Torino, 10 maggio 2007
Libreria LegoLibri
COME FARE COSA CON LE PAROLE
LA PSICANALISI IN ATTO
QUALE PSICANALISI
Intervento di Beatrice Dall’Ara
Che cos’è una psicanalisi? E il percorso intellettuale che si occupa del pensiero, di come funziona un pensiero e di come agisce e comporta quindi l’agire del pensiero poterlo muovere. Il benessere, lo stare bene è un effetto e il disagio può essere in molti casi la chance, l’esca per avviare un percorso analitico. La Psicanalisi non può e non deve confondersi con tutto ciò che da un percorso di pensiero è nato ma che si è subito psicotizzato sulla prima verità che ha creduto tale per cui da ogni verità supposta tale è nata una teoria alla quale adeguarsi... non può confondersi con qualsiasi dottrina religiosa partendo dalla psicologia fino alla scienza, dalla dottrina cristiana fino alla dottrina islamica, non importa quale non è questo che interessa e con dottrina religiosa intendo quella dottrina che esercita e quindi impone un sapere che in nessun modo può dimostrare e che persuade con le armi come hanno fatto e fanno le varie religioni con le loro crociate o con le parole che promettono persuadono Cioè coloro che devono farsi persuadere perché non devono fare i conti con il proprio pensiero, perché soprattutto non vogliono fare i conti con ciò che il loro pensiero produce, cioè non vogliono fare i conti con l’unica ricchezza di cui possono disporre e cioè il loro pensiero, quindi se si parla di psicanalisi occorre sapere che si parla di pensiero, di cosa è fatto e soprattutto come funziona il pensiero>questo è fondamentale perché se non si intende come funziona mentre produce qualsiasi cosa e cioè tutte le affermazioni che ciascuno si trova a fare continuamente, ecco che ci si inganna ed è il primo inganno perché si immagina, come hanno fatto per esempio i linguisti che il pensiero si possa fermare in sequenze di elementi linguistici e si possa studiare tramite un metalinguaggio che si costruisce senza accorgersi dell’operazione che si sta compiendo e soprattutto senza tenere conto delle decisioni che si prendono compiendo questa operazione e cioè pensando. Non è possibile fermare il pensiero perché funziona 24 ore su 24, molti linguisti, per esempio, avevano inteso, avevano inteso e costruite le loro teorie considerando proprio che qualsiasi operazione l’umano vada compiendo questa operazione avviene inevitabilmente tramite elementi linguistici, tramite proposizioni le cui connessioni determinano un certo evento linguistico, giunzione e separazione di elementi linguistici determinano un evento che a questo punto significa ed è utilizzato dal parlante proprio in quanto parlante, qualsiasi evento è un evento linguistico dalla guerra in Irak al sorriso di un bambino, un evento linguistico inesorabilmente, fino a Wittgenstein che chiama questi eventi giochi linguistici, ogni evento è un gioco linguistico,tutto il suo lavoro è uno studio sui giochi linguistici, tenta inesorabilmente di trarre vantaggio da queste sue conclusioni che non può negare ma si ritrova a fare i conti con un sapere che non può provare assolutamente nulla di ciò che afferma, anche quando si interroga sulla dimostrazione che si può dare di un certo gioco affermava: dopo che avrò costruita una dimostrazione cosa avrò fatto se non aver costruito una sequenza di proposizioni in base a certe regole stabilite? Solo questo;avrò costruita una sequenza. Come dire che lì, proprio lì ha trovato il limite, se qualsiasi cosa è un gioco linguistico allora a che serve parlare? Se qualsiasi cosa che mi trovo a dire può essere confutata, negata da un gioco contrario allora “ciò di cui non si può parlare è meglio tacere” il nichilismo, l’azzeramento di un pensiero che non può più per una sua decisione contare su nulla ma fatto sta che non ha smesso di parlare basta considerare la sua bibliografia, ha continuato a scrivere, a pensare, a produrre cose, a trovare vie anche molto interessanti e infatti la parola, il pensiero non può fermarsi non lo può fare perché è linguaggio, è linguaggio e il linguaggio non può arrestarsi in fondo il linguaggio ha un unico obiettivo quello di continuare a produrre linguaggio, di continuare a produrre se stesso può produrre il linguaggio qualche cosa che non sia linguaggio? E se la producesse questa cosa come saprebbe che non è linguaggio? No, non lo può fare, lo può affermare ma tutto quanto produrrà non sarà nient’altro che una serie di proposizioni, per esempio, potrà dire “io non sono linguaggio” va bene, ciascuno può affermare ciò che gli piace e se ne è contento così può continuare/non accorgersi che si sta contraddicendo, può continuare a dire tutto ciò che gli aggrada ma ogni cosa che affermerà non sarà più vera della sua contraria, in fondo nessuno si è accorto di un piccolo risibile particolare, nessuno ha dato peso al fatto che gli umani parlano e quindi pensano ed è il loro pensiero che è fatto della loro parola che ha costruito gli umani e con gli umani tutte le cose che dicono e che dicendo possono pensare, se gli umani, questa invenzione del linguaggio non parlassero ecco che non potrebbero, per esempio, parlare fra sé e sé, non esisterebbe pensiero, non esisterebbe parola, ma potremmo immaginare una diversa invenzione, costruzione del linguaggio per la produzione di linguaggio, per la produzione di pensiero, per la produzione di se stesso ma il compito della psicanalisi non è quella di distruggere l’umano e costruire un computer, l’uomo lo ha già costruito e infatti il computer funziona come il pensiero dell’umano, porte che si aprono e porte che si chiudono la cui apertura e chiusura dipende dal programmai esattamente così come funziona il pensiero di lì puoi andare è la direzione vera, di la è falso non hai accesso, ma dicevo il compito di una psicanalisi