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BEATRICE DALL’ARA

 

La realtà della fantasia 

 

11-5-2002

 

…sono incontri incentrati intorno alla pratica psicanalitica perché l’Associazione Scienza della parola è una associazione che forma analisti, quindi il nostro più grande interesse è quello di trovare persone che si incuriosiscano a ciò che dicono e quindi intraprendano un percorso analitico ma quello che ci interessa soprattutto è che il discorso psicanalitico, il discorso analitico prosegua, che non si fermi su nessuna postazione, su nessuna credenza perché al momento in cui si ferma non ha più molte chances, cioè chiude il discorso e diventa una religione. Diventa una religione e non ha più possibilità di distogliersi dal quel discorso perché ci crede… (…) quindi diciamo quello che ci interessa, di cui ci interessa parlare è della pratica psicanalitica. Il titolo del mio incontro è “la realtà della fantasia”, sapete che la psicanalisi fu inventata in centinaio di anni fa da Sigmund Freud (detto il padre della psicanalisi) il quale Freud cosa fece? Proprio su queste due nozioni “realtà” e “fantasia” si trovò ad inventare la psicanalisi. Nei “Due principi dell’accadere psichico” che lui scrisse all’inizio del suo percorso si trova a descrivere l’essere umano, questo essere quando si trova a contatto della realtà, delle eccitazioni di un mondo esterno ha bisogno per non essere travolto di avere uno scudo e a questo punto, perché la realtà in qualche modo, dice lui lo ucciderebbe, in qualche modo questo scudo che la persona si costruisce è un qualcosa che lo protegge…sta parlando della fantasia cioè come dire che l’essere vivente al momento in cui si trova in questa grande eccitazione che è la realtà ha bisogno di proteggersi e quindi di crearsi un mondo tutto suo, che chiama fantasia e con il quale si protegge dalla realtà, realtà che è paralizzante…quindi la fantasia un modo per fuggire dalla realtà, da una realtà che si immagina essere per tutti uguale, una realtà in questo caso anche molto spiacevole, o piacevole… comunque una realtà che produce delle grosse eccitazioni e dalle quali grosse eccitazioni occorre proteggersi, alla quale occorre contrapporre una costruzione, una costruzione fantastica per potere divertirsi, per poter gioire, per poter vivere, quindi tutto il lavoro di Freud ha avuto come centro la descrizione delle fantasie che per lo più l’umano ha bisogno di utilizzare per poter sfuggire a questa realtà, a questa necessità che lo disturba, che lo eccita. Con eccitazione parliamo in molti casi di disagio, e quindi questa costruzione fantastica a suo sostegno, in suo aiuto, l’umano può contare sulla fantasia mentre sulla realtà non ha costruzioni da fare, non può inventare nulla, può soltanto partendo da una realtà che immagina tale porre in atto una costruzione fantastica, quindi un mondo interno che lo gratifichi, che gli dia delle soddisfazioni che la necessità della realtà non gli può dare, non può che costringerlo entro tutti quei limiti che fanno della realtà una contrapposizione qualche cosa nel quale e per il quale rifulge la fantasia, cioè rifulge questa costruzione fantastica che ciascuno può porre in atto, anzi direi che da tutti è decantato il genio della fantasia, direi che è la ricchezza dell’uomo, l’arte si interessa soprattutto a queste costruzioni fantastiche che il genio può mettere in atto e quindi è un tesoro dell’umano, ma sempre comunque una fantasia o la fantasia in contrapposizione ad una realtà che limita, a una realtà che non può lasciare scampo, si può soltanto accettarla, si può soltanto credere in un mondo bello, in mondo buono, in un mondo piacevole o in un mondo spiacevole ma premesse… una realtà creduta ferma, immobile. Dalle premesse di una realtà benigna o maligna si può costruire una fantasia, si possono costruire delle cose ma sempre dicevo in contrapposizione a questo discorso della fantasia o della realtà, istanze che servono per una descrizione, si può descrivere la realtà e si può descrivere una fantasia. Freud ha scritto tantissimo, ci sono dei saggi particolari in cui l’attenzione di Freud era, visto che ascoltava delle persone, e tutto sommato ciò che ascoltava erano delle parole, erano delle proposizioni, erano delle conclusioni che portavano le persone a proseguire su una certa strada, e quindi si interessava molto al linguaggio però ecco direi che ha sempre mantenuto ferma questa contrapposizione cioè l’umano racconta le sue fantasie, interpreta le sue fantasie, decide le sue fantasie ma sono fantasie e tutto sommato l’umano si deve accontentare della realtà, che può raccontare attraverso la fantasia e questa è la sua ricchezza ma c’è sempre qualcosa di fermo, di uguale per tutti, è un limite al quale appunto è costretto dalla sua costruzione fantastica, da quello che lui può porre in atto per delimitare