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LA SOFFERENZA COME ATTRAZIONE FATALE

 

La nozione di sofferenza come ciascuno di voi sa è molto antica e soprattutto ha avuto e ha una notevole portata nel discorso in cui ci troviamo. La sofferenza ha anche un carattere nobilitante, tant'è che generalmente si considera (generalmente, non è una legge) che una cosa ottenuta attraverso la sofferenza, lo sforzo e tante altre cose valga di più di una ottenuta invece senza nessuna sofferenza, allegramente e senza sforzo. Non solo, ma la persona che soffre è generalmente considerata più degna di attenzioni di una che sta benissimo. Non è casuale che ciascuna religione, una qualunque che vogliate prendere, in qualche modo si sia appropriata della sofferenza, chi per farne uno strumento di salvezza, chi qualcosa di necessario per poterla superare, e chi invece ne fa un monopolio vero e proprio, come qualcosa che è caro agli dei, a dio a seconda che ce ne sia uno o più di uno. Insomma vari modi per nobilitare la sofferenza come se si trattasse di qualche cosa che appartiene fortemente agli umani. Ora ciò che ci ha incuriositi è proprio questo carattere di nobiltà che attribuito alla sofferenza. Generalmente con questo termine si intende una condizione non piacevole, fatta di sensazioni perlopiù, più o meno intense, spesso molto intense. Una delle condizioni perché la sofferenza possa chiamarsi tale è che non sia voluta, in genere si considera così, se no cambia segno e si chiama piacere. In effetti questo aspetto cui vi sto accennando potremmo chiamarlo responsabilità, ed è fondamentale per intendere la questione della sofferenza. Forse è il caso di definire qui in quale accezione intendiamo responsabilità, potremmo definirla così, come l'accogliere ciò che accade lungo il proprio discorso, come un effetto del proprio discorso, anziché effetto di altro, che verrebbe dal di fuori. Qualcosa dunque che il proprio discorso costruisce. In effetti ci sono molte cose che fanno soffrire moltissimo alcuni e lasciano altri totalmente indifferenti, mentre una martellata sul dito in genere ha un effetto molto simile per ciascuno. In altri casi no, invece, e qui in effetti occorre forse distinguere tra ciò che si intende generalmente quando si parla, per esempio, di una persona che soffre per questioni che incontra, come un abbandono, una nostalgia, una perdita comunemente, e la sofferenza provocata da un trauma fisico, per esempio, che effettivamente ha anche un modo differente di approccio. Un'altra cosa che occorre aggiungere è che il potere fortemente seduttivo che opera la sofferenza è una cosa che fra i giovinetti (ma non solo) viene utilizzata, quella di mostrarsi particolarmente sofferenti in modo da attirare l'interesse del partner, insomma della persona che si vuole interessare, consapevole del fatto che chi mostra, esibisce la propria sofferenza, difficilmente passa inosservata. Non solo, ma possiamo aggiungere un altro elemento ancora, quello della attendibilità, una persona che ha sofferto rispetto a una certa cosa è più attendibile. Si riteneva che Cristo dicesse la verità anche per questo, o fosse preposto a dire la verità anche per questo, perché ha sofferto sulla croce e quindi... questo per indicare che si considera generalmente che una persona che soffre non menta, in genere, non è così sicuro, ma sia come sia ciò che a noi qui interessa in modo particolare è porre l'accento su questo aspetto, che prima vi indicavo, e cioè la responsabilità nei confronti della sofferenza ovviamente, perché abbiamo incominciato a chiederci da dove venga questa sofferenza, dal momento che di per sé si mostra con un carattere di non necessarietà, né di obbligatorietà, nessuno è obbligato a soffrire, se vuole può farlo ma non c'è nessun obbligo particolare, anche se in effetti ciò che viene enunciato da una persona che soffre è che non vuole soffrire, che di per sé preferirebbe evitarlo. D'altra parte, come abbiamo appena detto, nessuno la obbliga a farlo, e allora perché lo fa, da dove viene questa cosa che non voglio, per dirla così, ma che tuttavia nessuno mi costringe a fare? Eppure ha qualcosa di assolutamente personale, che procede da cose che mi riguardano, se una cosa mi fa soffrire è perché questa cosa si aggancia ad altre che hanno degli effetti e così via, come dicevamo prima ci sono molte cose che producono sofferenza in alcuni e totale indifferenza in altre persone. Generalmente si attribuisce una maggiore capacità, chiamiamola così, alla persona particolarmente sensibile, ma anche qui, definire questa sensibilità può risultare tutt'altro che semplice. Si considera generalmente una persona sensibile una persona che riesce a capire la sofferenza altrui, e in alcuni casi anche farsene carico, soffrire insieme, compatire, letteralmente, patire insieme e di questa si dice che è una persona sensibile. E per il momento atteniamoci a questa definizione, perché no? Ma vediamo se un qualche cosa risulta assolutamente peculiare alla sofferenza, cioè senza il quale la sofferenza non potrebbe più chiamarsi tale. Abbiamo detto che è una sensazione, e fin qui non siamo andati molto lontani, ma una sensazione di che tipo, che cosa si avverte? Tutta la letteratura connessa con questa idea di sofferenza attribuisce alla sofferenza la sensazione di mancanza, come se ciò che viene avvertito fosse che manca un elemento per stare bene, se questo elemento ci fosse allora starei bene. Emblematiche sono le cosiddette pene d'amore: una persona soffre perché la persona c'è o non c'è a seconda delle circostanze, insomma diciamo che non c'è nel modo in cui vorrei che ci fosse, mettiamola così, e dunque una mancanza, e così tutte le varie sfumature come la nostalgia eccetera, insomma varie altre cose generalmente alludono ad una mancanza, difficile trovare una sofferenza che muova da un'abbondanza, si soffre per una perdita, come già Freud aveva elaborato nel saggio che forse molti di voi hanno letto, intorno al lutto, "Lutto e melanconia" per l'appunto, dove considera che si tratta di un lutto, cioè di una perdita di qualche cosa, può essere qualcuno, può essere un'idea, un ideale, può essere una qualunque cosa, ciò che rimane immutato, dice Freud, rispetto a questo processo psichico è che qualcosa si è sottratto. Qualunque cosa sia, per qualunque motivo adesso non ci interessa, ed è così in effetti, questo è il pensiero più frequente laddove c'è sofferenza, e cioè che qualcosa non ci sia più. In questo caso qual è il vantaggio in questa operazione? Questo: che permane l'idea che se questa cosa ci fosse, fosse presente, fosse reperibile, allora la sofferenza scomparirebbe. Pensate a quello che avviene in una relazione amorosa, prendo come esempio la relazione amorosa dal momento che più o meno ciascuno si è trovato ad averne a che fare in vita sua almeno una volta. Bene, laddove per esempio uno dei due partner avverte una mancanza rispetto all'altro, o perché non c'è o perché, come dicevamo