non è distruggere l’umano perché è un elemento linguistico “qualsiasi cosa è un elemento linguistico” ma far considerare al parlante come funziona il pensiero a partire dal suo particolare pensiero. Come si svolge una psicanalisi? Si svolge,all’inizio,attraverso un racconto, la persona racconta la sua storia, racconta la sua vita, quello che le accade, ciò che sogna, ciò che impedisce il sogno, racconta le sue paure, le sue attese, racconta e all’infinito potrebbe raccontare, vorrebbe raccontare perché raccontando parla e cioè immagina, sogna, soffre, gode e finalmente c’è qualcuno che l’ascolta anzi lo paga perché l’ascolti e se ne ha i mezzi perché non dovrebbe continuare il racconto per continuare a sentirsi al centro dell’interesse di qualcuno che si interessa a ciò che dice? Ma ecco dicevo una psicanalisi è un gioco costruito, fatto di regole, come tutti i giochi senza regole non si può giocare e se non c’è gioco non c’è divertimento e un gioco se non diverte che gioco è? Lo sanno anche i bambini e quindi come tutti i giochi ha un obiettivo;,divertire, divertere il pensiero e questa è la conclusione, perché se no non si gioca più, e colui o colei che si è formato analista della parola e tale un analista della parola perché si è formato giocando ha percorso questo cammino e sa il piacere che si ricava parlando ma non gli basta il suo obiettivo è quello di far intendere alla 2 persona che racconta che quello che racconta lo può raccontare perché è il suo discorso che tiene conto di quello che racconta, lei no, non ne tiene conto è come se si dimenticasse racconta ogni voltasi trova ad affermare delle cose e il più delle volte credendo siano cose nuove tanta è il piacere che ne ricava e invece l’analista man mano interviene e il suo intervento mira proprio a questo a far intendere quello che il discorso va costruendo e che solo il suo particolare discorso costruisce è il suo discorso che costruisce quella storia che interpreta, che la muove, che rappresenta e che sola la interessa potrebbe raccontare un’altra storia ma non lo fa perché il suo discorso e cioè quello che dice in tutti i modi lo, riporta a quella storia, ma è il suo discorso, non il discorso di altri, è il suo discorso che la costringe entro quei limiti come dire che ogni evento, ogni termine di quella storia nel suo discorso è in relazione, è congiunto con gli altri termini della storia, proposizioni che funzionando si connettono automaticamente con gli altri termini della storia, come programmati, basta che intervenga un certo termine, certe proposizioni che subito si apre un file, che sgrana tutte le altre proposizioni, fino alla conclusione e quindi al ripristino del programma. Freud diceva che nell’analisi bisogna far raccontare ciò che altrimenti porta all’atto, all’azione perché chi se non il pensiero porta all’azione e cioè alla trasformazione del mondo esterno tale per cui le cose trasformate si possano vedere, mostrare, osservare? in fondo il criterio dell’osservazione è uno dei criteri costruiti dal linguaggio che fonda il suo giudizio, le sue conclusioni, le sue verità sul fatto che ciò che vedo è visibile da ciascun altro e quindi sbarazza dalla responsabilità di verificare se è proprio così e quel vedere lo posso fare perché dico di vedere e quindi il linguaggio utilizza una certa struttura che non necessita di verifica, vedo e le cose stanno così come le vedo e quindi posso vedere solo quelle trasformazioni che il corpo con la sua forza muscolare muta questo sbarazza di pensare al pensiero che solo può trasformare. Cosa possiamo vedere? Solo queste trasformazioni; se una montagna è ostacolo per la costruzione di un’autostrada si abbatte la montagna ed ecco che si nota la trasformazione ma in pochi casi si considerano tutti i passaggi che il pensiero ha connesso in base a regole ferree per compiere quella trasformazione, perciò vedo l’autostrada, ma sia come sia dicevo adesso questa questione non ci interessa ne parleremo più dettagliatamente quanto affronteremo la questione del corpo e dicevo come solo in un’analisi si possa considerare che è solo il pensiero che conduce a muovere in un modo oppure in un altro e accorgersi di questo è un passo fondamentale in una psicanalisi, sapere e tenere conto che senza il mio pensiero e quindi la mia decisione nulla può mutare o meglio qualsiasi cosa esiste in quanto io dico che esiste, come dire che sono responsabile delle cose che mi accadono perché sono io che voglio farle accadere perché sono attratto da ciò che dico di non volere e posso godere delle sensazioni di una certa storia che racconto solo a patto di non sapermene l’artefice. Questo è un passo fondamentale per l’analista della parola condurre il discorso che sta ascoltando a fare in modo che si ascolti e quindi tenga conto delle cose che fa dicendo, delle cose che costruisce dicendo, credendo che le parole siano solo un mezzo per raccontare ciò che accade perché vedo, per raccontare ciò che mi accade e quindi ciò che sento. Ma quali strumenti ha l’analista della parola per portare il discorso che va ascoltando ad acquisire lui stesso gli strumenti per accorgersi dell’inganno madornale cui è sottoposto colui che parla e che non può non farlo perché vive delle parole che dice? Già Freud affermava che una psicanalisi senza un apparato teorico non fa un passo cioè gira e rigira sulle stesso questioni e non ne esce e infatti non serve a nulla finalizzare un’analisi al raccontare il racconto che mi piace di più per poi trasformarlo in un altro racconto e questa volta in quel racconto che piace di più allo psicanalista che dipende dalla tale teoria, è come andare dal prete raccontare i propri peccati, le proprie magagne e uscirne miracolati, bastano tre Ave Marie, qualche volta un Padre Nostro e si è pronti per ricominciare