HOME

 

Torino, 9 novembre 2006

 

Libreria LegoLibri

 

Intervento di Luciano Faioni

 

LA PAURA DI NON PIACERE

 

 

La paura di non piacere costituisce un timore piuttosto diffuso anzi, è utilizzata in moltissimi casi, in fondo è una delle forme di ricatto più antiche e più potenti, generalmente si presenta sotto la forma di una minaccia di abbandono “se fai questo allora la mamma ti abbandona o se ne va”, una delle forme di ricatto più efficaci come se effettivamente questa paura fosse una delle più potenti, più forti e più antiche tra tutte quelle che appartengono agli umani, perché in fondo nella minaccia della mamma, di cui vi dicevo, il messaggio è questo: “se non fai piacere alla mamma allora succederà questo”. In effetti si pone una questione importante a questo riguardo, non tanto o non direttamente il fatto che esista tale paura di non piacere ma piuttosto perché gli umani hanno la necessità di piacere, se non ci fosse tale necessità non ci sarebbe neppure la paura. Questa sera vedremo da dove viene tale necessità, perché sussiste e a che cosa serve, sempre tenendo conto del fatto che se non si desse tale esigenza da parte degli umani più difficilmente sarebbero ricattabili attraverso la minaccia, per esempio, di essere espulsi da un gruppo, da una società, o quello che volete, però a fondamento di tutto ciò risiede l’esigenza di piacere, essere amati, apprezzati, considerati, quindi di appartenere a qualcosa o a qualcuno, perché dunque? Perché gli umani cercano questa cosa con tanto affanno, tanta forza al punto di essere disposti a fare qualunque cosa pur di essere accettati, considerati, ben voluti? Forse c’è una questione più radicale che deve essere posta: che cosa cercano gli umani da sempre, da quando esistono? Cioè da quando c’è traccia di loro, che cosa hanno inseguito da sempre e continuano a inseguire al punto di essere disposti a dare la propria vita o a toglierla per questo, che cos’è? Se noi riusciremo a rispondere a questa domanda forse sapremo anche che cosa cercano, di cosa hanno bisogno in questa chiamiamola necessità di essere apprezzati, considerati etc. Questa ricerca, dicevo, che è in atto praticamente da sempre ha assunto varie forme, varie denominazioni e nel corso dei secoli è stata chiamata la ricerca delle cause prime, la ricerca dell’origine, la ricerca di dio, della natura a seconda dei casi e delle epoche, la ricerca in definitiva di ciò che sta sotto a qualunque cosa e che ne costituisca la condizione, l’essenza. Nel corso dei secoli i filosofi hanno chiamato l’oggetto della loro ricerca la verità, altri l’hanno chiamata il benessere, la felicità, la soddisfazione, a seconda dei casi ma in ciascuna occasione questa ricerca è stata connotata da una forza e da un impegno notevoli al punto che nel momento in cui si è immaginato di avere raggiunto questo obiettivo si è fatto di tutto per mantenerlo o per difenderlo, difenderlo dai nemici o dai detrattori, una ricerca che dicevo è stata monumentale da parte della filosofia ma non solo, da parte della scienza, della sociologia e di molte dottrine eppure questa cosa che è stata cercata e che continua ad essere cercata con tanto impegno è sotto gli occhi di ciascuno sempre comunque in ciascun istante, tutti coloro che si sono dedicati a questa colossale impresa non si sono accorti che ciò che stavano cercando era ciò stesso che gli consentiva di cercare qualcosa poiché in questo percorso alcune cose venivano accolte, altre abbandonate, rifiutate, perché? Perché le prime erano considerate vere e le seconde no, ora questa ricerca da parte di ciascuno non appartiene, ovviamente, soltanto a coloro che se ne sono occupati apparentemente in termini più astratti come i filosofi, ma ciascuno in ciascun momento della sua giornata, in ciascuna occasione in cui deve o vuole prendere una decisione, stabilire se ciò che fa è bene oppure male, se una certa cosa è buona o cattiva, giusta o sbagliata, comunque, deve decidere e deciderà in base a ciò che riterrà vero a seconda della situazione in cui è inserita: appropriata, degna, utile, favorevole, necessaria ma ciò che accomuna tutte queste istanze è che risultano all’interno della situazione che ha richiesto tale decisione vera, questa conclusione è vera e quindi viene accettata poiché se fosse rilevata falsa allora non verrebbe accettata e vedremo anche il perché, così come avviene in una quantità di situazioni, ciò che rappresenta una conclusione della sequenza è tale cioè è una conclusione perché soddisfa dei requisiti precedentemente stabiliti, stabiliti per convenzione perché si immagina che sia necessario, una conclusione viene accolta se soddisfa dei requisiti, come un gioco, allo stesso modo, allo stesso modo in cui la vittoria in un gioco è tale perché soddisfa dei requisiti, in quel caso le regole di quel gioco, per cui il fatto che un re di cuori vinca un tre di picche è una conclusione che soddisfa le regole di quel gioco che si sono stabilite, e questo fa concludere che all’interno di quel gioco è vero che quella certa carta vince quell’altra è vero perché soddisfa i requisiti di quel gioco, se non li soddisfacesse non sarebbe vero. A questo punto sappiamo che cosa cercano gli umani, che cosa hanno sempre cercato e ci resta di domandarci perché lo hanno fatto, nessuno li ha costretti ciò non di meno è sempre stato fatto, da sempre, da tutti, come dicevo prima sia che una persona si occupasse di questioni