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8-6-2004

 

LegoLibri

 

Beatrice Dall’ara

 

La depressione e il suo rimedio

 

Allora proseguiamo questi incontri, martedì scorso c’è stata la conferenza di Luciano Faioni: “Dalla noia alla depressione” questa sera continuiamo con “La depressione e il suo rimedio” e questo è il tema. Ecco ciò di cui voglio parlare, ciò su cui voglio porre l’attenzione è la depressione come viene intesa dal luogo comune il quale si trova a descrivere la depressione, si trova a illustrare la depressione ma tuttavia non sa bene che cosa sia questa depressione, ne parla dice che le cose stanno in un certo modo. Come ne parla il luogo comune ne parla l’istituzione, la medicina e poi mi interessava porre la questione della depressione dal punto di vista del depresso cioè colui che effettivamente produce depressione. Colui che produce depressione ma che è interessato alla sua storia e che di fronte, per esempio, a delle questioni che si ripetono e che producono del disagio, questo personaggio, il depresso intraprende un percorso analitico… mi interessava appunto porre la questione di cosa ne dice il luogo comune, l’istituzione, la scienza che tuttavia non si interessa a cosa pensa il depresso ma si interessa a cosa farne del depresso, perché non trova la scienza, una chance di fronte alla caparbietà della depressione e invece cosa ne può dire un depresso che intende un percorso analitico. La scienza o il luogo comune lo considera un personaggio a volte scomodo, a volte problematico, in certi casi anche noioso, noioso perché il depresso è molto sicuro di quello che afferma, le sue affermazioni pur se sono affermazioni di non senso, sono a affermazioni… è sicuro, è tracotante per cui ad un certo momento infastidisce e quindi se infastidisce allora ci sono le autorità preposte all’uopo e loro si occupano del depresso e infatti la depressione è diventata una malattia, non si consiglia più al depresso di fare un’analisi perché pare inutile anzi a volte il depresso, come dicevo, è considerato un personaggio scomodo e a volte anche insignificante allorché questo depresso è chiuso in sé e in qualche modo rifiuta l’aiuto che gli viene teso da una società, dal luogo comune il quale immagina di poterlo aiutare, di potere fare con lui dei discorsi che lo conducano a potersi divertire, a smuoversi da quelle postazioni che invece lui assume, al momento in cui, dicevo, questo depresso se da un lato accoglie l’aiuto perché questo aiuto gli da modo di confermare e di raccontare e di insistere a mostrare quel mondo negativo che pare non avere chance, a mostrare una realtà anche molto catastrofica quindi appunto pare ormai questo depresso non avere diritto di parola, può rivolgersi a delle istituzioni religiose per compiere degli atti di volontariato ma pare non trovare stimoli ed è per questo forse che incuriosisce il luogo comune, incuriosisce come il depresso non possa trovare stimoli… ma dicevamo del fastidio che procura al luogo comune… forse alle istituzioni no, perché hanno dei mezzi portentosi per sedarlo, per fare il suo gioco tuttavia ma dicevo di come sia straniante in qualche modo il depresso proprio perché è intanto, come dicevo, molto sicuro e arrogante e pare non potersi divertire così come si divertono le umane genti, così come invece è possibile, è pensato possibile farlo in un mondo in cui tutti possono trovare e provare la felicità, il divertimento, per distogliersi da quelli che sono i brutti pensieri… pare che questa sia un’operazione non possibile per il depresso tanto che anche ormai le psicoterapie si sono stancate… adeguate… la volta scorsa uno psicanalista, appunto, affermava che con il depresso non è possibile agire perché con il depresso non si può costruire nulla, perché qualsiasi cosa si tenti di costruire questa cosa viene subito bloccata sul nascere, viene subito fermata e la parola si blocca, è un po’ una rappresentazione che fa il depresso nel suo “non muoversi”, nel suo “fermo” nel suo mostrare una caparbietà che tuttavia gli è data appunto da quella sicurezza che mostra nel proseguire imperterrito nella solita direzione anche se afferma che non c’è un senso nelle cose del mondo e il luogo comune dicevo è stranito, in qualche modo intimorito dalla depressione. La depressione è un pericolo, la depressione è sempre lì latente, in attesa che possa capitare fra capo e collo a ciascuno e le notizie, le cose che fanno notizia nella nostra società e che interessano il luogo comune in certi casi sono catastrofiche, sono catastrofiche e sempre di