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LA PERSUASIONE ILLECITA E LA SEDUZIONE

 

C'è dell'ironia nel titolo di questa sera riguardo la persuasione illecita, poiché la persuasione è illecita sempre quando sono altri a persuadere all'infuori di chi si suppone preposto alla persuasione lecita. Pensate a tutte le invocazioni recenti e non contro i falsi profeti, ogni tanto si sente questa cosa: guardatevi dai falsi profeti. Ora per chi formula questa proposizione è evidente che il profeta non falso è lui, ovviamente, il quale è l'unico preposto a persuadere, perché è l'unico che conosce il bene e chiunque altro invece, evidentemente, è falso e inganna. Ma parlavo di persuasione, moltissimi l'hanno già fatto e comunque è una questione interessante, come sapete già da sempre gli umani cercano di trovare il mezzo per persuadere il prossimo di qualunque cosa, dagli antichi fino alla pubblicità attuale, quella visiva per esempio, punta esattamente a questo a trovare il criterio che persuada e se è possibile in modo definitivo. Funziona in questo modo tutta la struttura religiosa, tutto l'apparato religioso che ha un forte potere persuasivo, forse uno dei più potenti. Perché ha un forte potere persuasivo? Perché la religione produce senso, non è che faccia senso, almeno non necessariamente, lo produce, lo produce e lo divulga. La questione del senso è importantissima poiché ciascuno a modo suo è sempre alla ricerca di un senso, può essere uno qualunque o uno specifico, però ciascuno cerca il senso delle cose, di quello che fa, di sé... anche e perché no, le domande famose riguardanti il chi sono? dove vado? ecc... e quindi la ricerca di un senso delle cose, e qui il senso è inteso in un modo abbastanza semplice e cioè come la risposta a una domanda, risposta che non abbia più alcun rinvio, ma sia l'ultimo rinvio possibile, quello che illustra esattamente come stanno le cose. La religione, dicevo, produce questo, produce un senso utilizzabile e che ha un vantaggio sugli altri e cioè non necessità di essere provato. Vantaggio non da poco, semplicemente si appoggia su questo che è una cosa che ritorna ciclicamente e attualmente forse in modo molto evidente, cioè sulla considerazione, più o meno velata, più o meno consapevole dell'impossibilità che i discorsi forse più fortemente preposti a dimostrare le cose falliscono nel loro obiettivo. Pensate al discorso scientifico, se la ragione non riesce a rispondere a quelle domande che la stessa ragione si pone, allora deve esserci qualcosa che va al di là della ragione e che la ragione non può comprendere. Questo è un discorso molto semplice e che ha molta presa, è più o meno consequenziale, dicevo che fa molta presa perché è molto semplice ed è molto efficace. Fa presa su una cosa che ciascuno sa e cioè che non tutto ha una risposta, e quindi necessariamente c'è qualcosa che non ce l'ha, e non avendola che succede? Succede che si immagina che se pure io non riesco, né gli umani riescono a trovare questa risposta però qualcuno da qualche parte sa rispondere, ora che cosa mi fa pensare una cosa del genere? Semplicemente il fatto che io abbia formulata la domanda, se formulo la domanda allora ci deve essere una risposta, da qualche parte e in qualche modo. Ma perché mai dovrei pensare una cosa del genere? E in effetti questo è forse uno dei più forti pregiudizi, chiamiamolo così, del discorso occidentale, l'idea che possa darsi una qualche cosa che tolga la domanda rispondendo in modo definitivo. Ora siccome la ragione, la ratio, non riesce in questa operazione, allora c'è il ricorso a qualcosa di soprasensibile, la religione in tutte le sue forme, adesso parlo della religione in modo molto ampio. Con tutto questo stiamo soltanto dicendo che la struttura del discorso occidentale ma non soltanto, muove da supposizioni che sono delle costruzioni o se preferite