astratte, metafisiche sia che si occupi di arrivare al fondo della giornata in ogni caso deve cercare e trovare la verità, cioè quella proposizione vera che soddisfi i requisiti del gioco che sta facendo, è sempre stata praticamente l’unica occupazione degli umani, non si sono occupati di altro. Intendiamo gioco in una accezione ampia, non specifica, non un gioco particolare ma qualunque cosa che sia legato a delle regole, e queste regole possono essere arbitrarie o considerate necessarie o utili, questo non cambia un granché, per esempio, per vivere è necessario respirare, se io cesso di farlo per più di due minuti generalmente muoio, quindi se voglio vivere occorre che respiri, certo posta così può apparire singolare la questione ma tant’è che funziona così, adesso vi ho fatto un esempio estremo, di fatto nessuno mi costringe a vivere, posso, se voglio, cessare di respirare e cioè infrangere le regole di quel gioco che sono necessarie per fare questo che si chiama vita. Le regole di un gioco sapete tutti benissimo non sono altro che delle istruzioni per<compiere alcune mosse, alcune sono consentite all’interno di quel gioco altre no, lo stesso Wittgenstein dava una definizione di gioco simile: regole che si apprendono per giocare un gioco e senza regole non si gioca, non si gioca perché qualunque mossa è a piacere consentita o proibita quindi non è possibile giocare. Dunque ci si stava interrogando perché gli umani hanno sempre compiuta questa ricerca e perché continuano a farlo incessantemente ogni giorno ininterrottamente anche in questo istante in cui io sto parlando e anche in questo istante in cui voi state pensando, qualunque cosa pensiate, non importa cosa sia, comunque seguite questo criterio e cioè una sequenza che deve giungere a qualcosa che a vostro parere è vero. Ma se qualcosa del genere è stato compiuto e viene compiuto ininterrottamente pare essere peculiare agli umani, qualcosa che gli umani, sembra non possano non fare, qualcosa di più strutturale della ricerca della verità, che cosa gli umani non possono cessare di fare? Pensare. Che siano svegli, che dormano, che siano di buon umore o tristi comunque pensano ininterrottamente, ma in questo pensiero che compiono incessantemente c’è qualcosa di particolare, delle regole che impongono al pensiero certe direzioni e ne vietano altre, impongono di seguire la direzione che viene ritenuta vera, vietano di seguire quella che è considerata falsa. Apparentemente il sistema è molto semplice, lo aveva in qualche modo formalizzato per primo Socrate nei suoi dialoghi, ricordate il sistema che usava Socrate, un sistema binario: vero, falso, come i computer “Teeteto è così o non è così?” “è Così” bene allora queste altre due possibilità, delle due l’una: questa o quest’altra… 0/1, come nei computer porte che si aprono o che si chiudono, che consentono il passaggio oppure no, da una parte si va e dall’altra no. Ecco, il pensiero è vincolato da questo sistema, non può muoversi altrimenti, naturalmente questo consente di costruire giochi straordinariamente sofisticati, così come è avvenuto, giochi come la poesia per esempio, dove apparentemente questo sistema è sospeso, a nessuno verrebbe in mente di supporre che la poesia sia costruita in base a criteri logici, magari immagina che potrebbe essere costruita da un computer ma suppone che non sarebbe un granché la poesia e probabilmente non ha neanche torto, eppure anche in quel caso questo sistema funziona, è all’opera al punto che se non ci fosse tale poesia non potrebbe mai essere scritta, poiché il poeta valuta, decide, se una certa frase in quella certa posizione sta bene oppure se si adatta perfettamente a qualcosa che ha in mente, per esempio, immagina una scena, un ricordo, qualunque cosa sia o a un criterio estetico, questa frase va bene? Sì / no… se va bene la scrive se no, no, è molto semplice. Ma perché il pensiero è così strettamente vincolato a una struttura del genere? ًًÈ una questione antica, antichissima, che riguarda il fatto che pensando ciascuna volta si muove da un elemento, qualunque esso sia, e si procede attraverso una serie di passaggi per giungere a qualcosa che si chiama conclusione, così si pensa e non è possibile pensare altrimenti, per esempio se io volessi negare che il pensiero funziona così dovrei costruire una proposizione che funziona esattamente così, è una situazione bizzarra, quindi questo vincolo appare inevitabile, come dire gli umani se pensano, bene o male che sia non importa, lo fanno in un certo modo ma tutto questo appare lontano dal punto da cui siamo partiti e cioè dalla paura di non piacere, eppure è facile costruire un elemento che immediatamente li accosti, per esempio, dire una stupidaggine è fare una brutta figura, facendo la frutta figura la persona sicuramente considererà di non essere piaciuta per esempio, come dire che in questo caso specifico di cui ho parlato la persona ha affermato qualcosa che per altri è risultato risibile quindi falso o comunque di scarsa importanza ed è una delle cose peggiori che possa capitare essere ridicolizzati per qualcosa che pensano, soprattutto se pensano che sia vera, è una delle cose peggiori, ci sono persone che sono disposte a uccidere per una cosa del genere e alcuni lo hanno fatto. Essere ridicolizzati, che cosa significa esattamente? Che una cosa che è considerata importante, quindi necessariamente vera, e se è importante è necessariamente vera, essere considerata