la realtà e infatti cosa fa Freud? Dicevo, che nei saggi per esempio “La psicopatologia della vita quotidiana” “L’interpretazione dei sogni” “il motto di spirito” Freud parla soprattutto di come quelle fantasie, quelle che lui ascoltava nelle analisi… ascoltava il congiungersi di proposizioni in un certo modo e come un significante tornasse, è chiaro questo gioco che Freud ha inventato “la psicanalisi” aveva regole precise per cui la persona sapeva che era con queste proposizioni, con ciò che interveniva in analisi che si doveva confrontava, pensava Freud al linguaggio come a un qualcosa che la persona produceva, a delle stringhe di significanti che la persona produceva e che comunque tornavano nel discorso e queste proposizioni, queste conclusioni che la persona traeva tornavano nell’analisi e allacciavano altre proposizioni e con queste altre storie…la psicanalisi è stata inventata un centinaio di anni fa, come dicevo e appunto non essendo nata come una religione doveva progredire, doveva portare avanti quelle che all’inizio erano state le regole per continuare a giocare e quindi per fare intendere come un significante che interveniva in un discorso fosse così importante per la persona vale a dire che quel significante, quelle proposizioni, allacciavano tutta una serie di altre proposizioni, dalle quali proposizioni comunque per molto tempo la persona traeva comunque le solite storie, traeva la solita conclusione e quindi descriveva in questo modo la realtà nella quale lei credeva, dicevo che questo percorso (della psicanalisi) è progredito, è continuato sono nate molte scuole chiamate di psicanalisi, per qualcuna di queste scuole la ricerca preminente e l’interesse preminente è stato dato appunto al linguaggio, le scuole che avevano appunto una maggior curiosità intellettuale, l’interesse era proprio dato da questo da come per esempio un discorso può proseguire all’infinito raccontando sempre la stessa storia e quindi dando per scontato una stessa realtà, uno stesso stato di cose e dicevo che molte scuole psicanalitiche certamente anche le più sofisticate, le più curiose, le più culturalmente attrezzate, diciamo, si sono interrogate moltissimo sul linguaggio fino ad arrivare a credere che tutto sia linguaggio e questo non lontano da quello che molti filosofi della scienza, molti logici, molti informatici sanno, è chiaro che il linguaggio ha portata decisamente superiore e preminente rispetto a tutte le questioni che il linguaggio può raccontare, il linguaggio è una struttura fatta di rinvii, il linguaggio prosegue nonostante tutto non importa quello che dice in effetti Gabriele Lodari fra qualche giorno parlerà della credenza nella sostanza per indicare come la psicanalisi abbia allontanato da molto tempo la credenza in una sostanza e quindi in una realtà che viene descritta e creduta tale, quindi prima parlavo di un mondo esterno, la realtà questa nozione se presa così, credendo che esista e sia una produzione del linguaggio al di là di quello che io ne posso dire, rimane comunque un tramite dice: sì va tutto bene, le persone possono parlare e al momento in cui parlano tutto ciò che dicono è sicuramente preso in una struttura linguistica, perché non ci sarebbe né linguaggio, né comunicazione se non ci fosse una struttura linguistica alla quale far riferimento e della quale io posso utilizzare, un mezzo con la quale posso fruire, ora dicevo la costruzione di un mondo interno, esterno per potersi difendere da una realtà che mi opprime da un limite che mi è imposto dalla realtà stessa, un limite invalicabile in certi casi fin tanto che io non intendo a cosa mi serva tutto sommato il linguaggio se il linguaggio mi serve per descrivere, questo linguaggio rimane comunque un limite inaccessibile al mio discorso…ora cosa può affermare la psicanalisi? Come può la psicanalisi uscire da questa descrizione che comunque può fare di uno stato di cose, da una realtà, da una fantasia, da un mondo esterno che la opprime che la fa subire tutto sommato, fa subire un mondo, cosa possiamo aggiungere… come rendere interessante questo termine linguaggio? cosa possiamo affermare a questo punto? perché al momento in cui io descrivo il linguaggio, come funziona non mi serve ancora parlare del linguaggio, posso descriverlo, posso fare tutto quello che voglio ma cosa comporta l’affermazione quella che dice“io sono linguaggio”? potrebbe essere una affermazione che si può considerare fantastica, se la fantasia ha un ruolo di termine esterno a me che lo dico, lo enuncio ma se io posso considerare che posso affermare che fra me e il linguaggio non c’è nessuna differenza ma solo io posso distinguere il linguaggio e parlare di una struttura che è una struttura linguistica quindi fatta di rinvii e io invece sono Beatrice Dall’ara, una psicanalista che a questo punto afferma che l’unico modo che ho per