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LUCIANO FAIONI

 

FREUD E LA PSICANALISI

 

Il disagio e la verità. Da Freud a Wittgenstein.

La guerra e i conflitti sono il frutto di verità contrapposte

 

BIBLIOTECA CIVICA CENTRALE – TORINO

 

TERZO INCONTRO

10 giugno 2014

 

Si è trattato nei due incontri precedenti di porre alcune considerazione intorno al modo in cui è nata la psicanalisi, il modo in cui Freud l’ha inventata. Più che alla teoria di Freud in quanto tale abbiamo posto attenzione in particolare al gesto inaugurale che ha compiuto Freud e cioè un modo totalmente nuovo di interrogare, interrogare i discorsi, interrogare le storie, interrogare, in definitiva, tutto ciò che si incontra. Questa occasione gli è venuta ovviamente incominciando a parlare a delle persone e l’intuizione che ebbe fu che i cosiddetti “sintomi”, che delle persone che si rivolgevano a lui manifestavano o raccontavano, non fossero di origine fisica o fisiologica ma che avessero la loro origine in qualche cosa che era in un certo senso dentro il loro racconto. Incominciando a far parlare le persone, come dicevamo l’altra volta, si è accorto che in ciò che la persona dice, racconta, c’è molto di più di quanto la persona stessa immagina che ci sia; è in questo in più che Freud ha incominciato a immaginare che potesse esserci la causa, i motivi di questi sintomi, ed è così che ha inventato la psicanalisi: incominciando a lasciar parlare la persona, molto semplicemente, “semplicemente” per dire che nessuno l’aveva mai fatto prima di lui. Dicevo anche che proprio in quegli anni, adesso riassumo molto velocemente in due parole, altre persone si stavano occupando del racconto, delle parole, del linguaggio. In particolare, de Saussure in Svizzera si occupava in modo molto preciso del funzionamento del linguaggio, ovviamente per motivi diversi totalmente differenti da quelli di Freud, a de Saussure non importava assolutamente nulla trovare rimedi a dei sintomi, a lui interessava sapere come funzionava il linguaggio, però era anche esattamente quella cosa che incominciava a interessare Freud, il modo in cui il linguaggio funziona, perché se è il linguaggio che costruisce delle cose, tali per cui a un certo punto la persona avverte, subisce o racconta un disagio, allora forse c’è qualche cosa proprio nel racconto, nelle parole, nel modo in cui queste si costruiscono che può essere di enorme interesse per potere affrontare ciò che le persone mostravano come sintomi. La cosa importante, e che per un verso accomunava in quegli anni la ricerca di Freud a quella dei linguisti, dei semiotici, era la questione del significato. Ho accennato negli incontri scorsi a come le fantasie di ciascuno producano dei discorsi, producano il modo in cui si rapporta alle cose, il modo in cui vede le cose, e naturalmente questo comporta immediatamente una riflessione sul fatto che sono proprio queste fantasie un modo, cioè in cui la persona vede le cose, le incontra, a determinarne il significato, cioè che cosa queste cose vogliono dire per la persona. Dopotutto la teoria di Freud potrebbe anche essere letta come una straordinaria teoria semantica, una teoria del significato, che si interroga proprio su questo, cioè come si produce un significato e anche come questo significato, una volta stabilito dalla persona, produca altri significati, nel senso che produce altri discorsi, altri racconti. Vi facevo l’esempio di una fanciulla che immagina di non essere apprezzata dal papà per una serie di motivi, il modo in cui il papà si rapporta a lei per questa fanciulla significa una sola cosa “il papà non mi apprezza”, questo è il significato che dà a ciò che esperisce, a ciò che incontra, a ciò che avverte, questo significato deve essere mantenuto, ha questa prerogativa, deve essere mantenuto, lo dicevamo forse nel primo incontro, per mantenere l’affetto del papà, e deve essere mantenuto a tutti i costi. Quindi, ci troviamo di fronte a un caso, a una situazione, in cui un significato non soltanto si stabilisce e si mantiene ma deve essere mantenuto, cioè nel caso della fanciullina deve mantenere quel significato, e cioè che quello che il papà dice, fa, ecc., mostra la sua disapprovazione, comunque la sua scarsa considerazione nei confronti della figlia e questo è un significato. Un significato, per potere funzionare all’interno di un pensiero, occorre che abbia una caratteristica, e questa è una cosa alla quale Freud non ha pensato, e cioè questo significato deve essere vero, deve essere accolto dalla persona, cioè dal suo pensiero, come una cosa vera. Dico che Freud non ha mai considerato questo aspetto se non molto marginalmente e indirettamente, la questione della verità non ha mai interessato granché Freud appunto, come dicevo, se non molto marginalmente, nonostante che invece sia la