da altri assolutamente falsa, risibile, e di conseguenza di nessuna importanza, come vi dicevo è una delle cose peggiori che possa capitare agli umani, provate a schernire, per esempio, Allah in presenza di un fondamentalista islamico, per avere la misura esatta di una cosa del genere, vi taglierà la gola nella migliore delle ipotesi, ma continuiamo a porre qualche domanda. Perché essendo fatti di questa struttura continuiamo a farci domande proprio perché siamo fatti di questa struttura che si chiama linguaggio, si chiama così, potremmo chiamarla anche in un altro modo però visto che c’è questo termine lo utilizziamo. Il linguaggio, una struttura, ciò che consente agli umani non soltanto di esprimere quello che pensano ma di pensare soprattutto, e pensare è soprattutto decidere, valutare, considerare e muoversi di conseguenza, quindi agire, perché accade che se una persona ritiene una certa cosa vera si muoverà anche di conseguenza, cosa che può avere delle implicazioni. A questo punto possiamo compiere il passaggio finale vale a dire: la paura di non essere apprezzati e di non piacere, di non essere accolti, per quale motivo una persona non dovrebbe essere apprezzata? Se non perché non soddisfa i requisiti di chi in quel momento è immaginato o supposto funzionare da giudice, se un ragazzino di quindi anni si presentasse tra i suoi compagni in frac, code e cilindro, caramella, beh, non soddisferebbe sicuramente i requisiti richiesti a lui in quel momento per quanto riguarda l’abbigliamento e cioè jeans e maglietta immagino, non soddisfacendo questi requisiti può essere escluso dal gruppo, requisiti che abbiamo visto essere nient’altro che regole di un certo gioco, per essere accolti in un certo ambiente occorre soddisfare le regole del gioco che quel certo ambiente esige, esattamente ciò per cui ciascuno di voi modifica il suo abbigliamento se deve recarsi a una serata all’ambasciata oppure deve andare a fare una scampagnata con gli amici. Se non lo fa spesso lo fa con un’intenzione che è quella di sovvertire quelle regole che pure conosce, certo può decidere di infrangerle anzi, per molti infrangere le regole o come si usa dire comunemente trasgredire, è una delle emozioni più forti ma per trasgredire occorre che ci siano delle regole, se no cosa trasgredisce? E non soddisfare i requisiti in precedenza stabiliti comporta inesorabilmente la perdita di qualcosa che a seconda dei casi può chiamarsi stima, valore, interesse, apprezzamento… apprezzare: dare un prezzo, si da un prezzo a qualcosa che vale generalmente, e quindi viene soddisfatto il requisito? Sì/no. Vero/ falso. Vale a dire che la paura di non piacere non è altro che l’idea di non soddisfare tali requisiti, risultare falso all’interno di quel gioco quindi non accoglibile, funziona così poiché in quel caso le regole e i presupposti che sorreggono quel gioco particolare sono considerati da entrambi assolutamente veri, addirittura in alcuni casi indubitabili, e se non lo fossero? C’è sempre questa possibilità, tuttavia da quanto detto fino adesso potrebbe apparire che tutta una serie di timori, di paure siano inevitabili, basta non soddisfare dei requisiti di un certo gioco che per la persona è considerato importante ecco che succede un disastro, la persona si sente esclusa, abbandonata, non amata e tutto il seguito perché ciò che è o ciò che fa non è più considerato vero rispetto ai requisiti stabiliti, non essere considerato vero o come comunemente si dice non li soddisfa o non si adegua È ovvio che è possibile pensare tutto questo perché esiste quella struttura che conduce gli umani inesorabilmente a cercare la verità, perché se non esistesse tutto ciò non sarebbe mai esistito, né potrebbe mai esistere, in assenza di questa struttura che consente agli umani di pensare e pensarsi non potrebbe darsi nessuna ricerca della verità, né alcuna soddisfazione, nessuna emozione, nessuna attesa, nessun progetto, nessuna sofferenza, niente, e questo suggerisce che sia qualcosa di una certa importanza dal momento che gli umani sono tali perché possono considerarsi tali, cioè possono giungere a una considerazione come questa: “io sono” oppure “penso dunque sono” o il contrario come preferite, non cambia niente, togliete il linguaggio e non resta niente. Ad alcuni è apparsa bizzarra questa affermazione, addestrato com’è a pensare che l’esistenza comunque si dia in ogni caso a pensare cioè l’esistenza esistente di per sé, ma è proprio così? O è un inganno? Un inganno che si è perpetrato nel corso dei secoli fino ad oggi, lo stesso inganno che consente di sottomettere alcuni alla propria ragione che equivale a dire alla propria verità, è stato Platone il primo a mettere “in guardia” tra virgolette parlando della nobile menzogna, nobile o infame che sia è una menzogna, e la menzogna fondamentale è che le cose esistono, sono così come sono, la realtà è quella che è, le cose stanno come stanno e tutti gli infiniti modi di dire e i luoghi comuni intorno a questo che, come chiunque che ci rifletta può accorgersi che non significano assolutamente niente, la logica li definirebbe petizioni di principio, asserti di nessun conto, di nessuna utilità, impossibili da provare, impossibili a dimostrare cioè impossibile provare in modo definitivo che siano veri, perché la paura di non piacere comprende anche la paura di non sapere, di non essere all’altezza ma di ben altri requisiti, quelli che richiedono che una