prima, non c'è come vorrebbe, immagina che se quest'altro partner ci fosse nel modo in cui a lui piacerebbe la sofferenza non ci sarebbe più. E non ha torto, fino ad un certo punto, fino ad un certo punto, perché oltre questo punto avviene qualche cosa per cui se il partner fosse presente, esattamente così come si vorrebbe che fosse, ecco che anche in questa circostanza, dopo un moto giubilatorio iniziale la sofferenza, questa cosa che si chiama sofferenza, inesorabilmente si riaffaccerebbe, come dire che ciò che immagino possa togliere la sofferenza, di fatto si rivela non essere sufficiente, non essere adeguato, non essere in condizioni di assolvere il suo compito, cioè di togliere in modo definitivo la sofferenza. Se io desidero fortissimamente una persona e poi la ottengo, inesorabilmente, se è solamente questo l'obbiettivo, dopo un po' interviene qualcosa che mi fa accorgere che non era "soltanto" questo e cioè che a fianco c'erano altre cose che quest'altra persona non può darmi, né sa farlo, non può strutturalmente perché ciò che manca in quel caso non appartiene a quella persona, non è mai appartenuto. Insomma ci si accorge che comunque qualcosa continua a mancare, cosa notissima per altro già dagli antichi, e che la religione ha fatto sua appropriandosene e inducendo a pensare che ciò che comunque manca, e che gli umani vanno cercando, è dio, e che soltanto trovando lui, finalmente c'è la pace. Dio, ovviamente può essere un ideale o qualunque altra cosa. Ma questa cosa può funzionare fino ad un certo punto, può incappare anche questa in qualche problema, in qualche disagio e cioè mostrarsi non sufficiente, non adeguata, e cioè non adeguata a ciò che mi aspetto da questa cosa. E in effetti la questione è questa: che cosa mi aspetto? Dal momento che qualunque cosa io reperisca questa mostrerà prima o poi la corda e cioè non sarà ciò che volevo. Come dicevo, è una cosa nota da sempre, tuttavia è sempre attuale. Insomma che cosa potrebbe soddisfare, cosa potrebbe soddisfare questa richiesta della quale, come diceva Freud, il discorso isterico, per esempio, fa il verso, la caricatura, enunciando che non è mai questo, qualunque cosa chieda, mille cose, ciò che ottiene non è mai questo, è sempre un'altra cosa, e continua a domandare, è una caricatura, ma enuncia qualcosa che va molto al di là. Torniamo alla questione della sofferenza, la sofferenza dunque enuncia una mancanza, e a fianco alla mancanza ovviamente dice che se questa mancanza venisse eliminata, soddisfatta, la sofferenza cesserebbe. Però non avviene, non avviene strutturalmente, ora proviamo a considerare perché non avviene. Perché una persona che soffre in molti casi preferisce continuare a soffrire anziché no? Intanto ha un vantaggio, finché soffre per la mancanza di qualcosa può continuare a pensare che togliendo questa mancanza il suo benessere sia assicurato, è un vantaggio non da poco, come dire che mantiene viva questa speranza, poi un altro vantaggio è questo, localizzare la mancanza in un luogo stabilito, e questo consente di aggirare l'eventuale confronto con qualcosa che potrebbe essere molto più duro da accogliere e da considerare; terzo offre una altro vantaggio ancora, notevolissimo, quello di mostrare la propria assoluta non responsabilità della sofferenza (come dicevamo prima chi soffre enuncia di volersi sbarazzare della sua sofferenza e quindi in definitiva che cosa dice se non che non la vuole). Questo come dicevo è un vantaggio nel senso che toglie di mezzo la possibilità che qualcuno possa giungere a dirgli che essendo assolutamente gratuita la sofferenza, è sufficiente che si cessi di soffrire. Che può sembrare una banalità, però in un certo senso non lo è, perché in questo modo posso continuare a dire che non sono io che voglio soffrire, tant'è che voglio sbarazzarmi della sofferenza. Questi tre vantaggi consentono di permanere in una situazione per alcuni versi favorevole, e favorevole in questo senso: provate a considerare la mancanza, da sempre un tema caro agli umani, che hanno sempre pensato di essere mancanti di qualche cosa, e perché mai? Perché mai gli uomini dovrebbero pensarsi mancanti di qualche cosa? Tutto sommato non ci sono buoni motivi, c'è l'eventualità che questa idea di mancanza possa sorgere da qualcosa di molto radicale e cioè dalla non padroneggiabilità, per esempio, di ciò che li circonda, però di nuovo, uno potrebbe chiedersi perché dovere padroneggiare ciò che lo circonda e così via. Ciò che in definitiva viene avvertito come mancanza è l'impossibilità di rispondere a questa domanda e ad altre ancora peggiori, ma non rispondere a una domanda comporta che la domanda rimanga in sospeso, che continui a interrogare, se io non so rispondere a una domanda la domanda rimane lì, e generalmente inquieta, inquieta perché non trova una sua collocazione, e continuando ad interrogare mi costringe, per così dire, a continuare a confrontarmi con questa questione. Se voi riflettete tutto sommato è l'assenza di risposte, risposte proprio nell'accezione più comune del termine a inquietare, e perché questo? Certo il discorso occidentale ha fornito una serie di domande e di risposte, ma ciò che non può fornire in nessun modo è un criterio definitivo per potere stabilire che queste risposte sono le ultime, quelle definitive, come dire che se la cosa è portata alle estreme conseguenze, è come se non ci fosse nessuna risposta a nessuna domanda, solo risposte molto parziali, come se ciascuna risposta tutto sommato rispondesse: le cose sono così perché sono così. E poi in definitiva non fa molto più di questo, e allora ecco, la questione della mancanza posta in questi termini si configura forse in modo più preciso, solo che sorge un altro problema, perché si cercano le risposte? Questa è una bella domanda, che attende risposta, ma che cosa ci stiamo chiedendo esattamente chiedendoci questo? Cosa stiamo cercando? Un elemento che sia la garanzia di tutto? Un elemento che sia immobile? Ci hanno già provato da tremila anni a questa parte, dal motore immoto di Aristotele fino a Popper, è stato fatto un tentativo di proporzioni colossali per risolvere questo problema, che non ha in effetti nessuna soluzione, perché gira in tondo, gira intorno a sé stesso. Che non vi sia "la" risposta (dio tutto sommato è una figura di questa risposta) non è causa dell'incapacità degli umani a pensare in termini sufficienti, o della tecnologia non sufficientemente avanzata, ma è semplicemente una questione grammaticale molto banalmente, che impedisce che sia possibile uscire dal linguaggio. In altri termini chiedendomi (adesso poniamo la questione in termini molto pesanti) quale sia la risposta finale, la risposta a tutte le domande, faccio qualcosa che non ha nessun senso, perché sto cercando un qualche cosa che sia immobile, fermo, e perché dovrebbe essere fermo, perché se varia anche lui allora... ma se un elemento è all'interno del linguaggio e quindi è vincolato per la sua stessa esistenza