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Torino, 11 ottobre 2011

 

Libreria LegoLibri

 

Luciano Faioni

 

Dalla psicanalisi alla scienza della parola: storia di un itinerario intellettuale

 

Secondo incontro

 

C’è una novità, una novità nel pensiero, potremmo anche dire una grossa novità, ha a che fare con ciò che è accaduto in questi ultimi decenni, cioè questa particolare situazione: l’era dell’informatica.

Questa ci ha condotti a delle riflessioni, non tanto sui computer in quanto tali, ma su che cosa ha portato a pensare di costruire, come la chiamava Turing, una macchina pensante. Ciò che abbiamo detto la volta scorsa intorno alla crisi del pensiero occidentale, e a questo punto potremmo anche dire planetario visto che l’occidente ha conquistato il pianeta intero grazie alla tecnica, pensiero occidentale che è sorto incominciando a porsi delle domande intorno a che cosa fossero realmente le cose, si parla di 2500 anni fa, la domanda intorno a che cosa sono realmente le cose, domanda che poi ha condotto alla tecnica. La tecnica stabilisce come sono fatte le cose e a partire da questo, come diceva Heidegger, ha iniziato a comprenderle, a manipolarle, a elaborarle fino al punto di creare l’ente, creare nuove cose che prima non c’erano. Tuttavia il pensiero, da Parmenide in poi, ha avuto delle vicissitudini bizzarre al punto tale che proprio nel secolo scorso si è giunti alla sua totale dissoluzione. Ha sempre cercato, come dicevo prima, di trovare cosa sono realmente le cose, l’Essere per dirla in termini filosofici, qual è l’essenza dell’ente cioè l’Essere, che naturalmente non è mai stato reperito in quanto tale, fino ad arrivare alla semiotica, alla linguistica, che hanno poste delle tali questioni da fare schiantare ogni possibilità di trovare l’Essere, cioè di sapere come stanno realmente le cose. Non so se sia il caso di ripetere qui rapidamente le cose dette la volta scorsa, forse no, basti soltanto che questa ricerca ha condotto alla dissoluzione del pensiero occidentale nel momento stesso in cui ha incominciato a riflettere sulla possibilità di trovare il significato ultimo delle cose. Esiste un significato vero delle cose? No, questo lo avevano già inteso Ogden e Richards in un loro saggio dal titolo piuttosto significativo e cioè Il significato del significato: qual è il significato del significato? E cioè qual è il significato del significato del significato? Vi evito di andare avanti all’infinito, ma questo significato non si trova, ecco perché la filosofia si è consegnata alla tecnica, e cioè a qualcosa che non chiede più che cosa sono le cose ma come si manipolano, come si utilizzano, e nient’altro che questo. L’era dell’informatica ha poste delle questioni di grande interesse, fra queste una in particolare a noi interessa: come funziona il pensiero degli umani? Per poterlo riprodurre occorre sapere come funziona, quindi l’interrogazione si rivolta al modo in cui gli umani necessariamente pensano, cercando quali sono gli elementi più propri del pensiero, evitando almeno inizialmente tutta l’infinita complessità del pensiero, ma cercando di intendere che cosa effettivamente fosse necessario per gli umani perché potessero mettere in atto questa loro prerogativa, cioè pensare, pensare cioè trarre conclusioni, inferenze, giudizi eccetera. Questo percorso che è stato compiuto potremmo dire nel ‘900, anche se ci sono stati dei tentativi precedenti da Lullo a Leibniz, ma è nel ‘900 che la cosa si è posta nei termini più precisi, e cioè si è pensato che fosse possibile ricostruire il pensiero, ma come? Dopo tutto, diceva George Boole, logico inglese “possiamo dividere le proposizioni in due categorie: quelle vere e quelle cose false”, certo è una divisione di massima, così però giusto per incominciare, le cose vere e le cose false, chiamiamo quelle vere 1 e quelle false 0, per semplicità. La sua idea era questa, ed era già un primo tentativo di costruire una macchina pensante e cioè di trovare un qualche cosa che consentisse di calcolare le proposizioni, ci aveva già provato Leibniz a modo suo, un principio tale per cui fosse possibile stabilire attraverso un calcolo, da qui “calcolatore”, quali fossero le proposizioni vere e quali quelle false. Il suo criterio non era del tutto strampalato, nel senso che gli umani si chiedono continuamente se una cosa è giusta o è sbagliata, se va bene o se va male, se devo fare così o devo fare cosà, chiedono in giro che cosa devo fare “secondo te è giusto che faccia così o è giusto che faccia cosà?” che è un altro modo per dire “è vero questo o è vero quest’altro?”, quindi è una domanda che interviene ininterrottamente nell’arco di una stessa giornata, una persona si chiede infinite volte se quello che pensa è vero o falso, attraverso varie formulazioni, ma è una cosa che appartiene agli umani e solo agli umani, per esempio un leone non si chiede se quello che pensa è giusto o sbagliato. Si tratta allora di trovare un metodo che consenta di riprodurre il modo in cui calcola il pensiero degli umani, è possibile? Prendete per esempio la negazione, che cosa fa esattamente? Prende un elemento e se è vero, la trasforma in falso, se è falso lo trasforma in vero, fa questo, nient’altro, almeno in termini logici, quindi è molto facile riprodurre meccanicamente questa cosa attraverso un calcolo e l’operazione che risponde a questo calcolo è la sottrazione: 1 - 0 = 1 / 0 - 1 = 0, si usa la moltiplicazione per calcolare la congiunzione, la “e”, e la somma logica per la disgiunzione, l’“oppure”. Trovare un sistema che consenta di calcolare il pensiero è sempre stato un obiettivo degli umani, ma ciò che ha fatto sì che a un certo punto si decidesse di mettere in pratica una cosa del genere, cioè di costruire realmente una macchina sono state anche le considerazioni intorno al modo in cui funzionano i cosiddetti neuroni. Il computer non ha fatto altro che trasformare il calcolo di Boole in circuiti elettrici, corrente che passa corrente o che non passa attraverso dei transistor che sono degli interruttori, che la fanno passare oppure no, se passa vuole dire che è vero quindi 1, se non passa 0, e chiuso il discorso. Sempre nel ‘900, un neurofisiologo insieme con un logico matematico, ha considerato attentamente la questione avendo come obiettivo la costruzione di una macchina pensante, erano gli anni di Turing, di Von Neumann e di altri, e cioè costruire qualche cosa che riproducesse il modo in cui funzionano i neuroni, il neurone cosa fa? Se passa la corrente, se la corrente supera una certa soglia lo attraversa e esce da quell’altra parte, ha un input e un output, come si dice in termini informatici, un ingresso e un’uscita, per dirla in italiano, funziona come un interruttore anche lui, ed è una strana, curiosa similitudine, perché questi circuiti elettrici, questi transistor che sono stati costruiti e assemblati sono dei circuiti logici, grosso modo come i neuroni, il principio è lo stesso, corrente elettrica che passa o che non passa, questi circuiti logici poi vengono assemblati e costituiscono il processore all’interno del computer, il cuore, il cervello del computer, il calcolatore letteralmente, colui che calcola. Ma torniamo un momento a ciò che dicevamo all’inizio, cioè all’impossibilità di stabilire che cosa sia il significato di qualche cosa in modo definitivo e conclusivo, perché c’è questa difficoltà? La volta scorsa abbiamo articolato la questione dicendo che se qualche cosa deve rispondere di sé lo farà sempre necessariamente attraverso qualche cosa che è altro da sé, la cosa in sé non può rispondere di sé, ci vuole qualche cos’altro e questo qualche cos’altro come farà a rispondere di sé? E così via all’infinito, ma questa impostazione della questione è un’impostazione metafisica, che va riconsiderata, se io per esempio mi chiedessi “se passa corrente 1/vero” posso dimostrare che è così, che è veramente così? Che senso ha questa domanda? Sono io che ho deciso che è così. Prendete una cosa molto più banale, il gioco del poker, un asso di cuori perché vale di più di un otto di picche? Perché? È qualcosa che è insito nell’Essere dell’asso di cuori, essere un valore maggiore dell’otto di picche? È una proprietà insita nella carta da gioco? Se io interrogo la carta da gioco mi dice il motivo per cui è superiore come valore? Ovviamente no, allora perché vale di più? Perché è stato deciso così, semplicemente, è soltanto per potere giocare quel gioco noto come poker in quel caso, dunque perché se la corrente passa allora è vero, se non passa allora è falso? Perché è stato deciso in seguito ad alcune considerazioni che hanno stabilito che il vero, quella cosa che gli umani cercano da sempre, non è qualche cosa che è al di fuori di una decisione anzi, è l’effetto di una decisione, quindi a questo punto la definizione di verità che fornivano gli antichi greci e di cui abbiamo parlato la volta scorsa, come alétheia, orthotes, episteme, la prima come la verità dell’ente che si manifesta, che si mostra, che esce alla luce dal nascondimento, la seconda come correttezza dell’enunciato, come adæquatio rei et intellectus dei medioevali, l’ultima, l’episteme, come quella certezza scientifica argomentata e dimostrata, tutte queste cose cessano di avere qualche rilievo perché sì, interviene la verità, ma non è prodotta dalla cosa stessa, dal suo essere adeguata a chissà che cosa, a meno che io non stabilisca che questo sia il criterio da utilizzare e allora lo