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12/12/2002

 

La fine della storia

 

Questo è l’ultimo incontro di questa serie che appartiene al 2002, la prossima serie di incontri inizierà invece nel marzo 2003, ciascuno di Voi ha letto il programma e quindi può vedere di cosa si tratterà. L’ultimo incontro è intorno alla fine della storia, chi ha avuto l’occasione di essere qui nella conferenza che ho tenuta un po’ di tempo fa, si ricorderà che parlavo dell’inizio della storia, quando e come inizia una storia. Dunque quando finisce una storia, con particolare riguardo ovviamente a una psicanalisi, tant’è che il sottotitolo se non vado errato è “Quando si interrompe un’analisi”. Prima di incominciare occorrerà fornire qualche informazione circa, circa la psicanalisi cioè che cosa intendiamo con psicanalisi, precisazione doverosa, poiché come ciascuno sa ce ne sono a bizzeffe, qui intenderemo psicanalisi unicamente come il modo di pensare che muove da premesse necessarie, anziché arbitrarie, per il momento solo questo, poi più in là preciseremo. Ora una storia finisce, una psicanalisi o più propriamente si interrompe nel momento in cui si decide, per così dire, che le cose è preferibile che rimangano esattamente come sono, una storia lungo una psicanalisi si modifica, cambia, il modo più sicuro per lasciarla esattamente com’è è interrompere l’analisi, in modo che la storia possa ripetersi sempre esattamente allo stesso modo, è una rinuncia, una rinuncia a pensare, poiché la psicanalisi, nell’accezione che ho indicato prima in effetti non è altro che il pensiero portato alle estreme conseguenze, e una psicanalisi segue a questo pensiero, lo accoglie innanzi tutto prima di poterlo seguire, accoglie la possibilità di pensare. Anche qui occorre una precisazione, intenderemo pensiero nell’accezione più semplice, più ovvia, e cioè come una sequenza di proposizioni che muove da una premessa e giunge a una conclusione, per il momento nient’altro che questo, ora dunque rinunciare a pensare è rinunciare a mettere in discussione e soffermarsi sulle premesse che compaiono di volta in volta in ciascun pensiero, ciascuno sa che se io accolgo certe premesse allora giungerò a certe conclusioni, se modifico le premesse, modifico anche le conclusioni, una cosa molto banale, talmente banale che difficilmente ci si sofferma a pensarci, cionondimeno il pensiero funziona così. Rinunciare a pensare è nient’altro che rinunciare a mettere in discussione, a considerare le premesse, a questo punto rinunciare a pensare non riguarda più soltanto la psicanalisi o il percorso che per alcuni è unicamente terapeutico, ma riguarda qualcosa di più, riguarda la possibilità stessa di pensare; può apparire una affermazione un po’ forte e lo è; ciò che avviene generalmente nel discorso occidentale e quindi anche nelle persone ovviamente che si rivolgono ad uno psicanalista è un pensiero piuttosto bizzarro, piuttosto singolare, un pensiero che non si cura minimamente di ciò che sta affermando, non considera affatto né se ciò che sta affermando è vero, né nella migliore delle ipotesi se c’è un modo per potere stabilire se è vero oppure no, ciononostante ciascuno nel quotidiano è preso ininterrottamente in questioni del genere: sarà vero, sarà falso, sarà bene o male, giusto, sbagliato, ininterrottamente, il più delle volte senza sapere assolutamente nulla di ciò che sta accadendo nel suo discorso. Ciò che accade nel discorso non è nient’altro che questo, il credere in alcune cose assolutamente non verificate né verificabili, date per buone e da lì concludere nel modo in cui si ritiene più opportuno, gli umani pensano esattamente così. La struttura del sillogismo che viene utilizzato nella quasi totalità dei discorsi è quel buffo sillogismo con il quale si divertivano i medioevali: Pietro e Paolo sono apostoli, gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici. È chiaro che qui appare immediatamente la bizzarria, nella più parte delle occasioni no, non appare affatto, cionondimeno la struttura è esattamente la stessa, e cioè un sillogismo che muove da una premessa assolutamente arbitraria dalla quale si suppone di potere giungere a una conclusione certa. Ma vi dicevo della psicanalisi e cioè di questo modo di pensare, il quale modo di pensare per la prima volta nella storia dell’umanità ha deciso di muovere da premesse certe, assolutamente necessarie, dico per la prima volta nel corso dell’umanità perché non si era mai verificato prima. Vi rendete conto immediatamente che a questo punto c’e la possibilità, almeno la possibilità, di concludere conclusioni certe, sicure, ma soprattutto sapere di che cosa sono fatte queste conclusioni, e sono fatte di proposizioni, nient’altro che questo. C’è un inganno che è stato perpetrato negli ultimi duemila e cinquecento anni, non è tanto la nobile menzogna di cui diceva il nostro amico Platone, ma il fare credere che tutto ciò che gli umani vedono, immaginano, pensano, credono, ricordano, cercano, sia fuori dal linguaggio, una menzogna terrificante, che però ha funzionato e continua a funzionare a tutt’oggi piuttosto bene, poche cose come le menzogne funzionano così bene. Già, ma pensare in modo diverso, e cioè cessare di essere ingannati e quindi di ingannarsi, comporta almeno una riflessione, e l’ha comportata questo è fuori di dubbio, ha comportato e comporta l’abbandono di una sorta, possiamo chiamarla di ingenuità; ci sono molte cose che passano, che l’ingenuità propone quotidianamente, uno dei luoghi comuni più accreditati è per esempio la nozione di realtà, ciascuno ha una sua immagine, una sua idea di quello che intende con realtà, ma non ha molta importanza, la realtà nel luogo comune è per definizione ciò che è fuori dal linguaggio, qui occorre che apra una brevissima parentesi per evitare fraintendimenti o equivoci, intendo con linguaggio unicamente e semplicemente un sistema inferenziale, nient’altro che questo. Ha presente un sistema inferenziale? Se A allora B, semplice no? Se una cosa allora un’altra, se questo allora quest’altro, è il modo in cui ciascuno conclude le cose che conclude, il modo in cui pensa, senza questo sistema inferenziale non sarebbe possibile pensare alcunché come è ovvio che sia, è ciò che consente agli umani di pensarsi tali per esempio, e insieme con questa qualunque altra cosa, a pensare quello che devono fare se lo devono fare e pensare di essere vivi, per esempio, quando diciamo che è la condizione per potere pensare intendiamo pensare qualunque cosa e il suo contrario, per potere pensare mi occorre un sistema: questo, il sistema inferenziale. Dunque vi dicevo del linguaggio e della supposizione che possa darsi in qualche modo, in qualche tempo, qualche cosa che non sia nel linguaggio, pensiero il quale se ponete un minimo di attenzione, vi apparrà immediatamente, piuttosto bizzarro, come è possibile immaginare che qualcosa sia fuori dal