delle invenzioni, che va anche bene, i problemi sorgono laddove queste costruzioni sono richieste di essere provate ed è a questo punto che il discorso occidentale vacilla, o qualunque discorso ovviamente. Voi sapete che già dagli antichi si divideva grosso modo il discorso in due aspetti, un aspetto logico e uno retorico. Quello logico aveva la funzione di convincere, convincere inesorabilmente, così come oggi si pensa debba fare una dimostrazione matematica; dall'altra parte la retorica che invece ha lo scopo di persuadere e cioè invitare a credere qualche cosa, credere qualche cosa che non può essere provato. È una distinzione che offre il fianco a molte obiezioni, tuttavia ha funzionato per secoli e funziona a tutt'oggi, la distinzione per esempio fra la ragione e il sentimento, fra il razionale e l'irrazionale e così via... ecco si tratta allora in moltissimi casi di persuadere che questa distinzione c'è ed è importante che ci sia, fra la ragione e il sentimento, diciamo fra la razionalità e l'irrazionalità, ed è importante persuadere in questo perché se così non fosse, cioè se le persone non fossero persuase di una cosa del genere, c'è l'eventualità che potrebbero mettere in dubbio l'utilità della ratio, l'utilità nel senso della sua capacità di giungere a conclusioni che siano necessariamente l'espressione della cosiddetta realtà. Si sa che l'irrazionale o il sentimento, sono per lo più imperscrutabili e non conducono a nulla che sia provabile, mentre la ratio si suppone che sia in condizioni di fare questo. Il che potrebbe anche non essere, ma dicevo prima dell'importanza del persuadere della distanza fra questi due aspetti, perché dicevamo in caso contrario c'è l'eventualità che non si possa più pensare alla ratio come strumento per reperire la realtà o più propriamente la verità, la verità delle cose e voi sapete che se non fosse possibile stabilire, non tanto la verità in quanto tale, ma almeno un criterio per poterla stabilire, allora non potrebbe formularsi nessuna proposizione che potrebbe vantare un migliore o maggiore titolo di credibilità di qualunque altra e pertanto è assolutamente imprescindibile che sia pensabile o sia credibile un criterio per stabilire la verità. Qualunque tipo di persuasione, se voi riflettete vi accorgete che punta sempre a questo, a persuadere che esiste un criterio tale per cui la verità è possibile, non che l’abbiamo raggiunta, trovata, che sia questa o quella, forse alcuni lo sostengono ma almeno i più cauti si fermano a considerare la possibilità di reperirla. Dunque la persuasione dicevamo tenta di persuadere che sia possibile, in qualche modo, dire la verità e dicevo qualunque tipo di persuasione, dalla persuasione politica alla persuasione di uno spot televisivo, alla persuasione che si mette in atto parlando con una persona per cercare di sostenere le proprie tesi o le proprie opinioni, in tutti i casi ciò che è sempre dato per acquisito è che alla fine di questo processo di persuasione ad un certo punto qualcuno sia convinto, meglio, persuaso in questo caso, di avere raggiunto una posizione per cui sa come stanno le cose. Anche l'amante che cerchi di persuadere il partner che non l'ha tradito tenta di giungere a questa conclusione, cioè fare in modo che l'altro o l'altra a seconda dei casi, creda che le cose siano esattamente così. Vi trovate qui di fronte a una delle questioni più colossali di tutta la struttura del discorso. Molti hanno pensato che mettere in discussione una cosa del genere potrebbe comportare la dissoluzione della stessa società, così come esiste a tutt'oggi, potrebbe anche essere, perché no? Ma sia come sia, resta che la questione comunque interroga in quanto strettissima connessione tra la persuasione ma anche la convinzione e l'idea della possibilità dell'esistenza di un criterio per stabilire la verità. Ora poco importa che chi