farà. In tutto questo sorge una questione che è di notevole interesse, adesso la dico in modo molto spiccio, poi la articolerò meglio: le cose non sono né vere né false di per sé, risultano essere vere o false in base alle regole del gioco in cui sono inserite, esattamente come nel poker. Ora però provate a immaginare una cosa del genere ma che investa tutto l’operare degli umani, da quando esistono, sto dicendo questo: che gli umani agiscono e fanno quello che fanno e pensano quello che pensano, in base a delle istruzioni che ricevono quando imparano a parlare, ma cosa gli si dice? Esattamente quello che si dice quando si “insegna” tra virgolette quando si insegna a pensare a una macchina “io ti dico che questo è questo, perché questa è la verità e questo è falso, ti do i criteri per potere compiere queste operazioni” “ma come te li do? Perché io li ho ovviamente, e come li ho avuti?”, mi sono stati insegnati allo stesso modo? Per Turing per esempio la risposta a questa domanda è sì, un bambino si addestra come si addestra una macchina o viceversa, e cioè gli si forniscono delle istruzioni che lui possa utilizzare e che utilizzerà. Qui sorgono subito delle obiezioni: “ma un essere umano sarà sempre altro da una macchina” sì, per il momento è così, certo, e gli esseri umani non pensano come le macchine, sono molto più complessi, non c’è alcun dubbio che per il momento funzioni così, poi, dopo tutto le macchine sono sempre costruite dagli uomini, sono addestrate dagli uomini, certo, esattamente come gli uomini sono costruiti dagli uomini e addestrati dagli uomini. Una macchina si può sempre spegnere, stacco la spina e bell’e fatto, però anche un umano si può spegnere, gli sparo in testa e si ferma anche lui. Adesso ho fatto un esempio un po’ drastico, però era per rendere l’immagine più evidente, non sto dicendo che l’uomo deve essere una macchina, sono sciocchezze che non hanno nessun interesse, sto cercando soltanto di farvi intendere come funziona il pensiero e come di fatto le cose non abbiano un fondamento, come dicevamo la volta scorsa a proposito del “grund”, il fondamento che le garantisca, le cose, cioè i pensieri, le considerazioni eccetera procedono unicamente da dei giochi, cioè da delle regole, queste regole sono state stabilite dalle istruzioni. Dire che una persona viene istruita, significa che gli si dice come funziona il vero, come funziona il falso e come utilizzarli. La questione è che ha soltanto queste istruzioni, non ce ne sono altre, cioè quelle che gli si immettono nel momento in cui gli si insegna a parlare per così dire. A questo qualcuno poneva delle obiezioni: “è impossibile dire che si insegna a parlare con il metodo ostensivo” per esempio, io ti mostro questo e lo indico: “orologio”, è possibile se la persona cui indico questo è già nel linguaggio, quindi sa cosa vuole dire questo gesto. Ma la macchina a un certo incomincia a fare delle operazioni, a “pensare” tra virgolette, prima non era niente, c’è un programma che la fa funzionare, un computer senza un programma è un pezzo di ferraccio inutile, ma il cervello dell’umano senza un sistema operativo, senza il linguaggio che lo fa funzionare anche lui che cos’è? Va bene per farci il fritto misto, questo è l’uso che può farsene, ma fa poco altro se non c’è un qualche cosa che lo fa funzionare, e ciò che lo fa funzionare è un programma. Il programma per gli umani è il linguaggio, il linguaggio è quella serie di istruzioni che consentono di avviare quella cosa che chiamiamo pensiero, che ci consente di trarre delle conclusioni, di prendere delle decisioni, di decidere che cosa è meglio, che cosa è peggio e di conseguenza di farci muovere in una direzione anziché un’altra. Gli umani hanno pensato al loro stesso pensiero per poterlo riprodurre, e questo ha messo in evidenza un aspetto che inizialmente era impensato, e cioè che ricostruendo il pensiero ci si è imbattuti in ciò che lo costruisce letteralmente, e cioè un sistema operativo. Dovete considerare il linguaggio non come la verbalizzazione di chissà che cosa, ma come delle istruzioni, un po’ come avviene nella logica, ci sono degli elementi che sono invariabili e che ciascuno utilizza e senza i quali non può parlare, come la negazione, la congiunzione, il se … .allora, l’oppure, sono quelle invarianti che intervengono all’interno di un qualunque discorso e che consentono alla persona di pensare “se questo allora quest’altro” oppure “non questo”, come fa una persona a negare qualche cosa? Da dove gli arriva questa possibilità? E questi elementi che nella logica sono noti come connettivi, non sono né dimostrabili né hanno alcun fondamento, sono solo delle istruzioni. Si può dire che il linguaggio funziona così? Certo, ci si può anche chiedere da dove venga questo linguaggio, e se una persona per esempio che non ha la possibilità perché è sola, unica, isolata dal mondo non ha la possibilità di acquisire il linguaggio senza che qualcuno che glielo insegni, visto che in qualche modo è combinato in modo tale da avere una sorta di disposizione al linguaggio, sì, è possibile che una persona isolata dal resto del mondo impari a parlare, gli ci vorranno qualche miliardo di anni, e non so se ha tutto questo tempo a disposizione, ma con tanto tempo a disposizione potrebbe anche riuscirci, ma sarà difficile da verificare. La questione non è da dove viene il linguaggio, che è assolutamente irrilevante, ma come funziona e se il linguaggio è la condizione perché gli umani siano quello che di fatto sono, così come ci appaiono e con i quali si può chiacchierare, discutere, disquisire, arrabbiarsi all’occorrenza, innamorarsi in altri casi, tutte queste cose sono possibili perché? Questa è la domanda che in fondo ci si è posta da sempre, da quando esistono gli umani, come è possibile trovarsi a pensare? E questi pensieri come possiamo garantirli, come possiamo essere sicuri che quello che pensiamo è davvero così e non il contrario? Per saperlo occorre trovare appunto il fondamento, ma questo fondamento non c’è. Questa impostazione è quella che la volta scorsa chiamavo metafisica, non c’è nessun fondamento da nessuna parte, non c’è l’Essere, è stata un’invenzione, quando Heidegger dice che il linguaggio è la dimora dell’Essere, è la casa dell’Essere dice una sciocchezza, il linguaggio non è la dimora dell’Essere, il linguaggio è ciò che costruisce letteralmente il concetto di Essere, esattamente così come la Lindt costruisce i cioccolatini. Questo sposta radicalmente il modo di pensare degli umani, come dire che ciò che penso di per sé non è né vero né falso, preso in quanto tale, lo è all’interno di certe regole che sono quelle che stabiliscono il gioco linguistico in cui mi trovo, e questo come dicevo cambia notevolmente il modo di porsi nei confronti di ciò che ci circonda, come dire che la domanda: “ma è davvero così?” rivolta a qualunque cosa, non ha più nessun senso in quanto è davvero così se risponde alle regole di quel gioco, allora è così. Come diceva Wittgenstein riguardo alla dimostrazione: si chiedeva che cosa avremo fatto quando avremo compiuta una dimostrazione? Avremo trovata la verità? Come stanno veramente le cose, quando siamo arrivati al teorema? Le cose stanno così? O l’unica cosa che potremo dire è che ci siamo attenuti scrupolosamente, rigorosamente alle regole di quel gioco, cioè il gioco della dimostrazione logica, abbiamo compiuto questo, bene! Abbiamo fatto altro? No! Questo teorema che abbiamo raggiunto, questa verità, ha qualche senso fuori da questo ambito? Assolutamente no, non ne ha nessuno, e questo sposta completamente la questione e finalmente ci sbarazza dalla metafisica, cioè dal continuare a pensare che le cose siano in un certo modo, sono identiche a sé? Sono differenti da sé le cose? Se voglio posso provare che sono identiche, se preferisco invece posso provare che sono differenti, perché posso farlo? Perché non c’è un parametro che mi consenta di stabilire, di dire l’ultima parola su una cosa del genere, non c’è, posso sempre rinviarla all’infinito: voi trovate qualunque significato a una qualunque cosa e io ve lo rinvio all’infinito, senza nessuna possibilità di arrestarsi, applicate questo, questa trovata della metafisica al discorso stesso, a quelle stesse parole che affermano questo, e avrete il crollo totale del pensiero occidentale: qualunque cosa si affermi non trova mai il significato, il significato è sempre spostato, sempre rinviato, sempre da trovare, comprese queste parole stesse che hanno espresso questo concetto, anche queste parole quindi che cosa significano? Bella domanda. Eppure gli umani si intendono in qualche modo, come può avvenire una cosa del genere? Su cosa si intendono? Sulle regole del gioco, questo è l’unico intendimento possibile che non è neanche propriamente un intendimento, è semplicemente l’esecuzione di regole. È curioso che il pensiero occidentale, quando è arrivato alla fine di sé, cioè ha rilevato la totale inconsistenza dei propri presupposti, dei propri fondamenti, abbia incominciato a costruire delle macchine che pensano, cioè ci si sia interrogati su come funziona questa cosa che chiamiamo pensiero e attraverso la quale gli umani vivono, nel senso che senza pensiero non saprebbero neppure di esistere, un grillo non sa di essere un grillo, non può pensare, trarre inferenze, conclusioni, scrivere una sinfonia, mandare una lettera. Ma dove ci conduce tutto ciò? Dove conduce la totale disgregazione del pensiero metafisico?

