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Torino, 9 febbraio 2012

  

Libreria LegoLibri

 

LE RELAZIONI AMOROSE E IL SENSO DI INADEGUATEZZA

 

Luciano Faioni

 

  

L’inadeguatezza è una sensazione che talvolta accade di provare, l’idea è quella di essere inadeguati rispetto a ciò che si immagina che altri si attendano da noi, perché se nessuno si attendesse nulla non ci sarebbe nessuna inadeguatezza, cioè una persona pensa di non essere adeguata a delle richieste che il più delle volte immagina. Il senso di inadeguatezza è abbastanza diffuso, non è una cosa così insolita, ma soprattutto è qualche cosa della quale la persona generalmente si lamenta, mi riferisco alla inadeguatezza rispetto a qualcosa di, potremmo dire, di fantasmatico, qualcosa che riguarda le proprie fantasie, i pensieri non a qualcosa di concreto, di reale, per esempio io sono inadeguato a sollevare con la sola mano sinistra cinquantamila tonnellate di cemento, anche questa potrebbe essere inadeguatezza, però non è di questa che sto parlando ma dell’idea di essere inadeguati a ciò che si immagina che altri, appunto, si attendono da me. Perché compare il senso di inadeguatezza? Che freudianamente potremmo ascrivere al discorso ossessivo, diciamo che è il discorso che più di altri rileva in sé questa sensazione, e il più delle volte sgradevole, per esempio nel discorso isterico o in quello paranoico molto raramente compare questa senso di inadeguatezza. Da dove arriva questa idea, come si produce? E soprattutto cos’è che fa sì che permanga anche là dove per esempio compare una sorta di rassicurazione, cioè alla persona si dice che non è vero che è inadeguata, ma nonostante ogni rassicurazione questa persona continuerà in molte situazioni a provare questa sensazione. Per provare questa sensazione, come dicevo, occorre immaginare delle richieste da parte di altri, ma non solo, occorre anche pensare di non essere capaci di soddisfare queste richieste, perché se uno è capace di soddisfarle, è adeguato a questo punto, ma quali tipi di richieste? Nei casi in cui c’è questa sensazione di fatto non sono nemmeno individuate esattamente queste richieste se non in modo molto generico: essere all’altezza della situazione, sapersi comportare, e varie cose del genere, ma sempre abbastanza indefinite. Ciò che incombe è la considerazione: “non sono come gli altri si aspettano che io sia” “non sono mai al posto giusto”. Chi prova questa sensazione di inadeguatezza si trova in una condizione, e di questo ne parleremo la prossima volta, di fragilità, di insicurezza, immagina soprattutto, ed è per questo che si sente insicuro, che tutti si accorgano della sua inadeguatezza e cioè che sia sotto gli occhi di tutti. Ciò che la psicanalisi ha incominciato a rilevare, già con Freud, è che quando c’è un pensiero, qualunque esso sia, questo pensiero non interviene mai per caso, se interviene un pensiero c’è sempre un motivo, quello che Freud chiamava tornaconto, e quindi, attenendoci a Freud, anche il senso di inadeguatezza ha un tornaconto, si tratta naturalmente di intendere quale è il tornaconto che per altro è il motivo per cui la persona continua ad avere questo tipo di pensieri, qualunque tipo di pensiero che intervenga è arduo affermare che interviene senza che la persona lo voglia, è straordinariamente difficile mostrare una cosa del genere, che cosa significa volere un pensiero? Se una persona si trova a pensare qualche cosa, questo pensiero è stato prodotto dalla persona non da altri, e se lo ha prodotto, ecco che torniamo alla questione di prima, allora c’è un motivo. Sempre, si chiederà qualcuno? Sì, sempre. È questo il motivo per cui è anche possibile dissolvere certi pensieri, così come la persona ha prodotta una certa concatenazione di pensieri, così la stessa persona può anche dissolverli, se vuole farlo naturalmente. Ma questa è la parte più difficile: volerlo fare; non dire di volersi sbarazzare di qualche cosa, questo lo fa ciascuno ma affrontare la questione e intendere a che cosa è connessa. Il senso di inadeguatezza in moltissimi casi ha radici lontane e cioè si instaura nel discorso di una persona molto presto, potremmo dire che, anzi forse è meglio fare ancora un esempio, magari è più chiaro, una cosa che avviene molto spesso e cioè un bambino che viene allevato dai suoi genitori come accade spesso e ad un certo punto nasce un altro figlio, un fratello o una sorella a seconda dei casi, che cosa avverte questo bambino così come prima sensazione? Uno dei primi pensieri che gli vengono in mente è che i genitori non gli vogliono più il bene che gli volevano prima, una cosa molto banale, molto semplice, è la stessa cosa che accade anche alle persone adulte, che cosa pensa una donna quando il suo uomo se ne va con un’altra? Pensa “non mi vuole più bene”, è ovvio, e in effetti è così che funziona però in alcuni casi si pone un altro problema, perché se non mi vogliono bene allora interviene un altro tipo di sensazione nei confronti dei genitori ed è qualcosa di molto simile a quella cosa che si chiama “odio”, è la stessa cosa che prova una fanciulla quando il suo fanciullo si innamora di un’altra, lo odia generalmente, almeno per un po’ di tempo, è esattamente la stessa cosa, però qui la situazione è un po’ più complicata intanto perché il bimbo di cui stiamo parlando non ha ancora molte informazioni su come funzionano le cose, e quindi non è in condizioni di elaborare la questione e avere dei riferimenti, dei parametri con cui valutare ciò che sta accadendo, semplicemente si sente escluso però, come dicevo, odiare queste persone che prima lo amavano e poi l’hanno abbandonato non è così semplice anche perché queste persone sono quelle che comunque gli forniscono una quantità notevole di gratificazioni, di soddisfazioni eccetera, oltre al fatto che il più delle volte non è in condizioni di provvedere a se stesso. Ma ecco che trova, come dice Freud, una soluzione di compromesso, e cioè: “queste persone mi hanno abbandonato, però siccome queste persone comunque sono importantissime per me e non ci posso rinunciare allora la soluzione è che se mi hanno abbandonato, è perché io non valgo niente”. Questa conclusione a cui talvolta accade che un bambino giunga, diventa una pietra miliare nella sua vicenda e se la porta appresso generalmente per tutta la vita. Una formazione di compromesso la chiama Freud, in questo modo salva i genitori perché non sono loro che “malefici” mi hanno abbandonato, loro continuano a rimanere delle brave persone, adesso ve lo semplifico un po’, ma “sono io che non vado, io non funziono e cioè non sono capace di rispondere alle loro aspettative, non sono quello che loro volevano che fossi”. Dicevo che in questo modo si mantiene un doppio vantaggio, il primo è di mantenere i genitori nella posizione di persone “buone”, diciamola così, il secondo è che comunque posso continuare a pensare che si aspettano delle cose da me e che quindi sono importante per loro. Da una persona che non conta niente non ci si aspetta niente, è da una persona che importa dalla quale ci si aspettano delle cose e quindi mantiene, almeno fantasmaticamente, l’idea di essere importante per i suoi genitori. A questo punto tutto questo sistema di pensiero è avviato, è avviato e incomincia a produrre degli effetti, anche perché questa soluzione di compromesso che ha raggiunta si installa nel suo discorso come qualche cosa che è irrinunciabile, tenete conto che è stata prodotta da un bimbetto di pochi anni, non dalla persona adulta con una quantità enorme di informazioni, per cui questa cosa per il bimbetto è assolutamente vera, non ci sono dubbi sul fatto che sia così, che primo, è stato abbandonato, e secondo, se l’hanno abbandonato è colpa sua, non ci sono dubbi e non ci sono dubbi perché se ci fosse un dubbio allora dovrebbe rimettere in questione tutto quanto, però il discorso oramai ha trovato una soluzione e come spesso accade quando si trova una buona soluzione ci si attiene a quella, anche per tutta la vita. Ci sono degli effetti, dicevo prima, degli effetti che la persona si porta appresso per tutta la sua esistenza anzi, questa sorta di compromesso che ha raggiunta, pilota tutta la sua esistenza, come diceva Freud ai suoi tempi, il modo per ricordare una scena che è stata cancellata è di ripeterla, ripeterla all’infinito, e questa persona che cosa ripeterà? La cosa che è stata più importante, quella che ha costituito il