cerca di persuadere sia in buona fede o in mala fede, per quanto stiamo dicendo questo aspetto è assolutamente marginale in quanto lui stesso, cioè chi cerca di persuadere che sia oppure non sia in buona fede comunque anche lui immagina, se è in buona fede che ciò che dice sia la verità, se è in mala fede che la verità sia un’altra, ma comunque che da qualche parte sia. Ecco la seduzione, la seduzione gioca un ruolo importantissimo in tutto questo, tutto ciò che per esempio ciascuna istituzione, ciascun governo, ciascuna società mette in atto nei confronti dei cosiddetti cittadini è una seduzione, la stessa religione cerca di sedurre. Sedurre, possiamo prendere questo termine nella sua accezione più letterale e cioè trarre a sé, e c'è sempre un solo modo per sedurre, quello di mostrare una verità generalmente superiore alle altre, come dire che tutte le altre sono solo mezze verità, questa invece è quella vera, quella ultima, quella definitiva. Qualunque discorso fondato sul bene, sul giusto non può prescindere da questa nozione che pervade ogni discorso, non soltanto discorsi filosofici linguistici o logici o giuridici, ma ciascun discorso quotidiano giacché ciascuno continua, quasi in ciascun istante della propria giornata, a cercare o a reperire le cose vere. Ora tutto questo è un preambolo per iniziare ad approcciare la questione in termini più precisi, tanto appena per dire come questa nozione in effetti non sia ristretta ad un ambito logico, prevalentemente di logici o di linguisti o di giuristi ma si ritrovi in ciascun aspetto della vita quotidiana, dunque ciò che abbiamo detto fino ad ora è che la verità, così come è comunemente intesa è ciò che ha il maggiore potere persuasivo, la maggiore seduzione. È nota per esempio la forza del neofita di qualunque religione o di qualunque forma simile, la sua forza è prodotta dall'idea di avere trovata la verità, di avere in definitiva trovato ciò che stava cercando. Ma tutto questo non solo è molto noto ma è corroborato continuamente da inviti da parte di ciascuna istituzione a non abbandonare i valori, a credere nelle cose, perfettamente consapevole che in assenza di questi si dissolverebbe questa istituzione e quindi ha qualche interesse perché prosegua. Abbiamo detto del formidabile potere seduttivo della verità, e cioè del pensare di avere trovato come stanno le cose. Ora come dicevo all'inizio mettere in discussione, cioè letteralmente porre in discussione tutto questo può comportare qualche problema nel senso che parrebbe a questo punto che possano venire a mancare gli stessi strumenti per qualunque argomentare, se non argomentiamo di volta in volta stabilendo, passo dopo passo degli elementi per potere proseguire, come proseguire? È ovvio che ciascuno di questi elementi che mano a mano si acquisisce occorre che sia vero, perché se sapessi che è falso non potrei in nessun modo avvantaggiarmene, dovrei abbandonarlo e quindi occorre che supponga almeno che sia possibile che sia vero, ma ciò che a noi interessa non è tanto la verità in quanto tale, ma l'idea della sua possibilità, la verità nell'accezione che intendevo prima, cioè come referente ultimo. Ciò che andiamo dicendo qui in questi ultimi incontri già ha posto delle condizioni per potere affrontare la questione in termini più precisi, muovendo innanzi tutto dalla considerazione che almeno per quanto ci riguarda non si tratta di persuadere nessuno di alcunché, ma di provarsi a riflettere oltre i limiti consentiti dalla ratio. I limiti consentiti dalla ratio sono quelli stabiliti grosso modo dal pensiero occidentale, ma fino già dai tempi di Gorgia, qual è il limite, uno dei limiti fondamentali? Uno l'abbiamo posto recentemente, il fatto che non ci sia uscita dal linguaggio, questo possiamo porlo come limite, possiamo anche porlo come fortuna, possiamo porlo come vogliamo, però di fatto non