La psicanalisi è cresciuta, è nata all’interno di un ambito metafisico, il concetto di inconscio inventato da Freud è un concetto metafisico, con questo sto dicendo, e anche mi sto avviando al terzo incontro, di una teoria che poggia su concetti assolutamente indimostrabili e, di conseguenza, se mi fondo su un concetto indimostrabile e chiedo a qualcuno di credere questa cosa gli sto chiedendo di compiere un atto di fede: credimi è così! Ma perché dovrebbe credermi? Può farlo ma anche non farlo, in fondo nulla lo costringe a credere una cosa del genere. Un circuito elettrico può credere che quello che fa è bene o è male? Non penso, a meno che non si siano fornite quelle precise istruzioni, ma di per sé esegue soltanto delle istruzioni; ecco, esecuzione di istruzioni, certo sempre più complesse ovviamente, al punto tale che di fatto non è impossibile che una macchina possa pensare come un umano, occorre mettergli delle informazioni che riguardano quell’aspetto particolare che noi chiamiamo etica per esempio: la morale sessuale civile, per citare Freud, viene da qualcosa o viene da niente? Procede da dei pensieri, da delle considerazioni di utilità, di convenienza, spirituali, religiose, qualunque cosa sia è assolutamente irrilevante, ma viene da qualche cosa e questo qualche cosa è il pensiero degli umani. L’etica è costruita dal pensiero degli umani e così come è possibile riprodurre qualunque attività del pensiero anche l’etica e l’estetica possono essere riprodotte, per il momento a nessuno interessa fare una cosa del genere quindi non si fa, ma sul fatto che sia impossibile tecnicamente su questo ho molti dubbi, ritengo che sia assolutamente possibile esattamente così come è possibile insegnare a un bambino che una cosa è bene e l’altra è male. Dal momento in cui dico questo è bene, è implicito il fatto che dire che sia bene sia vero per esempio, se dico che questo è male allora fare questo è male, cioè è falso, non puoi andare in quella direzione, lo diceva anche Parmenide, e tutto ciò è riproducibile. Non sto dicendo che sia semplice ovviamente, ci vogliono dei programmatori e ingegneri informatici molto bravi, e soprattutto che abbiano intenzione di fare una cosa del genere ma è assolutamente possibile. Turing non aveva torto, il modo in cui si addestra la macchina è lo stesso modo che si utilizza per addestrare un bambino, la differenza è che il bambino, già dai primi mesi, incomincia ad avere una quantità sterminata di informazioni, di input: cammina gattonando e batte la testa contro la gamba del tavolo ecco dolore, male, la mamma gli dice “ecco, cattivo il tavolo” e incomincia a capire che cos’è il dolore da quel momento, prima non lo sa che cos’è il dolore, anche quello che viene insegnato; una macchina no, non è ancora in condizioni di andarsene in giro da sola per i fatti suoi e farsi le sue esperienze, per dirla così, non lo fa, sta ferma lì, immobile e non riceve nessun input. Pensate a quanti ne riceve un bambino che va in giro per i fatti suoi nell’arco di una sola giornata, e tutte queste informazioni vengono immagazzinate, in qualche modo, diceva Turing “date alla macchina la stessa possibilità che ha il bambino di acquisire informazioni e anche lei acquisirà tutto quanto”. Informazioni, cioè un sistema operativo che sta funzionando, fuori da questo sistema operativo non c’è niente, è questa la questione fondamentale, non c’è niente, una macchina non può uscire dal suo sistema operativo, non lo può fare, e gli umani non possono uscire dal loro sistema operativo che è il linguaggio, non possono andarne fuori per un motivo molto semplice, come farebbero ad andarne fuori? Con che cosa, con che cosa costruirebbero delle considerazioni, delle proposizioni, dei metodi per uscire dal linguaggio se non attraverso il linguaggio? E per la macchina è lo stesso.