distinguermi dal linguaggio è che io possa dirlo che mi distinguo, possa compiere questo piccolo passaggio cioè il linguaggio è ciò che mi costituisce io sono linguaggio in atto, posso distinguermi dal linguaggio soltanto se posso affermare che fra me e il linguaggio c’è questa differenza… io sono linguaggio però mi posso distinguere dal linguaggio e posso dire, a quel punto posso affermare che per esempio il subire una realtà, o subire o costruire una fantasia è ciò che io posso fare cioè io so che a questo punto sono io che lo agisco il linguaggio, e qui…e qui è “sostanziale” questo passaggio che compie il mio discorso, il mio discorso che è dato dal percorso che io ho fatto, che ho saputo fare, che io faccio continuamente, è un discorso che non posso negare, io posso negare la necessità di qualsiasi altra cosa ma non posso negare che perché possa fare questa considerazione l’unica cosa necessaria che possa affermare e che io sono linguaggio e posso affermare che non sono linguaggio ma sono un’altra cosa solo perché il linguaggio sta funzionando a questo punto mi è aperta la possibilità e solo a questo punto di poter sapere che al momento in cui sono travolta da ciò che credo il linguaggio costruisca, quindi da quella realtà che è assolutamente una fantasia, così come la fantasia è una realtà che io costruisco ed è particolare al mio discorso in quanto discorso, solo a questo punto io lo posso agire il linguaggio e quindi cosa avviene a questo punto? Che qualsiasi cosa intervenga nel mio discorso io non potrò, non potrò essere travolta da nulla perché? Perché a questo punto il linguaggio mi dà l’opportunità di compiere qualsiasi operazione, qualsiasi e cioè un’analisi continua, un’analisi infinita perché in ogni momento non potrò dare nulla per scontato, nulla per definito potrò sapere che tutto ciò che dico, perché a questo punto ciascuna cosa che interviene nel mio discorso, interviene perché io dico quella cosa e quella cosa dicendola allaccia tutta una serie di giochi linguistici e a questo punto io sono l’agente del discorso, non chi ha il linguaggio a sua disposizione per descrivere una certa cosa che io chiamo realtà o io chiamo fantasia ma io so che so che se utilizzo un certo luogo comune, so quello che quel luogo comune produce, lo so ma non posso esserne travolta, non posso perché a quel punto intervengono quelle regole che hanno portato avanti il mio discorso e che dicono ad ogni istante anche se l’istante, so benissimo che è un atto linguistico come tutti gli altri, so che posso agire il discorso, posso chiedermi a quali condizioni io per esempio subisco una realtà e a quali condizioni io non sono… perché a questo punto non si tratta più di parlare di fantasia o di realtà ma si tratta di intendere quello che io credo, quello che io faccio quando parlo di realtà o quando parlo di fantasia perché è solo questo che mi può far continuare a parlare, adesso io ho parlato di getto e mi piacerebbe che qualcuno intervenisse e che mi desse un po’ di tregua, qualcuno può aggiungere degli elementi? Mi rendo conto che le questioni che io ho introdotte sono tante e forse occorre che precisiamo. Lodari, ha voglia di intervenire? (ho trovato molto interessante la seconda parte, difficile ma molto interessante, la stessa psicanalisi… si ingarbugliano tutti a distinguere non solo fra la realtà e la fantasia, perché questo è deciso, Lacan per esempio non ci pensa due volte la realtà come il mondo delle cose e la fantasia, il fantasma è fantasma fondamentale di ciascuno…però mi sembrava interessante il tuo discorso soprattutto perché mi pare che questa possibile distinzione è una possibile problematica del soggetto nuova…quando tu dici che questa contrapposizione che mi sembra assolutamente corretta almeno sul piano teorico direi tra il soggetto della parola, il fatto che il soggetto possa essere travolto e possa essere fagocitato dai sui stessi enunciati, dai suoi stessi fantasmi voglio dire che per esempio quando contrapponiamo il sogno alla veglia qual è la distinzione? La distinzione fondamentale è che però io sono travolto dal sogno, poi capita di controllare il sogno perché non si sviluppi l’angoscia …il rischio è quello di essere travolti dal linguaggio e che quindi la soddisfazione sia immediata è il caso del soddisfacimento, la grandezza di Freud è di dire: guardate che noi sogniamo anche quando siamo svegli, ecco la distinzione che tu ponevi è proprio tra il soggetto che agisce, che parla, dice il soggetto della parola, è un soggetto che si scopre come tale…) e soprattutto si scopre soggetto e ha l’opportunità di farlo perché non è travolto dalla realtà o dalla fantasia in quanto parlante e cosa intendo in quanto parlante? In quanto non può non considerare che qualsiasi cosa lui si trovi a sognare, a immaginare, a pensare, a fare questo qualsiasi cosa, qualunque cosa è