linguaggio? Cioè fuori da questa struttura? Se lo fosse come lo saprei? Con che cosa al mondo? Ciononostante il discorso occidentale addestra a pensare in questo modo, addestrando a pensare in questo modo costringe ciascuno a immaginare tutta una serie di cose stranissime. Quando feci la conferenza qualche tempo fa, feci una allusione a una cosa del genere, riguardo a una storia e a come ciascuno si crea quella storia dalla quale poi fortissimamente desidera uscire per esempio, ora se io immagino, suppongo che questa storia appartenga alla realtà e cioè non sia una produzione di questa struttura, che comunemente chiamiamo linguaggio, allora immediatamente diventa un problema, serio, tragico, drammatico in alcuni casi, come se la soluzione non dipendesse da me, e quindi devo cercare qualcuno o qualcosa che risolva il problema. Gli stati, le nazioni, si fondano su questo, sulla necessità immaginata, indotta, che i cittadini abbiano bisogno di qualcuno che risolva i problemi, che li aiuti, che li supporti, come se i cittadini fossero letteralmente “imbecilli” nell’accezione antica del termine, la psicanalisi ha incominciato e sempre di più lo farà, a affermare con forza e assoluta determinazione che tutto ciò è falso, lo è sempre stato, e lo sarà finché verrà mantenuta questa posizione, questa posizione che è fatta di questa strampalata idea che esista qualcosa fuori dal linguaggio, intendo sempre linguaggio nell’accezione che indicavo prima, cioè come un sistema inferenziale. Provate a togliere il sistema inferenziale, che succede? La cosa più immediatamente evidente è che ciascuno e tutto ciò che lo circonda, da quel momento non sarà mai esistito, per nessuno, qualcuno una volta mi disse “ma le cose esistono lo stesso” e cioè? Cioè cosa vuol dire esattamente questa cosa? Rispondere a questa domanda potrebbe essere complicato, perché in effetti non significa assolutamente niente, ciascuno dà una accezione di esistenza, quella che ritiene più opportuna, ma quella definizione che avrà data sarà una serie di proposizioni, che sarà stata tale in seguito o grazie o per merito di un sistema inferenziale che glielo ha consentito. Ma queste sono banalità, passiamo alle cose più interessanti e cioè a ciò che è possibile per ciascuno raggiungere con estrema facilità, e cioè l’assoluta consapevolezza di quello che fa, pensa, crede, immagina in ciascun istante, perché sa, e non può non sapere, che qualunque cosa sta pensando, osservando, vedendo, provando, è tale perché questo sistema, questo linguaggio glielo consente e sa perfettamente e non può non saperlo che è un elemento linguistico con tutto ciò che questo comporta, ma che cosa comporta propriamente? Ciascuno ha una sua storia, bella o brutta che sia non ha importanza, comporta la possibilità di scrivere e riscrivere questa storia quando, come e quante volte vuole, e nel modo in cui ritiene più opportuno, ma soprattutto comporta una cosa che è fondamentale e che è devastante per qualunque istituzione, non è tanto che cessa di credere qualunque cosa gli venga sottoposta, non ha più bisogno di credere, che è molto diverso, non ha più bisogno cioè di pensare che esista qualche cosa al di là di lui o di qualunque altra cosa che governi, che gestisca, che faccia un sacco di cose; generalmente questa cosa si attribuisce a dio, è lui che fa, che disfa come ritiene più opportuno, dunque non ha più bisogno di credere, potremo dire in modo così un po’ semplice, un po’ rozzo che anziché subire il linguaggio lo agisce, sa di cosa è fatto, sa come funziona. Sa che qualunque cosa gli venga in mente, consideri, constati, ricordi, è un elemento linguistico in prima istanza, al quale elemento linguistico può attribuire qualunque senso, non c’è un senso preferenziale ma giochi linguistici, e qui entriamo nel vivo della questione, la fine della storia, potrei dire di qualunque storia, non è nient’altro che la volontà di cessare di giocare, qualunque sia il gioco che si sta giocando, anche in una vicenda sentimentale per esempio, la fine della storia è la fine del gioco: uno dei due o entrambi decidono che non vogliono più giocare quel gioco e il gioco si ferma, è un gioco ovviamente anche se in alcuni casi può non apparire tale, ma che cos’è un gioco? È una sequenza di mosse possibili consentite dalle regole del gioco, non c’è nessun gioco che possa darsi senza delle regole che consentono certe mosse e ne escludono altre, il gioco è questo; il linguaggio funziona esattamente in questo modo: costruisce giochi fornendo regole per giocare qualunque gioco, qualunque gioco, dalla vicenda sentimentale al tre sette o alla guerra termonucleare, fornisce le regole per giocare qualunque gioco. Potete facilmente immaginare che qualcosa possa cambiare se io so che è un gioco oppure no, se non lo so allora sono travolto da questo gioco, sono travolto da questo evento, che considero reale e pertanto minaccioso nella maggior parte dei casi, la realtà chissà per quale motivo è sempre considerata qualcosa di pesante anche nei modi di dire “atteniamoci alla dura realtà” “stai con i piedi per terra” “la dura realtà è questa…” è sempre dura la realtà, un richiamo alla realtà è un richiamo frequente, non è escluso che anche qui, stasera, in questo momento, qualcuno stia pensando qualcosa del genere nei miei confronti, è legittimo, anche se non significa niente, ma la fine della storia in quanto fine del gioco può comportare e talvolta comporta come dicevo prima, cessare di pensare, rinunciare a pensare come morire. Una volta qualcuno mi chiese: ma che cos’è la vita? La risposta più ovvia “è ciò che ciascuno pensa che sia” ovviamente, ma proprio in questo “ciò che pensa che sia” sta la questione, provate a considerare questo: si darebbe la vita se non ci fosse questo sistema inferenziale?  Se sì, come? È ovvio che posso rispondere a questa domanda con un atto di fede, io so che esiste comunque. Va bene, però l’atto di fede ha una particolarità, che per definizione impedisce di pensare, come dire io non so se è così ma ci credo, toglie il pensiero, lo sbarazza, qualunque cosa immagini che sia la sua esistenza in ogni caso questa esistenza sarà fatta di che cosa? Di storie, emozioni, sensazioni, ricordi immagini tutto quello che vi pare, e tutto ciò da dove viene? Come si è costruito? Come so le cose che so? Cosa mi consente di saperle? Sempre in ogni caso questo sistema inferenziale, lo chiamiamo così perché si chiama così, potremmo anche chiamarlo Pippo, però si chiama sistema inferenziale, e lo chiameremo sistema inferenziale, e allora ecco che la vita in effetti senza il linguaggio non solo non esisterebbe, non sarebbe mai esistita né potrebbe mai porsi il problema della sua esistenza o inesistenza, con che cosa mi porrei il problema? E allora possiamo tranquillamente affermare che la vita è linguaggio, perché no? Ma potremmo anche affermare cose più forti se lo volessi fare, vuole che lo faccia?