c'è uscita, con tutto ciò che questo comporta, e non è poco, perché affermare una cosa del genere e cioè che nulla è fuori dal linguaggio comporta anche considerare che la nozione stessa di verità è nel linguaggio, cioè è una produzione del linguaggio, e ciò stesso a cui la verità si riferisce è un'altra produzione del linguaggio, e che se non c'è uscita dal linguaggio, fuori da questo c'è nulla, letteralmente. Non che il nulla sia un quid situato da qualche parte, è un significante. Potremmo dirla così, che intendiamo con nulla ciò che è fuori dalla parola, ciò che è pensato fuori dalla parola, ciò che è pensato in questa sorta di paradosso. Dunque a questo punto che cosa succede? Che se la nozione di verità non ha un solido fondamento ma si prospetta come uno fra infiniti elementi linguistici, pur avendo una sua prerogativa, perché non è uguale a tutti gli altri, perdendo ogni stabilità perde anche la possibilità di essere creduta, c'è questa eventualità. Intendiamo qui con credere il pensare che le cose stiano in un certo modo, molto semplicemente, e molto banalmente, pensare molto banalmente che le cose stiano così, e cioè che la verità sia la descrizione di questo stato di fatto o stato di cose. Ora qui potremmo aprire moltissimi altri discorsi, uno rimasto in sospeso è il potere seduttivo della verità, l'altro, che è soltanto un altro aspetto, riguarda il fatto che per ciascuno in effetti questa verità è differente da quella degli altri, tant'è che per sedurre, sia che si tratti di un operazione politica, economica o sentimentale, la struttura è la stessa, occorre non, dire ciò che si crede essere fermamente la verità, ma dire, questo già Aristotele lo insegnava, ciò che l'altro vuole sentirsi dire, ma che cosa vuole sentirsi dire ciascuno? Una infinità di cose probabilmente, se si interrogano queste cose c'è l'eventualità che si giunga ad un punto dove di fatto ciò che ciascuno cerca, quindi vuole sentirsi dire, è che sia possibile, che ci sia almeno una cosa ferma, sicura, su cui potere contare, qualcosa di stabile, di inamovibile, qualunque sia tutto sommato poco importa, importa che ce ne sia almeno uno ed è esattamente questo che già Aristotele insegnava di dire, per esempio nelle cause giudiziarie ai giudici, cose semplici che dicono soltanto che ciò che sta affermando è fortemente possibile e quindi fortemente credibile. Dicevamo tempo fa, con gli amici, che una menzogna è quasi sempre molto più credibile di qualcuno che suppone di dire la verità, perché il suo dire la verità si riferisce a qualche cosa che a lui pare di avere visto o fatto, ma una menzogna è costruita apposta per essere creduta e quindi mostra tutti i requisiti per essere creduta, è costruita ad hoc, quindi utilizzando in questo caso tutta una serie di strumenti retorici che rendono una cosa la più verosimile. Cessare di credere, dicevamo tempo fa, sembra un progetto straordinariamente arduo, in taluni casi a taluni è parso impossibile, impossibile in quanto credere sembra così fortemente connaturato da non potere nemmeno pensarsi che possa darsi una simile eventualità. Tuttavia abbiamo provato a percorrere questa strada, se non altro per vedere dove ci avrebbe condotti, va da sé che è una strada molto difficile, molto difficile in quanto ciascun passo sembra indurre oltre che condurre inesorabilmente a dare qualcosa per acquisito, per scontato e quindi in definitiva creduto, più o meno consapevolmente. Se voi pensate a qualunque teoria di qualunque tipo, questa teoria, pur essendo magari molto articolata, sofisticata, muove comunque da elementi che dà per acquisiti, necessariamente. E se non si desse nulla per acquisito? Allora l'obiezione che sorge immediatamente in alcuni è che a questo punto non sarebbe più possibile proseguire in quanto di ciascuna cosa occorrerebbe farne una domanda. Non necessariamente, se uno vuole