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10-2-2004

 

LegoLibri

 

Chi è responsabile del senso di colpa?

 

Intervento di Beatrice Dall’ara

 

Buona sera a tutti, proseguiamo gli interventi che da molti anni proseguono da parte della Scienza della parola, Associazione che da molti anni abbiamo fondato. Questa sera il titolo della conferenza è “Chi è responsabile del senso di colpa?” vedremo più avanti se riusciremo a dare un nome, a risolvere questo enigma per cui c’è un responsabile del senso di colpa. Intanto che cos’è il senso di colpa quello che normalmente si utilizza quando ci si trova a parlare? Il senso di colpa è un sentire, è un qualcosa che la persona prova, prova e che produce delle forti emozioni, delle forti sensazioni perché tutto sommato il senso di colpa riguarda la sua esistenza, riguarda ciò che lo fa muovere, ciò che facendolo muovere mette in atto le sue azioni e che dovrebbe portare movimento al suo pensiero quindi dicevo un sentire che nella vulgata è un qualcosa che si esprime, che la persona può esprimere e può in questo modo descrivere quelle che sono appunto le sue sensazioni, ciò che in qualche modo considera la sua ricchezza perché è ciò che procura molte cose da dire, molte cose da raccontare a sé in prima istanza. Ma ecco mi interessava porre, porre all’attenzione anche quelle che sono le locuzioni che molte volte ci si trova ad ascoltare “mi sento in colpa perché ho fatto la tal cosa…” Per esempio: “ho mangiato un panino, non dovevo farlo perché ne va della mia linea”, si usa così tranquillamente per descrivere quelli che sono i fondamenti che contano per la persona che si trova a parlare e molte volte utilizza queste locuzioni, per cui qualsiasi cosa può essere lo spunto per sentirsi in colpa per qualche cos’altro. Sentirsi in colpa che può anche intervenire come la denuncia continua del suo non sapere, della sua incapacità, della sua inadeguatezza, per esempio, a ciò che è un comune consenso, ed è curioso che ci siano discorsi che fondino il loro parlare su premesse come quella che afferma la propria incapacità, è di questo che mi troverò per lo più a parlare, incapacità che deriva da un qualche cosa, appunto da questo sentire che non lo porta a concludere tutto sommato di che cosa è fatta questa incapacità, la persona non può intendere questo discorso che va facendo ma che pur tuttavia la porta in continuazione ad affermare il suo non poter sapere, la sua inadeguatezza a fare perché è tutto sbagliato, perché c’è l’errore nel suo discorso, è un discorso che contiene l’errore, o l’errare continuamente su dei particolari che chiaramente non lo possono portare a concludere ma invece questo discorso conclude, conclude da una premessa di incapacità alla stessa incapacità e così com’è non ha grandi speranze di risolversi e ciò che produce per la persona stessa è malessere: la persona non può se si giudica inadeguato, incapace in ogni suo atto, non può che denunciare questo malessere fino all’immobilità assoluta in alcuni casi, che lo porta a mimare, a esternare, a mostrare e a mostrarsi questa incapacità dalla quale deriva la sua immobilità fino alle grandi costruzioni come quella della depressione, dell’accidia per cui la persona può arrivare a concludere che nulla ha interesse, nulla vale, non c’è nulla per cui valga la pena muovere o che possa destare il suo interesse, fino alla negazione del senso delle cose, le cose non hanno più senso non hanno la possibilità di essere giocate, perché non c’è assolutamente nulla quindi qualsiasi cosa vale quanto la sua contraria e quindi perché muovere, perché? Quindi fino all’affermazione della mancanza di senso per qualsiasi cosa che lo attorni, in questa rappresentazione continua della immobilità, fino al suicidio in alcuni casi perché se nulla ha un senso allora anche la mia vita che senso ha? Senza poter considerare una domanda che potrebbe porsi immediatamente “perché mai le cose dovrebbero avere un senso?” e invece no, questa conclusione che porta all’affermazione della propria incapacità è pur tuttavia un’affermazione perché la negazione del senso delle cose proviene da un’affermazione che le cose comunque dovrebbero avere un senso ma quale senso dovrebbero avere queste cose? Questo parlare del senso che dovrebbero avere le cose per la persona che non riconosce un senso, per lo meno il discorso che se ne fa, è molto difficile che giunga a una conclusione visto che immediatamente si frantuma e denuncia e afferma una perfezione che invece sa esistere nel mondo, in quel mondo che lei costruisce in cui le cose hanno un senso. Da dove proviene questa perfezione che continuamente, continuamente si pone come il referente, il motivo di parola che la persona pur tuttavia fa fra sé e sé? quel lungo discorso che la persona continua a farsi per concludere sempre all’assenza di un senso che le cose dovrebbero avere o di quell’errore o dell’incapacità alla quale lei non sa adeguare o adeguarsi? perché è una denuncia questa che avviene nel suo discorso, ma dicevo che questa referenza, questa perfezione che lei comunque afferma non esserci le proviene appunto dalla perfezione, da quel dio, dalla natura che è costruita da quel dio e nella quale lei vive e che deve modificare con la sua fantasia per poter continuare a vivere, deriva da questa idea, da questo ideale di una perfezione alla quale…