Intervento: ci provi!

Se ci provo ci riesco. Bene, allora l’accontento. Questo modo di pensare di cui Le sto dicendo non è l’enunciazione di una teoria, è l’unico modo di pensare possibile. È abbastanza forte? E se vuole sapere perché, io glielo dico: l’unico modo di pensare nel senso che qualunque altro modo appare non soltanto infondato oltreché infondabile, ma ridicolo e ingenuo, ridicolo perché afferma con assoluta sicurezza cose che non può provare, ingenuo perché non si rende conto che qualunque cosa avrà fatta, qualunque conclusione avrà raggiunta, sarà comunque una sequenza di proposizioni arbitrarie. Come lei sa gli umani cercano la verità da quando esistono, è grosso modo da 2500 anni che si cerca la verità, cioè l’origine delle cose, o il fine ultimo, sa che gli umani fanno questo? Bene, adesso le dico qual è la verità, è pronta? Qualsiasi cosa, questa è necessariamente un elemento linguistico. Questa è l’unica affermazione che lei può fare con assoluta certezza, l’assoluta certezza che qualunque tentativo di negare questa affermazione confermerà ciò stesso che intende negare, non è propriamente una dimostrazione nei termini logici, qualunque dimostrazione può essere confutata, se uno è sufficientemente abile può farlo, è una costrizione logica, che è diverso, qualunque affermazione contraria è autocontraddittoria, vale a dire che nega ciò stesso che è costretto ad affermare per potere negare ciò che sta negando. Semplice, dunque visto che è l’intervento conclusivo, ci sbizzarriamo con queste amenità, adesso lei ha saputo qual è l’unica verità possibile, non ce ne sono altre, né possono essercene altre in nessun modo e, se ci pensa bene, lei stessa può giungere con facilità a questa conclusione. Tutto il discorso occidentale ha creato teorie come lei sa, per creare una teoria occorre un criterio, ma quale? Potrebbe essere complicato costruire, inventare un criterio che risulti necessario perché qualunque criterio lei utilizzerà ci sarà sempre qualcuno dispettoso che glielo confuterà, io per esempio, e pertanto sarà costretta a cercare un criterio di verità assolutamente necessario e quale se non quello che le consente di costruire qualunque criterio di verità? E cioè la struttura del linguaggio, di nuovo il sistema inferenziale: lei utilizzi soltanto questo e avrà costruito un criterio di verità non soltanto inattaccabile ma definitivo, non potranno essercene altri perché qualunque altro criterio sarà costretto a usare quello, necessariamente, e quindi avendo a questo punto l’unico criterio di verità possibile potrà costruire con estrema facilità l’unica affermazione necessariamente vera, che è quella che le ho detto prima, qualunque altra affermazione di per sé non è né vera né falsa, è arbitraria. Cosa vuole dire che è arbitraria? Che non può essere provata vera in modo assoluto, è vera all’interno del gioco che sta facendo, è vero che quattro assi battono due jack, giocando a poker, è verissimo ma all’interno di quel gioco, ma fuori di quel gioco non significa assolutamente niente, e così lei può considerare qualunque affermazione che non sia quella che io ho affermata prima, esattamente come questa, è vera all’interno delle regole di quel gioco, ma fuori dalle regole di quel gioco non significa assolutamente niente. Ora lei potrà domandarsi a che scopo fare una cosa del genere? A che scopo costruire proposizioni necessarie? L’utilizzo c’è, è cessare di credere qualunque sciocchezza, la prima cosa che viene in mente, potrebbe essere un utilizzo, poi ovviamente se ne possono reperire altri, è possibile avere paura di qualcosa che si ritiene essere soltanto un gioco? No, non è possibile, questo è un altro utilizzo per esempio, cessare di avere paura, cessare di avere bisogno di avere paura; esistono una serie di utilizzi possibili, se uno volesse praticarli, e in effetti la psicanalisi, sempre nell’accezione che Vi indicavo prima, li utilizza proprio in questo senso, se una persona impara a pensare, dico impara, perché tutto l’addestramento che avviene dalle scuole materne fino ai master farà di tutto perché Lei non possa acquisire questa capacità, e ci sono anche degli ottimi motivi perché questo avvenga, ma dico se, così come la psicanalisi fa, insegna a pensare cessa la possibilità di avere paura, la possibilità di credere qualunque sciocchezza, perché a quel punto lei ha tutti gli strumenti per potere domandarsi immediatamente su che cosa si fonda quello che si sta affermando dal momento che non è altro che una proposizione, retta da altre proposizioni, rette da altre proposizioni e così via… giochi linguistici, nient’altro che questo. Le stesse teorie scientifiche cosiddette, sono giochi, giochi mossi da premesse non necessarie ma arbitrarie, e quindi non la costringono a crederci, può crederci oppure no, come dire: è una storia che viene scritta, riscritta certo, ma di questa storia è possibile verificare l’assoluta infondatezza delle premesse così come ciascuno può giungere a verificare l’infondatezza delle premesse della propria storia, questo comporta che non è più necessario credere alle conclusioni, può farlo, ma se lo fa