a ciascun altro elemento e quindi mutevole ininterrottamente è ovvio che non potrà mai costituire un punto fermo, e dunque nessuna risposta potrà porsi se non con un rinvio ad altri rinvii, all'infinito. Ora il problema che abbiamo affrontato l'anno scorso verteva proprio sull'impossibilità di stabilire un solo elemento che fosse fuori della parola (adesso la dico così in due parole, se volete possiamo approfondire), e questa impossibilità procede dal fatto che se effettivamente fosse fuori dalla parola sarebbe in nessun modo né pensabile né dicibile ovviamente. Però questa è un'altra questione ancora, e allora dicevo della mancanza, la mancanza come fondamento di ogni sofferenza, se la mancanza è ciò da cui procede ciò che andiamo dicendo, allora la sofferenza è il modo di raffigurare questa mancanza, potremmo dire così, un modo economico per cercare di gestire tale mancanza (che poi si rivela non essere affatto una mancanza) in modo da poterla aggirare. Ora a questo è possibile giungere partendo dalla sofferenza più comune, non so, quella della perdita di una persona, perdita in qualunque accezione vi piaccia pensare. Immaginiamo per un momento di non attenerci ai luoghi comuni, cioè a tutto ciò che pare ovvio e scontato, e allora naturalmente a questo punto trovandoci di fronte a una qualunque cosa ci interesserebbe sapere come avviene, e ci domanderemmo come avviene, perché, cioè cercheremmo un altro rinvio, e allora se provassimo a giocare questo gioco ci troveremmo inevitabilmente e inesorabilmente in una sorta di rinvio infinito ovviamente: soffro perché non ho più quella persona, e allora? Perché questa persona mi dava questo, questo e questo e altro? E allora? Perché questo e quest'altro mi faceva piacere e perché? Potete andare avanti all'infinito se volete, non avviene generalmente, né potrebbe avvenire, e non può avvenire perché i luoghi comuni sono costruiti e hanno la funzione di impedire questa sorta di regressio ad infinitum, il luogo comune, come già aveva architettato Aristotele, ha esattamente questa funzione, di impedire assolutamente il regresso all'infinito, qualcosa di prossimo a ciò che i latini chiamavano horror vacui, e assolve piuttosto bene la sua funzione, in effetti a nessuno verrebbe mai in mente di porsi una domanda del genere, anzi la riterrebbe in alcune circostanze assolutamente inopportuna, se non addirittura offensiva. La potenza del luogo comune è tale da schermare ogni possibilità di pensare altrimenti, è fatto apposta, è fatto apposta e riesce perfettamente. Ora cos'ha a che fare la sofferenza con il luogo comune? Potremmo dirla così: la nozione di sofferenza, quella che trovate comunemente, ad esempio quella che fornisce qualunque dizionario che grosso modo dice questo, che è il trovarsi in una condizione spiacevole e non voluta, grosso modo, non credo che vada molto al di là, ecco intendendo dunque con sofferenza questo, non possiamo a questo punto non riflettere sul fatto che, come recita qualunque definizione, sia non voluta, anche se la cosa può sembrare molto strana. Vi ho elencati prima almeno tre buoni motivi per utilizzarla, uno di questi era la seduzione, cioè richiamare l'attenzione altrui, è uno dei modi, non c'è solo questo però questo è uno dei più potenti, però ecco, dire che una persona soffre perché vuole farlo può apparire sgradevole a sentirsi, e assolutamente contraria a ogni buon senso, potrebbe anche esserlo, ma questo non ci preoccupa. Proviamo a considerarla da questo aspetto, la sofferenza come la sensazione che si avverte quando viene sottratto qualcosa che produce piacere, anche questo è legittimo, una cosa che produce piacere, per esempio, posso dire che stare con questa persona mi produce piacere, e se questa persona se ne va allora soffro, non fa una grinza, che per altro forse è uno dei casi più frequenti. E qui torniamo a un aspetto a cui abbiamo accennato all'inizio e cioè il fatto che c'è qualche cosa che ciascuno va cercando e che è molto potente e che di volta in volta può appuntarsi o su una persona o su un ideale o su una qualunque cosa, la quale fa sì che da quel momento quella persona o quell'ideale risultino assolutamente imprescindibili se non addirittura motivo della propria esistenza. Ma come avviene? Gli ideali in genere tradiscono, anche i partner qualche volta, ma non è tanto questa la questione, quanto piuttosto che di fronte al rivelarsi di queste cose o di questi partner più che inaffidabili, inadeguati, inadeguati a soddisfare una domanda, che va molto al di là, di tali partner, questo crea qualche problema, può anche essere che sia uno dei motivi per cui le relazioni, così come gli ideali, così come le grandi passioni sfumano, mano a mano che proseguono. Cosa che di primo acchito potrebbe apparire bizzarra, perché mai dovrebbero sfumare? Uno ama tantissimo una persona, perché dovrebbe ad un certo punto la cosa sfumare, non dovrebbe esserci nessun motivo, anzi se mai il contrario, e invece avviene e ciò che sto dicendo è che avvenga per questo motivo, e cioè che la cosa sfuma al momento in cui mano a mano mi accorgo che ciò che cercavo non era esattamente questo o non soltanto questo, resta un'altra cosa, però ciò che resta è molto potente, molto forte e mi attrae con una forza incredibile, la stessa forza che mi attraeva in quella persona, ma in buona parte perché le si era attribuita questa virtù. Freud lo descrisse in un saggio che si chiama "Coloro che soccombono al successo". Facciamo l'esempio di una persona che ottenga tutto, ottiene tutto quello che desidera, qualunque cosa, supponiamo che si dia questa eventualità, non è frequentissimo, però non possiamo neanche escluderlo, ebbene a questo punto diceva Freud avviene una sorta di catastrofe psichica, perché non c'è più nulla, avendo ottenuto tutto, che possa funzionare come quell'elemento mancante che una volta raggiunto, possa eventualmente fornirmi il benessere: "adesso ho raggiunto tutto, perché non sto bene"? A questo punto uno comincia a chiedersi che cosa manca e si guarda intorno e ha tutto, e perde quel vantaggio di cui dicevamo prima, e cioè di potere pensare che l'ottenere una certa cosa sia invece fonte di benessere. Questa catastrofe psichica avviene in seguito all'impatto violentissimo con l'impossibilità di chiudere una domanda o di trovare la risposta, continuando a pensare che questa risposta esista ovviamente, ché se uno considerasse l'inesistenza della risposta, la sua non esistenza strutturale, non solo cesserebbe di cercare ma semmai si interrogherebbe intorno al percorso e al processo che lo ha indotto a questa ricerca, molto religiosa in effetti. È la ricerca di dio, non è un caso che sempre al culmine del progresso scientifico o tecnologico ci sia a fianco il sorgere di pratiche religiose di vario genere e vario tipo, quasi a sancire, proprio al colmo dell'elaborazione scientifica, la sua precarietà, o la delusione nei confronti della scienza che, messa al posto della religione non