persona sappia e per sapere deve potere giungere a delle affermazioni vere. Certo, ci sono quelle posizioni che rappresentano una sorta di via di mezzo come le ipotesi, per esempio, ma un’ipotesi che non può essere verificata né vera né falsa non significa niente, oppure la cosiddetta verità soggettiva, ma la verità soggettiva è un’opinione e questa è un’altra cosa, nessuno cerca di un’opinione, non sa cosa farsene, cerca ben altro, cioè qualche cosa che non sia affatto un’opinione ma qualcosa che costringa logicamente in una certa direzione. In fondo è stata questa da sempre la ricerca, di una costrizione, è chiaro che in mancanza di una verità che possa soddisfare dei requisiti tanto potenti ci si accontenta di qualunque altra cosa ma a questo punto succedono dei problemi, perché questa verità comunque non è sostenibile e di conseguenza deve essere difesa strenuamente mentre la verità che costituisca una costrizione logica non ha da essere difesa, se qualcuno affermasse che tre moltiplicato cinque da come risultato quindici non si darebbe un gran da fare per difendere questa sua affermazione, anche se dovrebbe, però generalmente non lo fa perché si considera irrimediabilmente vera. Ma se una persona avesse l’occasione di avere sottomano, a disposizione una verità talmente potente da non avere nessun bisogno di essere difesa perché si manifesta da sé, avrebbe ancora la necessità di difenderla? Imporla o temere che ciò che dice, ciò che pensa, possa essere considerato male o scorretto? No, non avrebbe più di questi problemi, potrebbe muovere da una certezza assoluta, e tale certezza sarebbe talmente potente da porre in secondo piano eventuali, possibili opinioni altrui e dunque la paura di non piacere sarebbe posta in una posizione talmente lontana da essere praticamente scomparsa, perché non importa più, non interessa più, se naturalmente si verificasse l’ipotesi cui ho accennato e cioè se questa persona avesse l’opportunità di, possiamo anche dirla così, affrancarsi dalla menzogna, dalla menzogna fondamentale vale a dire che le cose esistono di per sé, indipendentemente dal linguaggio, poiché fuori dal linguaggio una questione come questa non può essere neppure posta, se volete dirla tutta, in termini precisi domandarsi se in assenza di linguaggio le cose comunque esisterebbero non ha nessun senso, non significa assolutamente niente così come la domanda circa il sesso degli angeli: sono maschi o sono femmine? Il figlio di dio è mortale o è immortale? Eppure tanta gente si è ammazzata per questo, possono apparire questioni molto banali o strane ma semplicemente sotto altri nomi, sotto altre vesti hanno invogliato gli umani da alcuni millenni a questa parte a massacrarsi gli uni con gli altri soltanto per potere affermare o difendere la propria verità, nel caso delle religioni propriamente dette per la paura di non piacere a dio, non è soltanto la paura di non piacere al fanciullino ci sono anche situazioni più complesse… in fondo ancora oggi gli ebrei immaginano che gli olocausti avvenuti nei loro confronti da tempo notevole siano l’effetto della collera di dio su di loro perché non sono stati capaci di piacere a dio. Vi dicevo all’inizio che la paura di non piacere è una delle armi più potenti per ricattare il prossimo e di fatto è stata utilizzata ampiamente e abbondantemente nel corso di questi ultimi tremila anni, dico tremila perché prima non ho molti informazioni ma se ne avessi andrebbero sicuramente in quel senso. Per questo motivo ho ritenuto importante parlare, discutere con voi di questa questione, perché in fondo come ho detto  la paura di non piacere o di essere abbandonati, che è la stessa cosa, impone un’altra domanda che è quella che ci siamo posta: perché gli umani vogliono a tutti i costi non essere abbandonati, perché? Se sono abbandonati che succede? Se sono abbandonati allora questo significa, come ciascuno che ha questo timore sa perfettamente, che il suo essere in toto non viene apprezzato, non viene considerato, non soddisfa i requisiti per essere accolto, direbbero i logici che non soddisfa le condizioni di verità, sono solo modi diversi per dire comunque la stessa cosa, non soddisfa il volere di dio, non piace a dio e quindi viene punito con le fiamme eterne, perché? Perché tutto ciò che ha fatto non è piaciuto a dio, non ha soddisfatto il gioco che dio ha stabilito per lui. Bene, mi rendo conto di avere accennato a questioni complesse, in effetti ho posto domande che nessuno si fa, e cioè perché qualcuno vuole piacere, è raro che uno si faccia una domanda del genere, ancora più straordinario è che risponda a una domanda del genere, in genere si risponde “perché gli umani sono così, perché è la natura …” o una volta si rispondeva in modo più perentorio “Deus vult!” dio lo vuole. È importante, come ciascuno sa, porsi delle domande, ma ancora più importante è porsene una fondamentale: a quali condizioni posso pormi domande? Cos’è che mi consente di pormi una domanda? Cosa faccio quando mi pongo una domanda e soprattutto che cosa faccio quando mi do una risposta e quale risposta accoglierò e per quale motivo? Questo è il fondamento del pensare. Allora altri possono intervenire, se desiderano farlo, sì chi vuole dire qualcosa anche porre delle domande? Perché magari non è tutto così chiaro, limpido e immediatamente evidente in ciò che ho detto anzi, alcuni aspetti possono risultare piuttosto astrusi, contorti e incomprensibili…