se ne assume la piena responsabilità, ché nulla la costringe. È questo l’inganno perpetrato da sempre dalla religione, dalla scienza, come sapete muovono dalla stessa origine, poi si sono separate ad un certo punto, l’una, la religione, ha pensato che la verità fosse già data, rivelata, e quindi soltanto da prendere come atto di fede, l’altra, la scienza, che fosse sempre da trovare, però la matrice è la stessa. Potrebbe essere utile non avere più la necessità di credere ma potere cominciare a pensare che qualunque cosa che viene detta, viene affermata al di fuori dell’affermazione che ho proposta prima è una affermazione arbitraria e pertanto non costringe a crederci, può farlo, se lo ritiene opportuno, ma nulla la costringe. Per questo la psicanalisi si impone come l’unico modo di pensare, l’unico possibile, non ce ne sono altri, è Lei che mi ha istigato a dire cose un po’ forti. Sa perché è forte un sistema? Un pensiero forte, anzi fortissimo, perché è fondato sulla necessità logica, qualunque tentativo di scalfirlo, di obiettarlo, di confutarlo non farà nient’altro che confermarlo, sempre, necessariamente, semplice. La psicanalisi insegna questo, e o insegna questo, o è meglio che lasci perdere, poiché si pone al rango di una religione fra le altre e nemmeno una delle migliori, ce ne sino di più sofisticate. È chiaro che praticare una cosa del genere come quella che vi sto esponendo può non essere semplicissimo, e non lo è, non lo è perché ciascuno è stato addestrato da sempre a pensare esattamente il contrario, però è questa la scommessa, l’alternativa è niente, che vi piaccia oppure no. Nessuna teoria al mondo può provare ciò che afferma, questa sì, e questa è la differenza fondamentale, può apparire marginale, a me piace pensare che non lo sia. Da quando lo abbiamo inventato, ché si tratta di una invenzione questo modo di pensare, che poi era l’uovo di colombo, da quel momento in poi, cioè circa quindici anni fa, non abbiamo fatto nient’altro che cercare di confutarlo, per quindici anni ininterrottamente, usando gli strumenti logici e retorici più sofisticati, ha retto e non può non reggere, perché è fondato su ciò stesso che mi consente di costruire qualunque dimostrazione, qualunque confutazione, qualunque pensiero in generale. Ed è lo strumento, come dicevo prima, più potente in quanto può e deve togliere la necessità di credere, di avere paura, direi che già queste due cose sono fondamentali, sono quelle su cui si regge tutto il sistema occidentale e non soltanto: la credenza e la paura. Uno chiese una volta: cosa succederebbe se si verificasse una cosa del genere? Non lo so, perché dovrei saperlo? So soltanto ciò che non posso non sapere, e cioè come funziona, come funziona questa struttura che chiamiamo linguaggio. Prima ho data questa definizione di linguaggio che è sicuramente la più stringata, ma è quella necessaria, qualunque altra è arbitraria nel senso che o è un sistema inferenziale o è niente, o non c’è, semplicemente. Una psicanalisi dunque così posta si impone come il modo attraverso il quale ciascuno può cessare di avere paura, di credere, non ne ha più bisogno, esattamente per lo stesso motivo per cui una persona cessa, per esempio un adulto, cessa di giocare con i balocchi, perché cessa di farlo? Ammesso che lo faccia, perché non interessa più, così come un bimbetto gioca con i soldatini, da adulto cessa di farlo, perché? Perché non interessa più, e allora le paure, le angosce, le fobie, i malanni di ogni sorta che non sono altro che giochi linguistici, cessano di interessare a vantaggio di giochi più sofisticati, più elaborati, e in ogni caso si cessa di fare un gioco del quale si conosce perfettamente la struttura, le premesse, i vari passaggi e la conclusione, cioè perde l’interesse, e se qualcuno vuole continuare a giocare può farlo ma, come dicevo prima, si assume la totale responsabilità perché nulla al mondo lo costringe a fare né a credere alcunché. Bene, tutto ciò che questa sera ho appena accennato, costituirà l’argomento, ampiamente discusso, dettagliato, svolto e elaborato nella serie successiva di incontri della quale serie ciascuno di voi ha avuto la presentazione, e che inizierà il 6 di marzo 2003 mentre l’8 marzo faremo un pomeriggio in cui esporremo una sorta di manifesto dell’Associazione Scienza della Parola, in modo che sia chiaro ciò che andiamo facendo, ciò che faremo. Chi vuole dare un contributo tra di voi, oppure amici, chissà quante cose ho dimenticato di dire nell’esposizione che sono andato facendo, sicuramente la più parte è stata non indicata però gli amici con i quali proseguiamo questo lavoro, questa elaborazione teorica, sanno perfettamente di tutti i dettagli tecnici oltreché teorici, e pertanto se lo vorranno potranno intervenire. Dicevo che è stato come l’uovo di colombo, in effetti era una cosa semplicissima, quale criterio utilizzare per proseguire se non quello che consente di costruirne uno qualunque? Qualunque criterio voglia costruire dovrò utilizzare un sistema ovviamente: il linguaggio, era semplice. bastava pensarci…

Intervento: lei alludeva prima al Caos

Sì? Ho fatto questo?