ha saputo rispondere. In genere si alternano, la religione e la scienza, poi la scienza e la religione, poi fallisce la scienza e sorge la religione, poi la religione risulta insoddisfacente e allora si torna alla scienza... la scienza risulta insoddisfacente e si torna alla religione. Avviene da migliaia di anni e funzionerà così ancora per alcune migliaia. Ecco, ma tutto questo è preso in una sorta di equivoco strutturalmente religioso, quello che induce a pensare che una domanda abbia una risposta, e perché mai dovrebbe averne una? E che cosa vuol dire, una risposta a una domanda? Che si toglie la domanda? Si toglie la domanda e ne sorge un'altra al suo posto, così come tolta una parola ne sorge un'altra, perché è un discorso inarrestabile. Ciascuna parola, essendo strutturalmente connessa a ciascun altra ovviamente apre a un'altra parola e così via all'infinito. Moltissime dottrine, sia religiose che filosofiche hanno immaginato di potere stabilire l'ultima parola e quindi di potere stabilire come stanno le cose, non ultimo il discorso scientifico che cerca di affermare: "le cose stanno così". Altra affermazione che di per sé non significa assolutamente niente, ma che fornisce quella sorta di illusione, poniamola così, di cui è fatto in buona parte il discorso occidentale. E, potremmo riassumere in modo un po' sibillino, l'illusione che sia possibile uscire dal linguaggio e cioè reperire almeno un elemento che non sia vincolato a questa struttura, ché essendone vincolato ovviamente risulta inadatto a sostenere questo ruolo di dio. Ecco potremmo dire che questa è l'illusione fondamentale del discorso occidentale, quella su cui si regge, su cui è cresciuto, e senza la quale ci sono buone probabilità che si dissolverebbe, almeno così come è strutturato. Ora per tornare alla questione da cui siamo partiti, cioè dalla sofferenza, perché esercita una attrazione? Per molti motivi, alcuni li abbiamo detti, altri li diciamo adesso: produce una sensazione molto forte. Una sensazione forte è difficilmente rinunciabile, ciascuno magari dice di volere la quiete, poi di fatto ciascuno non si tira mai indietro se c'è da andare in cerca di guai, poi a seconda dei vari modi e delle preferenze ovviamente, cioè cercare qualcosa che, come si suole dire, stimoli, e che cosa stimola propriamente? Qualcosa che comporta un confronto, che comporti un rischio, un rischio di perdere appunto qualcosa. Però per avere perduto, occorre avere giocato, sempre Freud il saggio, in uno dei capitoli intorno all'identificazione ne "L'Io e l'Es" racconta un aneddoto. In un collegio c'è una fanciulla che ad un certo punto riceve una lettera dal suo innamorato e scoppia in lacrime, allora naturalmente tutte le altre si precipitano intorno alla fanciulla e molte tra loro si mettono a piangere, Freud si chiedeva come mai? Non era necessaria una cosa del genere. E da lì che poi ha preso le mosse per avviare un'elaborazione intorno alla nozione di identificazione, e allora giunge a dire questo, che immedesimandosi nella fanciulla che era stata, non mi ricordo il dettaglio, abbandonata mi sembra, è vero che si trova nella posizione di chi soffre l'abbandono, ma anche e soprattutto di chi ha avuto un amore, perché per essere abbandonate occorre prima essere state tenute, diciamola così, e quindi c'è stata una storia. Ora dice Freud che questo è sufficiente o meglio è il tornaconto, come amava dire lui, della sofferenza in questo caso. Ovviamente si tratta di intendere qual è questo tornaconto in altri casi. Lui, Freud, si è incamminato lungo questa via reperendo ciascuna volta un tornaconto ma muovendo dalla considerazione che tutta una serie di cose che gli umani fanno apparentemente è fatto senza ragione e invece no, qualche cosa c'è sempre, c'è sempre qualche cosa che muove in una direzione. Certo sono pensieri, fantasie, costruzioni ma è esattamente di questo che si occupa la psicanalisi, non di altro. Non si occupa tanto di stabilire quali siano le condizioni del linguaggio, ma dell'intendere come funzionano nel discorso, come si connettono tra loro, cosa costruiscono. Ci sono i motivi più disparati, che nemmeno vi immaginate, per soffrire, si tratta ciascuna volta di intendere qual è l'aggancio, per dirla con Freud il tornaconto, inteso il tornaconto è come se la sofferenza non avesse più la necessità di essere. Ora questo non è semplicissimo, perché come vi dicevo è molto difficile rinunciare alla sofferenza, questo è uno dei motivi per cui, per esempio, un itinerario analitico è molto lungo, perché abbandonare la sofferenza comporta abbandonare delle sensazioni molto forti. E poi se uno non volesse la sofferenza non l'avrebbe, e quindi ciò con cui si tratta di confrontarsi non è tanto con la sofferenza in quanto tale, ma con ciò che la sostiene, con ciò che fa sì che prosegua. E questo è l'aspetto più complesso. Ancora Freud ha considerato, per esempio rispetto a varie strutture di discorso (come sapete ha considerato il discorso isterico, ossessivo, paranoico, schizofrenico) come si strutturi tutto questo con particolare attenzione al discorso isterico, perché questa sofferenza il più delle volte la rappresenta, quasi scrivendosela addosso. Ci sono molte persone che offrono il proprio corpo ai chirurghi, si fanno aprire, squartare, continuamente, ma in omaggio potremmo dire, in questo caso alla sofferenza, per esibire il proprio corpo sofferente. La raccolta dei saggi di Freud, soprattutto i casi clinici, sono straordinari per questo aspetto in particolare, cioè l'elenco, il listaggio dei luoghi comuni, quelli più accreditati, cioè quelli che vengono creduti per lo più dai più. Potremmo indicare i vari discorsi, come dicevamo prima, quello ossessivo, isterico, ecc. come alcuni fra i luoghi comuni più fortemente consolidati del discorso occidentale. Ora non è che abbiamo nulla contro la sofferenza ovviamente, neanche nulla a favore, possiamo ascoltarla, e per un motivo particolare, e cioè che in ciò che la sofferenza dice o che ha da dire, se trova l'occasione per dirsi, ecco lì in questo discorso che la sostiene trovate una quantità di elementi straordinari, buona parte di ciò di cui la persona in questione è fatta, le cose in cui crede, le cose per cui esiste potremmo quasi dire, e quindi l'analisi della sofferenza conduce a reperire elementi di importanza straordinaria. È come se venisse mostrata, in un certo senso, qual è la religione che sostiene un'esistenza, per esempio. Io credo questo (non si enuncia in questi termini ovviamente, però prendetela così) e quindi credendo questo soffro, perché se questo è questo, allora comporta quest'altro e quindi necessariamente soffro. Però forse il principio da cui muove potrebbe non essere necessario e quindi... tutto ciò che ne segue. Però come vi dicevo l'aspetto più complesso è porre le condizioni perché una persona si accorga che non è necessario soffrire, tutto il resto è semplicissimo. Sentiamo delle questioni, sono già le dieci e dieci...