condizione perché un certo significato, che poi determina e determinerà una serie di comportamenti, di giudizi, di scelte, di decisioni, occorre che sia accolto dalla persona come vero. Chi è che si occupa di cose del genere, cioè di stabilire quali sono le condizioni di verità dei significati? Ci sono delle discipline che se ne occupano, non la psicanalisi o non propriamente, nemmeno Lacan si è mai posta la questione, eppure perché qualche cosa funzioni, sia accolto da me e possa costituire una premessa sulla quale costruire un modo di pensare, un modo di agire, possa stabilire delle scelte, delle decisioni, ecc., è fondamentale che sia vero. Se sapessi che un certo giudizio, un certo significato è falso, di sicuro non lo perseguirei ma lo abbandonerei come qualche cosa che non è utilizzabile. Adesso non ci interessa il motivo di una cosa del genere ma per il momento teniamola come una costatazione. La questione della verità, ecco il tema di quest’oggi è proprio sulla verità, si chiama infatti: Il disagio e la verità. Da Freud a Wittgenstein. La guerra e i conflitti sono il frutto di verità contrapposte. La verità è una questione complicata, nonostante che le persone quotidianamente, continuamente si appellino a una verità ipotetica, immaginata, supposta, e non preoccupandosi in effetti mai di sapere in che cosa consista tale verità, anzi, si considera che interrogazioni intorno alla verità sia lavoro per filosofi, linguisti, logici eventualmente ma qualche cosa che non interessa alla persona normalmente, la quale sa muoversi in genere benissimo o almeno ritiene di saperlo fare all’interno di un ambito di situazioni che conosce, che riconosce e che ripete, quindi sapere che cosa sia esattamente la verità è un problema che tutto sommato non interessa nessuno, tranne appunto i filosofi, le persone prima menzionate. Un breve cenno della questione della verità, così come si è tentato di elaborarla in questi ultimi duemilacinquecento anni, non so bene prima che cosa ne pensassero, non ci sono molte testimonianze. Quindi, facciamo risalire tutto al pensiero greco, per i greci la “verità” aveva varie accezioni, c’era l’alètheia (λήθεια), l’orthotes (ρθότης), e l’episteme (πιστήμη), tre modi di indicare la verità. Il primo, indicava la verità come disvelamento, come un sollevamento di qualche cosa che prima era velato o anche il venire alla luce di qualcosa che prima era in ombra, nell’oscurità, questa e l’alètheia. Poi, l’orthotes che è l’adeguamento della parola alla cosa, è il modo più comune di intendere la nozione di verità e poi, alla fine, l’episteme, la verità sicura, certificata, la verità della scienza, del discorso scientifico, cioè una verità provata. Il termine latino “veritas” riprende praticamente la seconda posizione e cioè quella che i medioevali chiamavano “adaequatio rei et intellectus”, appunto l’adeguamento della parola alla cosa, che significa soltanto questo: “la proposizione che afferma che io sono qui in questo momento è vera perché io sono qui in questo momento”, il funzionamento è semplice. Ora, questo modo è quello comune di ciascuno, un raffronto con la realtà, se la realtà si mostra così come io la descrivo allora la mia descrizione è vera, in caso contrario è falsa. Che cosa ha a che fare tutto ciò con la psicanalisi? Ha a che fare tantissimo, perché questo modo di intendere la verità, appunto come adeguamento della parola alla cosa, comporta dei problemi e a questo punto dovrebbe essere semplice intuire perché se le cose che le persone incontrano sono “filtrate”, adesso usiamo questi termini un po’ rozzi, “filtrate” dalle sue fantasie, allora la stessa “realtà” non è colta dalla persona per quello che è realmente ma attraverso le sue fantasie, cioè il suo modo di vedere, di pensare, di dire. Quindi, immaginare di adeguare le proprie parole a qualche cosa, che di fatto rischia di essere una fantasia, comporta appunto dei problemi. È una questione un po’ complessa ma adesso cercherò di rendervela forse un po’ più semplice. Immaginate la fanciullina di prima, quella che vede il papà come qualcuno che non l’apprezza; per la fanciullina questa cosa non è una sua fantasia ma è la realtà, la realtà dei fatti, il modo in cui le cose stanno, ed è per questo che modella e modula il suo comportamento in base a questa certezza, “il papà non mi considera, mi disprezza, quindi, è vero che io sono disprezzabile” e, come vi dicevo, per la fanciulla questa è la realtà, non ce n’è un’altra, è soltanto questa. Si tratterebbe, allora, di trovare la via perché la suddetta fanciulla possa abbandonare questo modo univoco di intendere la realtà e questo è l’aspetto arduo perché non avrà nessuna intenzione di farlo ovviamente, ma questa è un’altra questione ancora. Che cosa ha a che fare la questione della verità con la psicanalisi? Da questo