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Torino, 10 novembre 2005

 

Libreria LegoLibri

 

LA FELICITÀ DENTRO DI SÉ

 

Intervento di Cesare Miorin

 

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Intervento di Luciano Faioni

 

Ci sono varie questioni che meritano di essere riprese, la prima è giusto una curiosità: come mai le religioni, almeno i monoteismi, si sono sempre impegnate a promettere la felicità eterna? A che scopo? Come se avessero inteso in qualche modo che questo sia uno dei più grandi desideri degli umani: la felicità eterna, e di conseguenza parrebbe che quella terrena non sia sufficiente o non adeguata, verrebbe da chiedersi: come mai? Come mai gli umani non raggiungono questa felicità al punto da spingere tali religioni a promettere felicità eterna? In effetti essendo il compimento di qualcosa di fortemente desiderato ciascuno mano a mano che la incontra si accorge che questa felicità è caduca, non dura, non si mantiene e allora occorre trovare altre cose, spesso alzare la posta in gioco, e questa felicità che ciascuno va cercando, questa totale e assoluta felicità sembra non sia appannaggio degli umani e allora ecco che si inventa la felicità altrove; ma cercando la felicità che cosa si cerca esattamente? Si diceva il compimento di qualcosa di fortemente desiderato, anche certo, la felicità come assenza di dolore, assenza di turbamento, una sorta di Nirvana e, come veniva già ricordato, di definizioni di felicità ne sono state date molte e molte altre volendo se ne possono dare, quindi che cos’è questa felicità? Visto che si possono dare infinite definizioni, potremmo dire in una prima approssimazione che la felicità non è nient’altro che ciò che ciascuno pensa che sia, naturalmente questo comporta delle variazioni, perché una volta si immagina che la felicità sia una certa cosa, la volta successiva magari si immagina che sia un’altra, però forse c’è qualcosa di costante, di comune in tutto ciò e che ha a che fare con ciò che dicevo prima, con il compimento di qualcosa di immaginato come assoluto, come definitivo. A questo punto però sorge una domanda che potrebbe avere qualche interesse e cioè: potrebbe esistere la felicità in assenza di linguaggio? Potrebbe essere una domanda di un certo interesse perché se sì, allora la felicità non dipende dal linguaggio, cioè non è la conclusione di niente, sorge così, dal nulla e non essendoci linguaggio, non essendoci nessuno strumento per poterla accogliere né per potersi accorgere e quindi né per poterla riconoscere eventualmente laddove si desse, e questo rende le cose complicate oppure, come si diceva, la felicità per esistere necessita della presenza di questa struttura che chiamiamo linguaggio. Occorre intendere a che cosa ci riferiamo quando parliamo di linguaggio, comunemente si considera il linguaggio come un mezzo per esprimere qualcosa che generalmente linguaggio non è, esprimere sentimenti, pensieri o cose, sensazioni, con linguaggio non intendiamo esattamente questo o comunque non soltanto questo, con linguaggio intendiamo qualcosa di più radicale vale a dire la struttura che consente di pensare e quindi di conseguenza trarre delle conclusioni e accorgersi delle cose, constatare eventi, e anche accorgersi di provare delle sensazioni, in definitiva potremmo definire il linguaggio come una sequenza di istruzioni che servono a costruire proposizioni, una proposizione non è nient’altro che un discorso, che muove da una premessa e giunge a una conclusione, è quella cosa che consente agli umani di sapere tutto quello che sanno intorno a sé e al mondo che li circonda, quindi è qualcosa di abbastanza importante da essere la condizione perché gli umani esistano, perché senza il linguaggio potremmo tranquillamente affermare che gli umani non solo non esisterebbero ma non sarebbero mai esistiti, ed è anche facile giungere a questa conclusione perché per esistere occorre esistere per qualcuno, se qualcosa esiste per nessuno né potrà mai esistere per qualcuno, potremmo ancora affermare che esiste? In base a che cosa? Possiamo affermare, certo, il linguaggio ce lo consente ma costruiremo una proposizione che non può essere in nessun modo verificata. Ha importanza che una proposizione possa essere verificata? Per gli umani in genere sì, tant’è che spesso si scontrano gli uni contro gli altri proprio perché uno sostiene una cosa e l’altro il contrario e pare che