può anche farlo però si trova a girare in tondo, si tratta piuttosto di tenere conto che ciascun elemento di cui ci si avvale per proseguire non è vero e non è falso, è nulla, è un elemento che serve a proseguire, né più né meno, a proseguire a dire. Qui si apre immediatamente una questione, come se l'obiettivo, il fine di ciascun discorso non fosse altro che quello di proseguire a dire, c'è l'eventualità che sia così, anche perché riflettendoci meglio, di fatto qualunque altro obiettivo o finalità risulta assolutamente arbitrario, oltre che negabile, mentre ciascun discorso di fatto, per il suo stesso darsi, prosegue a dirsi e quindi è la cosa di cui possiamo dire. Non è un granché però intanto questo. Allora un percorso, non so più nemmeno se sia opportuno parlare di teoria, forse sì, forse no, un percorso, chiamiamolo così, che non preveda necessariamente dovere credere in qualche cosa per potere proseguire. È ovvio a questo punto che ogni riferimento a qualunque possibile verità viene inesorabilmente eliminato, ma allora perché si prosegue? È una bella domanda, anche la risposta è bella: perché non se ne può fare a meno. Nel senso che ciascuno non può arrestare i propri pensieri, non può arrestare il proprio discorso in definitiva, non può fermarsi e allora abbiamo deciso di proseguire, ovviamente utilizzando questo bizzarro criterio che ci ha condotti ad alcune considerazioni di ordine anche politico, etico... certo, anche etico. Potrebbe apparire bizzarro a questo punto parlare di etica dal momento che questo significante è una produzione linguistica che di per sé non ha nessun referente, nel senso che, com’è noto, l'etica è esattamente ciò che io voglio oppure credo che sia, non è altro da questo. Così come ciascun altro significante, di quelli intorno a cui ruotano buona parte delle istituzioni, così avevamo parlato della verità ma anche l'etica, il bene, il giusto ecc., la sola cosa che possiamo dire è che il bene, così come la verità è esattamente ciò che io credo che sia. Il problema è che non può essere altrimenti, certo potrebbe obiettarsi che per un'altra persona il bene è un'altra cosa quindi allora il bene è quell'altra cosa, esattamente. Il bene è quell'altra cosa, ed è questa ed è quell'altra... non essendoci propriamente nessun referente sul quale commisurare tutta questa serie infinita di beni, ciascuno è di per sé assolutamente vero, assolutamente reale, per usare questo termine. Questo è un elemento non marginale, il considerare che ciascuna volta ciò a cui mi riferisco non è provvisorio rispetto a un'idea di giustizia assoluta, no, è la mia idea che è assoluta, così come quella di ciascuno. La supposizione che ci sia questa idea assoluta, sistema per altro vecchissimo, è ciò che ha condotto e che conduce ultimamente a un certo numero di massacri, i quali sono, come sapete, sempre compiuti in omaggio alla verità, perché se il mio ideale è quello vero allora qualunque altro è necessariamente falso, almeno così è l'opinione più diffusa, e quindi va combattuto oppure va ridotto e ricondotto (l'altro) alla ragione, in un modo o nell'altro e se non ragiona si elimina, e bell’e fatto. Ma in assenza eventualmente di questo ideale, cosa accadrebbe? Cosa mai dovrei difendere? Il mio ideale? Quale? La mia verità? Non ce n'è nessuna... Le cose in cui credo? E quali sono mai? Insomma sarei orfano di cose da difendere. Per alcuni questo comporta innumerevoli svantaggi, uno fra questi non avere nessuna possibilità di creare nemici, uno svantaggio notevolissimo nella società cosiddetta attuale. Il nemico ha una funzione, come sapete, essenziale in ciascuna società, non è possibile vivere senza nemici, è il caos, la catastrofe, persa l'individuazione del male anche il bene c'è l'eventualità che vacilli, la chiesa lo sa perfettamente, è maestra in queste operazioni. Monopolio del male, monopolio