Intervento: il ricatto per restare nel gruppo in qualche modo, per mantenere una relazione comunque con il dio amato o odiato, per mantenere questa relazione con questo superinterlocutore…

Beh, nel caso di dio certo, però può anche essere un gruppo di ragazzini, per esempio, in quel caso dio ha poco a che fare però il gruppo comunque riveste la posizione di chi dice ciò che si deve fare, ciò che è bene fare, ciò che va fatto che poi è il fondamento della società…

Intervento: e della famiglia e di tutti i vari gruppi dell’ordine naturale delle cose immuni da una verità che possa mettersi in gioco, senza poter considerare che senza il linguaggio nulla sarebbe quell’ordine naturale delle cose, non avrebbe nessuna possibilità di esistenza senza il linguaggio che lo può pensare, che lo può stabilire, non avrebbe esistenza ma per tornare alle questione del gruppo e a questa relazione duale tra il gruppo e i vari interlocutori del gruppo che sono parte di questo gruppo che devono professare e praticare l’unica verità, una sola e continuano il solito discorso, continuano coerentemente a costruire dalle premesse…

La relazioni tra gli umani gli uomini e donne generalmente è costruita proprio da questo, dalla paura di non piacere e quindi per avere la testimonianza che almeno a una persona ci piace, se sono due meglio…

Intervento: e quindi…molte persone si sono interrogate sulla verità cercando ovviamente la verità perché non possono non farlo e si sono condannati a girare in tondo non potendo riuscire, non potendo considerare il linguaggio e la sua condizione, non potendo considerare la condizione di una struttura, e perciò non potendo considerare che dal linguaggio non è possibile uscire e non considerando questo piccolo particolare in questo modo non è possibile non costruire il ricatto, non costruire l’inganno, non è possibile non costruire i giochini che sono praticati da questo discorso che coerentemente costruisce e continua a divertirsi con ciò che è peculiare al suo discorso, peculiare al discorso occidentale e quindi l’inganno…

Sì perché per uscire da questo inganno c’è solo una possibilità: intendere come funziona il linguaggio, non ce ne è nessun altra… c’è Nadia che ha un contributo…