da quando c’è traccia di loro abbiano da sempre avuto la necessità, oltreché il desiderio, di avere ragione sull’altro cioè di potere provare che le loro affermazioni sono vere e il contrario falso, da quando esistono non hanno fatto praticamente nient’altro che questo, comprese le religioni ovviamente. Pensate a una religione qualunque, mi riferisco sempre a i monoteismi, qualunque religione ha sempre posto per definizione il suo dio come quello vero, se il proprio è vero allora quello altrui è falso, non c’è via di scampo, e quindi la guerra generalmente, non necessariamente però spesso, avere ragione dell’altro, per avere ragione dell’altro in linea di massima si cerca, in assenza di guerra, di persuaderlo e di convincerlo con argomentazioni e cioè mostrare, provare che quello che io dico è vero contro quello che dice lui che pertanto dovrà risultare falso, perché se risulta vero anche quell’altro è un problema non possono darsi due cose vere, o è vera l’una o è vera l’altra, si escludono, e si s’escludono come dicevo tempo fa non per un ghiribizzo, o per una questione estetica, ma perché è proprio il linguaggio di cui dicevo prima che funziona così, e fa funzionare gli umani che sono fatti di linguaggio esattamente allo stesso modo, per cui se io so che una certa cosa è falsa e ho dimostrato che è falsa non la seguirò, non seguirò quella direzione, e perché no? In teoria potrei farlo però non lo faccio, non lo faccio senza sapere perché ma se so che è falso di lì non vado, e questo è il linguaggio che mi costringe a farlo. Allora questa cosa di cui stiamo dicendo e di cui Cesare diceva prima, e cioè il linguaggio, appare la condizione anche per la felicità, come dire che la felicità dipendendo dal linguaggio, cioè dalle mie proposizioni, dalle cose che io dico, io penso è sempre soggetta a mutamento perché i miei pensieri cambiano, non soltanto, ma se la felicità come andiamo dicendo è il compimento e se questo compimento raggiunge una verità che non può essere messa in discussione, beh, in questo caso potrebbe darsi l’eventualità di raggiungere quella sensazione che gli umani chiamano felicità e che va molto al di là della felicità comunemente intesa, è una condizione dove ciascuno può trovarsi ad essere aldilà della felicità, cioè non avere più bisogno di chiedersi se è felice oppure no, perché non avere più bisogno? Perché non c’è più né felicità né infelicità o, più propriamente, non si pone la questione nel senso che ciascuno si trova a fare e a essere preso in quello che fa, essere preso anche dall’entusiasmo delle cose che fa e sicuramente non ha più bisogno di difenderle perché non ha più nemici. Ma la prerogativa fondamentale in tutto ciò che andiamo dicendo relativamente al linguaggio, è che questa verità che andiamo proponendo, non ha bisogno di essere difesa perché si difende da sé, perché questa verità essendo fatta della struttura del linguaggio è costrittiva esattamente come un’inferenza che se dice che se A allora B e se B allora C, allora se A allora C, una cosa del genere è automaticamente evidente, direi autoevidente e non ha bisogno di essere difesa perché se si nega questo funzionamento allora si nega la possibilità stessa di pensare qualunque cosa e di conseguenza anche la possibilità di negare una cosa del genere. Dunque qual è la verità di cui andiamo dicendo? Al di là di tutte le verità possibili che sono state proposte o, è possibile porre una verità assoluta e quindi un pensiero forte, straordinariamente forte, vale a dire quella verità che sostiene che qualunque cosa questa cosa è necessariamente un elemento linguistico e non può non esserlo, ché se non lo fosse sarebbe fuori dal linguaggio e non ci sarebbe nessun accesso a questo elemento perché non ci sarebbe il linguaggio per accedervi e quindi potremmo in questo caso tranquillamente affermare che fuori dal linguaggio non esiste nulla. Naturalmente lo si può pensare, tutte le religioni lo hanno fatto, però è richiesto un atto di fede e allora va bene questa cosa come qualunque altra, va bene questa come la sua contraria perché tanto in ogni caso nessuna potrà essere provata come vera, quindi va bene tutto. Pere esempio posso affermare che io sono dio, e che se ciascuno di voi mi dà un milione di euro io posso assicurare a ciascuno di voi la felicità eterna, non lo posso provare certo che sia così, ma d’altra parte nessuno di voi potrebbe provare il contrario!