è una cosa che è fatta per l’altro, per il pubblico, non per sé, quindi non può cessare di fare questa rappresentazione che assume un’importanza tale da essere assolutamente irrinunciabile; ecco quindi finché questo non cessa oppure non si inserisce una variante, non c’è nessuna occasione che l’anoressia si arresti, cioè che la fanciulla cessi di digiunare o di espellere tutto ciò che ha ingoiato. Anche se ciò che enuncia è il desiderio di non farlo così come il cosiddetto drogato dice di volere smettere di drogarsi, ma se lo volesse smetterebbe; voglio dire che c’è qualche cosa nel suo discorso che mentre da una parte ciò che enuncia va in una direzione, questo altro elemento del suo discorso va esattamente nella direzione opposta e gli impedisce di fare ciò che dice di fare. La questione è che questo altro discorso non è che appartenga ad un’altra persona, ne gli sia stato inculcato in chissà quale modo, fa sempre parte del suo discorso ovviamente, cioè qualcosa che lo riguarda. E non è nemmeno casuale che insistono spessissimo nell’anoressia altri due aspetti che molto spesso sono due facce della stessa questione: una relazione generalmente orribile con il papà e una notevole dose di arroganza; sono caratteristiche quasi peculiari. Come dicevo queste sono le due facce della stessa questione; questa arroganza spesso è messa in evidenza proprio con il papà e in alcuni casi, l’idea che sorge è che questa sessualità è connessa in qualche modo con il papà e quindi deve essere eliminata, eliminando tutto ciò che può eccitare il papà; la supposizione che il papà sia eccitato dalle curve di una femmina e quindi va tutto piallato, in modo che non ci sia più niente e quindi il papà non sia tentato; questo indipendentemente dal fatto che il papà lo sia oppure no. Ma se io temo che una persona voglia aggredirmi e non ho nessun motivo per pensarlo e mio costruisco questa fantasia, c’è una sorta di tornaconto nella costruzione di questa fantasia; nel caso dell’anoressia l’idea che comunque il papà la desideri e deve difendersi da questa cosa che lei stessa ha creato così come in ciascun caso di nevrosi: ciascuno si difende esattamente da ciò che ha creato; il più delle volte lo crea per potersi difendere. Ma il fatto dell’arroganza di trattare il papà o comunque i genitori malissimo, accusandoli di ogni cosa, è un’operazione pretestuosa, tuttavia nella fantasia che muove una cosa del genere, c’è come in ciascuna fantasia, anche la più bizzarra, una coerenza formidabile. In alcuni casi per esempio, la rabbia e anche l’amore, altrettanto entrambe feroci nei confronti della mamma, consiste nel fatto che la mamma non capisce che lei, l’anoressica, fa tutto questo anche per la mamma, perché tenendo lontano il desiderio del papà, tiene il papà vicino alla mamma. Non è che queste fantasie appartengano soltanto alle anoressiche, sono straordinariamente diffuse, solo che nell’anoressia assumono questa forma anziché altro. Non è che tutta la questione connessa con il complesso edipico, di cui Freud ha iniziato a parlare sia qualcosa che sia insito negli umani, per nulla, e sono delle produzioni che talvolta si verificano a partire dal fatto che alcune persone sono più di altre a portata di mano, quindi a disposizione, più di altre disponibili; una persona che non si conosce, un estraneo è meno disponibile ad essere trattato male, c’è l’eventualità che reagisca malissimo; una mamma no, generalmente reagisce bene o comunque è sempre disposta a tollerare cose che un estraneo c’è l’eventualità che non tolleri affatto e l’estraneo può diventare pericoloso, la mamma no. E poi il fatto che le persone più vicine sono quelle che si trovano ad essere le prime persone su cui si appoggiano, si