Intervento: non ha detto proprio così, ma se si cessasse di credere o di avere paura sarebbe una tragedia. Il pensiero che interviene immediatamente di fronte a questa eventualità, il primo è che di fronte a questo ci sarebbe il caos. Un referente in qualche modo a ciò che io vado dicendo è il caos e cioè che non è più possibile vivere, pare che la vita, quella vita di cui si parlava e che si definiva linguaggio, non sia più possibile, mi interessa utilizzare quella che è la conclusione che tante volte abbiamo sentito esprimere anche in altre occasioni, in altri incontri “ci sarebbe il caos” e cioè l’impossibilità di trovare un’altra via, un’altra soluzione se non quella dettata appunto da questa struttura, la struttura del discorso occidentale, quella struttura che impone le paure, che impone le visioni o le credenze di qualsiasi tipo e che comunque di fronte alla necessità logica per cui qualsiasi cosa è un atto linguistico, anch’io che parlo, impone l’unica, l’unica alternativa che è appunto l’assoluta impossibilità alla vita o al proseguimento, è un modo come un altro per continuare a fare un solo discorso che è quello che permette tutte quelle cose che siamo abituati a trovarci continuamente e con le quali momento per momento abbiamo a che fare vivendo, le paure, i limiti che ci sono dati da un sapere che non è nostro ma che ci viene imposto volta per volta da chi ha voce più grossa e alla quale siamo costretti se non possiamo fare altrimenti a credere, a utilizzare a intraprendere le direzioni che al discorso vengono imposte…

A essere ingannati, sì è possibile cessare di esserlo…

Intervento: anche la credenza nel caos… al momento in cui le persone si accorgono di poter pensare,  non possono più credere che l’alternativa alla potenza sia il caos.

Sì certo, questa è la preoccupazione del discorso occidentale, per questo si affanna a fare in modo che ciascuno creda, abbia dei valori, perché finché crede va tutto bene, non importa in che cosa crede, può credere una cosa o il suo contrario, l’importante è che creda, in assenza di questo certo c’è il panico, c’è sempre stato il panico. Ma invece no, in questo caso non c’è nessun panico, perché abbiamo abbandonato la necessità di essere in preda al panico, non ci interessa più. Poi è ovvio che ciascuno può continuare a credere qualunque cosa, nella vita oltre la morte, la morte oltre la vita, che ne so? Può credere qualunque cosa e il suo contrario, può credere anche a cappuccetto rosso, che è la stessa cosa, può farlo, non è proibito, nessuno glielo impedisce, l’unica cosa che potrà incontrare è che si troverà nella mala parata in alcuni casi, non sempre. Credendo a una qualunque cosa, in base a questa cosa si costruisce la propria esistenza, generalmente, può essere per esempio una teoria che si è abbracciata o una religione, o un accidente qualunque, però tutte queste cose costituiscono il modo in cui si percepirà qualunque cosa, la valuterà, la giudicherà, e sarà costretto a difendere ciò in cui crede, più o meno strenuamente, ma dovrà difenderlo così come difenderebbe la sua stessa vita. Nell’altro caso invece no, non c’è nulla da difendere, si difende da sé. Non devo combattere contro teorie avversarie o religioni avverse o qualunque cosa, non me ne importa niente, se una persona decide di credere può farlo, come dicevo, prima e cioè penserà fortemente che una certa cosa è vera, contro a ogni evidenza il più delle volte, perché lo fa? Perché gli piace, generalmente avviene così, per una questione estetica, lo stesso motivo per cui soffre, nessuno glielo ha chiesto, perché lo fa? Qui è ovvio che non posso riaprire questioni già svolte negli incontri precedenti, però la stessa sofferenza di cui peraltro parlai nel primo incontro è una questione della quale ciascuno può assumersi la responsabilità, visto che non è necessaria, una persona può farlo oppure no, adesso è ovvio che detta così può risultare un po’ spiccia, occorrerebbe parlarne a lungo però non posso fare un’altra conferenza adesso, non me la lasciano fare, mi limiterò unicamente a dire che la psicanalisi, cioè ciò che stiamo inventando, consente di fare cose che gli umani non hanno mai immaginato di potere fare prima, mostrando una ricchezza sterminata, immensa, semplicemente muovendo da quella cosa che consente questa ricchezza come qualunque altra cosa, cioè muovendo unicamente da ciò da cui non può non muovere: la struttura del linguaggio, con la quale cosa ciascuno di voi e ciascuno che vi ha preceduti e che vi seguirà potrà fare qualunque cosa e il suo contrario, e senza la quale non potrà né avrà mai potuto fare nulla. È ovvio che questa sera ho soltanto fornito qualche breve indicazione come dicevo prima, tutto ciò verrà illustrato in modo dettagliato e articolato negli incontri che inizieranno a marzo, perché di questo si tratterrà, di affermare con assoluta sicurezza e determinazione ciò che non può non essere e pertanto non può non essere affermato. È anche possibile che qualcuno stia pensando che io sia piuttosto arrogante, è possibile, lo si può pensare, così come si può pensare qualunque cosa e il suo contrario, assolutamente legittimo. Qualcun altro forse vuole aggiungere qualche elemento prima che chiudiamo la serata?

Intervento: e l’inconscio?