necessariamente un atto linguistico, ma perché è un atto linguistico? Perché a questo punto uno potrebbe utilizzare questo atto linguistico come quel qualcosa del quale la psicanalisi o il discorso della psicanalisi utilizza per disfarsene, compiere ancora quel gesto di disfarsi tutto sommato, quindi una costruzione fantastica a partire da una realtà, la realtà è brutta e quindi indichiamo con qualsiasi cosa, qualunque cosa io mi trovi a dire un atto linguistico, come dire ancora una volta è un sottrarsi alla responsabilità, è un descrivere il linguaggio come quello che produce tutto quello che io sento, quello che vedo, quello che immagino, ma non è proprio così perché al momento in cui io posso e non posso non farlo e cioè considerare che io sono parlante e quindi qualsiasi cosa avvenga, senta o immagini è un atto linguistico, qualunque cosa, io di questo atto linguistico che mi trovo a utilizzare in quanto parlante ne ho l’assoluta responsabilità, perché? Non è che me ne sbarazzo così, non è che pongo in atto una di quelle fantasie di potenza di cui parlava Freud o meglio una fantasia di distruzione per cui di fronte alla realtà io distruggo tutto quanto quello che mi può infastidire e arrivo a quello che è il mio obiettivo non importa se questo mi faccia soffrire o godere non importa come e non importa cosa, ma mi sbarazzo, distruggo parlando tutto quello che mi infastidisce e quindi tornando all’atto linguistico, non è che la psicanalisi affermando che qualunque cosa e continuando a ripetere questo particolare dicendo che io posso parlare, sentire, perché sono linguaggio, perché sono una struttura che mi permette qualunque operazione e anche dire “mi chiamo Beatrice”… l’ultima volta in cui mi sono trovata a parlare dell’atto linguistico dicevo del fuoco che brucia, che è un gioco, un atto linguistico noi possiamo raccontare miliardi di storie e tante ne hanno raccontate sul fuoco ma non possiamo non considerare che proprio perché atto linguistico funziona nel linguaggio, se non avesse questa portata di fuoco che brucia, se non funzionasse così bene non sarebbe un atto linguistico nel senso che non funzionando non sarebbe utilizzato dal parlante e quindi non farebbe quello che fa, ma perché è una mia (forse così riesco a rendere meglio) quando affermo che un atto linguistico è una mia responsabilità, perché non mi voglio disfare del fatto che mettendo il dito sul fuoco il fuoco brucia, lo so benissimo che proprio perché è un atto linguistico il fuoco brucia così come so tutti i giochi linguistici e tutte le storie che racconta il linguaggio, so benissimo come funzionano sono giochi linguistici che funzionano in un certo modo perché partono da una premessa e devono necessariamente concludere ad un’altra proposizione, funzionano e perché ne ho la responsabilità? Ne ho la responsabilità perché non metto il dito sul fuoco continuamente, so che brucia dicendo che è un atto linguistico non mi sbarazzo della responsabilità di questa azione che faccio, parlando faccio un’azione e quindi io potrei..dice “ma tanto sono tutte parole, così come costruisco la mia realtà costruisco la mia fantasia” benissimo, una fantasia di potenza dice “visto che sono solo parole”…e no, non è proprio così quello che per esempio interroga uno psicanalista e svolge, è come una persona potendo utilizzare l’atto linguistico del bruciarsi in molti e svariati modi così come in uso dal luogo comune, questa persona metta continuamente il dito sulla fiamma e si bruci mentre altre persone non lo fanno perché sanno che si bruciano, possono anche non sapere che è un atto linguistico ma come avviene che invece ci sia questo bisogno per alcuni di mettere continuamente il dito sulla fiamma, per bruciarsi? Quindi hanno bisogno di mantenere e di provare continuamente che forse non si bruceranno….questo per dire di come la psicanalisi non si sbarazzi di tutto ciò che la infastidisce continuando la sua ricerca su ciò che di necessario può affermare e quindi un linguaggio che la fa esistere perché la psicanalisi stessa se non ci fosse il linguaggio, questa struttura non esisterebbe, no, non se ne sbarazza ma a questo punto la psicanalisi si interessa al suo discorso e di come funzionano gli atti linguistici nel discorso e in prima istanza della persona che fa una domanda di analisi, pone una domanda di analisi, la quale persona il più delle volte può essere travolta da quelle che sono le sue fantasie le chiamava Freud oppure diceva Lodari da quello che Lacan chiamava il fantasma, da questo fantasma che le travolge, ma al momento in cui la persona si interessa a come funziona il suo discorso, di come le storie che espone ad un analista siano importanti ma tutto sommato queste storie importanti che lui racconta allo psicanalista le crede importanti perché c’è tutta una struttura che non solo il suo discorso ma il discorso in cui