proiettano varie storie, identificazioni e soprattutto tutto ciò che viene costruito fin dai primi anni, trovano in queste figure, visto che sono quelle che maggiormente sono presenti, una sorta di schermo su cui proiettare tutto ciò che accade. Sul discorso del complesso edipico ci sarebbe tanto da dire, soprattutto di come in seguito, non tanto a Freud, ma ciò che la vulgata che è passata di Freud, sia stato utilizzato come una sorta di luogo comune per cui si suppone che generalmente il bambino voglia accoppiarsi con la mamma e invece la bimba con il papà, cosa che non è così necessaria. La questione è molto complessa, fatto sta che alcune di queste fantasie si prestano molto bene alla costruzione dell’anoressia e di molti altri disturbi; l’anoressia immagina di essere fortemente desiderata dal papà, non tanto perché abbia un desiderio erotico fortissimo nei suoi confronti, molto spesso non è affatto questa la questione, ma si innesca talvolta l’idea che, in una donna, soprattutto in una ragazzina, che l’unico modo per essere amate sia quello di essere possedute. Questa idea riguarda la necessità di sentirsi desiderati, amati, e questo sì che sembra essere una tendenza spiccata negli umani, cioè non essere soli, non sentirsi soli, ma anche qui potremmo aprire una brevissima parentesi perché in effetti è difficile poi dire perché esattamente questo sentirsi soli rappresenta un problema, dal momento che la presenza dell’altro non è necessaria per fare delle cose: se si ascolta una persona che si sente sola, la sua solitudine non riguarda la mancanza di una persona per svolgere qualunque operazione, ma se la si interroga, sarà difficile che si ottenga una risposta soddisfacente, non lo sa, eppure ha l’assoluta certezza di sentirsi sola e che questo costituisca comunque una sensazione sgradevole; ma che cos’è sentirsi soli propriamente? Ha a che fare il più delle volte con la paura connessa con qualcosa che ha a che fare con una sorta di solitudine radicale e strutturale in cui ciascuno si trova, per esempio se si ascolta una fanciulla anoressica, ci sono buone probabilità che ad un certo punto lei confessi che nessuno, oppure la proposta a farlo, la capisce anche se parlano la stessa lingua, ma eppure è come se fosse così, perché il partner non la capisce, ma di nuovo, alla richiesta di spiegare che cosa intende esattamente per capire, sarà difficile che sappia spiegare di che cosa si tratta, pur avendo l’assoluta certezza di non essere capita. Eppure in qualche modo non ha nemmeno tutti i torti a dire che nessuno la capisce, anzi potremmo dire che ha assolutamente ragione, non solo nessuno la capisce, ma questa è una condizione che è assolutamente ineluttabile, inesorabile e irreversibile; adesso sono stato un po’ drastico, ma in effetti è così perché, e qui torniamo alla questione della paura e della solitudine, in effetti, è come se ciascuno avvertisse a modo suo che ciò che dice non è compreso da altri, anzi ciò che penso non è compreso da me; non è compreso nel senso che i pensieri in cui mi trovo si alterano, mi sfuggono, cambiano, mutano continuamente, non riesco ad afferrarli; se dovessi dire che cosa penso esattamente, in molti casi mi potrebbe essere difficile rispondere a questa domanda. E allora non è tanto che gli altri non mi capiscono, è che questa non comprensibilità di comprensione riguarda me e miei pensieri e da qui naturalmente la difficoltà che altri possano capirmi e soprattutto da qui la richiesta che altri riescano a compiere quell’operazione che io non riesco a fare: capire quello che dico, capire i miei pensieri, capire perché penso certe cose, perché mi vengono in mente certe cose che non vorrei che mi venissero in mente…