- Intervento: se la sofferenza è gradita perché stimolante, allora non è possibile che uno smetta di soffrire se viene inserito in un contesto alternativo altamente stimolante?

È un rimedio fino ad un certo punto anche molto efficace, si chiama chiodo scaccia chiodo. Una volta (adesso i genitori non lo fanno più) quando una fanciulla aveva una delusione amorosa la imbarcavano sul primo bastimento e la mandavano a fare un viaggio alle indie. Adesso non usa più per vari motivi, però, come dire, distraiti, pensa ad altro e come si suol dire fattene una ragione. Sì, funziona certamente, una persona è triste per delle cose, ma se riceve una notizia stupenda immediatamente ne ha un sollievo, oppure trova delle cose che la interessano. Ovviamente la tristezza, la malinconia scompaiono, il problema che stiamo affrontando è questo: se si dia il caso che ciascuno in qualche modo si trovi preso in una... diciamola così, in una domanda che può andare al di là di tutto ciò che può essere offerto. Se prendiamo l'esempio della depressione, che per altro è abbastanza di moda, sapete che questi disagi vanno a seconda delle mode. Negli anni '70 la schizofrenia, tutti schizofrenici, adesso tutti depressi, prima erano tutti isterici, come il ballo di San Vito, seguono delle mode, ecco dicevo il depresso si trova in una posizione simile, non c'è più nulla che lo interessi e tutti i discorsi che qualcuno può fargli lui se li è già fatti un miliardo e mezzo di volte. Sa benissimo che non deve fare così, sa benissimo che non deve...sa benissimo che la vita è meravigliosa, sa benissimo che ci sono gli uccellini che cantano e i prati in fiore ma non gliene importa nulla. In genere avviene così, non è che non lo sappia, vorrebbe anche lui gioire di tante cose bellissime però non gli interessano a sufficienza, cioè non lo muovono a sufficienza. Ora forse enuncia in qualche modo, in qualche modo un po' tragico qualche volta, un aspetto che può anche essere inteso come strutturale, per esempio, dicevamo proprio l'anno scorso, la filosofia lo ha incontrato come nichilismo, prima con gli Scettici e poi su fino ai Nichilisti i quali si erano resi conto che nulla è fondabile, nessun asserto, nessun certezza, nessuna verità e quindi nulla ha nessun valore e allora muoia Sansone con tutti i filistei. Soprattutto i Russi, se voi pensate a Dostoevskij, il capolavoro del nichilismo con i Demoni, sono dei testi di nichilismo, forse il migliore fra quanti siano stati scritti dai filosofi, ecco come però anche la depressione come il nichilismo è una situazione di lutto per la perdita del senso delle cose, le cose non hanno più senso, ma perché mai dovrebbero averne uno? Anche questa è una domanda legittima, che però il nichilismo non si pone, che se no tutto il problema si dissolverebbe e soprattutto domandandosi che cosa significa porsi questa domanda e cioè che senso hanno le cose, da dove viene? A quali condizioni? ecc. ecc. Tutto ciò si dissolverebbe, non ci sarebbe più nessun lutto, non si è perso nulla, si è persa forse un'illusione, però potrebbe non essere così grave. Anche se, come dicevo, essendo il discorso occidentale in buona parte costruito su tale illusione potrebbe essere una catastrofe... Altro da aggiungere? Per il momento no.