modello per lei di esistenza “per essere importante per qualcuno occorre che questo qualcuno si aspetti delle cose da me, ma io non saprò mai soddisfare queste richieste e non posso essere capace di farle, perché devo mantenere intatta quella prima costruzione che ha detto che non sono capace, per cui sono stati ragionevoli ad abbandonarmi, perché non valgo niente”. Secondo voi, come affronterà questa persona la sua esistenza? In questo modo: continuando a pensare di non valere niente, ma al tempo stesso si sentirà sempre richiesta, avvertirà sempre delle richieste da parte di altri, richieste alle quali non sa, non può far fronte e quindi continuerà a ripetersi esattamente la situazione originaria. Questa situazione poi diventa, come dicevo prima, una specie di modello al quale modello la persona si attiene, anche perché in fondo non ne conosce altri, è l’unico che sia risultato soddisfacente, e allora per tutta la vita continuerà a riprodurlo, troverà, se è una bimbetta, troverà dei ragazzi, degli uomini dai quali uomini si sentirà sempre sotto esame, si sentirà sempre richiesta di essere qualche cosa, all’altezza di una situazione che non raggiungerà mai e continuerà a domandarsi che cosa c’è in lei che non va, per tutta la vita. Non c’è niente in lei che non vada naturalmente, però ripete questo schema all’infinito, in ciascuna relazione, sempre, come se non potesse non farlo, e perché non può non farlo? Perché quella situazione che ha trovato all’origine, questa scena, che Freud chiamava originaria, è quella che è risultata la più soddisfacente: mantiene l’interesse dell’altro perché deve essere importante quindi l’altro è importante, e vuole delle cose da me e io non sono capace di soddisfare le sue richieste, per colpa mia, ma l’altro comunque è importante. C’è un dettaglio che Freud ha rilevato con buona precisione, e cioè quell’odio che era comparso all’inizio e che poi era stato trasformato per trovare un compromesso, non viene cancellato, rimane, rimane e sorge il più delle volte rivolto verso se stessi, altre volte, quando trova l’occasione, rivolto ad altri. Un odio che può essere anche molto forte e il più delle volte per la persona stessa è inspiegabile, la persona stessa può essere sorpresa di provare tanto odio nei confronti di una persona, o se stessa a seconda di dove indirizza il suo odio, e questo odio non è scomparso, l’odio iniziale di chi l’aveva abbandonata, è lì, pronto a manifestarsi all’occorrenza. Per questo il discorso ossessivo in cui il senso di inadeguatezza è molto frequente, pur nella sua apparente docilità e remissività nasconde in effetti un odio feroce che è pronto a manifestarsi e a scatenarsi contro qualcuno. Freud ha potuto intendere queste cose, e molte altre naturalmente, compiendo un gesto che per allora era assolutamente inedito, che nessuno aveva mai fatto prima di lui, e cioè ha incominciato a lasciare parlare le persone. Lasciare parlare le persone significa non precipitarsi a dare spiegazioni, a dare soluzioni, a dare la propria opinione come generalmente accade, ma lasciare la persona con le sue parole. In un’analisi la persona è “sola” mettiamolo tra virgolette questo sola, con le sue parole, ed questa l’occasione per incominciare ad accorgersi di quello che sta dicendo, perché la possibilità che una persona si accorga da sé di una cosa del genere, adesso mi riferisco all’esempio di prima della inadeguatezza, e cioè possa accorgersi che l’inadeguatezza che avverte, che sente è una costruzione che lei stessa ha fatto e per dei buoni motivi, dicevo l’eventualità che si accorga di una cosa del genere sono molto prossime allo zero, per dei buoni motivi. È che non ne vuole sapere. Freud si era sorpreso a un certo punto lungo il suo cammino del fatto che delle persone che andavano da lui a un certo punto, proprio quando le cose incominciavano a suo parere a svolgersi, a intendersi, le persone invece si allontanavano, cosa che lo indusse a una riflessione, a una considerazione piuttosto singolare, grosso modo questa: “ma è proprio vero che le persone vogliono sbarazzarsi di queste cose che chiamiamo sintomo? Siamo proprio sicuri? A parole sì, certo, ma poi, quando c’è l’eventualità, la possibilità di fare questo, per esempio di smettere di soffrire, siamo proprio sicuri che le persone vogliono questo? E cioè non soffrire più?” È una domanda legittima, già Freud se la pose, e merita una risposta e la risposta è: no. Le persone non vogliono smettere di soffrire, d’altra parte perché dovrebbero? I vantaggi che offre la sofferenza sono innumerevoli, anche di questo Freud si era accorto, si era accorto di molte cose, per esempio del fatto che le persone tendono a identificarsi con chi soffre molto più di quanto facciano con chi gioisce, e mettersi al suo posto e soffrire insieme con lei, viene da domandarsi: perché? Anche questa è una domanda legittima. Per gli umani c’è una cosa che è straordinariamente importante, forse molto più di altre che invece vengono ritenute molto importanti, ed è proprio essere importanti, essere importanti per qualcuno, e per esserlo sono disposti in molti casi a fare qualunque cosa. Freud fa un esempio a questo riguardo: in un collegio femminile una fanciullina riceve una lettera in cui il suo ragazzo l’abbandona, naturalmente scoppia a piangere e allora tutte le altre amiche si mettono intorno a lei e incominciano a piangere anche loro, si immedesimano, si identificano con lei, perché? Le persone non dicono forse di non volere soffrire? Così dicono molto spesso, ma poi di fatto accade qualcosa di differente: perché queste fanciulline si identificano immediatamente con quella abbandonata? Perché quella abbandonata è al centro dell’attenzione, per un momento, per qualche momento è la persona più importante, è al centro di tutto, è al centro del mondo, al centro dell’universo. Taluni incominciano addirittura a sospettare che anche certe malattie abbiano questa funzione, è un sospetto per ora, però occorre tenere conto di questo aspetto e cioè della necessità da parte degli umani di sentirsi importanti e del fatto che sono, come dicevo prima, in molti casi disposti a qualunque cosa per esserlo. Dopo tutto, il bimbetto di cui dicevamo prima, costruisce questa sorta di compromesso proprio per mantenere questa posizione, e cioè di essere importante per i suoi genitori, quando nasce quell’altro, ecco che non è più importante, e se una persona non è importante allora il rischio di essere abbandonati è altissimo. Tutto questo ci conduce a delle considerazioni: primo, cosa che ho detto all’inizio, ciascun pensiero che sorga nella mente, cosiddetta, non sorge mai per caso, c’è sempre un motivo, un buon motivo, qualunque pensiero sia non ha importanza; secondo, conoscere questo motivo può comportare un vantaggio, non è che le cose scompaiono per questo, permangono, ma cambia il modo di affrontarle, si affrontano con leggerezza, si può giungere anche a sorridere di cose che altrimenti appaiono terribili, si può giungere cioè a giocare con i propri pensieri anziché subirli. Non ci si accorge che ciò che i pensieri producono sono produzioni del pensiero, sono parole in definitiva, si immagina il più delle volte che siano la realtà, per la persona di cui dicevamo prima, l’ossessivo, per usare la nosografia di Freud, l’idea, anzi il fatto che le persone l’abbandoneranno non è considerata una sua costruzione ma è la realtà anzi, è la cosa più reale che esista, e tanto teme di essere abbandonata che riesce in questa operazione “se l’altra persona è di valore e io invece non valgo niente, è ovvio che prima o poi mi abbandonerà, perché non sono alla sua altezza, non sono adeguata alle sue aspettative, alle sue esigenze”, come avviene che questa persona si trovi a un certo punto, senza saperlo naturalmente, per questo dicevo “subire” i propri pensieri, a fare di tutto perché ciò che più teme si verifichi, perché? Talvolta la cosa è così evidente che altri la notano, non la persona naturalmente, per lei tutto ciò che pensa, che teme è assolutamente reale. Come diceva Freud il modo per ricordare quella scena originaria è di ripeterla all’infinito, quindi la ripetizione comporta: “questa persona è buona e io sono incapace di soddisfare le sue legittime richieste nei miei confronti perché sono un incapace”, questo è esattamente quello che deve riprodursi sempre, continuamente, all’infinito, e che di fatto si riproduce con una notevole precisione ...