- Intervento: Come abbiamo detto molte volte, poi l’analista in realtà non può farsene molto delle cose che si è detto fino ad ora, in quanto sono solo delle tipizzazioni, alcune delle fantasie più diffuse; però come rilievo probabilistico possono avere un senso, nel senso che a posteriori l’analista può dire che tutte le persone che hanno detto di soffrire di questa cosa presentano lo stesso tipo di discorso, per cui pur non avendo senso dal punto di vista analitico, lo hanno dal punto di vista statistico, e mi chiedevo se l’utilità di tutto questo possa essere statistica, piuttosto di non farsene nulla.

Non è che tutte le persone anoressiche, con le quali mi trovo a che fare, pensano in quel modo e quindi l’anoressia è caratterizzata da queste cose, ma invece è che per essere anoressici occorre pensare in quel modo; come dire che è possibile reperire delle condizioni dell’anoressia senza le quali non sarebbe possibile, allo stesso modo rispetto all’angoscia, cioè alcune figure della religiosità che sono quelle che consentono l’anoressia.

- Intervento: Ma rilevando alcune caratteristiche come l’eccessiva magrezza, il discorso sulla purezza eccetera, un analista potrebbe anche rilevare le altre che abbiamo detto oppure no?

Assolutamente no; il percorso è inverso, cioè il fatto di rilevare che una persona è magra, di per sé non significa niente, diciamo che è anoressica la persona che si rende tale e quindi inizia a esporre tutta una serie di discorsi intorno a questa questione costruendo la sua anoressia, in effetti, è una costruzione, non importa se sia magra o grassa, ma ciò che importa è ciò che dice una persona, cioè il suo discorso, in effetti, un po’ come accade certe volte ad una persona che inizia un’analisi dicendo che ha questo problema e accorgersi poi, lungo il procedimento, che la questione non è affatto quella e quindi il discorso va altrove: etichettarla come anoressica non ha nessun interesse. Una volta andava di moda il ballo di S. Vito, ora non usa più; tra qualche anno probabilmente sarà scomparsa anche l’anoressia, così come molti disturbi che seguono le mode, per una sorta di identificazione in alcuni casi; è un modo di pensare; così come per il ballo di S. Vito occorrono delle condizioni per poterlo praticare, allo stesso modo l’anoressia; certo la questione andrebbe affrontata come ho detto all’inizio e cioè ponendo delle condizioni per un’analisi di una struttura del discorso religioso, non considerando la religiosità una malattia ovviamente, che non ha nessun interesse, però come la condizione per l’esistenza di tutto ciò che comunemente è inteso come disturbo.

Intervento: A proposito di questa solitudine strutturale, nella quale ciascuno di noi è immerso, non crede che sia soltanto un aspetto della situazione, una faccia della medaglia, perché mi viene da pensare alla sofferenza come sempre lei ne parla, a proposito del buddismo che accentra il suo discorso su un aspetto dell’esistente trascurando invece si possono trovare altrettanti motivi per essere felici o comunque per non essere così sofferenti. Io credo che si ponga un accento fin troppo forte su questa solitudine definendola strutturale, perché se uno va bene a ricercare, allo stesso modo che per la sofferenza, può trovare altrettanti motivi per non sentirsi così soli, così isolati ed incompresi.

Ho usato questo termine solitudine non intendendo lo stare da soli, ma per solitudine estrema intendo che io non potrò avere mai, in nessun modo la possibilità di raggiungere la certezza che altri hanno inteso quello che dico o che io stesso ho inteso quello che dico, Questo non lo posso in nessun modo stabilire: ecco da qui ciò che intendo per solitudine estrema che è una chance, un’occasione non è una cosa negativa: è questa consapevolezza dell’impossibilità che il proprio discorso sia partecipabile a altri, lo si può pensare, lo si può credere ma non c’è nulla al mondo che lo possa garantire. Quando parlavamo dell’angoscia, abbiamo sfiorato la questione partendo da Kierkegaard, cioè dell’incertezza e della vanità di ogni tentativo di raggiungere la certezza, il ché porta alla solitudine estrema. Il lamentarsi della solitudine ha quasi sempre questa configurazione cioè come l’essere da soli in quanto non si trova, per esempio, la persona con la quale si cesserebbe di essere da soli o di provare la solitudine.

- Intervento: Ma come per qualunque altra cosa, perché da tutti i discorsi che sono emersi non ci sono delle certezze di solito sulle quali poter fare affidamento e quindi qualunque situazione si vada a considerare, qualunque condizione ci mettiamo ad analizzare troviamo le stesse condizioni di totale incertezza.

Sì e no; ciascuno muovendosi si trova preso in una serie notevole di certezze che non mette in discussione, ma non potrebbe nemmeno farlo, perché non servirebbe a nulla, ne avrebbe alcun senso e queste cose che non possono essere messe in discussione sono le regole del gioco; queste regole devono essere accolte ed accettate per fare quel gioco necessariamente, altrimenti quel gioco non si può fare. Se due persone giocano a poker e una delle due mette in dubbio le regole del poker; mettendo in dubbio le regole del poker, chiaramente non si può più giocare; se si vuole fare quel gioco, necessariamente si devono accogliere quelle regole, altrimenti si cessa di giocare. Ora, io ho fatto questo esempio, del poker, ma ciascun gioco linguistico ha una struttura che è molto simile, e cioè necessita di regole per potere farsi e queste regole devono essere seguite per potere giocare; non seguire queste regole è non giocare più. In alcuni casi non seguire le regole di un gioco può non essere gravissimo, però in altri casi, laddove si tratta del vivere sociale, i problemi che sorgono possono essere notevoli ed è qui la questione più complessa, più difficile da accogliere cioè il non potere non considerare ciascuna volta che si tratta di un gioco linguistico e che ciò che si sta facendo è l’applicazione delle regole di quel gioco; nient’altro che questo.