più vengono costruite in questo modo, sono proprio costruite in questo modo perché solo in questo modo “intanto” interessano, suscitano l’interesse del luogo comune, della gente, la gente con le grandi storie, con le grandi notizie cioè con le cose che fanno notizia perché interessano il luogo comune per cui è bombardato continuamente da notizie catastrofiche e sempre di più perché ha bisogno di quelle sensazioni e di quelle emozioni che queste storie, questi eventi… dalle guerre continue, ai terremoti, agli uragani, agli incidenti sempre più rocamboleschi, dagli omicidi sacrileghi e dai suicidi… sono queste le cose che fanno notizia, che suscitano l’interesse del luogo comune e al luogo comune si “regala” ciò che domanda, ciò che chiede, cose cioè che suscitino le grandi sensazioni, che suscitino in poche parole molte cose da dire, ma soprattutto emozioni per le quali continuare il discorso con l’amica dicendo “hai visto cosa è successo?” emozioni e sensazioni che si provano in quei film che si vanno a vedere al cinema ma poi si esce, si va a casa, è qualcosa che è al di là di me, è qualcosa che capita, ma capita… fortunatamente non sta capitando a me, è chiaro che si sa che non è un film è la realtà che impressiona, commuove, ma anche infastidisce, infastidisce nel senso che cattura l’attenzione, provoca sensazioni forti però ecco al luogo comune è dato, laddove questi pensieri e questa realtà che fa notizia e che viene costruita proprio perché così fa notizia, questa realtà è possibile cambiarla nel senso che è possibile laddove i reportage della guerra siano sempre più fitti in tutti i canali, è possibile trovare un canale dove programmano un film comico… “adesso basta non ne posso più!” Adesso mi diverto con qualche cos’altro cioè distolgo il mio pensiero da qualche cosa che è lì, mi emoziona, mi infastidisce, di fronte alla quale sono impotente però insomma adesso basta mi leggo un libro, faccio una corsa in bicicletta, faccio un viaggio, mi compro una torta grandissima, insomma distraggo il mio pensiero e mi diverto, mi diverto e in qualche modo dimentico quelle cose sono fuori di me, ci sono gli organi stabiliti anche in questo caso, che penseranno in qualche modo a una risoluzione, anche se poi ci sono persone che si occuperanno di tutto questo ma questa è un’altra questione… e quindi diciamo che nel luogo comune non si capisce come sia possibile invece per colui che si afferma depresso non “cambiare mai canale” non trovare uno svago, non trovare nulla, è come se quel depresso, sto parlando del depresso quello che produce depressione e che comunque è ancora interessato a mettersi in gioco, colui che intende un percorso analitico, deve essere molto chiara questa distinzione perché se no la mia opinione vale quanto quella del luogo comune, e invece no qui stiamo parlando del depresso quello che ha voglia di mettersi in gioco e quindi darsi da fare e di vedere come avviene che lui ha sempre bisogno di farsi del male, perché il depresso è colui che tutto sommato afferma la sua sofferenza, afferma che soffre, lo dimostra continuamente, non si muove, non trova un senso alle cose e non può chiedersi, questo personaggio, se non in un percorso analitico, perché mai le cose dovrebbero avere un senso. Non lo può fare chiaramente perché è troppo interessato, è troppo interessato da che cosa? dalla sua depressione. E’ come se, ritorno alla metafora di prima quella dello spegnere il televisore, cambiare canale… è come se il depresso non potesse cambiare canale ed è per questo che impaurisce, infastidisce il luogo comune, luogo comune che cerca di trovare una soluzione a questo problema perché potrebbe capitare a chiunque di non potere cambiare canale e quindi essere fissi e fermi, immobili in una solita postazione, però il signore di cui parlavo è il depresso che qualche chance se la riserva ancora perché tutti i consigli che gli sono stati dati dagli amici, dal prete, dal medico non gli sono serviti a nulla, sono discorsi che lui si è fatto molto prima del prete, dell’amico, parlare col prete, parlare con l’amico è parlare e a lui basta quello parlare, fare le sue e compiere le sue affermazioni, a lui basta può continuare e continua a parlare con sé in molti casi perché è lui è il suo miglior interlocutore…. e allora questo nostro amico il quale è descritto dal luogo comune come una persona a volte anche insignificante, beh, insignificante perché non è capito, perché non si suppone che questo personaggio sia un grande giocatore, un giocatore che trae tutti gli stimoli che gli servono per