vive e da cui trae le mantiene importanti, non è proprio così, questi fantasmi, queste fantasie si possono ricondurre a poche fantasie, a poche storia ma per ciascuno funzionano in un modo particolare e funzionando in un modo particolare intervengono nel discorso della persona a partire dal discorso della persona cioè da quello che la persona si trova a dire e quindi da quello che la persona si trova a credere, ma se quella persona si trova a credere qualche cosa questa persona si trova a credere qualche cosa perché dà per scontato che ci sia qualche cosa che lui può descrivere e lo descrive perché è al di là del discorso che lui sta facendo, del discorso che lui può fare, senza accorgersi che se lui vuole assolutamente farsi del male e darsi delle martellate sul dito quando non c’è nessuna necessità di farlo, lo può fare solo perché è travolto da un linguaggio che lui crede di poter descrivere mentre non può accorgersi, fintanto che non si pone all’ascolto del suo discorso di come si allacciano le proposizioni nel suo discorso, può accorgersi di quali sono i significanti importanti del suo discorso e può chiedersi a questo punto “come mai crede vere certe cose anziché altre cose” fino al punto di stabilire che l’unica cosa necessaria e qui non si tratta più di un credere ma si tratta di un praticare che qualsiasi cosa è un atto linguistico, ma questo qualsiasi cosa è un atto linguistico io lo posso affermare solo al momento in cui lo pratico cioè un’analisi continua, un’analisi automatica che interviene nel proprio discorso che porta il proprio discorso ad agire, ad accorgersi che nel discorso si può parlare del subire una realtà, subire una fantasia, subire qualsiasi cosa ma in prima istanza è il discorso che la persona fa che agisce e quindi produce il subire, produce quella storia, produce quelle proposizioni, produce il modo in cui si allacciano quelle proposizioni e se potesse… come dire c’è un congiungersi di proposizioni e c’è un disgiungersi di proposizioni, cosa vuol dire un disgiungersi di proposizioni? Al momento in cui io non credo vera una certa cosa, io come la disgiungo questa certa cosa, nel mio discorso? Dico “non è vera” questa cosa e la disgiungo immediatamente cioè non utilizzo più quella direzione, disgiungo quella cosa da un’altra cosa cioè a quel punto non avrò più bisogno di utilizzare quella cosa perché non è più vera, quella direzione non potrà più essere praticata dal mio discorso e quindi ciascuna volta che interviene questa operazione di disgiunzione e interviene perché non sono più travolta da un linguaggio che mi è ostile, e che mi serve per descrivere delle cose che credo indipendenti dal mio discorso a quel punto io posso compiere continuamente questa messa in gioco di ogni elemento che interviene nel mio discorso, lo posso fare ma lo posso fare perché non sono più travolta da un discorso ma sono un discorso che agisce che compie quella direzione, che pratica quella direzione e che si interessa soprattutto a quelle che in quel momento, in quel particolare gioco sono le cose importanti ma che importanti non sono, non sono vere, non sono la realtà, la realtà è un gioco linguistico così come lo è la fantasia. Gabriele qualcosa? ( si capisce come tutto il discorso occidentale sia impostato su queste figure retoriche di realtà e fantasia dandoci una differenza che deriva dal fatto di essere dei perfetti contrari ma che alla fine non sono né l’uno né l’altro) sono delle dicotomie certo (sono delle dicotomie che il nostro pensiero può sovvertire, quindi la nostra fantasia potrebbe divenire una realtà collettiva anche tentando di espandere il nostro dire, il nostro pensiero…) a tuo parere come si può uscire dalla dicotomia continua dalla fantasia e realtà? Dalla vita, dalla morte? (notando come entrambe abbiano un’origine comune e quindi un’origine comune che risiede nel linguaggio e quindi a questo punto cade questa differenza non c’è più limite fra realtà e fantasia) soprattutto non serve più a nulla dare questo limite (sarebbe una perdita di tempo…) eppure vediamo laddove non si possa considerare la realtà o la fantasia dei giochi linguistici vediamo che nascono delle sovrapposizioni fra la realtà e la fantasia e appunto io parlavo della realtà della fantasia e come sia reale tutto sommato quello che io credo, quello che mi fa agire in un certo modo (allora a questo punto si potrebbe pensare che la persona che ricerca il potere, cerca l’ascendente su altri sia quella che voglia estendere il suo discorso fantastico sugli altri rendendolo reale) ma come avviene una cosa di questo genere, a tuo parere? (a mio parere avviene tramite meccanismi linguistici, se vogliamo il nostro discorso fantastico riesce a prevalere su quello che consideriamo adesso contrario cioè il discorso reale e vogliamo che predomini su questo e come prova deve valere anche per