 

Intervento: non è che dà molto coraggio …

 

Questo non è propriamente il compito di uno psicanalista, anche perché una volta che ha dato coraggio, passati cinque minuti e anche forse meno, il coraggio si dilegua. È un po’ come quando si ha a che fare con un bambino piccolo che ha paura del buio: c’è la stanza buia e lui ha una paura grandissima, arriva la mamma, accende la luce e non c’è nessun mostro, nessun bandito, è tutto tranquillo; la mamma spegne la luce ed ecco torna il panico. È la stessa cosa. Non si tratta di infondere coraggio, ma fare in modo che le persone possano accedere ai loro pensieri, in fondo è tutto qui, una volta che hanno accesso ai loro pensieri possono incominciare a giocare con i loro pensieri perché perdono la grevità che gli è data dal fatto di essere immaginati essere assolutamente reali, cessando di essere grevi, cessano anche di produrre dei danni, perché se una persona è “condannata” tra virgolette per tutta la vita a sentirsi inadeguata fa dei danni, soprattutto a se stessa naturalmente, ma eventualmente anche ad altri perché a un certo punto può odiarli fortissimamente perché attribuisce a loro la causa dei suoi mali, responsabilità che gli altri non hanno naturalmente. Tutto questo per dire che una persona può fare danni a sé e al prossimo, soltanto a partire da alcune cose che crede essere assolutamente vere, quindi in effetti non si tratta di dare un conforto ma di costringere, in un certo senso la persona, e quindi il suo discorso, a interrogare se stesso. Ho usato la parola “costringere” perché come ho ricordato prima il più delle volte la persona non ha nessuna voglia di farlo anche se, torno a dirlo, a parole sì. Come mi accadde, tanti anni fa in un’analisi, una persona mi disse: “ma se non soffro più dopo cosa faccio?”, la questione è esattamente in questi termini: che si fa? Si sta bene? Vuole dire che non c’è più nulla per cui soffrire? Nulla per cui affannarsi? No, niente. È l’idea della morte. Che va anche bene, se uno vuole soffrire, nessuno glielo proibisce, però potrebbe essere più interessante se quella persona sapesse quello che sta facendo, e anche perché, poi se vuole soffrire va bene, non c’è nessun problema, però forse a quel punto magari non è più neanche così interessata, forse, magari sì …

 

Intervento: il senso di vuoto lasciato dalla mancanza di sofferenza è più pericoloso per il soggetto che continuare a soffrire? Il vuoto come sinonimo della dimensione della morte?