- Intervento:...

Infatti il passo comporterebbe finalmente il confrontarsi con questo qualcosa che muove ciascuno e rispetto al quale ciascun'altra cosa si mostra insoddisfacente. È lo stesso problema a cui forse proprio l'anno scorso avevamo accennato rispetto ai cosiddetti drogati che non smettono di farlo, e perché dovrebbero? Non c'è nessun motivo, in effetti ciò che hanno da alcune sostanze non lo hanno da nessuna altra parte e si ha un bel metterli a coltivare patate e pomodori, non è la stessa cosa, non produce la stessa sensazione di una dose di coca, adesso non sono praticissimo, però penso che produca sensazioni piacevoli, se no non lo farebbero. Ecco e allora tutte queste comunità che dovrebbero salvare il giovane, di fatto poi non concludono nulla, cioè concludono moltissimo nel senso che sono un business di miliardi, ma questo è un altro discorso, però poi ciascuno entra e esce o dal carcere o dalla comunità, perché non trova nulla che si opponga o sia almeno altrettanto soddisfacente della droga e quindi continua a drogarsi, e da un certo punto di vista perfettamente razionale non si capisce perché non farlo, perché no? Adesso non vi sto invitando... nel senso che non è necessario. Ecco quindi sì, questa è la questione centrale, in effetti in questi anni stiamo lavorando, elaborando per potere consentire di... una analisi occorre che punti soprattutto a questo, a consentire a ciascuno di reperire qual è la questione che lo muove, ciò che lo fa vivere in definitiva. Certe volte accade di accorgersi di essersi mossi da mille direzioni, ma quasi a tentoni, alla ricerca di qualche cosa. Ecco sarebbe interessante sapere da che cosa, esattamente. Forse sapendolo ci si muove in modo più determinata e più preciso, e si riescono a ottenere risultati più efficaci che andando un po' a tentoni. Gli assoluti che costituivano un referente permangono, perché nessuno lascia l'ancora cui è attaccato, se non ce n'è un'altra subito, a meno di non accorgersi di sapere nuotare benissimo. Il lavoro di Freud ha avviato questo percorso, si tratta ovviamente di radicalizzarne molti aspetti, tenendo in particolare conto proprio questo racconto che fa dei luoghi comuni. Freud ha esplorato i luoghi comuni, è stato molto acuto, molto preciso, ha raccontato ciò che gli umani credono perlopiù e quali sono le implicazioni. Sì? Ci sono altri che vogliono aggiungere qualche elemento, togliere? sì... (...) Qui Freud si è arrestato, quando si chiedeva il perché ad un certo punto qualcuno si trovi in un discorso isterico, ossessivo, schizofrenico, non lo sappiamo, né abbiamo alcun elemento per dirlo, possiamo sì, a posteriori costruire la sua storia, ma perché di fronte ad un certo elemento abbia preso una via anziché un'altra, è arduo stabilirlo.