piccolo esempio potere incominciare già a farvi un’idea, la verità o quello che si suppone essere vero è qualcosa che costringe a muoversi di conseguenza, non solo ma se ciò che io penso è vero, o quanto meno sono assolutamente convinto di una cosa del genere, è ovvio che chiunque penserà in modo differente dal mio sbaglierà perché la verità per definizione è una. Occorre distinguere tra verità e opinione, la verità così come è intesa dal pensiero occidentale non è un’opinione e parlare di “verità relativa” è sempre trasporla verso l’opinione, io ho la mia verità, lei ha la sua verità, l’altro ha la sua verità, ma di che cosa stiamo parlando di fatto? Di ciò che ciascuno crede essere vero, la sua opinione, di quello che pensa ma non della verità, la verità come dicevo per definizione è una, tertium non datur, così dicevano i medioevali riprendendo dalla logica aristotelica, se una cosa è falsa allora non può essere seguita perché la verità è una e se una cosa è vera allora tutto ciò che non è questa cosa non è vero. È un modo di pensare molto semplice che peraltro viene utilizzato ininterrottamente: come vi dicevo, se quello che io penso è vero chiunque pensi altrimenti pensa il falso, è ovvio, ed è il motivo per cui non possono coesistere in un certo senso delle religioni differenti, perché se il mio dio è la verità assoluta, e non può non esserlo, se è il mio dio è ovvio che non posso ammettere la presenza di altri dei, in nessun modo. Da questo fatto, da questa semplice considerazione, sono nate un certo numero di dispute nel corso degli ultimi millenni, perché nonostante tutto le persone è come se sapessero che la verità è una e, quindi, se io conosco la verità allora se qualcuno ne pone un’altra questo qualcuno sbaglia, erra, è nell’errore, può essere in buona fede o in mala fede ma in ogni caso è nell’errore e deve essere quindi ricondotto sulla diritta via, in un modo o nell’altro. Quelle situazioni che Freud chiamava nevrosi si nutrono della verità, ne hanno bisogno tanto quanto dell’aria che respirano, ammesso che la nevrosi abbia bisogno di aria per respirare, perché la costruzione che viene fatta dal cosiddetto nevrotico è una costruzione certa per il nevrotico, non ci sono possibilità, peggio ancora per il cosiddetto psicotico… tra l’altro, questo è un inciso, per Freud la persona normale cosiddetta è qualche cosa che è alla metà tra la nevrosi e la psicosi, sta lì in bilico, perché si produca quella che Freud chiamava “nevrosi” occorre che ci sia una certezza, cioè che le cose siano così come io penso che siano, se avessi la possibilità di considerare, constatare che le cose potrebbero, sì, anche essere così come io penso che siano ma non solo, e allora sarebbe molto complicato costruire una nevrosi. Se, per esempio, la fanciullina di prima avesse l’opportunità di considerare che forse non è proprio così certo che il papà la consideri una inetta e incapace e che magari non è proprio così, allora tutto ciò che ha costruito per mantenere questa certezza, e cioè tutti i suoi vari rituali, i tic e le decisioni prese a partire da questo, tutto ciò potrebbe scomparire, nel senso che non avrebbe più bisogno di esistere. Se io ho paura di una certa cosa e poi constato che questa cosa non c’è cesso di averne paura, ma se ne ho paura per me è sicuro che questa cosa è assolutamente vera e a questo credo con assoluta certezza. Questa è la condizione per potere avere paura di qualche cosa, naturalmente sto parlando di paure costruite, che è la cosa che a noi interessa, e che peraltro rappresenta la quasi totalità delle paure degli umani, non sto parlando di paure così dette concrete, che ne so?, la paura che un camion mi desta se sto attraversando la strada e lo vedo arrivare, non è di questo che sto parlando ma di ciò di cui si occupava Freud, e cioè di quelle paure che la persona costruisce per qualche motivo. Tutto perché un certo concetto, quindi un certo significato, è stato accolto come vero, come certamente vero, assolutamente vero. Occuparsi della questione della verità, come vi dicevo prima, è sicuramente una questione complicata e in questi ultimi duemilacinquecento anni non è stata data nessuna definizione soddisfacente di verità, ne sono state date, certo, ma nessuna ha retto alle obiezioni, alle critiche, alle messe in dubbio che ne sono seguite. La prima formulazione di verità che abbia una certa forza possiamo forse attribuirla a Parmenide, all’Essere, perché l’Essere è necessariamente vero, anzi, è ciò che determina il vero. Poi, le cose hanno preso varie pieghe fino ad arrivare nel secolo scorso, alla resa per così dire della metafisica, cioè quella dottrina che si è occupata da sempre di stabilire con certezza i criteri per definire la verità, ed è sorta l’ermeneutica, come dire la verità non possiamo definirla in nessun