L’orizzonte che si spalanca di fronte a una considerazione del genere è di una portata immensa, si potrebbe addirittura azzardare, anche se non è proprio così, che tutto ciò che gli umani hanno fatto fino adesso è stato niente, dicevo non è proprio così in quanto comunque tutto questo è stato una condizione per giungere a un’affermazione come questa, ma di fatto tutto il pensiero filosofico per esempio intorno all’Essere, all’ente, all’essente, alla verità, tutte le parole della metafisica, come identità/differenza eccetera, tutte queste parole che senso hanno? Se non hanno né possono, come il pensiero stesso occidentale cioè la metafisica è giunta a considerare, nessuna possibilità di potersi affermare con certezza, nessuna, e allora è come mostrare un ambito dal quale non c’è uscita, e che illustra tutte le possibilità che hanno gli umani di pensare tutto ciò che gli umani possono pensare, tutto e solo quello, non possono pensare con qualche cosa che non sia linguaggio, quindi tutto quello che possono pensare, costruire di meraviglioso o di terrificante, comunque è costruibile all’interno di questo ambito: queste sono le regole del linguaggio? Bene, allora tutto ciò che è costruito non potrà non attenersi a queste regole, non può uscirne, naturalmente si può considerare anche il linguaggio come un sistema chiuso perché non c’è uscita, ma al tempo stesso aperto perché le possibilità di costruzione all’interno di questa struttura sono praticamente infinite, un po’ come le sette note della musica, sono sette, da quanti anni è che si fa musica? E per quanti anni ancora se ne farà con queste sette note piccole? O pensate al DNA, sono quattro stupidissimi aminoacidi, quattro, eppure possono costruire qualunque essere vivente, dalla zanzara al dinosauro, a miss universo, fanno anche questo. Combinazioni, relazioni, questo ambito di cui dicevo, questo orizzonte che si spalanca quando non c’è più la necessità di domandarsi qual è il fondamento delle cose perché non c’è nessun fondamento, allora si può incominciare a muoversi in direzioni totalmente, almeno per ora, inesplorate, e cessa, per esempio, adesso vi faccio un esempio banalissimo, la necessità della sopraffazione, ma cos’ha a che fare la soprafazione con il computer, con i programmi o con il linguaggio? Perché una persona cerca di sopraffare un’altra se non per avere ragione di quella persona e quindi imporre la sua verità su quell’altro? Ma se non ha più la necessità di stabilire con certezza la sua verità, allora non ha più la necessità di imporla su qualcuno per esempio, è un esempio banalissimo, diciamo, un effetto collaterale, quindi non soltanto quella notevole serie di concetti filosofici su cui gli umani hanno riflettuto per millenni si dissolve immediatamente, ma si ha a disposizione ciò che inesorabilmente si mostra e cioè che qualunque cosa è costruita da un sistema di istruzioni che permette a questa cosa di costruirsi, non solo, ma che al di fuori di questo non c’è altro, non c’è la possibilità che ci sia altro, questo è un limite? No, dopotutto perché pensare che il linguaggio, pur essendo fatto di una ventina di lettere o poco più, limiti gli umani? Non è una limitazione, è ciò che consente agli umani di esistere in definitiva.