continuare a vivere, da quella storia che lui si produce, che lui si costruisce, che si riproietta continuamente per cercare quelle emozioni e quelle sensazioni che solo quella storia che lui costruisce gli può dare, è chiaro che questa storia che il depresso, colui che intraprende un percorso analitico, questa storia anche per lui è la realtà, è l’assoluta realtà che il depresso agisce, ed è della realtà di cui parla continuamente il depresso, delle sensazioni e delle emozioni continue che trae da quella realtà che lui costruisce e che riproduce perché nessun’altro stimolo lo può soddisfare, nel senso che nessuno stimolo gli può dare quello che gli da la sua storia, quello che quella storia, quel film dal quale non riesce a staccarsi, film chiaramente che lui non intende una sua costruzione, non intende assolutamente questo, ma intende realtà, perché lui parla, lui parla della sua realtà, descrive la realtà, la descrive fin nei più piccoli particolari, ogni particolare della realtà è motivo per il nostro campione per la ricostruzione di questa storia, non può uscire da questa storia come i bambini, i bambini piccoli che amano giocare sperticatamente, i quali conoscono un unico gioco, il primo gioco quello che li ha interessati perché quel gioco ha procurato loro le più grandi sensazioni, emozioni, la più grande soddisfazione, perché no? Questa sera voglio porre l’accento sulla soddisfazione perché si parla sempre di sensazioni, di emozioni voglio parlare della soddisfazione e il bambino vuole sempre giocare quel gioco guai a distrarlo, a deluderlo, ed è solo quel gioco che lui vuole giocare, solo quando avrà provato crescendo le soddisfazioni di altri giochi allora potrà tralasciare quel giochino che gli piace tanto, nessuno può negare, che il bambino quello che muove ininterrottamente e non si stanca perché ha solo voglia di muoversi, non sia un abile giocatore, vive per il gioco non c’è altro al mondo che lo attragga, gioca continuamente, però finché non si accorge di altri giochi non può che giocare quell’unico gioco e il nostro amico depresso, quello che vuole mettersi in gioco, quello che tuttavia non si accontenta, non si acquieta, non accetta lo psicofarmaco, né l’elettrochoc né la tal preghiera, beh, quello non è assolutamente quella persona insignificante che viene descritta dallo psichiatra il quale non ha che dei farmaci a sua disposizione per sedarlo ….no, no è uno stupefacente giocatore solo che purtroppo non sa che è ben poca la soddisfazione che può trarre da quel gioco che lui ininterrottamente gioca, il quale gioco contiene la sofferenza, necessariamente, perché in questo gioco che lui va giocando la sofferenza è uno degli ingredienti principali ma quella sofferenza, quell’ingrediente principale che mostra, è nulla al confronto di quelle soddisfazioni che lui trae là dove crede e dove riesce a ricostruire continuamente questa storia, questa storia in genere riguarda qualcosa di perduto, qualcosa che non è più a sua disposizione, per questo trae quelle conclusioni di non senso ma il non senso riguarda soltanto il fatto che il depresso sa che non potrà mai più ritrovare quella sensazione, quella soddisfazione anche se la ricerca in continuazione, anche se il gioco vince e vince con le sue rappresentazioni, con le sue scene, con i suoi film ma è la realtà, è la sua realtà, una realtà che il depresso può soltanto descrivere nei suoi più piccoli particolari, può descrivere, chiaramente il depresso colui che produce depressione per molto tempo parla e si trova a descrivere la realtà e sa che lo fa perché c’è un linguaggio che permette la descrizione però è talmente preso dal suo sentire che vuole descrivere, far vedere non dando assolutamente nessuna importanza a quel “mezzo” che gli permette di compiere questa operazione, il mezzo è il linguaggio, sa benissimo che la descrizione avviene attraverso delle proposizioni, questo lo sa, lo sa ormai e non può non saperlo, ecco al personaggio, al depresso, al nostro amico, a quel giocatore folle, che ricerca una soddisfazione che ricava dai particolari più insignificanti, manca ancora un passaggio per intendere, intendere come fare a non essere più interessato a quella costruzione che va facendo e che lui chiama depressione, la cosa che deve intendere, che deve sapere è che di questa descrizione che lui fa il linguaggio non è un mezzo, il linguaggio è ciò che gli permette di parlare e quindi di descrivere, salta questo particolare e cioè che non sta descrivendo degli affetti, in molti casi, dei sentimenti, delle arrabbiature ma li sta