 

È una questione complessa, certo, se l’idea è che la vita, per esempio, debba avere un senso allora se questo senso viene a mancare è una tragedia, è quella che alcuni hanno inteso come “tragedia esistenziale”: l’esistenza umana non ha più alcun senso, quindi a che vale vivere? Come se morire valesse qualcosa, tra l’altro, era la posizione di alcuni filosofi esistenzialisti, mi riferisco a Sarte in particolare, l’impatto con l’idea che la vita non abbia un senso. A pochi è venuto da porsi questa domanda “perché dovrebbe averne uno?”, anche questa è un’altra domanda di quelle legittime, naturalmente occorre anche interrogarsi su che cosa si intende con senso, con vita, prima di affermare con assoluta risolutezza che la vita deve avere un senso, come taluni fanno, c’è anche la possibilità che non ne abbia nessuno o, più propriamente, ha il senso che io decido che abbia, e posso cambiare idea ogni cinque minuti volendo, chi me lo impedisce?

 

Intervento: se uno ha coscienza di soffrire e sta bene, probabilmente o ha paura di cambiare …

 

Beh, se sta bene perché dovrebbe cambiare la sua condizione?

 

Intervento: sì, sta bene ma è cosciente che è sofferente e sta male magari non riesce a fare il passo successivo … non riesce ad avere un benessere … come fa a scalare questo?

 

Che una persona riesca da sé a compiere questo passo è improbabile, è improbabile perché gli strumenti che ha a disposizione per intendere quello che sta accadendo sono esattamente gli stessi che hanno prodotto questa sofferenza, è per questo motivo, per esempio, che esiste l’analisi e cioè che qualcuno che “costringa” il discorso a riflettere su se stesso, perché se no non lo fa assolutamente, continua a soffrire, come accade d’altra parte, anche perché il più delle volte non ha né i mezzi né gli strumenti per intendere quello che sta succedendo, e quindi che fa? Continua a soffrire, cioè continua a pensare che le cose stiano esattamente così come pensa che stiano, perché la condizione per soffrire è che le cose stiano proprio così come si crede che stiano, se no non soffre più. Quindi si trova a mantenere questa sorta di superstizione, diciamola così, cioè che le cose siano proprio così come lui pensa che siano, e finché continua a credere questo non cambierà assolutamente niente, potrà fare tutto quello che vuole ma non succederà niente, potrà ogni tanto distrarsi eventualmente, ci sono dei momenti storici anche in cui c’è una forte distrazione e apparentemente le nevrosi scompaiono, come le guerre, se una persona è occupata a rimanere viva fino a sera, è difficile che riesca a pensare ad altro, così come è noto come nel caso della depressione: se il depresso si accorge che la sua casa sta andando a fuoco in quel momento la depressione scompare e immediatamente si dà da fare. Ora non è che si guarisce la depressione dando fuoco all’abitazione, non mi sembra bello, però è efficace, almeno momentaneamente vi assicuro che è straordinariamente efficace, perché c’è qualcosa di più importante in quel momento che attira l’attenzione, per esempio la propria sopravvivenza, visto che la vita generalmente è considerata il bene supremo, in genere, non sempre …

 

Intervento: dicevo la crisi perché chi ha problemi per sopperire ai bisogni primari c’è la depressione.

 

Sì, sì è una concatenazione di elementi, se una persona che ha il suo lavoro e questo lavoro non basta più per mantenere la sua famiglia ecco che quando arriverà a casa la sera non sarà di ottimo umore, questo ovviamente si ripercuoterà su tutti i componenti della famiglia e quindi vivrà male lui, sua moglie, i suoi figli e tutti quanti quelli che gli stanno intorno. Non ho toccato un altro aspetto che è l’aspetto più sociale, potremmo dire, anche politico della inadeguatezza, cosa che potremmo anche fare volendo, e cioè la funzione politica. Una persona che si sente inadeguata è una persona fragile, una persona debole, facilmente gestibile, più le persone si sentono inadeguate e meglio è, questo per un governo naturalmente, perché essendo inadeguate si sentono colpevoli, si sentono in colpa e sentendosi in colpa si troveranno sempre e comunque in difetto rispetto a tutti e quindi saranno obbedienti …

 

Intervento: scusi il contrario di inadeguatezza è l’autostima?

 

Sarebbe l’adeguatezza, letteralmente. L’autostima? Forse si tratta di fare un passo ulteriore, cioè andare aldilà sia dell’inadeguatezza, sia dell’autostima, la persona ha stima di sé? Potrebbe essere una questione secondaria, come domandarsi: “sono veramente felice? Non saprei, faccio le cose che mi interessano, che mi piacciono, vivo bene, non so se sono felice, qualcuno dovrebbe dirmi intanto cos’è esattamente questa cosa. Generalmente ci si chiede questo se è triste o se suppone che la sua felicità dipenda da qualche cos’altro, da qualcun altro, allora sì, ma è sempre pericolosissimo fare dipendere il proprio benessere da altri, può essere piacevole per alcuni aspetti, cioè per alcune fantasie ma pericolosissimo per altre. L’autostima potrebbe essere qualcosa di irrilevante, ci sono delle persone che tengono dei corsi per immettere l’autostima per cui si insegna alle persone a pensare “io sono il più bello, il più intelligente, il più bravo, il più simpatico” …

 

Intervento: io credo che l’autostima sia io queste cose le faccio bene, queste male …

 

Adesso facevo l’esempio di alcuni personaggi, ma quella che dice lei comunemente non si chiama autostima, ma semplicemente valutare le proprie capacità. Come dicevo all’inizio io non sono capace di sollevare con la mano sinistra cinquantamila tonnellate di cemento, questa è autostima?