modo, troviamo una via d’uscita, spostiamo la verità dalla cosa a colui che se ne occupa, come dire che la verità non è più nella cosa in sé, come già aveva avvertito Kant, perché la “cosa in sé” pare che sia un po’ complicato conoscere e allora ci accontentiamo di altre soluzioni, cioè la verità non sta più nella cosa ma nel modo in cui io la vedo. Da qui, dall’ermeneutica, fino ad arrivare alla fisica dei quanti, ad Heisenberg, che adesso però non ci interessa in quanto tale ma la verità invece quella che viene utilizzata comunemente dalle persone parlando, questa non ha subito nessuna impasse, nessuna difficoltà, è rimasta tale e quale, immutata nel corso dei millenni, e cioè quello che dico è vero se corrisponde a ciò che io vedo, ciò che io esperisco, qualunque cosa sia, questo nient’altro che questo, e cosa vede la fanciullina nel papà? Vede una persona che non l’apprezza, che non la considera questo vede e questo sa: vero, falso? A questo punto diventa difficile stabilirlo, per la fanciullina è impossibile pensare a un dubbio, in realtà perché è assolutamente certa che le cose stiano come dice lei, come pensa lei, la questione è che non è soltanto un giudizio, un giudizio di valore al pari di qualunque altro, per la fanciullina è ciò che determina, ha determinato e continua a pilotare tutte le sue scelte, le sue decisioni, la sua vita, le sue scelte sentimentali, amorose, le sue scelte di lavoro, tutto, tutto è pilotato da questa certezza. Capite che la cosa è importante per la fanciullina ma possiamo estendere questa questione a ciascuno, ciascuno si trova o può trovarsi in una situazione simile, in cui pensa che le cose stiano proprio come immagina lui o lei perché non ha modo di verificare questa cosa, non esiste un criterio che possa sollevarla da questa certezza, perché questa certezza, vi dicevo prima, non solo deve esserci per mantenere il papà nella posizione di brava persona e quindi non può modificare questa certezza. Questo è il motivo per cui già Freud ai tempi suoi si accorse che le persone, spesso, ad un certo punto dell’analisi era come se facessero di tutto per non proseguire, esattamente nel momento in cui si incominciava a mettere in discussione proprio quella certezza, adesso io ve la semplifico molto ovviamente, quella certezza su cui la persona aveva costruito la sua intera esistenza. Quindi, la certezza presuppone un vero. Infatti, Wittgenstein si trova a scrivere alcune cose intorno alla certezza, scrive un saggio che si chiama Della Certezza e dice una cosa interessante. Lui si riferiva alla logica e alla dimostrazione, quante volte si cerca una dimostrazione per confermare che “le cose stanno proprio così come dico io”, “adesso te lo dimostro”, bene, il caso della dimostrazione logica, cioè il caso in cui la dimostrazione è la più rigorosa, precisa e tecnicamente inattaccabile, si chiedeva lui: che cosa abbiamo fatto dopo che abbiamo compiuta una dimostrazione? Siamo partiti da delle premesse che abbiamo stabilite, abbiamo fatti dei passaggi coerenti con le premesse e siamo giunti a una conclusione, ma cosa abbiamo fatto in tutto questo? Abbiamo trovato una verità, una certezza? Sappiamo come stanno le cose? No, dice Wittgenstein, “semplicemente ci siamo attenuti alle regole del calcolo che avevamo stabilite, solo questo”, e la persona, torniamo sempre alla fanciullina di prima, quando prende le sue decisioni, quando prende l’uomo sbagliato, quando si licenzia dal lavoro per motivi futili, ecc., non fa nient’altro che attenersi alle regole del calcolo, diciamola così, che lei stessa aveva stabilito, che sono quelle che provengono dalla certezza che lei ha. Quindi, vedete che se alcune frange della questione possono apparire molte astratte e teoriche e di poco utilizzo nella vita quotidiana, in realtà mostrano dei risvolti che coinvolgono gli aspetti più importanti, più decisivi e talvolta più drammatici della vita di una persona, e la psicanalisi si occupa esattamente di questo, cioè di intendere perché, per quale motivo, una persona ha costruito una certa certezza, costruendo di conseguenza un gioco alle cui regole si attiene assolutamente nonostante che il perseguire questo gioco con le sue regole la porti ogni volta alla catastrofe e al fallimento. Che è una cosa che incuriosisce molti che non hanno molta dimestichezza con il modo in cui gli umani pensano, il fatto che delle persone sembra che quasi deliberatamente vadano sempre a mettersi in situazioni drammatiche e disperate, che verrebbe da dire a queste persone prima di fare una cosa del genere magari pensaci un momentino e ti accorgi che forse non è la direzione migliore quella che stai prendendo, ciò non di meno la persona senza nessuna esitazione imboccherà quella strada e si troverà inesorabilmente di fronte alla catastrofe. Perché una cosa del genere?