Sì, cioè cosa intende con inconscio? Glielo chiedo perché a seconda delle scuole si intendono cose diverse, cosa intende lei in questo caso? Mi spieghi in modo brevissimo…

Intervento: l’inconscio nelle faglie del linguaggio a volte…

Lei si chiede in che rapporto stia l’inconscio con tutto ciò che ho detto, è una buona domanda, però se tiene conto di ciò che ho affermato in questa serata avrà la possibilità di potere considerare che qualunque cosa io affermi, e in qualunque modo io definisca l’inconscio avrò prodotto una definizione che sarà arbitraria, come dire che l’inconscio sarà ciò che io ritengo che sia, posso dire che l’inconscio sta nelle faglie del discorso, posso dire che è la logica particolare a ciascuno, posso dire che è ciò che emerge in alcuni momenti privilegiati come nel sogno, nel motto di spirito, nel lapsus ecc. posso dire qualunque cosa, ma quando avrò detto una qualunque di queste cose che cosa avrò fatto esattamente? È questa la questione centrale in tutto ciò che ho detto questa sera, avrò fatto qualcosa che ha qualche utilità oppure no? Oppure ho fornito una definizione così come posso fornirne a bizzeffe, posso anche affermare che l’inconscio è lo spirito di mio nonno, perché no? O qualunque altra cosa, certo so benissimo come è definito l’inconscio dalle varie scuole, lei ritiene che questa nozione possa avere una qualche utilità? Oppure no? È certo un modo per spiegare delle cose, ma perché in quel modo? Prima, circa un’ora fa, dicevo che delle teorie sono costruite su alcune nozioni, su alcuni principi, criteri, assiomi a seconda dei casi e dicevo che questi principi non possono essere provati, ora come lei sa questa nozione di inconscio ha avuto una notevole fortuna con Freud soprattutto, la questione che possiamo porci è questa: Freud ha costruita una teoria, piuttosto nota, questa teoria è fondabile? Direi di più, ha qualche interesse porsi questa domanda, se è fondabile oppure no? È questo che intendo con elaborazione teorica, porsi queste domande prima di cominciare a fare qualunque cosa, in caso contrario il rischio di giungere a delle conclusioni assolutamente arbitrarie direi che è inevitabile, una conclusione arbitraria è semplicemente una conclusione che mi piace o alla quale sono giunto io, o alla quale sono giunti altri e che accolgo perché mi piace così, è una questione estetica, non ha nessun altro motivo per accoglierla, certo io posso dare delle giustificazioni, di queste posso fornirne quante ne voglio, per quella cosa o per il suo contrario indifferentemente. Se noi volessimo mantenere la nozione di “inconscio” a tutti i costi, potremmo anche farlo, potremmo anche provare la necessità dell’inconscio, possiamo anche provare il contrario se vogliamo, nulla ce lo vieta, siamo addestrati a fare questo e altro. Dicevo che Freud è giunto a considerare la nozione di inconscio così come altri, passando per Lacan fino a Verdiglione, lasciando per strada una serie infinita di personaggi di nessun interesse, la nozione di inconscio è perfettamente funzionale a quelle teorie certo, lo so benissimo, ma è qualche cosa oltre a questo? O è soltanto funzionale a una teoria che è costruita su niente? Sì, a coloro che praticano come psicanalisti può sembrare disdicevole abbandonare dei termini: psicanalisi, rimozione, inconscio, transfert ecc. per quanto mi riguarda non ho nessun problema, se una questione non mi interessa l’abbandono, possiamo anche inserire la nozione di inconscio, quella di transfert, quella di rimozione tutte quelle che vogliamo, la questione è che possiamo fare qualunque cosa se muoviamo da premesse assolutamente arbitrarie, qualunque cosa e il suo contrario e certe volte non è neanche difficile anzi, risulta talmente facile da perdere ogni interesse, confutare una teoria, una qualunque, certo occorre saperlo fare ma con gli amici dicevamo tempo fa che occorre saperlo fare per essere meno ingenui, per non credere proprio a qualunque cosa, sapere confutare qualunque teoria in trenta secondi, almeno questo, così come provare l’esistenza di dio, in modo assoluto anche questo un buon esercizio, per tornare a ciò che dicevo all’inizio questo è l’unico modo, il solo per cessare di essere ingenui, di credere qualunque cosa e il suo contrario…

Intervento …imparare a pensare si sentiva… paure da curare… è interessante questo perché mi pare che sia alla portata di mano, che sia lì… ma al di là di questo sentivo i giochi linguistici e il linguaggio e senza nessuna necessità di differenziare, senza nessun necessità inferenziale appena postulata sentivo appaiato linguaggio e giochi linguistici, come se la linguistica appartenesse al linguaggio ergo mi servivano delle delucidazioni in merito.

Per quanto riguarda la prima questione lei parlava di possibilità, io sono andato oltre, ho parlato di necessità, come dire che a un certo punto quelle cose che si chiamano paure, angosce ecc. è necessario che scompaiano, ma necessario non perché è bene che sia così, non è questa la questione perché non possono più esistere, in nessun modo, praticando il linguaggio nel modo in cui ho indicato prima, non c’è più la possibilità di fare una cosa del genere esattamente così per una questione grammaticale, per lo stesso motivo per cui non posso credere vero ciò che so essere falso. Per quanto riguarda il linguaggio ho parlato di sistema inferenziale certo, questa è la struttura fondamentale quella che fa muovere qualunque cosa e il suo contrario, giochi linguistici il modo in cui il linguaggio si organizza cioè attraverso regole per giocare necessita di regole, le regole non sono altro che delle istruzioni, di qua puoi andare di là no, in tutti i modi in cui è possibile pensarle ovviamente però non sono altro che istruzioni, di qua sì, di là no. La linguistica, la linguistica si è occupata, si occupa da sempre di linguaggio ovviamente capire come funziona, e in alcuni casi ci siamo avvantaggiati della linguistica anche se non è mai giunta alle estreme conseguenze, anche se in alcuni casi avrebbe potuto farlo, penso in questo caso più che alla linguistica ad un filosofo del linguaggio come Wittgenstein che è arrivato vicinissimo alla questione, ce l’aveva quasi in mano, però ha preferito… ma gli stessi Sofisti che sono arrivati a un niente per intendere la questione, forse non avevano gli strumenti, forse sì, forse no, non lo sapremo mai ma non è neanche questa la questione, l’unica cosa che mi ha interessato è giungere a qualche cosa che consentisse di pensare queste cose che vi sto dicendo e che ho pensate come qualunque altra cosa che è la condizione per potere pensare, quindi per potere fare qualunque cosa e il suo contrario, certo il gioco linguistico non è nient’altro che l’attuarsi del linguaggio il suo porsi in essere, può apparire paradossale perché non può non porsi in essere, visto che ne stiamo parlando è già in atto, né è possibile uscirne…