- Intervento: mi scusi quando si inserisce nel discorso dio? Perché mi sono persa…

Quando si inserisce il discorso dio? Il dio si inserisce quando è il referente di questo discorso per cui dio è perfetto e lei conosce la perfezione di quel dio, in questo momento si inserisce, è l’idea del dio che comunque….adesso dio è per rendere più specifico il discorso, più lampante ma un ideale comunque fuori dalla persona che lo traina è l’idea del dio e cioè di qualche cosa che lo trascende, che non è una sua costruzione ma è qualcosa che proviene da un mondo, da una realtà che è fuori di lei….ma dicevo del vantaggio del malessere che la persona continua a costruire e a reimmettere nel proprio discorso con l’ideale di questa perfezione, di questo dio che interloquisce sempre nel suo discorso, che parla, che la giudica e al quale dio, lei non può che rispondere, in una frantumazione continua di quello che è il suo pensiero, il suo discorso perché è come se fosse tratta dalla parole del dio e dalle sue ma in quanto povera e incapace e non in possesso di quel sapere che è la condizione del dio, il quale dio può concedere il sapere ma l’umano non può averlo a sua disposizione. Ora in questa continua e massiccia produzione di parola che il discorso della persona produce qual è il fattore che fa permanere questo discorso e solo questo discorso e non intendere che è questo l’interesse, il precipuo interesse che la fa parlare e quindi affermare che non c’è senso? È la possibilità di mettersi al posto di quel dio che sta parlando con lei, toglierlo di mezzo in qualche modo e da quel pulpito parlare. Chiaramente un dio così fatto non può che vessarla, non può che denunciarla e quindi non può che denunciare a sé la sua incapacità. La psicanalisi in qualche modo è riuscita nelle sue elaborazioni, nelle sue interpretazioni a piazzare proprio in questo punto la necessità del senso di colpa, la colpa che deriva da questo gesto che la persona continuamente compie togliendo di mezzo quel dio e parlando al posto suo, costruendolo chiaramente, ma come si sa in un’operazione di questo genere è implicito il togliere di mezzo per mettersi al posto suo ed è un’operazione sconveniente, quella colpa che è costruita dalle istituzioni per mantenere la possibilità di un’organizzazione sociale promulgata dalle grandi istituzioni religiose che minaccia e che è costruita per mostrare sempre quello che è il pericolo dal quale occorre guardarsi, dicevo questa colpa (questa era l’interpretazione per qualche verso della psicanalisi come Freud l’aveva inventata da cui discendeva in qualche modo questo qualcosa che si chiamava senso di colpa, che si chiama senso di colpa) è proprio l’uccisione di questo dio, operazione necessaria per poter continuare a parlare, per poter reintrodurre nel discorso quelle che sono le premesse che necessariamente concludono alla propria incapacità. Ecco il vantaggio nel mantenere la perfezione e l’incapacità, un qualche cosa che non appartiene al proprio discorso ma per poter parlare, per poter parlare, per fare il discorso del dio che sa qual è la perfezione, qual è il modo in cui agire…questo modo di pensare tutto sommato, questa incapacità che la persona accoglie è quella incapacità che il governo, il discorso occidentale così come funziona deve necessariamente mantenere, deve necessariamente mantenere per addestrare il cittadini a quelle che sono le leggi, leggi trascendenti, per cui il sapere non è a sua disposizione ma è disposizione di una elite il cui sapere deriva direttamente da quel dio che l’ha fondata. È chiaro che ascoltando un discorso come questo, come quello che ho descritto, è curioso che parta dalla sua incapacità e concluda necessariamente e sempre alla sua incapacità, è curioso perché certi altri discorsi non accolgono a premessa a fondamento del loro discorso l’essere incapaci, l’essere in difficoltà nel procurarsi sapere, no, si danno da fare e con certezza, sicurezza, con determinazione impongono quello che è il loro sapere, la loro visione del mondo, lo mostrano e quindi non costruiscono il malessere che deriva dall’incapacità della persona che è costretta a partire da certe premesse che non può mettere in gioco, quindi in certi discorsi è più facile accogliere quelle che sono le fantasie di potenza, più facile accogliere e trovare una fantasia di potenza in un discorso paranoico che afferma con determinazione quelle che sono le cose in cui crede e le impone, è più semplice si riconosce immediatamente qual è la potenza e la sua fantasia, è difficile accogliere il vantaggio, la fantasia in un discorso come quello dell’incapace che trae vantaggio dal suo malessere per continuare a parlare come se fosse l’unico gioco che può giocare e quindi si trova a costruire l’obiettivo che appare quello di una soluzione al suo malessere ma che non può trovare, visto che le premesse da cui parte partono dal malessere, dalla sua incapacità e quindi non può che concludere necessariamente al malessere. Ma abbiamo visto che tutto questo avviene perché le fantasie sono quelle di mettersi al posto di un dio e da quel pulpito parlare, questo è il vantaggio e il tornaconto di questo discorso, discorso che difficilmente troverà modo di smuoversi o di muovere dalle sue postazioni, la psicoterapia può variare, può variare il modo per cui offre del benessere anziché del malessere ma cosa può variare la psicoterapia, quella che mira al benessere? Varia in questo modo: cambia gli aspetti, le qualità di quel dio e fa in modo che la persona accolga il nuovo dio, un dio che non la costringa a dilaniarsi….qui è chiaro che il malessere della persona può diventare benessere, ma un benessere come quello che offre, offre un nuovo dio, offre una nuova religione, quello che offre l’accoglimento di una nuova verità, in questo, con questo può mutare un discorso che non trova un