Intervento: una possibile interpretazione della paura di non piacere… spesso la paura mentre c’è, porta la persona alla affannosa ricerca di atteggiamenti e comportamenti che sembrano accidentali arrivando al senso opposto e invece di piacere si crea disinteresse e al limite anche l’allontanamento, ma forse è quello che si desidera, un modo per alleviare l’ansia dell’emozione, per troncare sul nascere dei pensieri e delle fantasie che non sempre sono tollerati e quindi far perdere il controllo della situazione, se fosse molto piacevole avrei questo controllo e quindi il potere o a lungo andare saprei reggere l’emozione, ovviamente, è un discorso che riguarda quella persona, non generalizzabile però, e quindi forse a volte è meglio non piacere attribuendo di volta in volta il proprio disagio all’altro che non ci apprezza per il proprio aspetto fisico o per il lavoro… ecco allora che il disagio e spesso le delusioni e i fallimenti arrivano e invece di interpretarlo quindi come una sconfitta o mancanza di qualcosa, adottando comportamenti vittimistici è possibile interpretare questo discorso, perché le conclusioni di un discorso sono sempre le stesse? Perché non piaccio agli altri e quindi a me stesso? Forse è giunto il momento di fermarsi e interrogarsi su quello che ci si va dicendo, il proprio discorso va analizzato, a volte introducendo anche un solo elemento di opposizione si può arrivare a bloccarlo e provare a giungere a conclusioni differenti… posso iniziare a pensare interrogando il mio pensiero e chiedere per esempio le premesse dalle quali sono partito per giungere a tanta sicurezza, essere responsabili del proprio discorso cosa comporta? Comporta che qualunque cosa accada intorno a sé la decisione ultima è sempre mia e di questa decisione sono responsabile in quel momento e in quella circostanza, il disagio quello che deriva dalla paura di non piacere o il sintomo può quindi essere inteso come una chance e non come una debolezza per avviarsi verso questa responsabilità che viene riconosciuta nell’analisi per far si che il desiderio dell’altro o l’attenzione, l’approvazione, la paura dell’altro non sia più una necessità per non esistere. Assumersi la responsabilità di ciò che sto dicendo è un fatto importante perché si cessa di attendere che qualcosa fuori dal mio discorso intervenga a porre rimedio e incominci a considerare in termini più precisi logici e linguistici, le cose che vado dicendo e quindi anche costruendo…

È vero, in alcuni casi funziona proprio così, una persona che è ritenuta molto buona ad un certo punto può accorgersi che essere sempre buona è molto impegnativo e quindi se assumesse l’aspetto della persona cattiva sarebbe tutto più semplice, in alcuni caso certo c’è l’intenzione di non piacere perché questo muove altre fantasie, l’idea di essere reietto, abbandonato e solo al mondo in fondo da una sicurezza “almeno so che cosa sono” sono la persona peggiore che sia sbarcato su questo pianeta, sono questo! e da quel momento ha o suppone di avere una identità, e quindi è soddisfatto. Certo bene, ci sono altri che vogliono aggiungere qualcosa?

Intervento: stavo pensando alla paura di non piacere e alla necessità di rivolgere al mondo esterno il sé cercando conferme di essere protagonista, di essere dalla parte delle ragione… è abbastanza curioso che questo bisogno di sicurezza si rivolga sempre da un’altra parte come se non ci fosse accesso al punto di partenza cioè appunto ai propri pensieri, cerca conferme all’esterno, di qualche cosa che sta dentro che è parte della persona, non è la persona è il suo discorso come se l’altro ne sappia molto di più… l’altro ha già i suoi problemi a capire tutto ciò che lo concerne….eppure è più facile accettare come vero quello che viene dall’altro piuttosto che qualcosa che muove se stessi, come se fosse strutturale mettere in dubbio ciò che ciascuno pensa… e se sono molti altri che pensano quello che pensano a quel punto sarà vero per forza, è qualcosa che va al di là delle esperienze, delle velleità… del grado di cultura della persona, è come una necessità…

Intervento: mi chiedevo se fa parte della paura di non piacere può esserci qualche cosa di cui non possiamo renderci conto una parte inconscia… di cui non siamo ben consapevoli perché detta così la paura di non piacere…

Sì, ci sono molti casi in cui una persona teme di non essere apprezzata, considerata e non sa assolutamente perché, potrebbe essere un’occasione per venirlo a sapere e accorgersi che in fondo c’è qualche cosa per questa persona che ritiene inadatta, inadeguata, c’è qualche cosa se no non esisterebbe tale timore, certo può non essere evidente per la persona stessa però al momento in cui lo reperisce, magari celato sotto altre cose, per esempio una fanciulla che è bellissima e teme di essere considerata brutta, perché dovrebbe pensare una cosa del genere? Quando tutti quanti per altro affermano il contrario, forse questa bruttezza di cui parla magari non si riferisce all’aspetto fisico, o non solo, può considerare così come può accadere di reperire lungo un’analisi che una bruttezza non ha a che fare con la silouette ma con dei pensieri magari, ecco che allora in fondo ha ragione perché se ha dei pensieri e questi pensieri sono, come lei immagina che siano, dei brutti pensieri, allora necessariamente è brutta anche lei e bell’e fatto. Rimane la questione più radicale, cioè perché gli umani vogliono piacere e nel corso di un itinerario magari anche questo può essere affrontato, non è obbligatorio, sembra che lo sia ma non lo è, come molte cose… Sandro qualche considerazione?