e si riprende il giro, aspettando la chance di una prossima confessione. Non ha nessun vantaggio ma per l’analista, colui che si occupa del pensiero è imprescindibile trovare gli strumenti perché il pensiero possa funzionare, divertere, divertirsi perciò senza bisogno di costruire la colpa o il colpevole solo per poterlo raccontare a sé o al prossimo o per sentirsi responsabili di una colpa che si immagina di aver compiuto e quindi si teme di poter tornare a compiere, qualcosa che è sempre fermo lì, fisso nel proprio pensiero e che scatena e tiene fermo l’interesse, qualcosa di cui ci si vuole sbarazzare ma di cui non si può fare a meno di parlare dicendo di volersene sbarazzare e dove si trovano gli strumenti per sbarazzare il proprio pensiero di tutte quelle storie che gli sono utili per produrre parola? Produrre linguaggio? Si trovano attraverso l’analisi personale, la traversata e la responsabilità di ciò che si va affermando e quindi la costruzione di quella storia che io chiamo realtà)che è la condizione delle mie affermazioni e quindi del mio muovere nella vita, la condizione della vita che sto vivendo... attraverso un’analisi personale certo ma affiancata da un supporto teorico, sempre in atto, un incontro, un corso che si tiene là dove avviene l’analisi personale, in via Grassi 10, dove tutto ciò che accade nel percorso particolare viene messo in gioco, diventa una questione e come questione si interroga allo stesso modo in cui si interroga, una storia, una teoria. Perché è questo che avviene ed è avvenuto in quegli incontri che proseguono senza interventi di festività, né di ferie, per chi lo vuole certo, da molti anni e lì è stato costruito passo dopo passo, questione dopo questione lo strumento più forte perché il pensiero possa svolgersi e svolgendosi diventare più veloce e pronto a cogliere e a confutare qualsiasi cosa si ponga sul suo cammino e che non possa affermare di sé la sua necessità, lì è stato trovato l’uovo di Colombo, qualcosa di talmente ovvio che è quasi risibile (tant’è che la psicanalisi si occupa da sempre delle cose risibili, Freud diceva: le cose grandi, i grandi sistemi filosofici lasciamoli ai filosofi e badiamo, accorgiamoci almeno delle piccole cose, delle piccole cose risibili, delle inezie, intanto questo, almeno questo) ovvio e risibile tanto che nessuno aveva mai considerato la condizione per cui esiste qualcosa, qualsiasi cosa, è la condizione per cui l’esistenza stessa esista e cioè quella cosa che chiamiamo linguaggio, questa è la condizione anche di ciò che molti studiosi avevano inteso: linguistici, logici, semiotici, semantici,Wittgenstein, per esempio, aveva inteso, come dicevo, che qualsiasi cosa per essere utilizzata e quindi pensata dal parlante necessita di un gioco linguistico, aveva inteso, come dire che era assolutamente vero per lui, ma non ha saputo cosa farsene, anzi per lui ha rappresentato il limite non l’apertura estrema che a quel punto l’indimostrabilità di qualsiasi sapere comportava, l’apertura estrema la possibilità, la decisione di proseguire l’interrogazione circa ciò che si andava affermando come assolutamente vero, l’interrogazione e quindi la domanda circa la condizione per cui io possa affermare, possa negare, possa obiettare, possa domandare e la condizione in prima istanza è che esista il mio pensiero che afferma le cose che afferma di cui io mi assumo la responsabilità perché sono io che sto affermando una certa cosa e poi che esista una struttura ciò che chiamiamo linguaggio, il quale costruisce la domanda, costruisce la risposta, costruisce il fuori, il dentro, il sotto, il sopra, il passato, il presente, il futuro sono, potremmo chiamarle procedure del linguaggio senza le quali il pensiero non potrebbe darsi, non potrebbe esistere e queste procedure fanno funzionare il pensiero, permettono la costruzione del pensiero, permettono la costruzione e il funzionamento del pensiero che è fatto di linguaggio, è linguaggio e funziona esattamente come il linguaggio distingue ciascuna volta un elemento da un altro e inferisce da quell’elemento un altro elemento, il pensiero è la messa in atto del linguaggio e di per sé non è nient’altro che una serie di comandi dovuti a questo lavoro incessante di distinzione per produrre linguaggio, proposizioni e all’infinito proposizioni... per che cosa? per niente, per continuare a funzionare. Ecco dicevo lì in via Grassi 10, in quegli incontri, al momento in cui tanti anni fa ci siamo chiesti se era possibile fondare un pensiero che non fosse debitore di un atto di fede costruire qualcosa di solido da cui partire per portare avanti una psicanalisi, è stata inventata o meglio costruita deliberatamente una proposizione “qualsiasi cosa è un elemento linguistico” questo era ciò cui eravamo giunti attraverso un’attentissima ricerca di anni leggendo e compulsando tutti i testi e le teorie a disposizione, testi di linguistica, logica, filosofia, filosofia del linguaggio ecc. ecc. e questa era la verità assoluta cui non potevamo sottrarci “qualsiasi cosa è un elemento linguistico” è una proposizione che non può essere negata perché la sua negazione produce una proposizione che afferma di sé di non essere quello che afferma, produce un paradosso e cioè qualcosa che è vera se e solo se lo è la sua contraria, qualcosa che afferma di sé di essere altro da sé... ma allora va bene qualsiasi cosa. Nella nostra ricerca nel nostro cammino abbiamo portato avanti il nostro discorso, sempre tenendo conto della premessa da cui procedeva il nostro pensiero, sempre! Proseguendo a interrogare incontrando aporie, antinomie, questioni di tutti i generi e tipi ma sempre mantenendo la coerenza anche quando tutto pareva opporsi, contrastare ma sempre risolvendo continuando a riprendere le questioni sotto altri aspetti, sotto