senso anzi che distrugge il senso, qualsiasi senso le si proponga…ecco, si tratta …quello che compie una psicoterapia è di mutare religione, di sostituire a una credenza un’altra credenza affinché intervenga il benessere, però ecco la psicanalisi quella che ci ha fatto muovere e che ha mosso il nostro interesse si occupava del pensiero, si occupa del pensiero la psicanalisi, il pensiero nel suo cammino comporta benessere, comporta il benessere ma che non è in contrapposizione ad un malessere, comporta l’accogliere quelle che sono le proprie costruzioni fino a volgerle in qualcosa che è funzionale al proseguimento, a qualcosa che non permette l’immobilità perché elabora quella che rappresenta l’accidioso, il depresso. La psicanalisi è nata per il pensiero, si occupava di pensiero, ma si è trovata nonostante avesse elaborato la questione del dio, avesse trovato …avesse definito questo dio come una costruzione paranoica che offre dei vantaggi alle istituzioni, per esempio, ma ecco in questa conversione religiosa che avviene notiamo quel dio uscito dalla finestra dell’elaborazione psicanalitica come una costruzione utile nel discorso della psicanalisi, rientrare, rientrare dalla porta principale perché? cosa avviene? Avviene che la psicanalisi fermandosi e non portando alle estreme conseguenze quelle interrogazioni che avevano permesso un cammino rapido e risolutivo su certe questioni, l’ha portata a parlare dal posto di quel dio che aveva fatto uscire dalla finestra come costruzione…e questo perché non ha potuto appunto continuare il suo discorso, non può sapersi discorso e quindi portare il suo discorso a quelle che sono le estreme conseguenze. E quali sono le estreme conseguenze, quelle che permettono al pensiero e per esempio al discorso del depresso che non ha nessun interesse e non trova nessun senso di accorgersi delle sue conclusioni e quindi delle sue costruzioni che producono malessere, malessere necessariamente? Ecco il non poter considerare che questo dio è appunto una costruzione ma una costruzione linguistica e quella sostanza bandita che è una costruzione, una costruzione del linguaggio rientrare proprio lì e parlare dal posto di un dio, il quale dio non può ricordare di essere una costruzione linguistica, ma di parlare e parlando formare altre religioni. Ecco in questo si è volto il pensiero analitico che non ha potuto considerare il pensiero ma ciò che credeva fosse il fondamento del pensiero, non ha potuto considerare una cosa semplicissima che per fare tutte quelle affermazioni che fa l’unica cosa necessaria è che esista una struttura linguistica che permette l’affermazione, permette la negazione e questa è l’unica necessità e che qualsiasi cosa per funzionare necessita di questa struttura e che nulla può uscire, può essere fuori da questa struttura linguistica, struttura linguistica che chiaramente funziona in un rimando continuo di elementi linguistici, dalla quale struttura non è possibile uscire e quindi l’unica necessità è che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, al momento in cui mi trovo ad affermare che io sono Beatrice, quello che sto facendo non è nient’altro che muovere una stringa di elementi che sono elementi linguistici, ma non è niente di meno, il dio stesso che è una costruzione di questo sistema linguistico è un gioco linguistico…la “sostanza pensante” sono affermazioni che in quanto affermazioni non hanno nulla di necessario, l’unica necessità è che sono elementi linguistici che stanno funzionando. Se si potesse accogliersi parlanti in quanto elementi di un sistema che funziona e che funziona da tre mila anni, da quando…possiamo inventare quando il linguaggio ha cominciato a funzionare, lo possiamo fare ma tutto ciò che diciamo sarà un gioco tanto per continuare a parlare, e allora diciamo così è da tre mila, tanto per datare questo avvenimento, che il linguaggio funziona e nel suo cammino le persone hanno continuato a parlare, hanno parlato continuamente ma non hanno mai portato il linguaggio, visto che le “persone” è un elemento del linguaggio, sono linguaggio, non hanno mai portato il linguaggio a riflettere su sé, e quindi non hanno mai potuto affermarsi parlanti, parlanti in quanto elementi di una struttura al di fuori della quale è possibile immaginare di uscire ma è solo possibile immaginare perché esiste un gioco quello della immaginazione che permette questa affermazione. Se ciascuno potesse considerarsi linguaggio che sta funzionando ecco che allora non avrebbe la necessità di utilizzare le storielle che il linguaggio ha inventato, procurando i vantaggi che ha procurato a ciascuno che li utilizza e che continua a utilizzare, ma tutto questo non sarebbe più interessante, non muoverebbe l’interesse per questo discorso, non interesserebbe più la storiella del cattivo, o dell’uomo buono che mi permette di continuare a dire, ma si interesserebbe al suo funzionamento in quanto parlante, a ciò che dice e a ciò che gli fa mantenere il suo obiettivo, per esempio, quello di costruire il suo malessere ma sapersi assolutamente responsabile del suo malessere perché è lui che lo costruisce. Questo è ciò che comporta sapersi linguaggio, e poi tutta una serie di altre cose. Bene, mi rendo conto che non è semplice quello che continuiamo a dire, non è semplice proprio per questa metafora del dio che illustra l’elemento extralinguistico, non dimostrabile, che occorre accogliere per continuare a parlare, per continuare a dire perché ciascuno di noi è un gioco linguistico è linguaggio e se non si interessa al suo funzionamento all’interno di questa struttura, non ci sono chances, non potrà accorgersi di quello che costruisce per portare avanti il suo obiettivo che poi è quello di farlo continuare a parlare, anche se per farlo produce malessere. Se qualcuno vuole aggiungere, chiedere, ribadire qualche cosa?