Intervento: così cresce una persona…

Non è così semplice, non c’è bisogno per esempio di farsi del male per sapere che alcune cose sono nocive, anzi, in alcuni casi si invita la persona a evitare di trovarsi in situazioni ad alto rischio proprio per evitare che impari a proprie spese, cioè per esempio perdendo braccia, gambe, ecc., che quella cosa poteva evitarsi, in questo caso non si tratta di una crescita ma di una decrescita perché se perde braccia, gambe, ecc., si rimpicciolisce. Però, al di là di queste amenità, ho capito che cosa lei vuole dire, ovviamente, lo so, è un luogo comune pensare che le esperienze drammatiche rinforzino ma non è mai stato dimostrato che sia così. È un luogo comune che procede da una questione molto antica che ha a che fare con il cristianesimo, e cioè con il valore attribuito alla sofferenza. Questione che è nata con il cristianesimo, per i greci per esempio non era assolutamente presente, tant’è che Cristo muore sulla croce soffrendo e soffrendo redime tutti quanti. Però, adesso questa non è una questione che a noi interessi, a noi interessa invece intendere che cosa fa la psicanalisi propriamente di fronte a una situazione del genere, quella per esempio della fanciullina. Di cosa si tratta, dunque? Beh, la prima cosa è quella che ha fatto Freud stesso, ha incominciato a lasciare parlare la persona, senza precipitarsi come farebbe chiunque a dire alla persona quello che deve o non deve fare, cosa è giusto, cosa è sbagliato, ecc., questo lo fanno già i suoi familiari, i suoi amici, i suoi compagni, tutti, non c’è bisogno di una voce in più. L’analista non è lì per quello, non è lì per fornire consigli, suggerimenti, indicare la direzione buona, no, è lì per porre delle condizioni perché la persona stessa possa intendere che cosa sta dicendo, che cosa tutte le parole che intervengono nel suo discorso stanno indicando a insaputa della persona stessa che le dice, cioè la persona non si accorge di quanto in più c’è nel suo racconto e che a lei sfugge. E perché sfugge? Ci sono dei buoni motivi, già Freud ne ha rilevati alcuni, uno di questi è quello che a noi interessa di più, e cioè eliminare tutto ciò che potrebbe mettere in discussione la sua certezza, tutto ciò che potrebbe metterla in dubbio, minarla in un modo o nell’altro, e cioè demolire ciò che ha fatto di tutto per restituire, per mantenere; quindi, tutto ciò che minaccerà di andare in quella direzione verrà scartato e accolto invece a braccia aperte tutto ciò che lo conferma, cioè tutte le cose, le situazioni, gli eventi che confermano, per esempio sempre nel solito esempio della fanciullina, che confermano che il papà è una bravissima persona e quindi se lui la considera una incapace è davvero una incapace. Questo è ciò che deve essere confermato, mantenuto e divulgato all’occorrenza, quindi tutto ciò che conferma questo verrà accolto come prova, tutto ciò che lo mette in discussione, che potrebbe minarlo, che comunque va in una direzione contraria, verrà eliminato automaticamente. È così che funziona e questo è ciò che l’analista occorre che impedisca che accada ma fa in modo che la persona possa incominciare ad accogliere quelle cose che vanno in un’altra direzione, se non altro per incominciare a porre il dubbio che forse potrebbe non essere proprio così, forse. Inizialmente, certo, le cose non sono mai così come si pensa che siano, mai per nessun motivo, questa è una cosa che gli umani, almeno alcuni, hanno acquisito da molto tempo, da tantissimo tempo senza mai tenerne conto, per degli ottimi motivi, ma tutte queste considerazioni erano già in nuce, erano già presenti, erano già presenti duemilacinquecento anni fa e assolutamente consapevoli da parte, per esempio, dei sofisti che sapevano benissimo tutto questo, sapevano perfettamente come funzionava il tutto, però, come vi dicevo, ci sono ottimi motivi per non perseguire questa via.