Intanto qualcuno ha qualche domanda, qualche questione da porre? Cos’è un sistema operativo? È un insieme di istruzioni, che cos’è un’istruzione? È un comando, un comando che dice di qui si va, se trovi l’interruttore aperto 1/ vero, se è chiuso 0, come funzionano i neuroni, interruttori, ma una cosa del genere può spiegare la complessità del pensiero degli umani cioè tutti i loro patemi d’animo, le loro sofferenze, i loro desideri, le loro aspettative e tutta quell’infinita serie di cose che passano comunemente sotto il nome di emozioni? Certo che sì, l’idea più comune è che una macchina non provi emozioni, certo che non le prova, nessuno gliele ha insegnate, a un bambino sì, gli si insegna anche a provare emozioni: un bambino scappa di mano alla mamma e attraversa la strada di corsa mentre arriva un tir, che faccia fa la mamma? Fa una faccia terrorizzata, bene, impara che cos’è il terrore, oltre ad altre cose che impara immediatamente dopo, impara, impara in continuazione, continuamente, informazioni su informazioni, ininterrottamente, impara ad avere emozioni, impara come si usano le emozioni e cioè ad avere una emozione appropriata a seconda delle circostanze, e una volta che ha imparato ad avere queste emozioni le utilizza così come vanno utilizzate. Vi faccio una domanda banalissima: si potrebbe provare emozione per una cosa che si ritiene assolutamente non vera? Supponete il solito fanciullino che dice alla sua fanciullina: “ti amo, ma questa affermazione è assolutamente falsa”, la fanciullina potrà anche provare delle emozioni ma non quelle relative alla dichiarazione d’amore, quelle no, perché? Perché quell’affermazione è falsa e quindi non può più utilizzarla per quell’emozione. Vi sto dicendo che c’è l’eventualità che le cose siano, anche se apparentemente incredibilmente complesse, di fatto, nella loro struttura, straordinariamente semplici …

 

Intervento: se ho capito bene è corretto dire che il software è rappresentato dalle istruzioni fondamentali e tutte le esperienze è come se fossero il data base che viene movimentato attraverso queste istruzioni per gestire quello che viene gestito …

 

Qualcosa del genere, anche se può apparire un sistema un po’ macchinistico, però non è molto lontano da ciò che avviene effettivamente nel cosiddetto cervello …

 

Intervento: ogni informazione è sottoposta a una sorta di vaglio, un criterio per stabilire la conferma, l’archivio, o la utilizzo o la butto via o comunque vengono analizzate …

 

Sì, anche la macchina lo fa, c’è una memoria tampone che è la memoria che svanisce immediatamente dopo che è stata utilizzata, e invece un’altra memoria su hard disk che rimane finché non si brucia l’hard disk naturalmente, ma la questione fondamentale è che il pensiero è possibile incominciare a immaginarlo come qualche cosa di straordinariamente semplice, e da questa semplicità di partenza è possibile costruire tutta la complessità che gli appartiene, così come dai quattro aminoacidi è possibile costruire il corpo umano che è abbastanza complicato, non è un granché ma comunque è complicato, o la musica, pensate alla settima sinfonia di Beethoven, è fatta con sette note soltanto, è stato bravo. Quindi quando una cosa è vera? Se all’interno del gioco linguistico in cui mi trovo, che è stato costruito nel corso degli anni tra l’altro, questa cosa risulta vera per me è vera e viene utilizzata in quel modo, e cioè come è stato insegnato che funzionano le cose “vere”, indipendentemente dal fatto che lo siano oppure no, ma se io ci credo allora è così, e se credo che sia così mi comporterò di conseguenza, questo è l’aspetto pragmatico, ma non è che la prassi preceda le idee, come voleva il nostro amico Carlo Marx, in alcuni casi sì, ma perché questa prassi produca qualche cosa occorre che abbia un valore e se ha un valore è perché è stata valuta in un certo modo da qualche cosa che ha la capacità di valutare, cioè di stabilire ciò che è vero e ciò che è falso all’interno di quel gioco …

 

Intervento: quello che non è facile è costruire passaggi che portano a definire qualcosa come vero o anche come falso, non sono sempre evidenti i meccanismi degli umani, magari la macchina anche la macchina procede a ritroso per verificare la validità delle sue elaborazioni …

 