Intervento: con linguaggio cosa vogliamo dire, atteggiamenti… in relazione alla vita?

Con linguaggio noi intendiamo ciò che mi permette di affermarmi umano, per esempio e quindi tutto ciò che comporta l’essere umano, con i suoi atteggiamenti, con i suoi desideri, con le sue storie, con qualsiasi cosa sappiamo appartenere all’umano, questo intendiamo con linguaggio, non una verbalizzazione cioè una nomenclatura di cose a nostra disposizione per dirne delle altre, no, non è questo ma intendiamo l’atto con il quale ci stabiliamo umani e soprattutto pensanti, questa è quella struttura che chiamiamo linguaggio.

Intervento: questo termine linguaggio non è un po’ abusato? …bisogna tener conto di qualcosa che va oltre il linguaggio, le sensazioni… questo dio astratto mi sembra adatto ad una cultura ormai superata… i miei allievi per esempio non sanno cos’è, nel senso che per loro questo dio è la proiezione dei genitori… adesso i figli non accettano più niente… i sensi di colpa posso averli io, continuo ad averli, per quanto faccia analisi di vario tipo nelle scuole da anni ma non loro… tra l’altro il lavoro dell’analisi è sostituire non necessariamente con la parola

Intervento: posso intervenire? Nel periodo adolescenziale, parlo un po’ di psicologia sociale, solitamente nell’adolescenza è l’identificarsi con qualcosa che è esterno ai propri genitori per cui può essere un cantante, può essere un calciatore può essere la modella difatti poi si verificano fatti per cui prendendo come modelli queste persone si può sfociare per esempio nell’anoressia per esempio perché io mi ispiro a quella fotomodella e quindi non mangio mi sento in colpa perché mangio qualcosa perché prendo due chili, forse questi adolescenti a cui lei insegna non sentono questo perché nella fase in cui si trovano è come se il modello non fossero i genitori ma il gruppo di amici ecc…

 infatti io parlavo dell’idea del dio, che è sempre presente nel discorso in cui ci troviamo…