producendo, li sta letteralmente producendo e non può accorgersi di questa produzione che avviene perché immagina che la realtà sia qualcosa di identico per tutti, è costrittiva la realtà, la realtà non si può pensare come una mia costruzione dovuta al fatto che sto parlando e sto utilizzando la realtà, questo termine, per descrivere quelle che sono le cose che a me interessano, che a me attraggono, che io decido con il mio pensiero che mi piacciono o che non mi piacciono, solo il mio pensiero e quindi il mio discorso può muovere le cose, cose che sono sterminate, ciascuno sa quante sono le cose che possono divertire le persone però per ciascuno queste cose sono diverse anche se sono la realtà. Dipende, dipende da ciò che mi attrae, da ciò che per me funziona da motore, da ciò che il mio pensiero e solo il mio pensiero può muovere…ecco che il nostro amico il depresso a questo punto e solo a questo punto quando si accorge che solo nel suo pensiero e con il suo pensiero e perciò con il suo discorso può decidere e quindi affermare quelle che sono le cose che gli piacciono ma lo può fare solo con un atto di pensiero, con un atto di parola, se non esistesse il suo pensiero, la sua parola quelle cose nulla sarebbero ché se non le potesse desiderare, per esempio, mancando questa conclusione come farebbe a desiderare? Per lui quelle cose non esisterebbero e quindi è soltanto con un atto del suo pensiero che avviene quella realtà che lui crede di esprimere, solo con un atto di pensiero, del suo pensiero non del pensiero dell’analista, ché all’analista non gliene importa assolutamente niente, all’analista importa che si svolga il pensiero della persona che è curiosa del suo discorso, se non avviene questo, se non avviene questo accorgersi da parte della persona e questo avviene, avviene inesorabilmente anche se non è semplice, accorgersi, dicevo, della sua responsabilità di quel mondo che va agendo laddove si trova a parlare di sofferenza, di subire un mondo perché quando si accorge della sua responsabilità in ciò che afferma, beh, si accorge di essere l’artefice di quel mondo che lo affascina anche se non dice proprio così e allora a quel punto può porsi la domanda circa, circa le cose che l’attraggono perché è cambiato proprio completamente il mondo e non si tratta più di una descrizione, si tratta del agire di un discorso che è libero nel suo pensiero, il suo pensiero può di fronte alle cose che gli accadono muoversi e trovare tutte le possibilità che gli sono date, ma solo al momento in cui si trova artefice e responsabile del discorso che lui va facendo, lui non altri, qui comincia la parte più interessante, più produttiva perché a questo punto è come se si togliesse di mano alla persona, al depresso a colui che non può che descrivere una realtà, si togliessero di mano e al tempo stesso gli si fornissero gli strumenti per intendere come avviene e quali sono le questioni che rendono a lui quel mondo attraente, a quel punto potrà decidere se è ancora interessato alla sua depressione. Sicuramente non sarà più interessato perché si accorgerà che darsi le martellate sul dito fa male, si accorgerà di questo e considererà che per arrivare al suo obiettivo quello di raggiungere e di costruire la sua unica soddisfazione, si accorgerà che non è necessario darsi le martellate sulle dita per poter pensare, perché è del pensiero che si tratta. In una analisi è del pensiero che si tratta, del proprio pensiero, pensiero che non può muovere finché non si ha la responsabilità del proprio discorso, discorso che è fermo, fermo e immobile su quelle realtà che il discorso in cui ci troviamo ha costruite per non pensarci più, perché c’è chi ci pensa, perché è necessaria l’incapacità e la delega della responsabilità agli “organi competenti”. Come avviene una questione di questo genere? Avviene perché nessuno ha mai pensato… ci si è dato molto da fare intorno al pensiero descrivendolo come qualcosa di diverso dal discorso, ma chi o che cosa se non il proprio pensiero può giudicare ciò che mi piace? E non è esattamente la sofferenza ciò che mi piace, la sofferenza è un pretesto per godere di una soddisfazione, quella soddisfazione che comporta la produzione della depressione, produzione continua di depressione, quel gioco, a questo punto possiamo tranquillamente parlare di depressione come gioco linguistico che ha delle regole ben precise una delle quali è quella che fa procurare molti guai al depresso il quale ha un unico obiettivo quello di raggiungere il suo scopo e il suo scopo è quello di continuare a cercare una