altre configurazioni e mantenendo coerente il nostro procedere senza accogliere la contraddizione immaginando di aver trovato l’elemento extralinguistico, cioè la verità fuori dal linguaggio, fuori dal nostro discorso, l’elemento extralinguistico non si può trovare ma a questo punto ecco che cosa ce ne facciamo di questa verità assoluta? A intendere come funziona il pensiero e come il pensiero non possa fare a meno di trovare la verità, parte da una premessa e attraverso una serie di passaggi coerenti alla premessa conclude e prosegue all’infinito una volta che ha trovato la verità a quella verità cioè non pensa più o meglio non è che non pensa più, non può non continuare a pensare ma a questo punto il pensiero non può più giocare la sua verità, di qualsiasi verità si tratti anzi deve controllarla deve cercare in tutti i modi che ciò che lui afferma essere vero anche per altri perché se non fosse vero anche per altri allora tutto ciò in cui crede, tutto ciò che sa essere vero vacilla, tutto è da rivedere, riconsiderare e questo è il suo timore più grande mettere in gioco la sua verità, in fondo qualsiasi potere, qualsiasi religione è nata da un’esigenza del linguaggio di continuare a produrre proposizioni e il potere in qualsiasi foggia o conformazione lo si voglia intendere funziona per difendere e controllare la verità e non lo può non fare perché crede che il suo pensiero non possa fare nulla, così come lo crede il depresso che all’infinito vede e descrive un mondo che lo spaventa, che lo angustia, dal quale fugge inorridito e infatti non vale a nulla mostrargli che in fondo ci sono anche cose belle, gradevoli anzi può offendersi, arrabbiarsi in alcuni casi perché è vero, ha ragione lui, ma se gli si mostra che tutta la sofferenza che prova, che ostenta è il suo pensiero che la costruisce, che la condizione di quella sofferenza è il suo pensiero comincerà a chiedersi “perché penso le cose che penso?” e qui troverà l’infinito, l’apertura... certo ci vogliono gli strumenti per praticare tutto questo continuamente per acquisire questa struttura di pensiero. ma se si ha interesse per il pensiero gli strumenti possiamo fornirli e ho già detto dove e come....
Bene, ho finito di leggere alcune considerazioni che mi parevano importanti per incominciare un dibattito, qualcuno vuole intervenire, confrontarsi a questo punto con il linguaggio? Perché questa sera ho parlato di linguaggio in prima istanza e quindi di pensiero e di quello che costruisce il linguaggio quando crede di essere qualcosa di diverso, di divino in certi casi, demoniaco in altri e il mio interesse è stato quello portare e cercare di mantenere l’interesse su ciò che ci fa vivere… bene o male o qualsiasi altra cosa…
Intervento: lo psicanalista è colui che si pone come magnetofono… ci siamo fino a qua?
No, non ci siamo, non ho inteso quello che lei sta dicendo…
Intervento: lei prima citava il confessore, uno va dal sacerdote e si libera… ecco, si può fare un rapporto con lo psicanalista?
Ecco lo faccia, mi interessa che lei lo faccia…
Intervento: la persona che va dallo psicanalista (o prete) parla e dice tutto quello che vuole, continua a parlare a raffica e lo psicanalista deve riprendere il tutto e cercare di portarlo sulla retta via riportarlo al pensiero logico razionale… il compito dello psicanalista è quello di fare liberare l’analizzato il quale gli dice tutto quello che non direbbe per nessun motivo ad un’altra persona, cioè l’analizzato trova nello psicanalista un confessore, poi certo non è così… lo psicanalista ti libera di tutto e ti apre la porta della salvezza…
Certo lo psicanalista ascolta tutte le cose che l’analizzante dice, almeno all’inizio, come dicevo il racconto di qualsiasi cosa che per molto tempo continua e l’analista tiene conto di ciascuna cosa per conoscere anche la persona con la quale ha a che fare, quali sono i capisaldi del suo discorso, beh come dicevo l’esempio del confessore era in antitesi per fare intendere, il confessore dice “bravo! hai peccato hai fatto proprio bene a venire qua a dirmelo, adesso pentiti e vai in pace” e questa persona è tutta contenta sa che i suoi peccati si possono azzerare… non si tratta proprio di questo una persona parlando trae un piacere enorme da quello che dice e se basta peccare per continuare a dire allora si intende perché ormai è tutto peccato… ma dicevo l’analista della parola che sa di cosa è fatto lui e anche la persona che sta parlando con lui, sa che è un discorso che sta funzionando e quindi l’analista deve fare in modo che la persona cominci ad ascoltarsi, ad ascoltare quello che dice e in questo modo il suo racconto comincia a riflettere sulle questioni che porta avanti, ecco al momento in cui la persona comincia a rendersi conto del suo pensiero e di quello che il suo pensiero la porta a dire beh questo è già un buon passo avanti ma l’importante è che l’analista sappia fare in modo che tutto quel piacere che la persona trae da quel racconto lo possa utilizzare nel piacere di ascoltarsi racconto, di ascoltarsi pensiero, di ascoltarsi discorso se non accade questo non succede niente (c’è il blocco) no, non c’è nessun blocco assolutamente la persona sta benissimo va avanti a raccontare ma non è che cambia o si trasforma qualcosa nel suo modo di pensare, la persona continua a credere che le cose siano così, così come le vede, così come le sente, così come le immagina, così come le sogna ecc. ma non è cambiato assolutamente nulla nel suo pensiero, nessuna trasformazione e l’analista deve fare in modo che questo avvenga perché se no non succede nulla ma questa fase è la più difficile perché la persona non può assumersi la responsabilità di quello che si trova considerare e soprattutto di quello che si trova a costruire, per esempio, la costruzione che avviene