Intervento: sono motivi politici vero?

Anche, in alcuni casi sì. Ora, perché dunque, per lo stesso motivo, una persona singola, pur sapendo, pur avendo sentore di certe cose, fa di tutto per non considerarle? Per esempio, la stessa fanciullina di prima, magari moltissime persone cercano di convincerla, “guarda che tuo papà ti vuole bene, ti apprezza, ti considera, ecc.”, molti glielo dicono, assolutamente convinti che sia così, perché è ciò che vedono anche loro, ma per la fanciullina tutto questo è irrilevante, non perché sono in malafede ma perché sbagliano, perché non sanno ciò che sa lei. Questo è il motivo perché è incrollabile la sua certezza, lei sa cose che gli altri non sanno, “se le sapessero ecco che penserebbero come penso io”, non è così, ovviamente, ma è questo ciò che si pensa, ciò che la fanciullina pensa sempre per mantenere la sua certezza. Quante volte avete ascoltato gente che suggerisce che è importante, che è fondamentale che le persone abbiano dei valori, quante volte l’avete sentito? Infinite. Che cosa sono i valori? Sono proprio quelle cose a cui le persone credono per lo più, ci credono fortemente al punto di essere disposte a combattere per difenderli, a uccidere e a farsi uccidere se ce n’è l’occasione. Ora, il valore è una di queste certezze che, a differenza di quella della fanciullina, è condivisa da molte persone, solo a questa condizione diventa un valore, perché se è solo per me è una mia opinione ma se riesco a persuadere cinquanta milioni di persone ecco che diventa un valore, io posso imporlo come un valore a ciascuno e a quel punto è obbligato ad attenersi. E qui c’è quell’aspetto che lei indicava come politico, ovviamente, i valori sono fondamentali nella politica, nella gestione di qualunque governo

Intervento: allora se un governatore da valore a una cosa non può manipolare cinquantamila persone?