Intervento : io penso che per provare senso di colpa ci voglia una sorta di consapevolezza cioè io sento la colpa di quando sono consapevole di ciò che sta accadendo dentro di me e di cosa accade fuori di me… mentre un ragazzo non può essere consapevole di ciò che sta vivendo in positivo e negativo

Intervento: il concetto di dio è qualcosa che fa riferimento a un sistema di valori perché a questo punto

In effetti ciò che funziona per produrre il senso di colpa non è necessariamente il dio, questo era un esempio che io stavo facendo, questo racconto che ho fatto, mi sono trovata a parlare in modo grandioso era proprio per mostrare come l’elemento extralinguistico, questa metafora del dio per indicare colui che è responsabile del mio pensiero funzioni è questo che mantiene il senso di colpa al momento in cui posso considerarmi pensante, posso considerare il mio pensiero lasciare intervenire quelle domande che sono vietate da un’idea di perfezione, da un’idea che è fuori di me e che mostra dei dati di fatto, delle cose sulle quali se ci credo non posso interrogarmi. Era questo che io intendevo come dio come l’elemento che non permette al pensiero di proseguire, quindi di interrogare ma questo interrogare non può intervenire laddove funziona qualcosa come dio perché di questo io non ne ho la responsabilità cioè non ho la possibilità di contrastare con le mie domande qualcosa che suppongo essere la realtà ma proprio perché non posso avere la possibilità di pensiero perché sono colui che ha a disposizione soltanto l’espressione di quello che si produce nel mio profondo, ma al momento in cui posso considerare quello che fa il linguaggio e mi posso considerare linguaggio, tolgo questa idea di sostanza che è una formalizzazione avvenuta dai tempi di Aristotele proprio per promulgare il dio, a quel punto ho la possibilità di chiedermi se le cose stanno proprio così come io penso che stiano, a questo punto il mio pensiero può cominciare a muovere se no non muove, non ha possibilità perché non ne ho la responsabilità, non sono io che costruisco la mia sofferenza per esempio.

Intervento: il senso di colpa ti nasce quando senti di non riuscire a realizzare una certa cosa però potenzialmente potresti riuscire a farla, se io abbasso le aspettative nei confronti di questa cosa il senso di colpa per forza mi sparisce ma qual è la strada giusta quella dell’aspettativa più alta, o quella dell’aspettativa più bassa?

È proprio questo continuo intervenire nel discorso “è giusto quello che sto facendo?” “è sbagliato?” come se questa possibilità potesse intervenire da parte di qualcun altro che mi indica qual è la strada

Intervento: seguire lo psicanalista che ti dice forse c’è un’altra strada….è semplicemente spostare una religione

Se l’intervento dello psicanalista è mirato a convertire una credenza quindi se lo psicanalista è credente che qualcosa esista al di fuori di quello che lui dice…

Intervento: lo psicanalista cerca di abbassare le aspettative perché così non stai bene…la psicanalisi è per far stare meglio, per cui ti sposta…

Ma lo stare bene e lo stare male sono qualcosa che la persona si trova ad affermare credendo che questa sia la realtà, il suo star bene o il suo star male la persona lo costruisce ma non può accorgersi di questa costruzione che avviene e di come tutto sia mirato a partire da quelle premesse che muovono il suo discorso, se non può ascoltarsi discorso non può ascoltare come conclude, se non può ascoltare come conclude è chiaro che questa conclusione appartiene ad un mondo esterno che è fuori di lui e quindi che mezzi ha per sapersi l’agente di quel malessere che continuamente riporta nel discorso? Come può? Questa è la questione

Intervento:…

Se queste sono le premesse è chiaro che non avendo strumenti a sua disposizione per poter muovere il suo pensiero da questi elementi che ossessivamente si agganciano uno all’altro, come può se non interviene da parte del suo pensiero? perché occorre che intervenga da parte del suo pensiero ad un certo momento, nella struttura del suo pensiero il modo di interrogarsi, quella regola che fa “ma io come so che le cose stanno in questo modo?” “come l’ho saputo?” “chi me l’ha detto e perché accolgo una questione di questo genere” è difficile entrare in un’idea ossessiva. Cos’è una idea ossessiva? Sono proposizioni che si agganciano una all’altra e nelle quali è difficilissimo entrare se non se ne hanno gli strumenti. Occorre muovere trovare domande le cui risposte facciamo scoppiare tutta una serie di elementi che sono agganciati in un certo modo come se non potessero trovare altra soluzione, ma sono degli elementi, sono delle proposizioni, se la persona non può accorgersi di una cosa di questo genere può soltanto convertire il suo ideale in un altro ideale ma questo non vuol dire pensare qui si tratta di intendere che se non si può pensare quel malessere che si costruisce è necessario, necessario perché è l’unica cosa che permette alla persona di parlare e quindi di vivere…

Intervento:…

Possiamo dirne quello che vogliamo ma è la persona stessa che deve trovare i modi di affrontare questa questione, elaborarla e quindi di intervenire sul suo discorso perché questa questione non sia più interessante per il suo discorso, non la interessi più e finalmente possa interessarsi ad altro, ad altri giochi, intanto fino ad accorgersi che qualsiasi cosa è un gioco linguistico per cui mi interesso al funzionamento di questo linguaggio, come funziona il linguaggio?