Intervento: dal linguaggio sì… che rapporto hanno con il linguaggio i giochi linguistici? Il linguaggio prescinde semplicemente dal tempo, è nel tempo… il linguaggio non ha nulla a che fare con la linguistica, poi ne parleremo…

No, ne parliamo adesso, sì sentiamo prima Lodari…

Intervento: lei diceva che può sembrare arrogante e io invece che la conosco da tempo so quanto invece sulle questioni ci riflette tuttavia io ho la solita obiezione che il suo è un discorso aristotelico perché al posto della causa prima ci mette il nesso causale, l’inferenza, il linguaggio diventa soltanto il nesso causale… allora la domanda che mi chiedo “che ne è della critica al discorso occidentale, dal momento che il discorso occidentale si regge letteralmente sul nesso causale. Voglio dire anche quando parliamo del discorso occidentale bisogna un pochino intendersi, io non credo che il Vangelo o che la Bibbia facciano parte del discorso occidentale, io credo che il discorso occidentale nasce dal logos greco, quindi da Aristotele, la mia critica del discorso occidentale critica il sistema del logos… e invece credo che Freud è stato considerato cattolico perché Freud che cosa fa? Freud dice “attenzione non c’è solo il discorso della coscienza, non c’è solo il nesso causale, c’è la parola, letteralmente la parola, come dire ancora che c’è il due, c’è la parola che si ripiega e ripiegandosi su di sé rischia continuamente dal momento che non può fare altro, certamente di presentarsi come un’inferenza e quindi di rinviare ad un solo significante e solo quello nel gioco che sta affrontando in quel momento. Certo anche per la questione dei giochi, se il linguaggio è la condizione perché i giochi sussistano non è detto che il linguaggio in quanto tale possa essere definito un gioco perché sarebbe un bel paradosso… è il linguaggio che consente di giocare… quindi anche qui se noi non partiamo dal dualismo… questo deve essere lasciato aperto come dire che è la parola all’origine della distinzione, non c’è la distinzione prima della parola, la mia posizione è questo credo che la psicanalisi, la bellezza del discorso freudiano sia proprio mantenere in atto questa tensione, questa oscillazione tra la parola da un lato e dall’altra il logos il discorso…

Ho indicato il modo in cui intendevo il gioco linguistico, e cioè come una serie di istruzioni che comportano una direzione anziché un’altra; pensate al sistema inferenziale “se A allora B”, c’è una direzione che va da A a B. Ci sono anche delle regole di esclusione, in parte quelle che ha già intuite Aristotele “il terzo escluso” per esempio: non posso affermare una cosa e il suo contrario se non in ambito retorico, in ambito retorico posso farlo perché ciascun elemento è identico a sé, se non fosse identico a sé non potrei individuarlo, in nessun modo; è l’individuazione che consente l’identità, la possibilità dell’individualizzazione e questo il linguaggio lo consente, ora dire che il linguaggio è la condizione del gioco linguistico potremmo anche dirlo, volendo, ma potrebbe darsi il linguaggio senza gioco linguistico? Cioè senza che gli elementi giochino fra loro vincolati a delle regole? Che ne sarebbe? Togliete le regole quindi togliete il gioco, regole di esclusione per esempio e allora una parola vale una qualunque altra il linguaggio cessa di funzionare, se con questo aggeggio “orologio” io intendo tutte le parole che sono comprese nel dizionario, il linguaggio cessa di funzionare, ha bisogno di regole di esclusione se no non funziona, ci sono degli elementi che sono strutturali, intendo qui strutturale in accezione di Benveniste quella classica e cioè sono tali per cui non è possibile eliminare uno solo di questi elementi senza che tutto il linguaggio si dissolva. Abbiamo visto prima: togliete il sistema inferenziale non c’è più niente, togliete il principio di identità, vecchissimo, non funziona più niente, sostituite a ciò che Aristotele indicava come motore immoto il linguaggio e avrete risolto il problema. in effetti è un motore immoto, se vi piace usare questa formulazione se no non usatela che è lo stesso. Ora le affermazioni che riguardano aspetti teorici…ci si trova ad un certo punto di fronte a una sorta di bivio, accolgo delle affermazioni che non possono essere provate oppure no? È un bivio terribile perché se si sceglie una direzione quella è per la quale si accolgono solo proposizioni che possono essere affermate allora si riducono a pochissime e su queste sole si può contare, se invece prendete l’altra direzione allora non c’è nessun problema l’unico problema è che qualunque cosa affermiate varrà esattamente quanto il suo contrario, è una decisione che uno deve prendere fra le tante che deve prendere nella sua vita, e questo non è sempre facile e cioè sapere ciascuna volta che si afferma qualcosa che ciò che si sta affermando è assolutamente gratuito, prima parlavo delle definizioni io definisco una certa cosa in un certo modo, benissimo e allora che cosa ho fatto esattamente? Ho individuato questa cosa l’ho ritagliata dal reale? Ammesso che sappia definire il reale ovviamente in modo necessario, o che altro ho fatto? Ho costruito delle proposizioni sì, certo, posso costruire anche la prova dell’esistenza di dio, dopo di che mi metto a credere in dio? No, semplicemente so di avere costruito una stringa di proposizioni, nient’altro che questo, come vi dicevo non è semplice, questo non lo mai affermato però ecco la decisione che occorre prendere affermare soltanto ciò che è necessario che sia oppure qualunque altra cosa, se affermo qualunque altra cosa perché non affermare anche il contrario? È una domanda che occorre porsi ciascuna volta in cui si, in ambito teorico ovviamente, se no non ha nessun senso “potrei affermare il contrario?” sì o no? Se sì allora quello che ho detto non vale niente, se no, perché esattamente? Questo è un altro gioco che vi suggerisco, e potrebbe essere di qualche interesse. Quando vi dicevo che questo rappresenta l’unico modo di pensare possibile, non stavo scherzando proprio per nulla, è l’unico modo di pensare che risulti fondato, fondabile, sicuro, certo, non ce ne sono altri. Poi se vogliamo parlare di altre teorie possiamo farlo io le confuterò tutte a una ad una…