soddisfazione che non troverà mai. Posso fare un esempio perché non è semplicissimo cosa intendo quando parlo di soddisfazione: si sa che le mamme sono sempre molto preoccupate per i figli, figli che devono fare la loro vita, escono, vanno di qua, vanno di là e alla sera per lo più tornano molto tardi, e le madri non dormono, non possono dormire e augurano, ma non è questo che mi piace dire né ciò di cui voglio parlare questa sera, costruiscono continuamente delle disgrazie tremende per i loro figli e non possono non farlo, lo fanno tutte le mamme, è un luogo comune, come si può di fronte alle cose del mondo non preoccuparsi per i figli? E tutte le sere non dormono e tutte le sere costruiscono la tragedia e vivono per molte ore in questa tragedia sensazioni, emozioni tremende poi nella toppa gira la chiave, il ragazzo o la ragazza entra …che felicità per quella mamma non si è avverato ciò che lei aveva stabilito e questa è la grande soddisfazione e poi domani ricomincerà l’attesa… perché questa è la realtà, questo era un esempio, un inciso per avvicinare ciò che intendo quando parlo di soddisfazione: una grande gioia, una grande felicità perché quello che avevo previsto non si è avverato e quindi portare il nostro amico depresso alla responsabilità di ciò che afferma, ad accorgersi che sta affermando e che è solo il suo discorso, la sua parola, il suo pensiero che lo sta facendo potrebbe fare altro, potrebbe affermare in un altro modo, potrebbe negare, potrebbe confutare ma non lo fa, accorgersi di questo è l’analisi è ciò che comporta il percorso di cui stiamo parlando. Percorso di parola chiaramente accorgersi di essere il discorso che si sta facendo e di averne l’assoluta responsabilità. Ancora una cosa, la volta scorsa Luciano Faioni nella conferenza “dalla Noia alla Depressione” parlava, illustrava la questione del tornaconto, della responsabilità e di come occorre rendere responsabili di quello che vanno dicendo le persone che intraprendono il percorso, che compiono un percorso analitico e diceva come dalla noia molte volte si scivoli dolcemente nella depressione e quindi appunto illustrava questa questione della responsabilità e di come portare la persona alla responsabilità delle sue affermazioni perché se non avviene questo rimane la descrizione di un sentire e quindi di un mondo esterno che infierisce, a quel punto una signora, come molte volte accade è intervenuta e quasi scandalizzata si è trovata a dire “ma lei colpevolizza il depresso” ponendo la questione della responsabilità, è come dire che la depressione ha mandato a punto il suo obiettivo ha scambiato la responsabilità della persona con la colpa intendendo la colpa non certamente come un gioco linguistico, che è ciò di cui si tratta tutto sommato ma intendendo la colpa come qualcosa che se la persona si costruisce è colpa sua e allora occorre punirla, in questo senso la signora ha inteso la questione… ma quando noi parliamo di responsabilità parliamo di ben altro, sapendo benissimo che la colpa è parte integrante della depressione, il depresso gioca con queste cose, questo è una delle questioni che lo divertono per lo più, divertono il suo discorso nel senso che il suo discorso lì si intrattiene e trova motivo di parola e quindi di proseguire assolutamente in una certa direzione, basta pensare al paranoico, il quale pur di affermare le sue verità deve costruire la persona che continuamente lo affligga, un persecutore, la colpa è una delle storie che interessano per lo più, basta andare al cinema c’è sempre un colpevole, è un ingrediente fisso in ogni storia, pare non ci sia storia senza la colpa… e quindi quella signora ha inteso soltanto alla moda o come può intendere il depresso la depressione… e invece no quando parliamo di responsabilità parliamo di quel responso che è inamovibile e che serve al depresso… responso, quella risposta che il depresso non può mettere in gioco, non lo può fare per nessun motivo perché se lo facesse crollerebbe tutto quel castello che lui costruisce per vivere, per rinunciare a vivere sarebbe più esatto dire, perché la ricchezza a disposizione di colui che può giocare è immensa, è data dal suo pensiero non dal pensiero dell’altro che gli dice quello che deve fare, che gli dice come deve muovere… certo è più semplice così serve in molti casi per una certa soddisfazione e cioè per dirgli “non hai ragione” “sbagli” “è colpa tua sei tu che…”e quindi ricominciare il giro ma è del pensiero ciò di cui si tratta in questo percorso e alla sua responsabilità… bene sono le dieci, ci sono questioni?