proprio da parte del suo discorso della sua sofferenza, del suo star male, ora non tutti hanno questa esigenza estrema di costruire sofferenza, perché si divertono con quello che trovano, non c’è per tutti questa esigenza però in certi casi vi sono persone che sono assolutamente programmate a costruire sofferenza… lei non ci crederà ma può succedere e allora in questo caso come fare a far muovere quel pensiero, per esempio, da quella storia che costruisce tanta sofferenza, tanto disagio, che questo sia un grosso eccitamento per la persona, e questo grande disagio sia il suo divertimento preferito questo la persona non lo sa, non lo accoglie, non lo può accogliere perché è la sua ragione di vita, lui, lei, vive di quella sofferenza solo quando comincia ad accogliere quello che fa dicendo, va facendo con il suo discorso perché è il discorso che va facendo, ecco che allora può, può cominciare a pensare, muovere il suo pensiero, come dire? Disincagliarlo da quella costruzione fantastica che ha costruito ma in fondo la persona, non è la persona da sola che costruisce la sofferenza c’è tutta una società che costruisce la sofferenza, che ha bisogno della sofferenza e quindi il discorso che andiamo facendo è rivolto a quei pensieri particolari con i quali ci troviamo ad avere a che fare ovviamente, ma queste persone che producono e costruiscono la sofferenza la possono costruire perché la società e quindi il discorso di e in cui vivono ha bisogno di costruire la sofferenza, ne ha un bisogno estremo, vive di storie di sofferenza, perché la sofferenza è necessaria per ogni tipo di istituzione laica o religiosa, istituzioni che predicano e impongono la protezione o la salvezza, non ci sarebbe la necessità del potere… (il cassaintegrato) non solo il cassaintegrato, pensi un attimo, se ad un certo momento al telegiornale non trasmettessero più storie di guerra, delitti, storie di mostri di tutti i generi, se non trasmettessero più funerali grandiosi in cui la telecamera…cominciassero a trasmettere altre cose la gente insorgerebbe, quale divertimento? Non avrebbe più nulla da raccontare, vive (sofferenti dalla sofferenza che viene propinata) no, non viene propinata… i giornali raccontano quello che le persone vogliono che si propini loro se no non venderebbero più giornali (…) ecco proprio così però per la persona, per quel particolare pensiero, per quel particolare discorso se va dall’analista, l’analista deve darsi da fare perché questa persona possa considerare che è lei l’artefice di quello che va facendo, sarebbe bello che lo potessimo, fare considerare al discorso occidentale ma ci vogliono molti, molti analisti, ci vorranno molti anni perché si possa parlare in questo modo e cioè che non ci sia più interesse per le storie cruente, violente… queste storie non farebbero più notizia e non facendo più notizia ecco che non ci sarebbe più l’interesse… ma possiamo farlo per le persone che hanno cura del loro pensiero e non hanno quindi bisogno del confessore…
Intervento di Luciano Faioni
Aggiungerei qualcosa, se Stefania è d’accordo; quale psicanalisi dunque? Senz’altro la migliore, è ovvio, però cosa intendiamo con migliore? Generalmente la più efficace, e quando la psicanalisi è efficace? Quanto consente alla persona di abbandonare tutte quelle cose che l’hanno mossa a iniziare l’analisi, generalmente si considera così ma abbandonare in modo duraturo, perenne, non momentaneo, una qualunque depressione passa con un paio di bicchieri di whisky, ma poi torna, così come torna anche dopo il Prozac. Nella migliore delle ipotesi la psicanalisi è riuscita a spostare la questione, spostare la questione significa, attraverso l’intervento dell’analista, fare in modo che il discorso da una certa posizione si sposti verso un’altra che è quella che l’analista indica, questo avviene per lo più nelle teorie psicanalitiche più recenti. Come e perché avvenga questo spostamento in realtà nessuno lo sa dire, nella stessa psicanalisi lacaniana o quella promossa da Verdiglione avviene uno spostamento da un certo pensiero ad un altro, ma come avvenga questo spostamento di fatto non si sa, per esempio, Lacan aveva teorizzato la cosiddetta seduta breve, supponeva che sospendendo la seduta su una certa questione da quel momento in poi magicamente il pensiero si sarebbe articolato intorno a quella questione e in qualche modo l’avrebbe elaborata, ma perché questo sarebbe dovuto accadere, questo non si è mai saputo. Questo dunque nella migliore delle ipotesi, nella peggiore si tratta soltanto di una conversione, come quella religiosa, o quella isterica a seconda dei casi e cioè il passaggio da una credenza, da una superstizione a un’altra che generalmente non è migliore né peggiore ma è imposta con maggiore forza e quindi risulta vincente. Dicevo di un mutamento duraturo, cosa significa che è duraturo? Potete considerarlo nell’accezione più radicale del termine, che pone le condizioni perché lo stato precedente non sia più in nessun modo e per nessun motivo raggiungibile e cioè abbandonato per sempre; ottenere un risultato di questo genere è ciò che la psicanalisi si è fissata da quando esiste, senza mai riuscire a ottenerlo e non lo può ottenere se non sa quali sono i motivi per cui può avvenire una modificazione. È ovvio che finché immagina che avvenga magicamente e cioè per dirla in altri termini non sa assolutamente perché qualcosa accada è difficile che possa andare molto lontano, d’altra parte è sempre stata una delle accuse mosse alla psicanalisi da parte dei cosiddetti scienziati: non potere e non sapere esibire da parte della psicanalisi i motivi per cui una persona cambia ad un certo punto la sua posizione. Certo una persona può cambiare modo di pensare per un’infinità di motivi, si tratta di trovare il modo per cui questo avvenga