altri) da dove viene questa necessità che anche per altri questa fantasia funzioni? (viene da considerazioni che si credono vere c’è tutto un gioco di natura linguistica perché è una nostra credenza a questo punto considerare un discorso reale come un discorso condiviso, se vogliamo, è la stessa definizione del reale che andiamo a toccare, il reale è ciò che condivido con gli altri che non è soltanto nostro ché se fosse puramente nostro sarebbe una fantasia e quindi per rendere una fantasia reale dobbiamo condividerla…) Cesare? (se tutto è linguaggio come non può non essere, perché c’è una proposizione logica che vieta che esista qualcosa fuori dall’atto di parola e non può essere sostenuta in quanto paradossale cioè costruisco una proposizione la quale afferma che esiste fuori dall’atto di parola, ecco saper pensare, il pensiero non è una acquisizione di certezze, normalmente si intende nel luogo comune che più certezze si hanno e più si sa pensare, più uno ha portato il pensiero sempre più avanti, sempre più alto, invece direi che è proprio il contrario cioè più certezze io ho e più il mio pensiero si limita cioè ogni qual volta troverà una certezza, una mia verità, un mio credo lui si bloccherà e agirà ovviamente in funzione di ciò che io credo, ecco saper pensare sapendo di essere linguaggio, giustamente dicevi non c’è questa distinzione fra io e linguaggio, ma io sono linguaggio, cioè non c’è questa differenza no?) la differenza è che io sono l’artefice di quello che dico, rispetto a ciò che mi si pone di fronte parlando ed è l’unica cosa che so, posso godere di qualsiasi cosa anche se so che è un gioco linguistico, quello che non potrò assolutamente fare è appunto essere travolto dal linguaggio, a questo punto anche il linguaggio sarebbe un limite certo diciamo così che quello che produce la psicanalisi è che non potrò essere abbindolato, non crederò assolutamente a nulla che mi venga propinato (avere certezze vuol dire subire il linguaggio) certo il linguaggio in quanto tale non si ferma, si produce non ha bisogno di una certezza o di una storia particolare per funzionare per andare avanti quindi per produrre, quindi per funzionare a tempo pieno cosa che fa e non può non farlo, ciascuno vive “di linguaggio”, vive è linguaggio, il linguaggio va avanti non importa, una proposizione segue all’altra… (questo rinvio all’infinito, tutti i blocchi che noi mettiamo con le nostre certezze e verità) sì certamente la psicanalisi si interroga anche su questo, non si interroga sulla sostanza ma sul blocco che ferma… questa credenza nel nemico e quindi questa impossibilità a considerare l’altro, i luoghi comuni sono parecchi, perché c’è la necessità per esempio di avere continuamente a che fare con un nemico in contrapposizione (certo per la mia sicurezza, per la mia certezza ha bisogno di un nemico se no quale verità è se non si dà una non verità…) e se non avesse nulla da difendere? (certo allora proseguirebbe il tutto senza questi intoppi, diciamo che il credere presuppone l’esistenza del non credere, sono nel giusto in quanto c’è qualcosa che non è giusto) certo queste contrapposizioni continue che noi vediamo nel discorso che si para davanti, come dire che non c’è una terza via, non ho un altro modo di considerare le cose, sì certo è quasi una procedura del linguaggio che si palesa, che si mostra ma questo come dico è ancora così…può essere ancora una mia decisione parlare in questi termini (la questione in gioco, parto dalla mia esperienza che è vicina anche alla psicanalisi, e spinge a intraprendere un’analisi è il fatto che ad un certo punto, come diceva lei, si è travolti dal linguaggio, è l’altro a parlare, il famoso inconscio, non si ha più l’impressione di essere noi a parlare ma è qualcun altro cioè si scatena qualcosa dentro di noi che ci lascia come spettatori, è qualcosa che accade come spesso il sintomo per esempio, il sintomo è qualcosa al di là di noi, sì vive così…) è chiaro e così come lo poneva Freud, lo poneva come una costruzione fantastica che pone in atto l’analizzante in questo caso, ciascuna volta che interviene una certa questione interviene un certo sintomo e quindi una certa costruzione fantastica che si contrappone alla persona, la persona nei confronti del suo sintomo difficilmente si pone come colui che costruisce il sintomo, è qualcosa al di fuori di lui, questa cosa che gli accade; è chiaro che nell’ambito di una analisi si accorge, per utilizzare ancora questi termini, mi piace poco parlare di sintomo perché ancora ha a che fare con la medicina e con qualcosa da tagliare, non c’è nulla da tagliare nel discorso si tratta di porsi all’ascolto del proprio discorso e… comunque dicevo del sintomo come costruzione fantastica, anzi Freud la chiamava l’attività sessuale della persona che era in analisi, perché attività sessuale? Perché era quella cosa che