Intervento: non capisco perché lei ha detto che il depresso è arrogante?

Diventa arrogante… diventa arrogante il depresso perché qualsiasi tentativo si faccia per divertirlo, per dirgli che nel mondo ci sono molte possibilità, il depresso le abbatte continuamente “sì, però hai visto cosa è successo… il mondo è tremendo, il mondo è orribile” e quindi in questo senso è arrogante, è arrogante perché sa qual è la verità mentre gli altri non lo sanno, si divertono, vanno di qua e di là ma non sono sicuri delle loro affermazioni come è sicuro il depresso che smonta tutto, per questo è arrogante. Anche nella sua docilità a volte, ci sono dei depressi assolutamente docili, provi lei a contraddirli si chiudono in un mutismo per cui non c’è assolutamente nulla da fare, da dire, non c’è modo di divertirli, se non con le cose che a loro interessano, è l’interesse che suscita la loro parola e trovano l’interesse anche in cose che agli altri non dicono nulla per il depresso no, è una ricerca spasmodica, è una chiusura continua, è un’affermazione continua che fa il suo discorso, se però il depresso non si accorge delle sue affermazioni e quindi dei suoi giudizi come fa il depresso che ha a che fare con un mondo esterno ostile che descrive e di cui non ha la responsabilità? è un mondo che subisce e non si accorge che è lui che lo agisce questo mondo, al momento in cui se ne accorge perché può pensare, perché sa pensare, perché non è precluso a nessuno il pensiero… pensare non è difficile, è difficile al momento in cui ci sono dei macigni sulla mia strada che non posso interrogare, non lo posso fare perché credo che siano veri e che esistano al di fuori del mio discorso, al momento in cui li posso interrogare, posso chiedermi perché, perché le cose stanno così? Perché le vedo così? Perché mi piacciono queste cose? Allora sì che incomincia a mostrarsi la possibilità, solo al momento in cui può pensare ma non può farlo finché il suo unico interesse è quello di soddisfarsi con la depressione. Per questo spaventa il luogo comune la depressione, per questo la depressione è una malattia e ci sono i farmaci adatti per farlo dormire, il depresso poi chiede questo chiede di dormire e cioè di fare il suo gioco, il depresso non vuole pensare perché crede di non potere fare nulla con il suo discorso, non da assolutamente chance al suo pensiero, non lo può fare… però non è quel personaggio così anonimo e squallido che viene descritto dalla medicina…