 

Intervento: l’accettazione di sé del proprio limite e delle proprie qualità, le proprie qualità non solo dei propri limiti …

 

E perché non dovrebbe accettarle? Ci sono infinite cose che io non sono capace di fare, per esempio non so pilotare un Boeing 747, anche questa è una delle tantissime cose che non so fare, però non è che me ne preoccupi così tanto. Non sono mai le cose concrete che non si sanno fare a creare i problemi, perché se uno fosse interessato a quella cosa imparerebbe a farla, se proprio lo vuole fare, ma sono le sue fantasie, sono queste che gli creano dei limiti, cioè una persona si convince di non essere capace, per esempio se è una donna, a stare con un uomo, se è un uomo a stare con una donna, questi pensieri sono quelli che possono rovinare la sua esistenza e anche quella altrui. In questo caso la stima di sé diventa un concetto piuttosto labile, questa persona ha una stima di sé o meglio una disistima di sé che non corrisponde, anche se per la persona è assolutamente reale, non corrisponde per esempio a ciò che tutto il resto del mondo pensa di quella persona, che magari la valuta una persona intelligente, capace eccetera eccetera, ma lei, di sé, non ha affatto questa percezione, come mai? A questa domanda talvolta si è chiamati a rispondere, e allora in quel caso occorre intendere perché la persona si è costruita dei limiti oltre ai quali non va. Così come l’intelligenza, quella cosa che si chiama intelligenza, in taluni appare più vivace in altri meno, appare dico, ma una persona appare meno intelligente perché è bloccata da fantasie, da cose che gli impediscono di muoversi, di fare delle connessioni, l’intelligenza è essere capace di connettere delle cose e produrne altre, e talvolta l’incapacità non è reale ma è rappresentata dalla persona, crede di non essere capace e mette in scena questa cosa …

 

Intervento: per esempio pensavo, proprio riguardo a questo, all’intelligenza, i bambini che incominciano già da presto ad avere questa necessità di essere al centro dell’attenzione e in molti casi vengono giudicati o cattivi, oppure non intelligenti perché il loro unico scopo è quello di guastare le cose, di mettersi in qualsiasi modo al centro dell’attenzione, e dei compagni e del maestro o del professore, di solito riguardo a una cosa di questo genere sono i genitori che si colpevolizzano nel senso che gli psicologi dicono ai genitori di “donare affetto” e tutte queste cose, ma al momento in cui questa scena si è fissata nel discorso della persona già dai primi anni ecco che non potrà cambiare quell’atteggiamento e quel modo che avrà quel bambino di essere incapace e poi per tutta la vita …

 

Sì, è come si reagisce a certe scene che determina poi la struttura di discorso, che era la domanda che si faceva Freud “perché una persona diventa ossessiva, un’altra paranoica, un’altra isterica, perché? Cosa succede? Dipende dal modo in cui affrontano e risolvono i primi problemi che incontra, per esempio un paranoico non penserà mai di sé di essere inadeguato, mai, neanche sotto la minaccia delle armi, se c’è qualche problema comunque è colpa degli altri, sicuramente non sua, questo per fare un esempio, mentre è il discorso ossessivo che invece assume su di sé tutte le colpe del mondo, per il paranoico è assolutamente impensabile di essere responsabile di qualche cosa che è andata male, se è andata bene allora sì, se no, no ed è assolutamente sicuro di sé. Ecco, questo è un caso di autostima, il paranoico ha una fortissima autostima di sé …

 

Intervento: allora il contrario di inadeguato è paranoico?

 

Non esattamente, non è che si tratti di fare questi rovesciamenti un po’ rapidi, un paranoico fa la caricatura dell’autostima, mettiamola così, che deve esibire a tutti …

 

Intervento: prendere consapevolezza del pensiero che ha generato un certo comportamento, la vera consapevolezza, permettere di rompere la catena di eventi che si ripropongono?

 

Sì, le faccio un esempio molto semplice di come funziona. Supponiamo che lei abbia paura che le abbiano rubato la macchina, è spaventata, è una seccatura mica da poco, e allora cosa fa? Esce fuori, vede che la sua macchina è ancora lì, si tranquillizza. Ecco, non era niente. È esattamente questo che succede, cioè ci si accorge che si è costruita la propria esistenza su paure, certe volte su angosce, su terrori addirittura che di fatto non erano niente, certo sono state costruite da una persona di pochi anni e quindi per una persona di pochi anni effettivamente certe cose possono generare un terrore tremendo, che per un adulto non significano niente, ma il meccanismo è questo, la consapevolezza di ciò che hanno costruito i propri pensieri, che tutto ciò che spaventa, che fa più paura, sono propri pensieri …

 

Intervento: però questo si può anche ribaltare sull’adulto … di un adulto all’interno di una relazione …

 

Esattamente, così come il bimbetto ha paura di essere abbandonato dai suoi genitori. Il bimbetto non ha ragione di pensare che i suoi genitori non lo amino più e che lo vogliano buttare fuori di casa, non lo fanno generalmente, tranne casi rari però in genere non avviene, quindi questa paura non è giustificata da niente, è giustificata, è costruita da una sua fantasia, lui ha costruito l’idea che i suoi genitori, siccome hanno avuto il fratellino, allora non lo vogliono più perché inadeguato, cioè “io non vado bene, se hanno voluto farne un altro è perché io non vado bene”. Ecco, da adulti si può pensare esattamente la stessa cosa, e cioè una donna può pensare di sé che il suo uomo “è ovvio che sia andato con un’altra, io non sono stata capace di soddisfarlo”, è un pensiero che talvolta accade in una donna, non sempre fortunatamente, ma accade …

 

Intervento: diciamo che è un circolo vizioso …

 

Sì è un circolo vizioso che può continuare a circolare per tutta la vita, se in qualche modo non si interrompe. Ho fatto un esempio ma sono molte le situazioni in cui può accadere una cosa del genere, anche a un figlio unico può accadere certo …