permetteva alla persona di riprodurre un certo giro di discorso, e di, per esempio, soffrendo di godere di quella cosa, di ritornare a godere, a utilizzare sempre quella cosa, quel discorso, non potendosi accorgere di come sia possibile ascoltare le proposizioni che intervengono, di quello che io produco, il sintomo che io produco, di pormi all’ascolto di questo sintomo, di vedere come è fatto e come funziona, perché interviene nel discorso, perché ho paura di una certa cosa anziché di un’altra cosa? Per esempio e allora la paura altra costruzione fantastica che interviene a porre dei limiti proprio perché c’è una realtà che io pongo, fatta in un certo modo e comunque fuori dal mio discorso, al momento in cui questa realtà la produce il mio discorso e sono io che la agisco, necessariamente non c’è più, non funziona più la paura, la paura funziona al momento in cui io non sono responsabile di questa costruzione che pongo in atto, se io sono colui che produce la paura, produce i modi per cui intervenga questa paura, si affloscia tutta una certa questione, letteralmente non ha più senso e non avendo più senso non è utilizzata più dalla persona, la persona può finalmente parlare di altre cose e quindi interessarsi per esempio come avviene in molti casi in un percorso analitico di come funziona il discorso proprio o altrui…di come si combina il discorso, quali sono i termini che fungono da scambi, scambi ferroviari diceva Freud quando parlava, per esempio, di Signorelli, e cioè della dimenticanza di un nome e parlava appunto di termini che sono scambi per cui ad un certo momento un nome dimenticato, lungo tutta una elaborazione linguistica, logica… chiaramente non altre cose, io vengo a ritrovare il nome che avevo dimenticato, non solo lo ritrovo questo nome ma questo nome io lo riconosco… dice: questo è il nome che io avevo dimenticato. Questo attraverso tutta una serie di passaggi, di scambi (è un po’ rozzo) ci sono certi significanti che se io intendo abbiano soltanto un certo senso e quindi io credo che si usino solo in quel modo, io continuerò ad intendere solo una certa direzione nel mio discorso, al momento in cui io potrò con gli stessi termini trovare un’altra direzione ecco che diventa un’altra storia…c’è ancora qualcuno che vuole intervenire? Lodari (io volevo parlare della tecnica, si parlava del pensiero occidentale… allora la tecnica è dell’ordine della realtà o della fantasia? È chiaro che chiunque potrebbe dirci che la tecnica è nata sicuramente in occidente… Heidegger si è interessato alla questione della tecnica e la direzione di cui ci stiamo occupando si potrebbe dire che la tecnica è una fantasia però interessante, è una fantasia perché lavora sempre linguisticamente ma lavora a livello di enunciati, pensiamo a una cinepresa o a una macchina fotografica qualsiasi oggetto fornito dalla tecnica, Lacan l’aveva già detto… nella cinepresa c’è un soggetto, mettiamo che siano spariti tutti gli uomini dalla terra e lei riprenderà tutto quello che accade, se gli uomini riappaiono vogliono vedere quello che è accaduto in loro assenza, quindi la tecnica è questo qualcosa di fondamentale, come se facesse accadere qualcosa in assenza del soggetto… Lacan per esempio dice che la tecnica e il pensiero scientifico in generale si fonda sulla preclusione del soggetto, preclusione è un termine giuridico, quando io devo stralciare un articolo di legge) non parlava di forclusione? (in francese c’è questo termine in italiano viene tradotto con preclusione in modo sbagliato ma in ogni modo il termine è preclusione, precludere significa togliere un comma da un articolo di legge, come se non fosse mai avvenuto, quella cosa non funziona più, non legifera più… allora per finire la tecnica si fonda sulla preclusione del soggetto salvo il fatto che questo soggetto è stato per qualche verso soddisfatto… se Cartesio dice “cogito ergo sum” è sul filo del discorso della tecnica, sul filo del discorso scientifico, ha posto un enunciato, perché “cogito” è un enunciato dunque io esisto mi faccio estere a partire da un enunciato, questo è stato potremmo dire sorprendente sul piano della produzione tecnica perché tutte le leggi fisiche, della chimica nascono a partire da questo enunciato vale a dire che la cosa è quella cosa… ritenere per un attimo che la realtà esista in quanto tale e non sia continuamente sovvertita dal linguaggio messo in questione e quindi è linguaggio ma linguaggio che si possa fissare, questo accade e questo ha avuto delle conseguenze, ora la psicanalisi si trova in difficoltà perché in difficoltà? La psicanalisi l’ha risolta, sappiamo che l’intenzione scientifica in Freud c’è sempre stata…all’osso la questione freudiana è io pongo un enunciato per esempio dico che esiste l’inconscio, dico che le isteriche quando si lamentano vogliono dire qualche cosa d’altro rispetto a quello