Interventi sui tic dei depressi che contraddicono sempre…

Sì, vengono sempre di più emarginati, (dici bianco e lui dice nero) sono dispettosi, la loro più grande soddisfazione è quella di poter esibire questa realtà, in molti casi la realtà che descrive il depresso è ammaliante, il depresso può descrivere delle cose che comportano delle emozioni… (possono essere persone interessanti….) sì purtroppo se non hanno gli strumenti per accorgersi che sono degli abili giocatori e quindi di come possano giocare con il loro pensiero quando è sbarazzato dalle superstizioni che utilizzano per vivere allora sì possono essere delle persone notevoli, a volte però purtroppo ….

Intervento:…

Allora tenga sempre conto che il depresso che prima descrivevo è quel depresso che approda ad un percorso analitico, ad una psicanalisi

Intervento:…

Certo, per molto tempo in questo percorso di parola la persona racconta, si ferma su ogni particolare della sua storia e lo descrive, descrive ogni suo sentire e lo considera un sentire… è chiaro che l’intervento dell’analista in questo caso è mirato a farlo accorgere di quello che dice, è continuamente a riportarlo alla responsabilità del proprio discorso, per molto tempo, per molto tempo dipende dalla persona chiaramente non possiamo quantificare, gira sui particolari a ricostruire quella storia, a ricostruire tutto il suo vissuto poi ad un certo momento, ed è la chance per cui avviene la dissoluzione della depressione, la persona si accorge di essere l’artefice di quella depressione e come se ne accorge? quando l’interesse al gioco è più forte della storia che va raccontando, come dire… se io faccio un solitario lo faccio per giocare, mi diverto a giocare, al momento in cui metto già subito le carte nella soluzione finale ho vinto, ho vinto ma non posso più divertirmi con quel gioco… ecco quando il depresso si accorge di essere l’artefice di ciò che va producendo credendo di descrivere la realtà, allora a quel punto il depresso sarà ben difficile che continui ad interessarsi a quella storiella che gli serve per farsi del male, si accorge del male che si va facendo pur di ottenere quell’obiettivo, quella soddisfazione e allora…..ma se non interviene la responsabilità da parte della persona non c’è nessuno al mondo che lo possa distogliere da quello che lui decide, però deve avvenire questo l’analisi, questo percorso deve comportare questo, se no che analisi è?

Intervento:…

La persona può accorgersi di come per esempio, si trovi e si cacci sempre negli stessi guai, può demandarlo al destino, può demandarlo una volta, due volte, tre volte ma se è una persona che ama pensare, beh, incomincia a pensare e quindi… e chiaramente non andrà da uno psichiatra se vuole pensare, se vuole capire, non farà questo, sceglierà un percorso analitico, perché sa che è l’unico che possa rendergli il suo pensiero. Un percorso analitico, non sto parlando di psicoterapia, sto parlando di quel percorso analitico in cui il disagio viene considerato per quello che è: un gioco linguistico. È chiaro che ci vogliono certi passaggi, a me questa sera interessava insistere sulla questione della responsabilità perché se non avviene questo passaggio della responsabilità cioè del sapersi artefici della propria vita… ma questo avviene e avviene solo per quel personaggio di cui parlavo, per quel depresso che ha voglia di mettersi in gioco…

Intervento: per poter fare questo però

Occorre che avvenga, è chiaro che se la depressione viene descritta e definita a furor di popolo una malattia e ci si crede allora non resta che lo psicofarmaco, la lobotomia

Intervento: lo psicofarmaco aiuta

Può essere, può essere però è proprio la questione della malattia (…) sì però è frutto del mio pensiero sono io che concludo in questo modo, è questo che deve intendere colui che ha la responsabilità delle proprie affermazioni, perché se no si gira in tondo come per lo più avviene

Intervento: …depressioni reattive, disturbo post traumatico, eventi luttuosi cioè la realtà che è fuori che ha provocato lo stato depressivo… non è tanto una costruzione personale affabulata ma c’è un evento esterno traumatico…

Beh, io parlavo della depressione come di quel gioco che spaventa l’opinione pubblica perché non è considerato un gioco, parlavo di questo perché questo era il tema però parlo di tutto ciò che si spaccia per realtà, un evento traumatico è qualcosa che è descrivibile dal discorso e pare fuori dal discorso della persona è chiaro che se questo fuori dal discorso significa fuori dal linguaggio, beh, allora posso continuare la descrizione e nulla varia, io parlo della responsabilità delle proprie affermazioni e quindi delle proprie costruzioni e occorre che ci intendiamo su questo (…) certo è questo che stavo dicendo, parlavamo della depressione perché questo è il tema ma qualsiasi discorso funziona, è un discorso, il trauma è qualche cosa che è fermo, che è fisso che pare non interrogabile ma non è fuori da una catena segnica, da una stringa di proposizioni che significano qualcosa per qualcuno, che significano cioè per il discorso che produce il trauma e che lo riproduce e lo riproduce ancora e ancora… di questo stiamo parlando certo.