del bene, monopolio della sessualità, monopolio di varie cose di cui gli umani vivono.Così da creare dall'altra parte il clan o la setta, la setta che sia più o meno ampia è sempre fatta di persone illuminate, mentre gli altri no, quelli sono al buio. È una questione vecchissima, dalla caverna di Platone in poi almeno non ha mai mancato di comparire nello scenario sociale. La setta degli illuminati: sono coloro che hanno scoperta o inventata o vista la via, a seconda dei casi o delle credenze. Ciascuna forma di religione a modo suo è una forma di illuminazione, e la scienza dal pari suo non è da meno, c'è una prossimità tra la religione e la scienza straordinaria, molto più di quanto comunemente si immagini, sono quasi esattamente la stessa cosa. Dicevo che fra le varie impossibilità c'è anche quella di potere creare contrapposizioni, valga per tutte quella fra il bene e il male, con qualunque forma di razzismo, per cui a questo punto non è nemmeno più interessante essere pro o contro il razzismo, non è proprio più interessante la questione. È vero, moltissime cose in effetti perdono interesse insieme con la ricerca della verità e quindi la ricerca dell'illuminazione, la ricerca della via, la ricerca della sapienza, la ricerca di un sacco di cose che vengono ridotte e ricondotte a ciò che sono inesorabilmente, giochi linguistici come il tre sette, il poker, sono giochi che per essere compiuti devono essere seguiti attenendosi a delle regole. Così come quando si gioca a poker si seguono delle regole ben precise, esattamente come quando si fa una transazione d'affari o si comprano le sigarette dal tabaccaio o si fa una dichiarazione d'amore o si fa qualunque altra cosa. Ciascuna di queste cose è un gioco con delle regole che vanno seguite per potere giocare quel gioco, se no non si gioca. È noto che un gioco senza le regole cessa di essere tale, non è più niente. Ecco queste considerazioni ci hanno condotti a intendere o a rilevare di volta in volta quali fossero in ciascun caso le regole del gioco, di quel gioco che si stava compiendo, di quel gioco che era in atto, che cosa supportasse questo gioco e c'è un punto in cui in effetti ci si trova davanti a una considerazione abbastanza curiosa, cioè prendere atto che si stanno seguendo le regole per fare un gioco, per giocare un gioco, anziché esprimere uno stato di cose o una realtà, nient'altro che questo. Alcuni, tempo fa si erano un po' inquietati di fronte all'eventualità che una cosa in un discorso del genere potesse, se non proprio distruggere almeno attenuare una serie di... chiamiamole pure illusioni, perché senza queste illusioni, mi veniva detto, il discorso occidentale cioè la società intera non potrebbe sussistere, questo è possibile, è possibile ma la cosa non è che poi ci preoccupi un granché. Magari mi fermo un istante così voi potete intervenire se avete domande da porre...

- Intervento: Mi è venuto da pensare: se io al posto di dire credo, dico scelgo, cambia qualcosa?

Dipende, può cambiare tutto o non cambiare nulla. Cambia tutto effettivamente se si trova di fronte al fatto che di volta in volta sceglie di fare una cosa non perché questa sia il corrispettivo di una realtà (perché piace di più, perché attrae)...sì certo uno può decidere una scelta estetica, perché no? un altro predilige quella logica, un altro predilige...

- Intervento: perché secondo me c'è una differenza radicale tra il sacro e l'estetico...

Sì certo, però più che sostituire un termine si tratta di riflettere sulla questione, ciò che stavo invitando a fare è compiere un gioco, giocare un gioco. Il quale tiene conto che ciascun elemento che interviene è un elemento linguistico, soltanto questo. Certo, poi questo ha delle implicazioni ovviamente, in quanto produzione linguistica...

- Intervento: produzione linguistica? Pensa che questo sia l'unico modo di comunicare?