che indicano, quindi questi sono enunciati, sono ….in realtà quello che vogliamo dire non lo sapremo mai dal momento che siamo sovvertiti ogni volta da quello che diciamo, però mi pare proprio che la tecnica confidi nel fatto che quello che dico come enunciato valga… gli assiomi della scienza sono di questo tipo… e lo faccio valere diciamo così provvisoriamente per gli effetti che ne possono derivare, questo non è privo di conseguenze perché siamo sempre a livello del sogno… dicevi bene il sintomo parla la nostra lingua come se venisse dell’esterno, che mi travolga e quindi c’è il rischio che la tecnica mi travolga per esempio non troviamo parcheggio, per dire… ecco per dire se no interviene quella contrapposizione classica fra realtà e fantasia) no, è proprio questo il poter affermare che io sono parlante quindi ho la possibilità di volgere qualsiasi discorso in un discorso che prosegue e dal quale io non sono travolto ma io agisco questo discorso cioè trovo il modo di accorgermi di quello che faccio mentre dico certe cose, questo sto dicendo, in questo senso non sono enunciati ma io affermo che sono enunciati, l’affermazione comporta mettere in atto continuamente questo dire e quindi poterlo interrogare e quindi confutare quelle cose che io mi trovo a credere, che do per scontate. Questo è molto difficile ma questa è la scommessa, la scommessa del discorso che andiamo facendo, la scommessa della psicanalisi tutto sommato, aver la possibilità di non fermarsi così alla prima risposta perché di risposte il linguaggio ne dà continuamente ma non è quello che ci interessa, ci interessa che il linguaggio possa continuare….(mi veniva in mente …del perché in certi momenti prevale una realtà piuttosto che un’altra, facevo collegamenti, c’è stato il 25 aprile la questione del fascismo ecc. , un fatto interessante notavo importante è che una dittatura impedisce il dialogo, una delle libertà che impedisce è il fatto di poter parlare, di potersi confrontare, il successo di una dittatura se di successo si può parlare è il …) funziona così una dittatura (a quel momento l’unica realtà che si impone è l’unica voce che parla, l’unica voce che parla che è quella del regime… l’unica realtà perché non è possibile confrontarla con altre) lei immagina che questa sia una realtà alla quale dobbiamo soggiacere? Intanto ascoltando un discorso la prima cosa che accade è di chiedersi quali sono i termini portanti o importanti e quindi chiedersi a quali condizioni, per esempio, in Italia possiamo parlare di dittatura così in modo un po’ folcloristico oppure crederci, ma come avviene che il discorso parli di dittatura, chiederci come avviene qui è adesso mentre siamo tutti quanti insieme e stiamo parlando di psicanalisi intervengano questi discorso importanti per esempio, dittatura, la dittatura è un ledere la libertà e la dignità dell’altro, meglio ancora un togliere la possibilità di ascoltare il proprio discorso perché è il discorso dell’altro che funziona, certo il discorso del servo e del padrone funziona benissimo, funziona ancora e di più e funzionerà per molto tempo ancora laddove non ci sia appunto la possibilità di mettere in gioco… Trovandosi continuamente di fronte ad un dittatore da combattere quindi tutto ciò che sappiamo si deve fare per combattere una dittatura, con le parole, o con le bombe, o cose di questo genere ma proprio chiedersi a quali condizioni una dittatura è ferma nel discorso, la psicanalisi su questo si interroga e interviene …dice come mai parliamo di guerre e queste guerre più ne parliamo e più ce ne sono sempre da tutte le parti? eppure progrediamo, andiamo avanti, andiamo sulla luna facciamo le più belle costruzioni ma abbiamo sempre bisogno di questa guerra poi tutto sommato, questo discorso è fermo in qualche modo e ha bisogno che ci sia una guerra….questo permanere, tutto sommato non ci importa chiederci quale sia la guerra e perché… interessa alla psicanalisi, sappiamo quello che Freud si è trovato a dire… ma comunque interessa a noi chiederci a quali condizioni sia possibile che permanga la guerra, visto che il discorso per funzionare lavora con qualsiasi elemento e il discorso, qualsiasi discorso se non trova punti fermi che lo fanno girare in tondo distrugge qualsiasi cosa, non ha bisogno di “memorie” esterne a sé e quindi come avviene che il linguaggio produca ancora delle guerre? Domani non ce ne sarà più bisogno della guerra o del dittatore perché sarà un gioco non più utilizzabile, il parlante avrà inteso che forse si potrà divertire, provare ben altre emozioni, non avrà più bisogno di questi giochetti che sono giochetti da bambini…questo è uno dei progetti per cui si lavora, anche… (forse perché proprio il concetto di nemico non è mai stato approfondito) e di questo parleremo martedì sera, ci sarà Cesare Miorin, bene vi ringrazio e vi do l’appuntamento a martedì.