Intervento: Quindi pura convinzione, perché se io andassi a ricercare i fondamenti di queste regole del gioco, mi troverei in questa decisione presa di adottare determinati schemi e quindi anche questa situazione non appare così solida, così rasserenante, perché oggi ci sono queste regole, ma domani ci possono essere altre regole e possiamo costruire un gioco differente: questo sembra che provochi molta incertezza.

La questione della certezza è una questione complessa, è difficile sbarazzarsene così facilmente; l’unica certezza di cui possiamo dire è che per fare un qualunque gioco occorrono le condizioni di quel gioco, cioè la struttura e delle regole per giocare: di questo siamo certi, perché in assenza di questo il gioco non si fa in nessun modo. Dunque che ci siano delle condizioni, che esista una struttura e questa possiamo chiamarla linguaggio, per esempio, l’altra è che ci siano delle regole; una regola non è altro che una limitazione che impedisce di muovere in una direzione e, in effetti, la struttura del linguaggio funziona esattamente in questo modo. Un singolo significante non può, salvo in alcuni casi con la retorica, avere molti significati; immagini che ciascuna parola significhi ciascun’altra: il linguaggio si dissolverebbe, non sarebbe più praticabile, quindi occorrono delle regole e queste regole limitano necessariamente per potere giocare, come un gioco qualunque. Il linguaggio funziona così, impedisce di fare delle cose, alcune le aveva già intraviste Aristotele, altre prima ancora di lui, per esempio che non c’è uscita dal linguaggio, che è impossibile affermare e negare simultaneamente la stessa cosa, quindi la regola limita, impedisce delle operazioni consentendone altre, ma è la condizione per giocare, se ciascun elemento significasse ciascun altro il gioco non potrebbe farsi in nessun modo. Quindi ciò di cui abbiamo l’assoluta certezza è che ci sono le regole e una struttura che consente di compiere tutte queste operazioni; certo quali regole di volta in volta, queste sì che possono variare ovviamente, ma c’è necessariamente, così come c’è il linguaggio: questa nessuno ci vieta di considerarla una certezza. Non possiamo nemmeno metterle in discussione perché se le mettiamo in discussione, non facciamo altro che confermare questa certezza. C’è un’antica e nobile arte della retorica che consente di costruire qualunque cosa e di distruggerla, io potrei confutare tutto quello che ho detto provando che esattamente il contrario, tuttavia in qualunque modo io lo utilizzi, questo gioco, lo farò attraverso una struttura: per questo abbiamo soltanto detto che questo non è negabile. La solitudine di cui si diceva è questo e cioè rendersi conto che ciascun elemento è necessariamente preso nel linguaggio e quindi inserito in una struttura con infinite variabili che non è possibile controllare, gestire e quindi ciò che io penso muta continuamente, anche se altri mi accusano di avere delle idee fisse, poi di fatto queste idee una volta che cerco di bloccarle, di fermarle, mi accorgo che incominciano a sfuggire, a dissolversi in infiniti rivoli. Per cui la questione della certezza e del dubbio, di per sé non significano molto, dipende da che cosa si intende con certezza o con dubbio e cioè qual è il ruolo che questo significante, di volta in volta, ha all’interno di un gioco particolare. Posso affermare di avere delle certezze, di non averne nessuna, non significa niente se non indico con assoluta precisione che cosa intendo con questi significanti; illustrare con assoluta precisione cosa intendo con questi significanti non è altro che definirne il loro uso in questo momento; così come abbiamo detto molte volte sono costretti a fare i logici, ciascuna volta che utilizzano un termine, devono dire che cosa intendono esattamente con quel termine. Certo che non è possibile chiacchierare così, però se si riflette attentamente su alcune questioni, si può fare, accorgendosi che tutto quello che sembrava chiaro invece non lo è oppure il contrario, cioè tutto ciò che appariva difficile, complicato e inaccessibile si mostra assolutamente semplice.