Anche in una macchina possono accadere fenomeni che gli umani non sono più in condizione di valutare e soltanto un’altra macchina potrebbe farlo eventualmente, però questa complessità conduce a delle altre considerazioni: da dove viene ciò che una persona crede? Perché gli umani credono delle cose anziché no? È una bella domanda, e se anche in questo caso fosse tutto incredibilmente semplice? Prendete le prime formulazioni che un bambino incomincia ad ascoltare quando si avvia il linguaggio, ché prima non significano niente, una qualunque affermazione che viene formulata, adesso è molto schematico certo però, questa formulazione “la mamma ti vuole bene!” ha modo di essere valutata da parte di un bambino di un anno? Ha un criterio verofunzionale sufficientemente sofisticato ed elaborato per stabilire primo, il concetto di bene, tenendo conto di tutto ciò che è stato detto in questi ultimi tre mila anni intorno al bene, poi stabilire con assoluta certezza che quella sia la madre e quindi abbia dei diritti o delle priorità per lui, cosa che non è così automatica, terzo appunto stabilire un criterio verofunzionale per vedere se questa certa cosa afferma il vero o il falso, ha tutto questo a disposizione? Temo di no, e quindi? Che succede di questa proposizione, di questa frase, di questa affermazione? Diventa automaticamente “vera”, perché non solo non ha gli strumenti per dubitarne, non gli passa neanche per la mente di stabilire se è vero o falso, come quando si immette un’informazione dentro a una macchina, la macchina non è che può rifiutare questa informazione a meno che non sia coerente con il sistema operativo, non può rifiutarla, la accoglie come “vera”, per lui è vera, non ci sono discussioni, perché non ha senso chiedersi se è vera o è falsa, è un’informazione e basta, è semplicemente quello che è, solo che per il bambino, incominciano ad acquisire una quantità sterminata di altre informazioni questa diventa “vera” perché per il momento non è né vera né falsa, esiste e basta, è lì nel database come si diceva giustamente, e operando all’interno del database cosa fa? Funziona come premessa, e da lì, attraverso dei passaggi giunge a una conclusione, questa conclusione naturalmente verrà utilizzata come premessa per un’altra sequenza e così via all’infinito, quindi questo primo elemento permane come una certezza, e tutte le situazioni che riproporranno una cosa del genere potranno essere considerate sempre vere, perché questa proposizione, questa affermazione ha costituito una sorta di modello di ciò che è vero, che poi diventa ciò che è buono, ciò che è bello e in base a questo il più delle volte costruisce la propria esistenza, sì, può accadere che lo metta in discussione, però rimarrà sempre e comunque qualche cosa di difficile da abbandonare: perché è difficile abbandonare certi pensieri? Perché costituiscono delle verità e le verità non si mollano così facilmente, tanto più sono importanti, e una verità è importante per quanto consente di costruire dei discorsi, tanto più è difficile abbandonarla. Perché è così difficile per un fondamentalista islamico abbandonare la sua fede in Allah? Provate voi a dirgli che Allah è un grullo qualunque, primo vi taglia la gola, poi se ne parla eventualmente, ma perché ci tiene così tanto a questa cosa? Abbiamo detto la volta scorsa dei due grandi miti post filosofici: cristianesimo e islamismo, perché dunque tanta difficoltà per abbandonare una fede? Perché? Perché non abbandonarla con estrema facilità? Perché questa fede è la premessa generale sulla quale ha costruito una quantità sterminata di proposizioni, e questa costellazione di proposizioni costituisce la sua esistenza, il modo in cui interpreta il mondo, esattamente come fa un mito, allo scopo di darsi una visione del mondo, cioè di trovare delle verità, di stabilire che cosa è vero. Ma cosa costringe a cercare la verità? È ciò che abbiamo chiamato il sistema operativo, cioè è il linguaggio che funziona così, e le macchine hanno riprodotto esattamente questo funzionamento, né più né meno, è per questo motivo che gli umani cercano la verità e si ammazzano anche per sostenerla, e sono disposti a uccidere chi ne sostiene una differente, perché? Che gliene importa? In teoria potrebbe essere totalmente irrilevante, ma non lo è, perché ciò che io credo essere vero è assolutamente incontrovertibile per me, e devo eliminare chiunque costituisca una minaccia a questa verità, cioè chi non pensa quello che penso io, perché questo? Perché è il linguaggio che funziona così, o lo si sa e allora lo si agisce e non c’è la necessità di farne questa sorta di piece, di rappresentazione, oppure lo si subisce, lo si subisce totalmente, cioè non si sa nulla di ciò che accade mentre penso, parlo, è tutto assolutamente reale, è tutto metafisico, le cose sono quelle che sono, tutto è quello che è, che è la formula del terrorismo, da quello di stato, che è quello più importante, a i vari terrorismi di ogni sorta. Stabilire come stanno le cose dire: le cose stanno così, questo è il principio metafisico ed è il principio di ogni terrorismo, quello che dà l’opportunità di giustificare qualunque sopraffazione, qualunque violenza in nome della verità. Si è mai fatta una guerra che non fosse in nome della verità? In questo senso ogni guerra è una guerra di religione, anche se apparentemente la religione non c’entra niente, e magari c’entrano i pozzi di petrolio, ma anche questo funziona come se fosse una religione, è un orizzonte, un ambito in cui si pensa che per esempio il profitto sia assolutamente necessario, sia la condizione per potersi pensare realizzati, riusciti, avere il riconoscimento altrui, riconoscimento altrui che non è altro che il fatto che qualcuno possa dire: sì sei stato bravo, quindi quello che fai è vero, è giusto, lo si fa solo per questo. I miliardi di dollari che si ricavano dai proventi del petrolio servono a questo, a ottenere un riconoscimento di importanza, di potere, perché una persona cerca il potere? A che scopo? Cosa se ne fa? Non sarà forse per via di ciò di cui è fatto che, senza accorgersi di niente, lo rappresenta, lo mette in scena continuamente, cioè così come il linguaggio deve concludere con una proposizione vera all’interno di quel gioco, lui deve concludere che la sua esistenza ha importanza, ha considerazione, valore, cioè tutti devono pensare che quello che lui ha fatto è vero, è giusto, è buono, è interessante, è conveniente con tutte le infinite varianti che intervengono …

 

Intervento: volevo fare una domanda, lei prima parlava del fondamento, del linguaggio e del fondamento tempo fa avevamo posto il linguaggio come fondamento, ora lei diceva che porre il linguaggio come fondamento, come ciò che gli umani hanno cercato da quando esistono …

 

Il linguaggio? No, la verità, è un po’ diverso, è diverso dire che gli umani hanno cercato la verità o hanno posto il linguaggio come fondamento …

 

Intervento: certo allora riprendo la questione del fondamento lei ha detto che porre la questione in questi termini come fondamento è un non senso, nel senso che è una risposta metafisica a una domanda metafisica posta in questi termini, (cioè religiosa è la stessa cosa) sì mi chiedevo allora come porre il linguaggio cioè la necessità perché esista qualsiasi cosa, mi chiedevo come, a questo punto per non incorrere in qualcosa di metafisico, come porre il linguaggio?

 

Lo dicevo in qualche modo prima, provate a immaginare, così, per assurdo, di togliere dal cervello di un essere umano il linguaggio, cosa rimane? Provate a pensarci, può ancora pensare, stabilire delle cose, giungere a delle conclusioni, a delle scelte?

 

Intervento: come gioca l’istinto e la pulsione in questa maniera? Se gli togli il linguaggio

come funziona?