È già accaduto, sì, e continua ad accadere e continuerà ad accadere, ma è accaduto non da adesso, è accaduto da migliaia di anni perché così come è potente la certezza che ha la fanciullina e incrollabile e tetragona ai colpi di ventura, diceva il nostro amico, è assolutamente inscalfibile in nessun modo, così se questa certezza si trasforma in valore condiviso da una popolazione allora il discorso cambia, si può far fare a un popolo qualunque cosa così come è possibile far fare a una persona se si conosce il suo punto debole, qualunque cosa, perché se, sempre la suddetta fanciullina, io la prendessi in disparte e le offrissi una serie di conferme a ciò che lei sa essere assolutamente vero, beh, sicuramente mi riterrebbe un amico, una persona che la capisce, quindi, una persona di cui fidarsi, senza sapere che la sto ingannando nel modo più bieco, però, è quello che pensa unicamente per il fatto che io confermi ciò che lei crede. Tutta la retorica non è nient’altro che questo, un modo complicato, straordinario, elaboratissimo, per fare in modo che le persone credano ciò che io voglio che credano, la retorica è nata per questo, serve per questo, la nobile e antica arte della persuasione. Per questo ecco qui il titolo, La guerra e i conflitti sono il frutto di verità contrapposte, certo, un valore contro un altro valore e se io ho un valore è ovvio che il mio valore è vero e mi opporrò a tutti quelli che ne propugnano, ne propongono un altro; così come la fanciullina considererà malamente tutte le persone che mettono in dubbio la sua certezza perché sono persone che non l’hanno capita, che non sanno come stanno le cose, perché lei sola sa come stanno le cose. Come vi dicevo prima, così si scatenano le guerre ma anche senza arrivare alle guerra nucleare totale, anche semplicemente nelle relazioni sentimentali e si scatenano guerre in continuazione. In una relazione, certo, una persona è disponibile a cedere su alcuni punti avendo in cambio dell’altro che alla persona interessa, ma se si accorge che ad un certo punto ciò che ha in cambio, ciò che prima aveva in cambio non ce l’ha più allora non è più disposta a cedere sui punti di cui sopra e si scatena la guerra: “tu non sei più come eri una volta, non ti riconosco più, hai tradito la mia fiducia”, tutta una serie di storie che accadono, come ciascuno di voi sa perfettamente. Anche in quel caso si tratta di verità contrapposte, io cedo a una parte della mia verità, le cose in cui credo, i miei valori, qualunque essi siano, in cambio di qualche cosa che per me è importante, cioè “la tua considerazione”, “il tuo apprezzamento”. Se per qualche motivo questa considerazione, questo apprezzamento, non sono più adeguati alla mia aspettativa è ovvio che non sarò più disposto a cedere i miei valori, a quel punto perché dovrei? È più che legittimo, e così, come vi dicevo, si scatenano guerre in famiglia, fra amici, fra colleghi. Wittgenstein è stato un personaggio importante rispetto alla questione della certezza, della verità, e ha detto cose intorno al modo in cui il linguaggio funziona che hanno contribuito a considerare in modo più attento il modo in cui si costruiscono i pensieri. Lui indicava il significato come “uso”, l’uso che si fa di una certa parola, un uso che viene appreso come si apprende qualunque cosa. Si impara a giocare a poker per esempio, bene, per Wittgenstein allo stesso modo si impara ad amare, si impara la sofferenza, si impara il dolore, esattamente come si impara a giocare a poker. Può apparire bizzarra una cosa del genere, ciò nondimeno ha delle notevoli argomentazioni a sostegno di tutto ciò, che adesso qui non è il caso di riprendere anche perché è di psicanalisi che ci occupiamo fino adesso abbiamo parlato, anche se a volte è apparso indirettamente, sempre di psicanalisi, cioè di che cosa fa una psicanalisi, di quali strumenti necessita la psicanalisi per potere intervenire, per fare in modo che la persona cominci ad accorgersi di ciò che accade mentre sta parlando anziché non saperne nulla, come avviene generalmente e, non sapendone nulla, aggrapparsi a una certezza e mantenere l’assoluta convinzione che le cose stiano proprio così come io penso che stiano. Visto che sono le sette possiamo lasciare la parola a qualcuno, se ci sono delle considerazioni, delle perplessità, dei dubbi, delle aggiunte, delle implementazioni, qualcosa che volete sottrarre, qualcosa che volete articolare ulteriormente o controargomentare, sono a vostra disposizione. Mi rendo conto che ho accennato ad alcune cose, il fatto di ricorrere ad alcuni esempi può essere utile in alcuni casi per rendere più manifeste certe considerazioni. La cosa centrale in tutto ciò che ho detto è che la verità è ciò che gli umani credono essere vero e una volta che hanno stabilita questa certezza si muovono di conseguenza senza sapere che le cose non stanno proprio così e, quindi, senza accorgersi che hanno invece la possibilità di prendere moltissime altre vie, moltissime altre direzioni, che dicono, che il loro discorso è molto più ricco e che le loro potenzialità sono infinite rispetto a quelle pochissime che loro immaginano di avere mortificando la propria intelligenza in alcuni casi

Intervento: …

Vede, quello che lei sta dicendo fa parte di un ipotesi molto diffusa ultimamente e cioè che esistano dei poteri occulti che stiano manipolando e manovrando l’intero pianeta a proprio uso e consumo. Non è proprio esattamente così, non c’è nessun complotto, sono soltanto affari, business, come dicono i nostri amici d’oltre manica, business, affari e per fare affari talvolta occorre compiere azioni che potrebbero in alcuni casi apparire riprovevoli ma che vengono compiute comunque per aumentare il proprio volume di affari. Qui, chiaramente, si apre un discorso che non è il caso di fare qui in questo momento, mi interessava di più se ci fosse qualche questione connessa in modo più specifico tra le questioni poste intorno alla psicanalisi

Intervento: come nasce la nevrosi?