- Intervento: Quando si accenna a questa possibilità di solitudine nel senso di essere incapace di comunicare, di ricevere comunicazione, può dipendere molto da una gran povertà mentale, intellettuale?

Questo è molto difficile da stabilire, anzi sembrerebbe che talvolta proprio fra le persone che maggiormente si sono interrogate di fronte alla questione, si sono trovate difronte a un’empasse; prendiamo Kierkegaard che ha riflettuto a lungo sulla questione e si è trovato immerso nell’angoscia. In genere non avviene perché se capitasse a chi è povero di pensiero, questi non si pone neanche la questione molte volte: questo sorge quando c’è pensiero, quindi quando la povertà di pensiero incontra la ricchezza di pensiero; uno riflette e poi trova che tutte le cose che gli sembravano chiare mano a mano si oscurano e non riesce più a uscirne fuori. Ma questo è inevitabile perché se per esempio si cerca l’ultima parola e ciascuna parola essendo, per definizione e per struttura, un elemento linguistico, è inevitabilmente connesso ad un altro elemento linguistico e quindi trovando una parola se ne trova immediatamente un’altra e poi un’altra e questa ultima sfugge e così, per esempio il senso della vita sfugge continuamente, non è reperibile. Poi accade che qualcuno cominci ad interrogarsi su che cosa sia il senso e poi il senso del senso e poi la vita e la cosa diventa di proporzioni tali da non essere più facilmente approcciabili.

- Intervento: Ma l’impatto con l’ambiente nel quale vive la persona anoressica è influente oppure no?

Diciamo che l’ambiente in cui vive l’anoressica fornisce del materiale come ciascuna famiglia poi ciascuno lo utilizza secondo il criterio che ritiene più opportuno. C’era negli anni ’70, gli anni dell’antipsichiatria, che alcuni si arrovellavano sul come mai, quando cercavano di teorizzare le famose famiglie schizogene: come mai nella famiglia schizogena uno era schizofrenico ma tutti gli altri stavano benissimo? Se la famiglia è schizogena, dovrebbe essere una cosa abbastanza diffusa, perché poi teorizzavano tutta la questione del doppio legame, cioè del messaggio contraddittorio; forse non era soltanto questo, c’era anche questo, però ogni persona lo utilizzava nel modo che riteneva più opportuno, ci metteva del suo ed è questo "del suo" che occorre considerare, occorre mettere in gioco.

- Intervento: "Conosco un uomo che credo sia anoressico, ma a patto che sia così, quali possono essere le cause per averlo fatto diventare tale, visto che di solito sono ragazze?"

Innanzitutto bisognerebbe conoscere questa persona per potere azzardare una qualunque ipotesi, ma il più delle volte l’anoressia è tale perché è creduta tale. Ci sono tantissimi ragazzi che, in effetti, sono molto magri, ma non si trovano in una struttura tale da poter essere loro stessi definiti da sé, come anoressici, semplicemente sono magrissimi perché non mangiano ma per altri motivi, non ci sono in gioco fantasie che sono quelle la condizione dell’anoressia. Certo che è sempre molto difficile, anche perché ragazzi magrissimi che si definiscono anoressici, non ce ne sono molti. Si potrebbe considerare che in alcuni casi l’eccessiva magrezza è come un assoluto disinteresse per il proprio corpo, oppure una sorta di auto distruzione ma per motivi diversi da quelli dell’anoressia. L’auto distruzione fa sempre parte, e qui forse ci può essere l’aggancio con il gesto eroico come i ragazzi che si drogano, come un gesto di sfida, o di spregio di tutto ciò che ritengono importante, come se distruggendo ciò che per altri è importante si distruggessero gli altri, eliminando ciò che a loro importa. Questa è un’idea come un’altra, abbastanza diffusa, come in alcuni casi di suicidio, il più delle volte è un gesto che è rivolto agli altri; soprattutto nei ragazzi, è molto spesso un atto contro l’autorità, supponendo di essere molto amato e che quindi la sua morte produrrà un dolore fortissimo, altrimenti non ce ne sarebbe motivo.