in una certa direzione in modo non causale, fortuito o magico, ma in base a un criterio stabilito e assolutamente preciso; se fosse possibile ottenere questo allora la psicanalisi avrebbe raggiunto il suo obiettivo in modo definitivo e sicuro, perché controllabile, in fondo è questo che vuole la scienza, non che a noi interessi la scienza naturalmente, non ce ne può importare di meno, ma controllabile nel senso che è ripetibile è ripetibile così come è ripetibile un programma. Non si pensa generalmente che gli umani siano dei programmi, naturalmente basta intendersi su che cosa è un programma, e un programma non è altro che una serie di comandi stabiliti in precedenza da un altro qualche cosa naturalmente. Un programma può essere modificato, variato quando si vuole e come si vuole così come può modificarsi un modo di pensare, tant’è che tutto ciò che avviene nella propria esperienza, nella propria vita fino ad un certo punto è considerato come ciò che determina tutto ciò che ne seguirà, come appunto un programma. Dunque possiamo considerare le persone e il loro modo di agire, di muoversi, come un programma si tratta di stabilire che cosa determina questo programma, che cosa lo fa muovere, d’altra parte in molti casi è possibile pilotare ciò che una persona pensa ma aldilà di questo si tratta, come dicevo, di stabilire in cosa consiste questo programma e non è così difficile saperlo esattamente. Così come funziona un calcolatore, il programma è dato da tutte quelle istruzioni che vengono acquisite come vere dal database, tutto ciò che è vero costituisce quelle premesse che sono utilizzabili per costruire discorsi, costruendo discorsi si costruiscono fantasie, immagini, sensazioni, A pochi capita di considerare che le sensazioni in realtà siano l’effetto di discorsi, la più parte delle persone immagina che le sensazioni si producono da sole, anche queste magicamente, ma senza i discorsi le sensazioni di sicuro non sarebbero quelle che conosciamo perché noi le conosciamo attraverso ciò che ne pensiamo, ciò che in base a questi costruiamo, ciò che siamo stati addestrati a pensare, in base a questo noi proviamo quelle cose che chiamiamo sensazioni, tant’è che per provare paura, per esempio, occorre che una persona sia al corrente di una quantità notevole di informazioni ed è talmente provvista di informazioni che questa paura può crearsela anche dal nulla, cioè senza che ci sia così, come gli è stato insegnato, un buon motivo per avere paura. Una persona può avere paura senza che ci sia un motivo riscontrabile da altri per esempio i quali verificano che non c’è l’oggetto causa della paura, non è presente perché non c’è nulla che possa nuocere alla persona, cionondimeno la persona ha paura, quindi le informazioni che ha acquisite sono talmente sterminate che è diventata capace quella persona di crearsi delle paure senza avere bisogno di nulla dall’esterno se non delle informazioni che ha già immagazzinate combinandole, mescolandole, utilizzandole in vario modo può costruire qualunque cosa e così come costruisce la paura per la stessa via può demolirla ovviamente. Ma non lo fa, le paure si tengono ben strette perché sono funzionali, d’altra parte una persona non costruisce nulla se non c’è un motivo cioè se non c’è un qualche cosa che lo muove in quella direzione, e ciò che lo muove in una direzione sono i propri pensieri, perché prima di essere mosso in una certa direzione deve verificare se questa direzione è vera o in altri casi gli è conveniente, utile, bella buona e giusta a seconda dei casi, poi di come si ammanta la cosa, deve esserci prima un confronto, una verifica dopodiché si muoverà in quella direzione, come diceva prima Beatrice: vero/falso, sì/ no, faccio/non faccio, quindi questo programma dicevo è mosso, è costruito a partire da un database che è fatto di tutte le cose che mano a mano sono state certificate come vere. All’inizio, quando si costruisce il linguaggio, si avvia questa cosa che stiamo chiamando linguaggio non ci sono strumenti per verificare se una certa affermazione è vera o falsa cioè non esiste un criterio verofunzionale, per cui cosa accade? Accade che la prima forma di esistenza è quella cosa che si configura attraverso un’affermazione, una proposizione, la prima cosa che consente di stabilire: è così “questo è questo” cioè il momento in cui le cose incominciano a differenziarsi incominciano anche a esistere, come dire che qualunque cosa venga detta, venga sentita in quell’occasione è immediatamente, automaticamente, irrimediabilmente vera. Vi sono alcune cose che rimangono poi nel corso degli anni vere perché sono vere fino a prova contraria, in fondo molto kantianamente esiste tutto ciò che non è autocontraddittorio e quindi finché non si autocontraddice è vero e di conseguenza esiste, e non il contrario. A questo punto tutte le cose che sono state acquisite costituiscono quello che chiamavo il database, per usare una metafora informatica, la sua base di dati, naturalmente questa base di dati è molto spesso comune alle persone anche perché vengono addestrate in modi che sono molto simili e quindi avranno un gran numero di informazioni simili, la questione a questo punto però diventa più complessa mano a mano che si inseriscono nuovi elementi, così come i programmi possono essere molto semplici oppure straordinariamente complessi, gli umani sono straordinariamente complessi perché hanno acquisite un numero enorme di informazioni e acquisendole hanno anche acquisito il modo di farle connettere tra loro in base a dei criteri. Questa enorme complessità attraverso cui si costruiscono quelli che altri hanno chiamato giochi linguistici è ciò di cui gli umani sono fatti, vivono, pensano, immaginano e cioè ciò in base a cui prendono le loro decisioni gravi o leggiadre che siano: se è il caso di scatenare una guerra mondiale oppure accogliere o no l’invito del fanciullino a andare a cena, tutte queste decisioni scaturiranno da questa base di dati, naturalmente non è così facilmente accessibile questa base di dati, accogliendo certe verità ci si accorge che queste verità urtano contro altre che si sono acquisite precedentemente e che sono altrettanto vere, e qui cominciano a sorgere i problemi: due cose altrettanto vere ma che non possono convivere insieme perché si escludono l’una con l’altra, e allora devo sceglierne una ma se ne scelgo una abbandono quell’altra che è anche vera e non posso perché ciò di cui sono fatto, che è il linguaggio, non mi consente di abbandonare qualcosa che è stato stabilito essere vero, una volta che è vero fino a prova contraria sarà vero per sempre, per questo vi parlavo di programma. Informazioni, informazioni che vengono accolte dal sistema il quale ha un criterio per stabilire ciò che deve accogliere come vero e ciò che deve rigettare come falso; chi ha fornito questo criterio? Questa è una bella questione, però tant’è che questo criterio c’è, viene insegnato insieme con il linguaggio, con il suo funzionamento, almeno alcuni rudimenti del suo funzionamento vengono insegnati e questo criterio fondamentale è rappresentato dalle prime cose che all’interno del linguaggio che sta nascendo, che si sta creando sono state accolte come vere. Pochissime informazioni, generalmente sono molto simili per il motivo che ho detto prima e cioè che ciascuno viene addestrato in modo molto simile a come vengono addestrati gli altri ma queste poche informazioni costituiscono il criterio fondamentale di verifica di tutto ciò che seguirà, e qual è il criterio di verifica? È molto semplice: è quello che dice la mamma o chi per lei, non è necessario che sia la mamma, naturalmente può essere il padre, il fratello, lo zio, o una macchina probabilmente, è totalmente irrilevante, nella nostra società generalmente è la mamma che funziona come quella figura che i retori poi hanno chiamato l’auctoritas, cioè quella fonte che non può essere messa in discussione e sapete perché non può essere messa in discussione? Perché non ci sono gli strumenti per farlo, perché non può un bimbetto di sei anni mettersi a disquisire con la mamma di questioni logiche e retoriche, e porre domande esistenziali. Naturalmente la mamma ha subito lo stesso addestramento e la cosa si tramanda di generazione in generazione certo sarebbe curioso immettere input, differenti sicuramente ci sarebbero parametri differenti ma probabilmente anche qualche difficoltà visto che il bambino che diventerà uomo o donna dovrà vivere all’interno di una società che è stata strutturata in questo modo e non in un altro, però tecnicamente si può fare. Dunque questo programma è mosso da questo criterio fondamentale che è quello che, adesso usiamo questa metafora, che la mamma ha stabilito cioè quello che la mamma ha detto che è vero, non ce ne sono altri, d’altra parte un computer decide che è vero ciò che il suo programmatore gli ha immesso dentro come informazione e che da quel momento in poi il computer stabilirà essere vero, non ha altri criteri. Che cosa funzioni in realtà all’origine è totalmente irrilevante per questa struttura che chiamiamo linguaggio, sono soltanto delle informazioni che riceve, può essere ciò che vedo e quindi assolutamente ingannevole, può essere l’olfatto, la vista, il tatto qualunque cosa non ha nessuna importanza, un suono che si riceve, è totalmente indifferente così come è indifferente per un computer quali istruzioni gli fornisce il programmatore, non ha un criterio per stabilire se questa informazione gli piace e questa no, non può farlo perché viene programmato e il cosiddetto bimbetto nel momento in cui impara il linguaggio viene programmato e viene programmato in questo modo e cioè gli si fornisce un criterio verofunzionale che è quello che dice la mamma: questo sarà vero e lo sarà per sempre. Mano a mano che procede acquisisce altre informazioni, io per esempio non considero che fossero vere le cose che la mia di mamma mi ha detto, mi ha insegnato, alcune erano false o non appropriate, però per compiere questa operazione che apparentemente può apparire banale è stato necessario un lavoro tutt’altro che semplice e cioè costruire un sistema che mettesse in evidenza questo programma e mettesse in evidenza cosa fa funzionare il linguaggio. A questo punto tutto è diventato semplice, straordinariamente semplice e tale può diventarlo per ciascuno che intraprenda un cammino del genere, e vale a dire giungere ad intendere che cosa sta funzionando nel suo discorso come un programma, accorgersene e potere agire il programma, cioè modificarlo anziché subirlo. Questa è la condizione perché tutto ciò che comunemente si chiama malessere scompaia per sempre e cioè non abbia più la possibilità di essere costruito, qualunque malessere è costruito su questo, su una sequenza che è ritenuta assolutamente necessaria e quindi non abbandonabile mentre in realtà è arbitraria quindi abbandonabile, nessuno ha paura di ciò che sa essere falso, per avere paura occorre considerare almeno un elemento assolutamente vero, allora fa paura, se no non lo può fare per una questione grammaticale perché il linguaggio funziona così, per lo stesso motivo per cui non posso credere vero ciò che so essere falso. Ho usato questa metafora del programma per rendere più chiaro il modo in cui gli umani pensano e di conseguenza si muovono e muovendosi possono fare cose notevoli oppure fare danni a seconda del programma che stanno seguendo, naturalmente c’è anche un programma che stabilisce che cosa sia un danno e che cosa sia una cosa interessante, è ovvio…
Intervento: il linguaggio è il risultato della trasmissione del pensiero?