 

Intervento: si è detto che una donna può pensare che è colpa sua se l’uomo l’ha lasciata…ma è un delirio di onnipotenza però, nel senso che solo io sono in grado di tenerlo o non tenerlo …

 

Esatto, bravissima, questo è esattamente ciò che Freud chiama il tornaconto …

 

Intervento: ecco per cui questo delirio di onnipotenza se lo aggiusta anche un po’ nel senso che se questo è in negativo, ma se se lo tiene, è tutto merito suo …

 

Se potesse dirsi questo, già sarebbe un passo notevole, il problema è che questo passo il più delle volte non si compie, perché è considerato come se tutto fosse reale, cioè “io non sono capace di fare niente, sono un incapace e lui ovviamente mi molla perché non so fare niente”, e non riesce a pensare questa cosa in più, perché lei ha detto “se la potesse pensare”, allora effettivamente le cose potrebbero incominciare a vedersi in un altro modo, il problema è che in moltissimi casi non solo non si vedono ma non si riescono a vedere neanche quando qualcuno gliele mostra, come se non si volessero vedere, certe volte da quest’impressione, e questo proprio per il tornaconto perché se è così “allora dipende tutto da me” allora diceva giustamente “sono onnipotente”, questo è il tornaconto, solo che per mantenere questo devo rappresentare l’incapacità quindi sono da una parte onnipotente e dall’altra totalmente incapace, che è esattamente la situazione in cui si era trovato nell’esempio che facevo prima il bimbetto, una totale onnipotenza, cioè tutto dipende da me, appena faccio un gesto ecco che qualcuno mi da subito qualcosa, e poi la catastrofe totale, cioè non conto più niente. Anche questa è una fantasia che in molti adulti permane: o sono tutto o sono niente …

 

Intervento: io volevo chiedere come si arriva alla malattia, parlava di malattia prima …

 

Anche in questo caso le rispondo raccontandole un aneddoto. Un amico, un oncologo francese, un certo George Mathé che ha una clinica vicino a Parigi, si è occupato per anni di tumori, in particolare quelli al seno, e aveva riscontrato una notevole incidenza dell’insorgenza del tumore al seno nei casi di abbandono, per questo motivo giunse a inserire all’interno della sua clinica degli psicanalisti. Come dire che questa malattia era prodotta dalla persona, almeno questa era l’ipotesi, certo sono cose molto difficili da verificare, però a un certo punto ha notato questa coincidenza singolare. D’altra parte alcuni medici cominciano a riflettere su questo questione, tra l’altro antichissima, già Aristotele l’aveva individuata dicendo che una persona che è triste, giù di morale, abbattuta eccetera è più facilmente soggetta ad ammalarsi di chi invece fa delle cose bellissime, che gli piacciono, che lo divertono, è una cosa nota da tremila anni, non è di adesso …

 

Intervento: si abbassano le difese immunitarie …

 

Questo sposta solo la questione, perché si abbassano? Questo per dire fino a che punto il pensiero della persona influisce sul suo corpo, questa è una questione alla quale ancora non ci sono risposte soddisfacenti, è una questione aperta, sicuramente una questione di grandissimo interesse, che meriterà di essere considerata …

 

Intervento: quindi se l’inadeguato fosse un po’ ottimista affronterebbe tutto con leggerezza e si risolve tutto …

 

Se fosse ottimista non si sentirebbe inadeguato, sono cose che si escludono …

 

Intervento: sì ma a parte le difese immunitarie, perché il rapporto tra l’abbandono e il cancro al seno? Perché questa cosa specifica?

 

Perché il seno per le donne è una parte particolare, non è così indifferente come un gomito per esempio, ha a che fare con la sua femminilità, infatti una donna ci tiene moltissimo al suo seno proprio perché rappresenta la sua immagine, quello che immagina che l’uomo veda di lei, la sua femminilità, la sua desiderabilità, ecco perché è più importante, più di un gomito o di un polso, che sono importanti ma hanno un’importanza differente …

 

Intervento: a questo punto all’adolescente che cosa consigliamo? una bella aggressività estroversa per cui impara invece ad odiare questa persona, anziché caricarsi anche della responsabilità di essere stata abbandonata, dovevo essere più dolce, più sottomessa, meglio un sano odio …

 