 

L’istinto è un concetto inventato dagli uomini, si suppone che esista la natura e l’istinto segua la natura, certo gli animali reagiscono, reagiscono a delle cose ma possiamo parlare di intenzionalità, di un pensiero solo perché un animale reagisce a uno stimolo? È difficile, anche perché questo discorso potrebbe essere ampliato, in fondo se io faccio cadere questo aggeggio per terra e si spacca posso sì dire che ha reagito a uno stimolo, posso anche dire che soffre se voglio, un termometro messo nel frigorifero ha freddo? Eppure segnala qualche cosa, reagisce, ma ha freddo? Difficile sostenere una cosa del genere, come dicevo prima si imparano le emozioni, ciò che prova un animale per esempio, noi non lo sapremo mai, in questo alcuni filosofi non hanno tutti i torti, non sapremo assolutamente mai quello che “pensa” un animale, non abbiamo modo di metterci in relazione con lui, voglio dire che qualunque cosa noi diciamo, qualunque reazione che noi vediamo comunque siamo noi che la interpretiamo, noi, non lui, lui reagisce a degli stimoli e questa è l’unica cosa che possiamo dire, perché agisce in un certo modo? Perché ha fame? Può darsi, è tutto ciò che posso dire. Che cosa è naturale e che cosa è virtuale per esempio, per tornare alla questione dell’informatica: tutto è virtuale, tutto è artificiale, non c’è la natura, non c’è da nessuna parte, tutto ciò che gli umani fanno è artificiale, cioè fatto ad arte, letteralmente, fatto con il loro pensiero, con le loro considerazioni, sia che prendono un pezzettino di pietra, come hanno fatto centomila anni fa e lo affilino per infilzare il lupo che li vuole mangiare o che costruiscano un sofisticatissimo sistema di computer, tutto questo è comunque artificio, è artificiale, la parola stessa è artificiale, costruisce immagini, costruisce scene, costruisce desideri, aspettative, costruisce quantità sterminate di cose artificiali. Il concetto di natura è stato utilizzato spesso a scopo, usiamo pure la parola, terroristico: è naturale che sia così quindi deve essere così e quindi anche tu ti devi adeguare a questo, se non lo fai vai contro natura e mal te ne incolga. Che cosa è naturale? Ciò che gli umani fanno? Ciò che fanno da sempre? Per esempio uccidersi fra loro? Lo fanno da sempre, da quando esistono, quindi uccidersi per gli umani è la cosa più naturale che esista quindi è giusto e bene praticarla, essendo il concetto di natura il riferimento di ciò che è bene, poche altre cose gli umani fanno da sempre con tanta fredda determinazione che ammazzarsi gli uni con gli altri, quindi questo è naturale, questo è bene. Ma può un essere umano, queste sono questioni vecchie come il mondo, può l’uomo che è natura fare qualche cosa che vada contro la natura? Come fa? Può la natura, se lui è natura, può la natura andare contro se stessa? Come, con che cosa? E perché poi dovrebbe fare una cosa del genere?

 

Intervento: in un certo senso quando c’era il linguaggio primitivo bisogna pensare che fosse un pensiero primitivo?

 

Lei mi chiede che cosa è accaduto alcuni milioni di anni fa, per me è difficile rispondere perché non c’ero, sono vecchio, ma non così vecchio …

 

Intervento: e in questo senso qui le emozioni, le sensazioni in parte l’istinti, l’impulso di cui si parlava prima hanno per forza avuto un loro ruolo e in questo senso io pensavo prima al bambino che sente dalla mamma che la mamma gli vuole bene che questa verità è sicuramente condizionata da tutta una serie di istanze inconsce che il bambino non riesce ancora a verbalizzare o che il …

 

Perché dovrebbe essere messa in dubbio, a partire da che cosa? Se non ci sono elementi per poterla mettere in dubbio?

 

Intervento: magari gli elementi ci sono …

 