Intervento: la teoria è un cammino, una processione, sono un pochino sconcertato… Aristotele del linguaggio si occupava pochissimo… la nube all’interno di questa nube che ci sono le varianti, le variabili della vita, del pensiero e della stessa logica… è un interrogativo che io mi pongo, non ho io la verità in tasca, perché io ho sempre pensato che la verità è un effetto della parola, non produce lei la parola, non una verità cui mi posso conformare, c’è una torsione di parola che mi fa venire meno la paura? Non un pensiero, tra l’altro se volessimo approfondire la nozione di pensiero… io non posso padroneggiare il linguaggio, io sono vittima del linguaggio, non posso parlarne con sicurezza

Come lo sa?

Intervento: perché io sono parlato dal linguaggio, io non lo parlo

Questa è una petizione di principio…

Intervento: è una mia petizione di principio che può valere quanto altre. La nozione di causalità è stata messa in forse dalla psicanalisi… il linguaggio non gioca ai giochi linguistici, il linguaggio ha un suo percorso fatto di tempo, di temporalità e si apre alle possibilità, il linguaggio non parla con la parola soltanto, parla con i segni, parla con il silenzio

Come fa ad esserne così sicuro?

Intervento: la linguistica con il linguaggio assolutamente no. Mi ha appassionato sempre.

E allora la prenda seriamente…

Intervento: attenzione a non confondere linguaggio e logica aristotelica se non ci troviamo in una sorta di aristotelismo rafforzato, catafratto.

Proprio così. Ciò che è mancato nella elaborazione di Aristotele è la certezza assoluta. Questa sera ho parlato di certezza assoluta, la certezza assoluta riguarda esattamente quella struttura che mi consente di parlare di certezza assoluta, senza la quale non potrei parlare né di certezza assoluta, né di certezza relativa, né di qualunque altra cosa, è l’unica cosa che posso affermare con assoluta certezza, qualunque altra cosa no, muovendo da questo io posso, così come ho fatto, affermare qual è l’unica verità. Ho utilizzato questo termine “verità” nell’accezione più comune, come ciò che è necessariamente e che non può non essere, anche perché se non fosse questo sarebbe ben poca cosa, indicandola con questa affermazione “qualsiasi cosa, questa è un elemento linguistico” se io affermo: questa è la verità, a questo punto mi si potrebbe chiedere qual è il criterio, l’unica domanda che abbia un senso, e il criterio è esattamente quello che è fatto di quella stessa struttura che ho chiamato linguaggio, potevo chiamarla anche Pippo, però visto che si chiama così… che mi consente di fare queste considerazioni, mi consente da un elemento di passare a un altro, cioè mi consente di costruire proposizioni. Questa è l’unica cosa che io posso affermare con assoluta certezza, che è ciò che ha fatto, dice che non è così? Provi a negarlo, provi a negare questa affermazione…

Intervento:

È un gioco, io sto affermando che questa è la verità assoluta…

Intervento:…

Lo eserciti, non abbia paura…

Intervento: la scelta di un oriento psicanalitico piuttosto che un altro si possa fondare su una questione sola mi piace più una cosa piuttosto che un’altra, appunto perché chiaramente posso essere richiesto di dimostrare quello che sto affermando

Sì, anche se non usa in genere…

Intervento: non si usa perché è prevalente questo aspetto retorico, ovviamente al momento in cui si entra nel campo della dimostrazione occorre che intervenga l’aspetto logico e questo aspetto logico è assolutamente inconsistente, proprio perché non è mai stata affrontata la questione

È curioso che nessuno chieda mai di provare ciò che viene affermato…

Intervento: che è quello che abbiamo fatto noi… sì però a questo punto possiamo dire che la psicanalisi è una teoria letteraria va benissimo, possiamo dire che la psicanalisi si riduce a una teoria letteraria, però mi sembra che abbia una pretesa ben maggiore. Se ad un certo punto una persona richiede perché stai dicendo questo, mi sta chiedendo una prova, una dimostrazione, non è una dimostrazione scientifica….allora a questo punto non facciamo molto credito alla psicanalisi…

Intervento: la psicanalisi non prova, non vuol provare niente a nessuno rischia la sua…

Intervento: se lo potesse fare lo farebbe.

Intervento: la religione ha lasciato perdere la questione della prova a favore della fede perché sa benissimo di non poterlo provare… anche la psicanalisi a questo punto, impone un atto di fede perché non può provare se stessa… dipende se io voglio dichiarare la validità di una teoria occorre che entri nel campo della prova scientifica, se voglio dimostrare di essere amato da una persona non mi avvalgo certamente di una prova scientifica

Intervento:… va benissimo qualunque religione, basta che lei si converta a una qualsiasi religione e improvvisamente ha scoperto il benessere…

Purtroppo è molto tardi, abbiamo fatto questa operazione di costruire una psicanalisi che potesse essere fondata, noi lo abbiamo fatto, fondata in modo tale che non c’è alcuno che possa confutarla. Abbiamo fatto una cosa che, come dicevo prima, non usa, perché nessuno chiede mai la prova, sì in ambito scientifico ma in ambito scientifico non è altro che l’utilizzo di regole del gioco in realtà, se andiamo avanti, se la scienza stessa procede nella ricerca dei suoi fondamenti, non trova assolutamente niente aldilà dell’esperienza e del calcolo numerico, cose assolutamente opinabili, nulla di certo, potete se volete anche provare che la legge di gravità è falsa, e non è neanche difficile. Dunque costruire qualcosa che risultasse fondato, che potesse esibire la verità, quella che gli umani cercano da sempre, e lo abbiamo fatto, tant’è che non c’è nessuno in condizioni di negarlo, né qui, né altrove.

Grazie a tutti e buona notte.