Ci sono due questioni in ciò che lei dice, la prima è che non si tratta certo di farsi calpestare, ma neanche sparare in testa a chi dà fastidio. Ci sono delle situazioni in cui ciò che fanno i genitori, qualunque cosa facciano o non facciano, questo può essere assolutamente indifferente. Spesso i genitori si incolpano assolutamente senza motivo, perché non è tanto quello che dicono o che fanno, anche certo, ma non solo, dipende anche da come il figlio o la figlia “legge” per così dire le informazioni che riceve e questo dipende dal figlio o dalla figlia e non dai genitori, per cui si può anche insegnare a un bambino a essere aggressivo e magari invece diventa una persona mite, perché le sue fantasie vanno in quella direzione. È difficile modificare attraverso il comportamento, sì qualche cosa si può fare ma occorre lavorare sulle fantasie, per fare diventare per esempio un uomo una belva, qualcuno c’è riuscito, almeno parzialmente ma non lavorando sulla persona in quanto tale ma sulle masse. Per esempio Hitler aveva fatto un buon lavoro in questo senso, molte SS erano persone un po’ discutibili, come un tale a nome Reinhard Tristano Heydrich, noto come “la iena di Varsavia”, e non per la sua bontà e gentilezza. Ci sono delle tecniche, adesso stanno lavorando, l’esercito americano e quello inglese, utilizzando le neuroscienze, per costruire degli uomini più adatti a combattere, però già i tedeschi avevano raggiunto un ottimo livello. Cos’è che fa di una persona una belva? La rabbia? Spesso si, certo, ma non necessariamente. Eichmann non era arrabbiato con nessuno anzi, era una persona mite, docile, gradevole, eppure ha ammazzato sei milioni di ebrei, non da solo naturalmente. Sono state le sue convinzioni, le cose in cui credeva, se volete dirla tutta: i suoi valori. Ciascuno ritiene che i suoi siano i migliori è ovvio, i più importanti e i più degni di essere perseguiti, sono i valori a scatenare le guerre, che in definitiva sono sempre di religione, cioè una verità contrapposta a un’altra, che poi sia economica, politica, queste sono questioni irrilevanti però è sempre una guerra di religione, uno scontro fra ciò che io credo vero e che quell’altro deve credere vero, come dire: che se il mio dio è il dio vero, il tuo che è diverso dal mio non può essere il dio vero, uno dei due deve soccombere, come accade generalmente. Direi che a una fanciullina non è il caso di insegnare a essere una belva feroce, ma forse la via è quella di farla parlare il più possibile, perché è parlando che le persone incominciano, anche se ovviamente un genitore non è un analista, non è una situazione analitica, ma in ogni caso è facendo parlare le persone che si incomincia non soltanto a saperne di più di loro, ma a porre anche le persone in una condizione in cui si accorgono dei loro racconti, si accorgono di che cosa li ha costruiti, vengono in mente delle altre cose. Quindi l’unico suggerimento che posso dare alla sua richiesta è quello di parlare il più possibile con questa fanciullina nel caso specifico, non addestrarla né alla guerra né a essere sottomessa ovviamente, né l’una cosa né l’altra, è già il governo che ci pensa ad addestrare alla guerra quelli che devono controllare e alla sottomissione quelli che devono essere controllati. Infatti dicevo che il risvolto politico e sociale di tutta la questione connessa al sentirsi inadeguati è notevole, come accade con gli psicologi, adesso non so se ci sono psicologi qui, ma uno degli utilizzi maggiori delle psicoterapie è quello di inventarsi malattie: qualunque cose una persona faccia o non faccia è perché ha un disturbo, è perché è malato, è perché ha qualche problema. Non so se vi siete accorti della proliferazione inaudita di malattie psichiche, qualunque cosa adesso ha il suo nome; più ci sono malattie psichiche più le persone si sentono in difetto, si sentono inadeguate, e una persona che è normalissima però sa, perché lo ha letto da qualche parte, che ciò che fa è segno indiscutibile di malattia, ed ecco che allora “sono malato”, quindi ho bisogno dello psicologo. Si sta creando un esercito di persone che crede di sé di essere malato, e quindi di avere bisogno di qualcuno, e quindi persone, come dicevo prima, molto facilmente gestibili, che non danno fastidio, che è questo poi l’obiettivo finale …

 

Intervento: prima parlava della politica, ha accennato qualcosa sulla politica, ma anche sempre concentrare nei telegiornali cose negative ha la funzione di controllarci e renderci quindi gestibili e sott’omissibili, che poi alla fine è vero capitano delle disgrazie ma non è che sia un concentrato per esempio a Torino, Milano ci siano sempre donne stuprate (non più di quante ce ne fossero duecento anni fa) per creare paura appositamente per metterci il bisogno di comprare questo o quell’altro …

 

Questo è il modo in cui per esempio gli Stati Uniti sono riusciti a fare la guerra all’Irak con il consenso popolare instillando la paura. Una persona che ha paura fa qualunque cosa per alleviare la sua paura, così come ciò che sta accadendo adesso cioè la crisi, siamo sicuri che ci sia? O no? Perché per esempio, visto che da per tutto si continua a dire che tutto questo è stato causato dalla speculazione delle banche, perché dobbiamo pagare noi tutti i danni, e come funziona questo sistema bancario? Adesso non mi riferisco alla banca che ciascuno ha sotto casa, ma le Banche centrali, europee e americane soprattutto, quali manovre internazionali si stanno compiendo? A chi giova soprattutto questa crisi, la domanda che si facevano già i latini “cui prodest?”, perché a qualcuno sicuramente giova, e l’importante è fare in modo che i cittadini invece credano che sia una crisi, scaturita, nessuno sa bene da che cosa che però c’è, e quindi bisogna correre ai ripari subito, come? Stringendo la cinghia e facendo sforzi, se la gente si è persuasa di questo va bene e allora il gioco è fatto e non c’è più nessun problema. C’è stata un’operazione di narcotizzazione della popolazione ormai da decenni, ed è in atto, e quello che spiace è che spesso colpisce i giovani questa sorta di narcosi, sono loro in genere che si ribellano, che si scatenano, che fanno qualcosa, non sono i vecchietti che ormai non hanno più né la voglia né la forza per scatenare alcunché. Di fronte a una cosa del genere verrebbe da pensare che potrebbe scatenarsi una guerra civile, che è una gran brutta cosa. Ma adesso lasciamo stare queste deviazioni. Qualcuno si sente inadeguato? Potrebbe riflettere su questa inadeguatezza, cioè inadeguato rispetto a che cosa? O qual è la domanda che si immagina da parte dell’altro rispetto alla quale si è inadeguati? E qui torniamo a ciò che diceva un signora che adesso non vedo più, sul tornaconto: se tutti quanti vogliono cose importantissime da me, talmente importanti e difficili che io non sono capace di farle, è ovvio che io sono una persona importante, tutti si rivolgono a me e tutti si aspettano da me grandi cose, ma siamo proprio sicuri che sia così? Che tutti quanti si aspettino da lei grandissime cose, magari nessuno si aspetta niente: ecco, non c’è nessuna aspettativa quindi non sono inadeguato, e poi a che cosa? Anche questo è da valutare. E non basta neanche questo, perché una persona può giudicarmi finché vuole e la cosa può lasciarmi totalmente indifferente. Ma se si sente inferiore già questo è un suo pensiero, che ha costruito, e che lo conduce ciascuna volta o comunque molto spesso a sentirsi inferiore in certe situazioni, di fronte a certe persone. Pensieri dai quali non esce più, continua a girare finché la cosa un po’ alla volta si smorza, fino alla volta dopo naturalmente, per cui tutto ricomincia esattamente come prima. Il messaggio di Freud è che c’è la possibilità di potere incominciare a giocare con i propri pensieri anziché subirli, li si subisce quando non ci si accorge che sono delle costruzioni ma si pensano essere cose assolutamente reali anzi, le più reali che esistano. Per una persona che si sente sempre inadeguata, la sua inadeguatezza è la cosa più reale del mondo, eppure è una sua costruzione e continua a pensarlo, come ho detto a un certo punto, nonostante moltissime persone intorno continuino a dire che invece è adeguata, che è capace, che è tante belle cose, ma per la persona in questione non cambia assolutamente niente, la sua convinzione non si sposta di un millimetro, come se proprio non volesse spostarla e infatti non lo vuole.