Intervento: è curioso notare come quando non è più interessante per lui questo discorso lascia la psicanalisi?

Beh, come lascia la psicanalisi? Perché non trova più nulla di interessante… (abbandona questo tentativo di soluzione) perché una persona vuole fare sempre il solito gioco, deve continuare a fare il solito discorso ma al momento in cui trova qualcosa che lo interessa di più allora finalmente non abbandona l’analisi ma l’analisi continua all’infinito nel suo discorso… Faioni vogliamo rendere più semplici alcune questioni?

 

 

Intervento di Luciano Faioni

 

Sono talmente tante le cose dette questa sera che è difficile riprenderle tutte, ma tant’è, visto che l’ultima questione verteva intorno alla psicanalisi, parliamo di quella. Come ciascuno di voi sa di scuole di psicanalisi ce ne sono tantissime, ma nessuna di queste ha la capacità di esibire una certezza e quindi una priorità sulle altre, questione che ha indotte molte persone ad avere dei dubbi sulla validità o sulla appropriatezza della teoria psicanalitica, e in effetti queste persone non hanno torto, non hanno torto a non essere interessate a una teoria che muove da affermazioni che non possono essere provate, da qui l’accusa rivolta alla psicanalisi di non scientificità, cioè è vera soltanto quella teoria che può dimostrarsi tale, nel caso contrario vale quanto qualunque altra, e ciò che può distinguerle a questo punto queste teorie che non possono provare di essere vere è una questione estetica, non ci sono altre migliori ragioni, per cui l’accusa di non scientificità della psicanalisi è sempre stata una spina nel fianco della psicanalisi o comunque di chiunque teorizzasse intorno alla psicanalisi, e allora perché insistere con la psicanalisi? Se ciò che afferma non può essere provato vale quanto ciò che diceva mia nonna che era saggia o vale di più? Se sì, perché? È una questione legittima in molti casi, d’altra parte ci sono tantissime persone che si rivolgono alla psicanalisi ma questo non significa assolutamente niente, ci sono infinite persone che si rivolgono alla chiesa, molte di più se è per questo, o ad infinite altre cose, ciascuno è libero almeno per ora di credere ciò che ritiene più opportuno, certo, posto in questi termini non è che il panorama sia così interessante in effetti, però c’è una teoria che può dimostrare di sé di essere vera? Non è una questione semplice, anche perché prima di poterlo stabilire dovremo sapere che cosa è vero e che cosa è falso e questo potrebbe non essere semplicissimo da stabilire, adesso vi faccio un paradosso: per stabilire ciò che è vero e ciò che è falso mi occorre un criterio per poterlo fare, un criterio cioè una sequenza di elementi tali che possano funzionare da parametro, ma come faccio a sapere se questo criterio che utilizzerò sarà vero o falso se ancora non so che cos’è il vero e neppure il falso? Anche questo è un problema legittimo, e dunque ecco la questione che ha posta Beatrice intorno al linguaggio mostra tutta la sua essenzialità dal momento che l’unico criterio che potrò utilizzare comunque sarà fatto di linguaggio, e qui torno a precisare perché non tutti hanno basi linguistiche, che con linguaggio non intendiamo la verbalizzazione né un aspetto della vita degli umani, prioritario oppure no, né ciò che viene utilizzato per descrivere altro che linguaggio non è, ma una struttura, quella struttura che consente a ciascuno di voi di pensare qualunque cosa e il suo contrario, una struttura che è molto semplice, perché come fate a pensare? Vi accorgete immediatamente che la cosa più ovvia è che da alcuni elementi o da un elemento che generalmente è noto come premessa, attraverso una serie di passaggi giungete ad un altro elemento che chiamate conclusione, voi pensate così oppure non pensate, non c’è via di uscita né via di mezzo. Allora il linguaggio è fondamentalmente questa struttura senza la quale, a questo punto avete gli elementi per intenderla, voi non potreste pensare nulla, assolutamente nulla, provate a immaginare cosa accadrebbe in un caso simile dove voi non avete nessuna possibilità perché non avete i mezzi per farlo, di pensare qualunque cosa, per esempio di essere, non lo potete fare, ora a questo punto chiamiamo questa struttura linguaggio. Allora non si tratta più di considerare il linguaggio una strumento tra altri ma, essendo quella struttura che mi consente di pensare, è la condizione perché io possa pensare, la condizione perché io possa pensarmi per esempio un essere vivente o morente a seconda dei casi, perché io possa pensarmi fuori dal linguaggio, posso farlo ovviamente, posso pensare che io o qualunque altra cosa è fuori dal linguaggio, posso deciderlo e posso anche crederci tutto ciò è assolutamente legittimo e consentito, ciò che non potrò mai fare sarà provarlo. Torna il dio di cui parlava Beatrice che, se ho inteso, non è il vecchietto quello biblico che lancia le saette, non necessariamente, è vero sono passati più di duemila anni da allora, ma è rimasta la questione, oggi ripresa dalla psicologia, da quasi tutta la psicanalisi: la questione gnostica “conosci te stesso” “utilizza tutte le tue potenzialità” “sii te stesso” “governa su di te” “sii più forte in tutte le avversità” “affronta qualunque cosa” e se farete questo, dicevano gli gnostici, “eritis sicut Dei” sarete come Dei. Ma al di là di queste amenità, la questione rimane ed è una questione fondamentale al punto che, del linguaggio sto parlando, rimane la condizione senza la quale gli umani non potrebbero esistere “Ma io esisto anche senza il linguaggio” avete mai pensato