Magari no, perché nel momento in cui il linguaggio incomincia ad avviarsi non ci sono molti strumenti, le informazioni che intervengono sono quelle che sono, come dicevo prima è difficile mettere in discussione un’affermazione come quella da parte di un bambino di un anno che non sa letteralmente ancora quasi niente, e anche in questo caso parlare di inconscio potrebbe essere problematico, da dove arriva questo inconscio? Si forma così come all’interno di una macchina rimangono residui di catene che non hanno più di fatto nessuna utilità ma rimangono legate a dei programmi? Vede, prima dicevo dell’inconscio come di una nozione metafisica, c’è anche la possibilità che Freud abbia inventato l’inconscio in mancanza di qualche cosa di meglio da proporre e allora questa nozione oltre a essere metafisica è ancora miticheggiante, un po’ fideistica, quasi oracolare: c’è l’inconscio. Potrebbe non essere così automatica una affermazione del genere, certo è una prima approssimazione, si è reso conto che c’è nelle parole molto più di quanto si dica, come De Saussure rilevava e tutta la semiotica, perché ciascun elemento linguistico è tale in quanto connesso, correlato con una rete di altri elementi linguistici: quando dico una parola, dico quella, non posso dirne altre simultaneamente, se le dirò, le dirò dopo, ma dicendo quella parola, essendo un elemento linguistico, quella parola è agganciata a una quantità sterminata di altre elementi. In molte occasioni appare che Freud intendesse effettivamente qualcosa del genere, forse ho fatto l’esempio la volta scorsa di quella citazione: ho sognato una donna ma non era mia madre! Questa parola “madre” adesso qui non stiamo più parlando di bambini ovviamente ma questa parola “madre” che significato ha esattamente? Quella di colei che ha dato la vita, la genitrice eccetera, solo questo? No, non avrebbe intanto dovuto dire che ha sognato ma non era sua madre, perché? Questa “madre” interviene ma dovendo essere negata, ha un significato che è anche quello della genitrice, certo, anche quello ma non solo, si porta appresso una quantità di altre parole e queste altre parole costituiscono tutte insieme il significato di quella parola. Freud, se lo prendiamo alla lettera, ci dice che ciascuna parola, proprio per la sua infinita complessità, per quella sorta di infinito attuale che si porta appresso non ha un significato, e quindi di fatto non potrebbe nemmeno dirsi, perché non significa niente, perché cosa significa di fatto? Devo inseguire questo significato all’infinito, cosa significa quella parola “madre” del tizio che l’ha sognata ma che non era lei? Cosa significa esattamente? Quando riuscirò a dire l’ultima parola su questo? Ad arrestare la combinatoria? A dire “sì, voleva dire proprio questo”, quando? Mai. È questo che dice Freud, e l’inconscio non sarà forse questa quantità di termini che ciascun elemento si porta appresso? È chiaro che se poi un elemento va in conflitto con un altro il sistema si blocca, come fa un computer, cioè se c’è un conflitto di file potremmo dire in termini molto meccanicistici, un conflitto di file vuole dire che una qualche cosa che è considerata vera va in conflitto con un’altra che è considerata vera che e queste due verità sono fra loro come si diceva una volta “incompossibili” delle due se ne può scegliere una, e allora si reagisce di fronte a una cosa del genere in modi differenti, l’ossessivo per esempio si arresta e non decide più niente, rimane in attesa che gli eventi decidano per lui, l’isterica decide quello che gli passa nella mente per primo senza pensarci neanche un istante, il paranoico esclude la possibilità che ci siano due elementi in conflitto nel suo discorso, non è possibile, quindi considera l’altro come se non esistesse, tutti questi sono semplicemente modi di risolvere dei problemi, modi di risolvere il problema dato dal principio di non contraddizione, il “principium firmissimum” come lo chiamavano i latini, altra grossa questione: è dimostrabile la validità del principio di non contraddizione? Come, se non usando lo stesso principio di non contraddizione? E questo in retorica per esempio non si fa, si chiama petizione di principio, cioè utilizzare ciò stesso che deve essere dimostrato all’interno della dimostrazione, è scorretto, non si fa. Quindi ecco la questione dell’inconscio: Freud si è accorto che c’era qualche cosa, c’era molto di più nelle parole che dicevano le persone che incominciavano a parlare con lui, più di quanto dicessero effettivamente, e cioè che la parola è molto più complessa di quanto appare d’acchito se no avrebbe potuto semplicemente dire: ho sognato una donna ma non era mia madre, questa donna era sua madre? Sì/no? No. Chiuso il discorso. Ma non è andata così, e perché non è andata così? Perché ha lasciato che la persona continuasse a parlare, che è esattamente quello che fa l’analisi, lasciare parlare la persona, senza precipitarsi a dirgli come stanno le cose. La persona per la prima volta in vita sua si trova a parlare con qualcuno che non si affanna a dirgli come stanno le cose e soprattutto a dirgli come la pensa lui, ma è lì, da solo con le sue parole che continuano a dirsi, e si accorge mano a mano che procede che qualunque cosa dica, in qualunque modo, c’è sempre ancora da dire, che la cosa non finisce e che è questa in fondo la sua ricchezza, questo avere sempre ancora da dire, e poi ancora, e poi ancora, finché questa chiamiamola “consapevolezza” diventa qualcosa che fa parte del suo stesso discorso, fa parte della sua parola, e allora si rende conto che non c’è l’ultima parola, non può dire l’ultima parola su qualche cosa e se non può dire l’ultima parola non può nemmeno starci male, perché lo starci male prevede che sia stata detta l’ultima parola e che quindi tutto questo comporti la certezza che le cose stanno così, ma se questa certezza non c’è diventa più difficile stare male, non è proibito, ma diventa più difficile, diventa più difficile per me stare male per qualche cosa che non è così. Ho detto tutto questo in modo molto rapido, ma è così che funziona una psicanalisi, si incomincia ad accorgersi che il proprio discorso non raggiunge, non può raggiungere mai l’ultima parola perché non c’è questa ultima parola, perché il discorso continua, perché le parole continuano a dirsi e c’è sempre ancora da dire: una persona incomincia a raccontarsi e non riesce mai a dire “sì, io sono così, io sono questo”. Se qualcuno lo interrompe immediatamente o incomincia a dargli contro, e allora si innesta un battibecco e la discussione è chiusa, ma se no, se è da solo con le sue parole, si trova a procedere lungo questa strada che lo condurrà inesorabilmente a considerare che lui è quello, ma poi anche questo, ma anche quest’altro, ma anche quest’altro ancora e si accorgerà che sono aspetti che magari sono contraddittori fra loro, perché no? Incominciare a prendere in considerazione anche questi, come dicevo prima, incominciare ad accorgersi della infinita ricchezza che ha a disposizione e che è l’unica ad essere effettivamente senza limiti …

 

Intervento: posso fare una domanda? La scorsa volta … se si può trarre la verità delle cose morte. Mi spiego: la scorsa volta parlava di De Saussure pensavo a una pietra, che cos’è una pietra? È vera o falsa? E mi è tornata in mente quando parlavamo del termometro e allora si crea un problema di hardware … un bambino, a parte se quello che prova è vero o falso ma perché la capisce? Un termometro la madre non la capirebbe e qui c’è un problema di hardware ,,,

 

Sì esattamente, come un computer lei provi a scrivere una lettera sul suo computer senza hard disk, senza il processore, senza il bios che succede secondo lei? Niente, può battere sulla tastiera finché vuole …

 

Intervento: produco un suono …

 

Sì, produce un suono anche se picchia per terra con il martello. Il sistema operativo è ciò che fa funzionare un qualche cosa che comunque ha già dei circuiti logici, se no non funzionerebbe, ma senza il sistema operativo questi circuiti logici non fanno niente, sono pronti a funzionare ma non funzionano, non funziona niente …

 

Intervento: veri o falsi? Se si pone un problema di significato …

 

Chi se lo pone? Come fa a porselo? Non può porlo finché non ha le istruzioni che gli dicono che una certa cosa è vera in base a certe condizioni e falsa in base ad altre, solo allora incomincia a stabilire il vero e il falso, che poi sono soltanto passaggi di corrente, nient’altro, dopo si può incominciare a costruire a partire da passaggi di corrente sistemi molto più complessi, e costruire computer che risolvano problemi matematici, logici, come già fanno per altro. Come dicevo prima il cervello di un umano senza un sistema operativo va poco lontano.

È una questione importante questa che lei ha posta, e sarà l’occasione la volta successiva di parlarne perché parleremo in modo più specifico della questione della psicanalisi riprendendo un gesto fatto da Heidegger, ma in modo molto più interessante, quando dice che la filosofia si è consegnata alla tecnica, ebbene, la psicanalisi a questo punto si consegna alla scienza della parola, cioè a una scienza della struttura della parola, non più un qualche cosa che procede da entità strane e invisibili che richiedono appunto un atto di fede, ma qualche cosa che potrebbe addirittura fondare la scienza una volta per tutte. È un progetto ambizioso, ma perché no?