Ecco proviamo a considerare la questione. Intanto occorre che stabiliamo cosa indichiamo con comunicare qualcosa. Dipende che cosa intendiamo con comunicare, perché se la intendiamo in un certo modo la comunicazione è possibile, anzi necessaria; se la intendiamo in un altro modo la comunicazione diventa impossibile. Per esempio, se intendiamo con comunicazione la trasmissione in qualunque modo di elementi per cui un altro ne abbia degli effetti, abbia un riscontro, abbia modo di valutare ciò che gli viene detto, allora la comunicazione è assolutamente necessaria, perché anch'io parlando comunico con me, per esempio, e poi comunico insieme con voi. Senza questo non potrei fare nulla. Però d'altra parte dobbiamo anche dire che questa operazione di trasmissione noi possiamo dedurla. Possiamo dire che non potrebbe essere altrimenti ma non possiamo provarlo in nessun modo. Non possiamo provare in alcun modo che un elemento che muove dall'emittente e arriva al ricevente sia lo stesso, per cui a questo punto la comunicazione sembra e appare come impossibile, ma allo stesso tempo appare come necessaria, per cui se accogliamo una definizione allora andiamo in una certa direzione, se accogliamo l'altra andiamo in un'altra direzione ancora. Poi ecco lei si chiedeva di una comunicazione fuori dal linguaggio. La questione non è semplice, qualunque elemento che interviene, che io reperisco, qualunque sia, viene reperito all'interno di una struttura che mi dice che quello è un elemento, che lo sto reperendo, che io so che cos'è e un'infinità di altre cose che mi consentono di muovermi in relazione a questo dato che ho ricevuto in un certo modo. Qual è la struttura che mi consente di compiere tutte queste operazioni? È una struttura straordinariamente complessa, una struttura organizzata, ecco intendiamo con linguaggio questa struttura che non è soltanto ovviamente una trasmissione di cose, perché un elemento che passa da uno all'altro e provoca un mutamento nell'altro non è comunicazione, non possiamo intendere con questo la comunicazione se no a questo punto con comunicazione dovremmo intendere qualunque cosa. Con linguaggio intendiamo ciò che consente agli umani di dirsi tali, cioè di dirsi umani, molto semplicemente. È una definizione molto ampia chiaramente, però è difficile trovarne una più ristretta, quindi la comunicazione extralinguistica potrebbe risultare un non senso in quanto fuori dal linguaggio non esisterebbe nessuna struttura per cui io sia in condizioni, per esempio, di parlare di comunicazione o di chiedermi se esiste la comunicazione, tutto questo non potrebbe darsi in nessun modo. Posso pensare ovviamente all'esistenza di qualcosa fuori dalla parola, però c'è l'eventualità che con questo formuli una sorta di paradosso, perché come lo penso? Con che cosa penso a un qualcosa fuori dalla parola, qualunque cosa sia? Con la parola, se effettivamente fosse fuori dalla parola sarebbe assolutamente inaccessibile perché è la parola, come insieme di elementi del linguaggio che mi consente di potere dire che c'è oppure non c'è comunicazione, per potere dire anche che qualcosa è fuori dalla parola, se fosse effettivamente fuori non esisterebbe né potrebbe darsi. È una curiosa struttura quella del linguaggio, dal momento in cui si è dentro non c'è più nessuna possibilità di venirne fuori. Spesso si parla degli animali o del linguaggio degli animali ecc... il che è improprio, certo io posso attribuire agli animali qualunque cosa, posso attribuire il linguaggio, posso attribuire le intenzioni, posso attribuire loro uno scopo, posso attribuire loro tutto quello che mi pare, però sono io che lo attribuisco, e loro non sappiamo...

- Intervento: dove vogliamo arrivare?...

Rispondo alla sua domanda che è importante, ecco, non è che mi sia mai trovato contro il formalismo logico o qualunque altra cosa, si tratta di reperire queste nozioni non tanto come entità, il vero o il falso per esempio, ma come procedure linguistiche, strumenti di cui il linguaggio è fatto e che consentono di proseguire. Lei pensi per esempio ai tre principi aristotelici famosissimi, sono molto banali, però presi e condotti alle estreme conseguenze possono diventare interessanti. Per esempio prenda il principio di identità, ora un conto è porlo in termini filosoficamente ontologici, altro è considerare semplicemente che se dico una parola ho detto quella e non un'altra, ma questo non è un principio filosofico o morale, è soltanto una procedura linguistica, ché se io dicendo una cosa dicessi qualunque altra il linguaggio si dissolverebbe, non potrei dire niente. Il