che questa affermazione è un non senso, si può affermare certo, si può dire e come detto prima la si può anche credere, ma è un non senso, cioè che cosa significa esattamente? Ché, come dicevo prima, “io esisto fuori dal linguaggio” oppure “questa cosa è fuori dal linguaggio” ha un senso? Ha un significato? Se sì, quale? Potrebbe essere un problema rispondere a una domanda del genere al di fuori della fede ovviamente, al di fuori delle cose che io credo perché mi piace crederle, per un sentito dire, però si usa generalmente non considerare tutte queste cose come prove, dicevo prima che posso affermare che una certa cosa è fuori dal linguaggio, certo che lo posso affermare, molti affermano anche che esiste dio, e allora? È meglio l’una dell’altra? Dipende, dipende da quale mi piace di più ma hanno la stessa provabilità: nessuna. Qualcuno tra voi potrà dire: io questo aggeggio per esempio lo vedo, se lo vedo allora esiste. È un buffo modo di porre le questioni in effetti, sì certo, è un modo molto pratico per vivere la vita quotidiana, è ovvio, senza tanti impicci, però offre una serie di problemi teorici: “lo vedo quindi esiste”, questa è una inferenza, sostenuta su che? Su una mia decisione: esiste tutto ciò che io vedo. Va bene, ma è qualcosa di più di una decisione? Al pari di quella del gioco del poker: 4 assi battono 2 sette. È una regola del gioco, e allora affermare che se lo vedo allora esiste ed è fuori dal linguaggio è davvero una bizzarra formulazione, primo perché senza linguaggio non potrei né affermarla né pensarla, né averla mai costruita una cosa del genere, secondo che cosa ho affermato affermando questo se non una regola di un gioco? O ho affermato una realtà che sta al di fuori di tutto, di me, di dio o della madonna? Beh è arduo sostenere una cosa del genere, al punto che equivarrebbe a sostenere l’esistenza di dio, lo si può fare, si può dimostrare l’esistenza di dio in termini logici, il problema è che una volta che l’avrete fatto cosa avrete fatto esattamente? Nient’altro che una costruzione linguistica, e cioè costruito una stringa di proposizioni, nient’altro che questo. E così come talvolta accade l’affermare che ciò che io sento è fuori dal linguaggio non è in realtà la formulazione di qualche cosa di vero, la questione è che viene affermata con assoluta certezza come se si trattasse di una verità assoluta incrollabile, definitiva, senza assolutamente provare una cosa del genere, che può apparire bizzarro, ma se la considerate invece come è una regola di un gioco ecco che tutto diventa molto più semplice, allora non c’è più quella realtà come diceva giustamente Beatrice cara a ciascuna istituzione. Non c’è più la necessità di attenersi a qualche cosa che è posto terroristicamente fuori dal linguaggio, e sottolineo terroristicamente perché se è all’interno del linguaggio, diceva giustamente Beatrice, allora si tratta di un gioco linguistico, utile certo, ciascuno durante la giornata ne utilizza a centinaia perché ne conosce le regole e se non le conosce tutte le impara, d’altra parte che cos’è l’educazione di un bimbetto se non insegnargli le regole per giocare, nient’altro che questo, perché se non le conosce poi si troverà male, quando sarà grandicello tutti le conoscono e lui no, ecco che si trova nella mala parata in molte circostanze. Ciò che induce una persona a provare quella sensazione che è sempre comunque una conclusione di una serie di argomentazioni, a provare quella cosa che dice essere sofferenza, muove ineluttabilmente dalla considerazione che c’è qualcosa che non appartiene affatto a un gioco ma è molto serio, per questo sta male, se avesse l’occasione, l’opportunità di imparare a giocare anche quel gioco cesserebbe di stare lì a perdere tempo dietro a una cosa che pure gli interessa moltissimo, e qui occorrerebbe fare un altro lungo discorso sul funzionamento del linguaggio di cui abbiamo parlato, cosa di cui non abbiamo detto assolutamente niente, e che meriterebbe di essere piuttosto approfondita visto che ciascuno di fatto non è nient’altro che quel linguaggio che parla ininterrottamente, che ha un funzionamento per altro molto semplice anche se può costruire cose notevolissime, ne dico solo una: perché funzioni occorre che le proposizioni che costruisce siano vere all’interno di un certo gioco, se sono false non le può accogliere o più propriamente se sono false da lì non può proseguire e così fate voi, di fronte a una affermazione che rilevate essere falsa, da lì non proseguite ne cercate un’altra, vi siete mai chiesti il perché? Eppure è una domanda semplicissima, oppure perché se qualcuno confuta tutto quello che io affermo e dimostra che io ho assolutamente torto la cosa mi dispiace? Come mai? È una domanda stupidissima, cionondimeno talvolta merita di essere posta, attiene al funzionamento di questa struttura di cui ciascuno è fatto, che lo sappia o no, che lo voglia o no, e se non lo sa ne subisce gli effetti, subisce il funzionamento del linguaggio, letteralmente, se lo sa lo agisce, che è tutt’altra cosa ed è esattamente questo ciò di cui si occupa una psicanalisi, fare in modo che il linguaggio di cui ciascuno è fatto e che gli ha consentito di costruire tutto ciò che ha costruito, vale a dire la sua esistenza, anziché essere subito come una maledizione sua o di qualcun altro possa essere agito, vi rendete conto che tutto questo apre a una discorso notevole ma che faremo in un’altra occasione, magari se qualcuno nel frattempo vuole aggiungere qualcosa, può farlo, c’è il tempo giusto per un paio di questioni se ritenete opportuno farlo