Trasmissione del pensiero? Definire che cos’è il linguaggio comporta un’operazione che è sempre bizzarra e cioè per definire il linguaggio si deve utilizzare ciò stesso che si deve definire che da una parte potrebbe rendere le cose più complicate dall’altra invece le rende molto più semplici come dire che il linguaggio è la condizione stessa della sua definizione, è l’unica istanza che ha questo requisito tutte le altre no, come dire che per definire il linguaggio devo usare il linguaggio, non posso definirlo senza linguaggio…
Intervento: è autoreferenziale?
Esattamente, proprio così. L’autoreferenzialità del linguaggio ha anche qui dei vantaggi e degli apparenti svantaggi, retoricamente è un’operazione che non si fa, utilizzare ciò stesso che deve essere definito per la definizione, non usa e ha anche un nome, si chiama petizione di principio, però invece logicamente dà al sistema che viene costruito in questo modo una potenza notevolissima. Proprio per questo motivo: che non ha bisogno di altro per essere dimostrato. Nell’aritmetica si è compiuta questa stessa operazione però compiendosi è risultata incoerente come ha trovato Kurt Gödel e invece in questo caso no in quanto il linguaggio (possiamo chiamarlo sistema se non vi piace “linguaggio”, potete chiamarlo sistema λ se vi piace di più se no possiamo usare linguaggio) può contenere la proposizione che afferma che esiste un qualunque x che non è linguaggio e quindi è completo ma non lo può provare, non può provare che questa affermazione è vera e in questo senso è coerente…
Intervento: è molto interessante, importante ciò che detto in riferimento alla madre, io anziché il termine linguaggio direi visione di se stessi e del mondo, per cui porterebbe alla conseguenza per cui la visione di se stessi al mondo e quindi l’integrazione di sofferenza avrebbe un andamento così matrilineare direi quindi poi contrasterebbe con la visione patriarcale di Freud in qualche maniera andrebbe un po’ contro a certe posizioni femministe esasperate dei tempi passati cioè a un certo livello più esteso sarebbe abbastanza interessante…
Sì, però c’è un equivoco, io ho parlato di madre solo perché nella nostra civiltà tendenzialmente sono le madri che si occupano di questo, tecnicamente potrebbe essere un robot, potrebbe qualche cosa che ha a che fare con l’intelligenza artificiale, una macchina, ma ciò che la madre trasmette non sono tanto dei contenuti, ma fornisce dei criteri molto più generali, stabilisce che per esempio “questo è questo” e che “questo è differente da quest’altro” sono cose molto più generali e più importanti per il funzionamento del linguaggio il quale ha bisogno di cose del genere per funzionare, poi i contenuti questi possono variare tant’è che da una civiltà all’altra variano ma non varia la struttura, il modo in cui si pensa, la struttura che fa funzionare il pensiero, poi cambiano le cose che si pensano ma il modo in cui si pensa cioè la struttura, quella che fa funzionare il linguaggio quella è sempre la stessa e muove da elementi molto semplici, uno dei primi è che “questo è questo e non è quest’altro”, è la prima distinzione fondamentale ed è questo che fa poi funzionare qualunque altra cosa, che la insegni una mamma, un babbo o un robot è assolutamente indifferente…
Intervento: e un’altra cosa vorrei dire per quanto riguarda la parola “di vertere” quasi un divertimento diciamo…
È l’etimo latino…
Intervento: io direi una cosa forse va distinto molto bene, ci sono delle persone che con le loro problematiche provano sofferenza altre che creano sofferenza il delinquente la trasmette al di fuori e nella società quindi sono più portate al trattamento psicologico quelli che provano sofferenza interna…
Ho inteso, certo molte persone fanno danni perché questi danni comportano un riconoscimento da parte del prossimo qualunque sia il danno naturalmente, però anche la cosiddetta sofferenza interiore in realtà è fatta per lo più per sollecitare la premura altrui, a occuparsi di lui, una forma di seduzione, addirittura molte persone fanno danni soltanto per comparire nella televisione, che è un modo per essere riconosciuti quindi avere sanzionata la propria identità, la propria verità potremmo dire…
Intervento: io sono rimasta un po’ scandalizzata…
Succede qualche volta…
Intervento: tra il rapporto essere umano con la programmazione anch’io sono d’accordo che a volte agiamo così collettivamente perché ci sono degli impulsi però il famoso libero arbitrio e l’intelligenza umana dove la mettiamo? La razionalità e l’uomo che nonostante la programmazione riesce ad emergere, a liberarsi… magari emergerà con la programmazione che questa società ha programmato però comunque si distacca no? Non è una visione un po’ troppo pessimista? Per esempio io sono madre e ovviamente sono stata figlia io ho ricevuto delle cose e non ho passato a mia figlia le stesse cose quindi per certi versi mi sono evoluta da quella programmazione che mi è stata data… ho dato l’input a mia figlia di non essere programmata…
Non deve pensare un programma in accezione negativa, è semplicemente un insieme di tutti quegli elementi che il proprio discorso accoglie come veri, questa serie di elementi è un programma perché è in base soltanto a ciò che ritiene vero che si muove e si muoverà, per esempio se ritiene una direzione falsa non la seguirà e quindi un programma è dato dalle direzioni possibili stabilite. Grazie e buona notte.