fatto che il linguaggio sia in atto ci costringe a considerare che ciascuna parola è quella e non un'altra, se non lo fosse il linguaggio si dissolverebbe, siccome non si dissolve non possiamo che considerare così. Ora dire che vero o falso o qualunque altra cosa che abbiamo detta sono soltanto significanti, comporta non tanto che dobbiamo abbandonarli come la peggiore maledizione, semplicemente questo, che non sono fondabili, non essendo fondabili in nessun modo allora effettivamente può sorgere il suo quesito cioè "dove stiamo andando?". La sua domanda potrebbe formularsi in questo modo, a cosa serve parlare? A cosa serve vivere? A cosa serve domandarsi cosa serve? È una cosa che gira in tondo indubbiamente, ora la questione può porsi in termini più radicali ovviamente considerando che queste domande girano in tondo cioè non conducono da nessuna parte, ma non perché dobbiamo andare da qualche parte, forse la questione è proprio questa, che il linguaggio non ha una meta, può di volta in volta darsi un obiettivo per raggiungere questa o quella cosa, ma di fatto non è possibile rispondere alla domanda "perché il linguaggio?" o "perché esiste qualcosa anziché nulla" che è la domanda fondamentale della filosofia? Uno potrebbe dire perché esiste questa domanda? e così via... gira in tondo cioè non trova nulla in questo, ma semplicemente un rinvio continuo alla questione che sta aggirando e cioè che non può uscire dal linguaggio e tutto ciò che dice sono produzioni che il linguaggio mette in atto. Ora potremmo chiederci "perché il linguaggio?" potremmo dire per niente, tutto sommato, oppure per qualunque altra cosa a ciascuno piaccia pensare. Per il benessere altrui, per la maggior gloria di dio o per la salvaguardia della specie, è la stessa cosa, ciascuno può pensare quello che gli pare però di fatto l'impatto con questa considerazione che pare inevitabile può essere molto violento in quanto può comportare una sorta di disorientamento, e allora non si sa più dov'è l'oriente per cui non si sa più appunto dove si sta andando. Tutti i discorsi presi dalla filosofia della scienza, abbiamo discusso tempo fa di Popper per esempio, il quale ha, anzi aveva, adesso è morto, una sua idea della verità, ben precisa. Ciascuna teoria, ciascuna elaborazione, ciascuna ricerca si approssima alla verità, ma per pensare una cosa del genere occorre dare per acquisito che sia da qualche parte, se no si approssima a che? O come posso stabilire che vado nella direzione giusta anziché da quell'altra? Perché qualunque direzione è pari a qualunque altra. Considerare che il linguaggio sia niente può, come dicevo, creare qualche smarrimento ma può diventare una considerazione inesorabile. Ciò che di fatto ci impedisce di arrestarci è la scommessa che abbiamo fatta, e cioè che cosa tutto ciò avrebbe prodotto mano a mano: che cosa crea tutto questo, oltre ad un certo smarrimento? E abbiamo considerato che in effetti se una serie di pregiudizi, superstizioni possono dissolversi o almeno ridursi, c'è l'eventualità di potere muoversi con una maggiore libertà. In effetti se Lei riflette, qualunque cosa io creda, qualunque cosa tutto sommato, costituisce un limite in un certo senso, ché se io credo questo vuol dire che questa cosa è così e non cosà, in questo senso si potrebbe incontrare una sorta di libertà illimitata, pur attenendosi alle regole del gioco. Per giocare dei giochi occorrono delle regole se no non si gioca nulla, però sapendo che sono regole del gioco, regole che si seguono per giocare quel gioco e niente più di questo...

- Intervento: lei dice che non ci sono punti fermi però......

Non propriamente, vede, la questione va giocata in un altro modo, le cose che io ho illustrate questa sera e anche in altre occasioni non sono vere, non descrivono nessuno stato di fatto, assolutamente nessuno, non hanno nessun referente, non corrispondono a niente, sono delle regole, delle regole per giocare un gioco, un gioco che può essere divertente da giocare nient'altro che questo. Come se vi avessi insegnato un nuovo poker, non è con questo che vi ho tramandato una verità, vi ho solo insegnato un gioco nuovo, solo questo...

- Intervento: la seduzione esiste se non c'è nessuno che vuole essere sedotto?

Generalmente si ritiene così in effetti, e questa cosa può funzionare se c'è qualcuno che crede che possa sedurre soltanto se l'altro è sedotto e se l'altro pensa la stessa cosa allora funziona se no, non tanto. Una volta ci chiedemmo: "ma l'esistenza esiste di per sé oppure no?" Ormai siamo incappati in questa via... abbiamo passato il punto di non ritorno...