Intervento: solo una domanda… il senso di colpa (ha a che fare con l’educazione?)

Assolutamente, Lei ha ripetuto ciò che ha detto Freud: senza il senso di colpa non si governa, è con il senso di colpa che si tiene la cittadinanza mite, sottomessa e remissiva, per cui è fondamentale che ci sia e che sia mantenuto, per le istituzioni ovviamente, per me no ad esempio, però per chi ha in animo di governare sì, è fondamentale, una persona che non ha sensi di colpa è difficile da governare, per questo la psicanalisi ha una portata assolutamente sovversiva, non ha sensi di colpa ma in modo diverso dai fanciullini di cui parlava il signore, i quali invece avvertono fortissimo il senso di colpa se per esempio, rispetto al gruppo in cui si trovano, si sono comportati in modo non adeguato alle richieste del gruppo, o altre cose del genere, non ritengo che i ragazzetti di adesso siano molto differenti da quelli di cinquemila anni fa, non c’ero, però ho buoni motivi per pensare che nonostante tutti gli aggeggi di cui dispongono… sì ha detto bene è assolutamente funzionale e se vuole avere potere su delle persone istilli in loro il senso di colpa, se mai avesse questa velleità, se si sentiranno in colpa sarà molto più facile per lei gestirle, è un buon sistema, vecchio come il mondo naturalmente, da tremila anni almeno da quando c’è traccia degli umani che esistono i governi, a Platone scappò di dire che è una nobile menzogna, però per quanto menzogna come tutte le menzogne è straordinariamente efficace, anche perché una menzogna è costruita per essere creduta e quindi è ben costruita, mentre la verità non è sempre altrettanto persuasiva. Martedì prossimo, che sarà il 17 di febbraio alle ore 21 proseguiremo e il titolo dell’intervento è questo “La psicanalisi come condizione del benessere” che cos’è il benessere? Bella domanda, e allora diamo una bella risposta “ciò che ciascuno pensa che sia” detto questo vi ringrazio e spero di trovarvi martedì prossimo, ché riprenderemo buona parte delle cose lasciate in sospeso questa sera. Buona notte a tutti.