La questione che pone è interessante perché tra le altre cose interessò negli anni ‘70 quando ci si interessava della schizofrenia in particolare e c’erano molte correnti di psichiatri in Italia, c’era Basaglia per esempio, ma in Inghilterra c’era molti altri, c’erano Laing, Cooper, i quali si ponevano una questione del genere. L’idea era che ci fosse all’interno della famiglia un nucleo schizogeno come causa della schizofrenia. Però, ad un certo punto qualcuno pose una questione legittima, diceva “questi quattro fratelli hanno gli stessi genitori, perché uno è diventato schizofrenico e tutti gli altri no?”. Non c’è una risposta, in realtà è possibile argomentare sia a favore del fatto che esista veramente un nucleo schizogeno sia contro questa ipotesi, perché è vero che si può dire, questa obiezione è legittima, “uno diventa schizofrenico e tutti gli altri no”, quindi è qualcosa che riguarda lui non la famiglia, ma è anche vero che il modo in cui i genitori si rapportano ai figli potrebbe non essere esattamente lo stesso; poi, il modo in cui il figlio percepisce il modo in cui i suoi genitori si rapportano a lui non è lo stesso tra Franco, Pierino, Giuseppe, Andrea, cambia, non è la stessa cosa e quindi rispondere a questa domanda è straordinariamente complicato. Infatti, non si è data nessuna risposta, si preferisce a questo punto valutare il singolo caso. Certo, è possibile che ci sia anche una complicità, spesso c’è, spesso non sempre, una complicità all’interno della famiglia, questa era la tesi di Laing soprattutto, ma intanto non è detto che ci sia sempre e poi, dentro a quali limiti? E come viene percepita dalla persona questa complicità? Un’altra idea era quella del doppio legame, e cioè una famiglia dice a un figlio qualche cosa a parole ma con i gesti è come se si aspettasse il contrario, se volesse il contrario, un doppio messaggio, verbalmente gli si dice “devi fare così”, poi, non verbalmente gli si lascia intendere che non si deve fare così, è chiaro che una cosa del genere può creare qualche scompiglio, ma sempre? Necessariamente? Oppure no, oppure solo in alcuni casi? In altri il figlio pensa semplicemente che i suoi genitori sono un po’ strampalati e la cosa finisce lì, che cos’è che determina il modo per cui ad un certo punto la persona prende una via anziché un’altra? È la domanda che Freud stesso si poneva, cioè perché una persona diventa ossessiva, un’altra isterica, un’altra schizofrenica, un’altra paranoica, perché? Non ha saputo dare nessuna risposta ovviamente, fino ad un certo punto c’è qualche cosa che può dirsi a questo riguardo e che ha a che fare con ciò che dicevamo oggi intorno alla verità. Il passo successivo che dovremo fare la volta successiva, cioè martedì, è proprio il fondamento di tutto ciò perché la verità non è che viene da nulla, l’idea della verità, inseguire la verità. Perché gli umani cercano la verità? A che scopo? Per sapersi muovere in una direzione? Perché vogliono andare in una direzione? Perché vogliono sapere? Perché? C’è un motivo e ha a che fare con una fantasia, la fantasia di potere, ma questa viene proprio dal funzionamento del linguaggio e rende le cose per un verso molto più complicate e per l’altro più semplici, come dire, adesso ve la anticipo poi la volta prossima l’articoliamo per benino, è il funzionamento stesso del linguaggio, è il modo in cui il linguaggio funziona, a determinare quella cosa che si chiama “fantasia di potere” e che è lei che di fatto pilota tutto ciò che gli umani fanno o non fanno, pensano o non pensano, una fantasia di potere che non è nient’altro che l’avere ragione dell’altro e sull’altro, imporre la propria ragione, imporre molto banalmente la propria verità. Certo, i modi per farlo possono essere molti e disparati, però si tratta sempre di questo, imporre la propria ragione, “io ho ragione e tu hai torto”, perché? Perché gli umani pensano così da sempre anche se nessuno ha preso seriamente in considerazione una cosa del genere tranne casi rarissimi. Uno di questi è Nietzsche che avvisava i suoi colleghi filosofi soprattutto ma non solo, “badate bene che la ricerca della verità non è fine a se stessa, non è per la pura speculazione, per il piacere di trovare la verità, per la nobiltà dell’intento è semplicemente per avere potere”, perché il possesso della verità, la conoscenza, oggi si potrebbe dire l’informazione, è ciò che dà potere. Quindi, è per questo che gli umani hanno cercato e continuano a cercare in un certo senso la verità, oggi più che cercarla si cerca di persuadere altri che sia una certa cosa, per il potere. La domanda è perché gli umani cercano il potere, a che scopo, che se ne fanno?

Intervento: un ultima domanda … Dal primo incontro lei ha parlato della fanciullina ossessiva quella che “ha ragione” perché suo papà “pensa” di lei che è un’incapace e quindi se il papà pensa così, lei ha la certezza di essere proprio così cioè un’incapace e quindi di nessun valore, invece ci sono altri casi, per esempio una struttura isterica, la fanciullina anche qui “ha ragione” cioè la questione si pone in un altro modo cioè non salva il papà ma è lui che non ha ragione.

No, certo, nell’isteria è guerra totale. Poi magari faremo un accenno a quelle quattro strutture di discorso che Freud ha individuato: il discorso ossessivo, paranoico, schizofrenico e isterico, come si situano, come si muovono queste figure, che potremmo indicare addirittura come figure retoriche. Ma di questo ne parliamo martedì prossimo alle 18 e sarà l’ultimo passo, quello dalla psicanalisi alla scienza della parola, l’ultimo passo, quello decisivo, conclusivo. Arrivederci e buona serata.