- Intervento:...

C'è la persona che si strappa i capelli e fa delle sceneggiate e quell'altra che rimane impassibile, però dentro ha un'ira di dio, certamente. E questa è una domanda per la quale non abbiamo molti elementi per rispondere, salvo lungo un racconto, dove possono trarsi degli elementi, ma così... come stabilire quasi una legge per cui, se una persona dice una certa cosa allora... ecco questo non è possibile, però qualche cosa si può sapere, dopo però.

- Intervento: dalla depressione si può uscirne velocemente?

E lei cosa intende con velocemente, un quarto d'ora? Qualche giorno? Diciamo che è molto difficile che si verifichi una cosa del genere, che una depressione si dissolva velocemente, a meno che questa persona non si trovi in condizioni tali per cui alla disforia segua l'euforia, gli psichiatrici li chiamano ciclotimici. Teoricamente sì, poi in pratica bisogna vedere quanto una persona è fortemente e saldamente attaccata alla sua depressione, è questo, come dicevo prima, l'aspetto più complesso, il più difficile da porre in atto. In teoria sì certo, potrebbe farsi con una rapidità fulminea, però, però ecco rimane questo aggancio, questa difficoltà a rinunciare a una condizione che per alcuni versi, come molti per altro enunciano, è privilegiata, primo perché in quanto depresso qualunque cosa faccia sono giustificato, poi siccome sono depresso nessuno mi rompe le scatole e poi posso lamentarmi con facilità di qualunque cosa. Sono vantaggi non da poco, altri li pagano a caro prezzo. Ora, una persona depressa sta male, generalmente, non è che stiamo mettendo in dubbio questo, il suo malessere, soltanto cerchiamo di intendere come questo malessere venga prodotto dal suo stesso discorso, è questo che ci interessa, come cioè la persona produca da sé ciò stesso che vuole eliminare. Che economicamente non è un'operazione molto vantaggiosa, produrre qualcosa per poi eliminarlo. Si potrebbe dire, "non produrlo così fai prima. E invece no. È un lavoro in pura perdita, però avvengono continuamente questi fenomeni di lavoro in pura perdita, così buona parte dell'esistenza di ciascuno è un lavoro in perdita, poi perché no? Tutto sommato, non deve mica capitalizzare...

- Intervento:..