Cosa avete tratto da queste poche cose che sono riuscito a dirvi questa sera? Ecco, questo mi interessa saperlo, se qualcuno è così generoso da dirmelo gliene sarò profondamente grato …

 

Intervento: quindi uno fa un percorso di psicanalisi dove la persona appunto la persona parla di sé e non vuole cambiare la sua situazione di inadeguatezza, questa psicanalisi può andare avanti anni e la persona rimane così com’è …

 

Non proprio, anche se è vero in parte quello che dice, cioè la persona non vuole assolutamente modificare la sua posizione, e questo è uno dei motivo per cui l’analisi è un percorso abbastanza lungo, però si tratta ciascuna volta di porre le condizioni per cui la persona possa abbandonare un suo pensiero a vantaggio di un altro che interviene, è questo che intendo, anche, quando parlo di potere giocare con i propri pensieri, quando una cosa non è più sostenibile dai suoi stessi pensieri, non è più credibile che sia proprio così, è a quel punto che incomincia a volgersi da qualche altra parte, certo non è semplice, è come persuadere un fondamentalista islamico che Allah è un grullo qualunque, in questo caso è anche pericolosissimo, però appare una cosa impossibile perché lui ha la fede e la fede è incrollabile e anche la persona che è assolutamente convinta di essere inadeguata ha una fede, ha la fede nella sua inadeguatezza, per questo è così difficile da articolare una cosa del genere …

 

Intervento: però non mi sembra un esempio calzante perché il fondamentalista non ha nessuna voglia di cambiare la fede in Allah, di fatto la persona che va dall’analista è perché ha voglia di cambiare e inoltre lo paga l’analista o è ricchissimo e si permette di andare anche senza un cambiamento o altrimenti è piuttosto strano che uno spenda dei soldi senza porsi l’obiettivo di cambiamento …

 

Sì, certo, infatti una persona inizia l’analisi proprio perché vuole sbarazzarsi di qualche cosa che crea qualche problema, ed è questo che sorprese Freud, come ho detto prima: il fatto che delle persone vanno da lui, lo pagano, impiegano tempo, denaro eccetera e arrivati a un certo punto non vogliono proseguire, preferiscono mollare tutto proprio quando qualche cosa si sta intendendo, si sta elaborando, e questo lo aveva sorpreso parecchio. Come mai la persona non vuole abbandonare le sue fantasie? E questa è una bella questione: perché le persone sono così aggrappate ai loro “sintomi” per usare una parola che usava Freud? Perché non li vogliono abbandonare? Per lo stesso motivo per cui li hanno creati naturalmente, se no non li avrebbero neanche creati, non ci sarebbe nessun problema, nessun sofferenza, niente, perché uno dovrebbe soffrire? Come ho detto prima non è proibito, è facoltativo …

 

Intervento: con la psicoterapia il medico aiuta la persona, ha un dialogo, le fa vedere determinati suoi meccanismi che si ripetono … non sarebbe più utile? Nella psicanalisi la persona ci arriva ma ci arriva dopo anni se ci arriva, mentre con una psicoterapia forse è più veloce …

 

Non è proprio così. C’è una differenza sostanziale. Un certo percorso può togliere provvisoriamente della sofferenza, un altro percorso può togliere la necessità di soffrire, che è molto diverso. Si può togliere la sofferenza, ci sono vari sistemi, anche una mezza bottiglia di wisky la toglie, però poi torna e queste psicoterapie di cui lei parla possono avere degli effetti apparentemente miracolosi, però se le cose non si sono articolate, non si sono svolte, non si sono intese, cioè non sono entrate in gioco, si ripropongono inesorabilmente. È lo stesso problema che incontrò Freud rispetto all’ipnosi, è vero, con l’ipnosi il sintomo scompare immediatamente, ma poi torna dall’altra parte; una persona che ha paura dei topi cessa di avere paura dei topi, ma poi gli viene la paura degli scarafaggi, e così Freud abbandonò l’ipnosi. Tutti questi sistemi che si basano in buona parte sulla suggestione possono avere effetti anche apparentemente miracolosi sul breve termine, così come accade dappertutto: un fanciullino vuole portarsi a casa la fanciullina e allora le dice “ti amo”, e lei lo segue, spesso, non sempre naturalmente. Il fanciullino stava mentendo, però l’ha persuasa, è stato bravo, glielo ha detto nel modo giusto, l’ha persuasa e ha ottenuto il suo risultato. La persuasione funziona così. Però da una psicanalisi ci si aspetta qualcosa di più, e ciò che ci si aspetta non è tanto perdere, sì certo, come effetto collaterale, il disagio, la sofferenza, l’angoscia, la paura eccetera, ma ciò che si abbandona è la necessità di avere tutte queste cose: la paura, la fobia, il disagio eccetera, perché è proprio quella necessità che le ha create, e se la persona le ha create, come ho detto all’inizio, c’è un buon motivo, e questo motivo generalmente permane, e finché permane quel motivo non cambia nulla …

 

Intervento: quali sono i sintomi per iniziare una psicanalisi? Perché mi pare che tutti ne avrebbero bisogno …

 

Questo potrebbe essere. Il fatto che una persona viva meglio se può giocare con i suoi pensieri anziché subirli questo è fuori di dubbio, però ciò che spinge generalmente a iniziare una psicanalisi non è una curiosità intellettuale nei confronti del proprio pensiero, che sarebbe la situazione ideale tecnicamente, ma è invece qualche altra cosa, qualche cosa che si immagina e nei cui confronti ci si pone come se fosse un corpo estraneo che non appartiene, senza invece accorgersi che fa parte di lui, che è lui, e non può toglierlo, può ascoltarlo, e ascoltandolo cambia tutto.

Bene, allora giovedì prossimo “La paura, l’insicurezza, la fragilità”. Buona serata a tutti.