Intervento: stavo pensando proprio alla retorica del successo, questo bisogno di avere successo…non è un obbligo personale… è un po’ calvinista, un po’ protestante questa formulazione… una questione interessante è quella della sicurezza perché in effetti una persona che ha paura di non piacere generalmente si comporta con una certa insicurezza perché teme un rifiuto, una riprovazione, un giudizio negativo qualunque cosa… ora cos’è che da la sicurezza? La sicurezza ed è sempre saputo in un certo senso che è una persona sicura perché sa cosa vuole, per esempio, nel discorso comune, cioè è una questione di sapere proprio, una persona sicura è colei che sa, ma sa che cosa propriamente? Sa come stanno le cose e quindi sa qual è la verità, ovviamente la verità intesa in senso molto astratto molto generale, facendo comprendere in questo termine tutta una serie di cose, una persona che si chiede se faccio bene o faccio male a fare una determinata cosa si pone una questione di verità anche se non è che lui se la ponga in questi termini , ovviamente, e quindi appunto sapere la verità, quello che una persona comunque insegue e comunque ricerca lungo la sua esistenza… questione dicevamo che l’unica verità possibile e comunque universale e comunque in qualche modo affidabile in tal senso è quella che ci viene dal funzionamento del linguaggio ma questo significa, conoscere il funzionamento del linguaggio significa conoscere come funzionano i propri pensieri, da dove vengono, che cosa li sostengono, che cosa comportano proprio perché i propri pensieri e comunque il pensiero in generale è comunque quel qualcosa che è consentito dal linguaggio e dal suo funzionamento quindi c’è una questione di dire che cos’è la verità conoscendo il funzionamento del linguaggio e di dire altresì che comunque questo comporta per ciascuno modificare un certo modo di pensare, modificare il modo di pensare al momento in cui so che la verità è qualche cosa che è prodotto da i miei pensieri e che non è qualche cosa che mi si impone dal di fuori e che comunque esista al di là di quello che penso o al di là di quello che sono ecc. la questione per esempio della mancanza, perché la persona che ha paura di piacere si sente anche difettosa, per esempio, è comunque un qualche cosa si rende complice di questo ricatto di cui dicevamo all’inizio perché è come immaginare che esiste da qualche parte un qualche cosa di perfetto, una verità ideale, un qualche cosa di assoluto, di cui io sono mancante e quindi rispetto al quale io non posso, perché essendo mancante, vengo meno… e quindi sempre in questa sorta di incertezza continua di non sapere e quindi paura di non piacere… questo in termini generali per indicare tutta una serie di situazioni…

È così, questo percorso è l’unico modo per abbandonare la paura non soltanto di ciò che altri possono pensare di me, ma di ciò che io posso pensare di me, insomma l’unica occasione per cessare di avere paura, con tutto ciò che questo comporta, non essere più ricattabili intanto da nessuno, in nessun modo...

Intervento: pensavo che la paura di non piacere… una persona che è talmente sicura di non piacere se deve presentarsi a un colloquio di lavoro… non si presenta neanche perché sa che non la sceglieranno!

Certo, ma non sono patologie, né malattie, sono dei modi di pensare che si sono costruiti per dei motivi, adesso farei un breve inciso, andrei cauto con il patologizzare tutto, so che oggi è una tendenza comune, in fondo lei stessa parlando del Don Giovanni immagina che il fatto che un uomo vada con migliaia di donne sia una patologia, perché? E perché non lo è il fatto che vada con una sola?

Intervento:

Certo, può diventare una ossessione, ma sia stare con una sola sia stare con mille, allora in quel caso può essere fastidioso per lui ma il fatto di per sé non significa niente, quindi forse la questione va presa in un altro modo, e cioè il fatto che la paura in questo caso sia come la manifestazione di un gioco che si sta facendo al quale ci si attiene rigorosamente al punto di essere sicuri che le cose andranno in un certo modo, si ha la certezza, lei stessa diceva “è così sicura che non verrà accolta che non si presenta neanche là dove deve andare”, in fondo è una certezza che ha, e la paralisi lei dice, questa è una questione interessante, anche la paralisi al pari di qualunque comportamento è mosso da una serie di cose che la persona crede, la persona è fatta da una serie di cose che ha immagazzinato nel corso della sua vita, ora può accadere ad un certo punto che alcune cose che crede, vadano in conflitto con altre, sorgono allora quelli che comunemente si chiamano problemi, generalmente non lasciano tracce molto profonde ma in alcuni casi invece i due corni del dilemma sono talmente potenti, talmente importanti che non si possono sottovalutare né è possibile sceglierne uno a scapito di quell’altro, e allora c’è la paralisi: Freud nella sua nosografia aveva descritto la nevrosi ossessiva come un tipo, un modo di pensare vicino a questo. Il dubbio dell’ossessivo, per esempio, il quale è sempre tra due corni del dilemma e nel dubbio, il più delle volte non sceglie, attende che gli eventi giungano a un punto tale per cui sarà costretto a farlo, ma non sarà più una sua decisione, saranno gli eventi che lo hanno costretto, in questo caso, come diceva prima Beatrice giustamente, e anche Nadia ha posto l’accento sulla questione della responsabilità, se sono gli eventi a decidere io non sono più responsabile. Ma allora forse il problema è proprio nell’ammettere il volere una certa cosa, che non si può in nessun modo ammettere di volere e allora per farla lo stesso devo fare in modo che qualche cosa mi costringa a farla, e magari io stesso ho pilotato le cose in modo tale che mi costringessero a fare quella cosa, però posso continuare a dirmi che io non lo volevo ed è questa la cosa principale, perché se lungo una analisi una persona si accorge che è questo che voleva, per una serie di motivi, allora non può più usufruirne, nel senso che non può più costruire questa scena, dove gli eventi la costringono a fare quella certa cosa, finalmente può accogliere il suo desiderio. Per questo prima parlavo di cessare di avere paura, non soltanto di ciò che altri possono pensare di me ma dei miei stessi pensieri, dei miei stessi desideri, in fondo è l’unica cosa che gli umani temono: ciò che desiderano, non temono nient’altro, questo può assumere varie configurazioni, ma se una persona non avesse mai paura di ciò che pensa, di ciò che desidera, non avrebbe paura di niente, non avrebbe bisogno di avere paura perché qualunque cosa verrebbe ricondotta là da dove arriva: giochi, giochi linguistici che si sovrappongono, che lottano tra loro per la supremazia. Per esempio so, perché me lo hanno insegnato, che la mamma è buona e quindi la mamma è buona, però la mamma non fa questa cosa che io voglio e che per me rappresenta il bene e quindi non vuole il mio bene, la mamma è buona e la mamma non vuole il mio bene, come la mettiamo? Delle due l’una: se è buona vuole il mio bene. Ecco un banale esempio di conflitto, che può in alcuni casi, non sempre fortunatamente, portare alla paralisi…

Intervento: in questo caso il conflitto è dato da una contraddizione...

L’impossibilità di ammettere l’una o l’altra cosa, ché si escludono, se vuole il mio bene allora non può impedirmi questo, se me lo impedisce allora non vuole il mio bene…

Intervento: come di fronte a una contraddizione, il discorso non può proseguire…

Sì, può arrivare addirittura, fortunatamente raramente, a un punto tale in cui questo dilemma che non ha nessuna soluzione per la persona, la porti a uccidersi, ma in questo caso non è propriamente un suicidio ma un omicidio, nel senso che è un modo per eliminare quella persona che l’ha messa in quella condizione procurandogli, almeno suppone, un dolore tale da ucciderlo, può capitare adesso, io ho fatto il caso estremo ovviamente, ma per dire quanto un dilemma di questo tipo possa avere esiti catastrofici per una persona. Il cosiddetto equilibrio di una persona spesso non è altro che un adattamento a situazioni del genere, magari vissute in modo meno tragico, però tenta di trovare una via di mezzo tra giochi che sono creduti veri, ma contraddittori, e si trova di fronte a un paradosso, il paradosso è appunto quella proposizione che è vera se e soltanto se lo è la sua negazione, è un problema logico non indifferente e per una persona può costituire una tragedia che non ha soluzione. La questione è che vengono creduti veri entrambi i due corni del dilemma, necessariamente veri, allora c’è un conflitto tremendo così come avviene nei conflitti tra nazioni, perché una crede fortissimamente una certa cosa che scatena l’ira di dio, se no non lo farebbe. Credere vero è questo che muove le persone, le nazioni, cessare di credere che le cose siano necessariamente vere può essere una via, interrogarla “è proprio così?” “o sono io che immagino che sia così?” magari sono io che immagino che sia così, per qualche motivo, per esempio perché un bambino crede che la mamma sia buona? Perché gli dà da mangiare? No, perché l’accudisce? Potrebbe farlo chiunque o qualunque cosa, è perché lo ha imparato, e lo ha imparato a spese di un ricatto, diretto o indiretto e cioè che se non crede in questa cosa verrà dannato, e lui ci crede, dopodiché diventa assolutamente vero e si muoverà di conseguenza.

Giovedì prossimo Beatrice Dall’Ara parlerà di un tema che è ancora più interessante: la solitudine nella coppia. Una situazione che a molte persone è capitato di vivere, non senza qualche problema. Bene, vi invito giovedì prossimo alle nove. Grazie a ciascuno di voi e buona serata.