Una cosa è da premettere, che intorno agli animali qualunque cosa diciamo lo diciamo noi, ora non è che possiamo immaginare e fare dire o pensare all'animale qualunque cosa: di essere mossi dalla necessità, di essere mossi da dio, di essere mossi dalle condizioni atmosferiche. Tanto siamo sempre noi a dirlo, non c'è problema, ma la questione, lei diceva, una condanna. La condanna sarebbe in che cosa? In che cosa Lei vede esattamente la condanna? Nel fatto di vivere? Un modo insolito... però non è proibito pensare la vita come una condanna, può farlo. (....) Vede in questi termini è possibile pensare qualunque cosa e il suo contrario, cioè che l'uomo sia fatto per evolvere la specie, e che la specie sia fatta per far piacere a dio o per qualunque altro motivo, in effetti un discorso del genere non è che porti da nessuna parte, cioè sono costruzioni che uno si fa, chi dice che è nato per soffrire, un altro che è nato per godere, ciascuno si sceglie la sua strada, per cui parlare di costrizione non è proibito, ma non è l'unico modo. Poi questa costrizione da dove verrebbe? Qualcuno la costringe o si costringe da sé? Ché se qualcuno la costringe occorre andarlo a pescare, se si costringe da sé allora possiamo chiederLe come mai si costringe da sé, visto che potrebbe non farlo. I padri della chiesa si sono sbizzarriti per secoli intorno al libero arbitrio. Bizzarra questione, questa del libero arbitrio...

- Intervento:...

Sì, se uno vuole esibire la sua sofferenza può farlo, non c'è nessun divieto, neanche nessun obbligo naturalmente. Un'ultima domanda, per chiudere in bellezza.

- Intervento: Ma quali sono le alternative che la psicanalisi propone per risolvere questi problemi. E come mai la corrente freudiana propone e quella junghiana propone...

Perché ciascuno pensa di dire la verità, inesorabilmente. E come mai tante religioni? Per lo stesso motivo.

- Intervento: e allora questo è lo stesso discorso, è come il cane che si morde la coda.

Se vuole.

- Intervento: Ma lei in alternativa che cosa propone di fronte a questo nulla?

Alle varie correnti, scuole ecc.? No, io non pongo nessuna alternativa, e questo è un discorso lungo che dovrebbe farsi, si è trattato ovviamente di non agganciarsi a nessuna scuola, proprio per questo motivo. L'anno scorso avevamo iniziato da questo aspetto e cioè da una rapida carrellata di tutte le scuole psicanalitiche (ce ne sono tantissime, molte più di quante lei immagini) e su che cosa si fondano e allora abbiamo cominciato a riflettere su che cosa sia una teoria psicanalitica e poi una teoria in assoluto, e a quali condizioni sia costruibile una teoria e come ciascuna di queste teorie dia per acquisito che alcuni elementi siano assolutamente necessari, così come ciascuna religione, e quindi chiaramente che non possano e non debbano essere messi in gioco. Un atto di fede. Un autodafé lo chiamavano i portoghesi

- Intervento: qualcosa da credere come una religione

E allora funziona, come una religione!

- Intervento: e allora voi...

È un voi?...in un certo senso

- Intervento: e quindi, e questa è un po' la mia paura, che sia una ricerca di un qualcosa di assoluto e che poi alla fine ricadiamo in questo e quindi questo circolo continuo...

Perché è a quel punto da cui occorre muovere, da questa considerazione, e cioè se sia possibile pensare senza compiere atti di fede. Questa è stata la scommessa che ci ha mossi in questi anni. Costruire un pensiero che non necessiti di nessun atto di fede, può sembrare assolutamente impossibile, paradossale, impensabile, però c'è l'eventualità che sia possibile, ed è questo che stiamo inseguendo. Tutto ciò che lei dice della psicanalisi, delle scuole psicanalitiche, lo stesso Freud... io qui parlavo non della teoria di Freud, ma del listaggio che lui fa, dei luoghi comuni. Freud è di un interesse straordinario per questo aspetto. L'impianto teorico cosiddetto, il suo come quello di ciascun altro è fondato su nulla, assolutamente niente, nulla che non sia assolutamente negabile. Come dire che ciò che importa, ciò che interessa, ciò che leggeremo in Freud riguarda l'aspetto retorico del discorso, come direbbero gli informatici il software, l'hardware è un'altra cosa. L'hardware sono le condizioni per le quali o nelle quali il linguaggio funziona e consente di costruire qualunque teoria e la sua contraria, a piacere, e consente di costruire una teoria psicanalitica, consente di negarla, consente di confutare la sua negazione ed è fatto da alcuni strumenti, alcuni elementi che sono tutto sommato abbastanza semplici, così come ciascun hardware nella sua essenza è abbastanza semplice. Sono alcune procedure di cui è fatto il linguaggio, senza le quali il linguaggio cesserebbe di esistere, di questo ci siamo occupati, e abbiamo detto molte cose a questo riguardo, se vuole le può leggere, gliele faccio avere. Ecco perché la teoria di Freud, così come quella di Lacan, di Jung, sono fondate su nulla nel senso che ciascuna di queste affermazioni su cui si fonda ciascuna di queste teorie, è assolutamente negabile e confutabile...

- Intervento: una teoria la si crede oppure no.

Certo, la si crede oppure no, Tertulliano diceva: credo quia absurdum. E più è assurdo e più ci credo. Invece lei potrebbe negare di trovarsi nel linguaggio? Con che cosa lo farebbe? (senza linguaggio no!) Questa per esempio è una affermazione non negabile, le altre sì. Provare a costruire un discorso, una struttura che tenga conto soltanto di ciò che non è negabile. C'è l'eventualità che non possa costruire moltissimo, ma quel poco non richiede nessun atto di fede, cosa che potrebbe non essere poco. Bene, ci fermiamo qui. Buona notte