 

Intervento di Luciano Faioni

 

C’è una questione che mi interessa riprendere del lungo e articolato discorso di Beatrice: il fatto che in assenza di linguaggio non c’è alcuna possibilità di essere depressi, senza linguaggio, niente depressione. Il depresso giunge, come diceva bene Beatrice, a una serie di considerazioni, faceva alcuni esempi e possiamo riprenderli: il mondo va verso la catastrofe, prima o poi si auto distruggerà quindi non c’è niente da stare allegri, anzi se volete dirne una in più, pare che tutto il sistema solare stia viaggiando ad altissima velocità verso la stella Vega nella quale si schianterà, non entro questa settimana, pare fra alcuni milioni di anni, ma se non modificherà la traiettoria l’impatto sarà inevitabile, dunque non c’è nessun motivo per stare allegri perché tutto ciò che gli umani hanno costruito, hanno immaginato, l’arte, la scienza, le gioie, i dolori ecc. tutto questo da quel momento non sarà mai avvenuto, dunque perché essere felici? Oltre al fatto che non avendo pazienza di aspettare tanto, gli umani si stanno già adoperando per auto distruggersi, il potenziale nucleare è sufficiente a distruggere il pianeta un certo numero di volte in toto, e poi guerre continue, uno va a prendere il treno e si trova cinquanta chili di esplosivo sotto il seggiolino, insomma questo per dire che se una persona ha in animo di trovare degli ottimi motivi per essere avvilita, disperata e depressa non ha che l’imbarazzo della scelta, cionondimeno alcuni si deprimono, altri no, come mai? Questa è una bella domanda, eppure non è che quelli che non sono depressi non sanno tutte queste cose, le sanno alla perfezione, però non sono depressi. Allora ci diceva prima Beatrice, appare che il depresso in realtà giunga a una conclusione che vera o falsa che sia non ha nessuna importanza, ma è funzionale a uno scenario catastrofico che deve rimanere immutato, come se non ci fosse nessun altra possibilità, d’altra parate è sufficiente che ciascuno pensi al fatto che in quanto vivente prima o poi morirà, già questo dovrebbe essere sufficiente per i più per avvilirsi anche senza andare tanto lontano. Ma non avviene perlopiù, ma per il depresso sì, ora c’è intanto una questione da porre subito: che forse non è il caso di darsi da fare per salvare il depresso, a meno che non sia lui che lo chieda, in fondo è una condizione come infinite altre, se gli va bene così, va bene. Che problema c’è? Se invece non gli va bene allora è possibilissimo fare in modo che possa constatare lui stesso che le cose che va costruendo in realtà sono sì, delle conclusioni tragiche, ma assolutamente gratuite o in ogni caso che non necessariamente debbano portare a vivere malissimo: il fatto che ciascuno prima o poi morirà appare assodato ai più ma non per questo ciascuno organizza la sua vita, al sua giornata, tenendo conto che dovrà morire a meno che non sia condannato a morte, ma questo è un altro discorso. Diceva bene Beatrice: la depressione in realtà non è che la conclusione di una serie di considerazioni che chiunque può fare e che fa, ma non si deprime per questo, e allora appare più probabile che il depresso utilizzi questo scenario catastrofico per costruirsi una sorta di film che si proietta ininterrottamente, e se lo gode, così come si va a vedere il film catastrofico, qualche tempo fa c’era la moda dei film catastrofici. Per divertirsi ciascuno può crearsi un film per conto suo e proiettarselo a suo piacimento, e credere che le cose che immagina siano necessarie, siano inevitabili e che quindi siano la ineluttabile conseguenza di ciò che sta accadendo, in fondo ciascuno sa che prima o poi dovrà capitargli di morire, vuole preoccuparsene tutta la vita? Va bene, non è proibito, può farlo, vuole guadagnarsi il paradiso con questo, cioè vivere in attesa della morte, può farlo, molti lo facevano nel medioevo, alcuni monaci vivevano in attesa della morte, non erano considerati malati per questo. Dicevo che senza linguaggio non c’è depressione alcuna, né infinite altre cose, d’altronde senza la possibilità di costruire argomentazioni e quindi giungere a delle conclusioni tali per cui non c’è nulla da scherzare e da ridere e bisogna essere tristissimi, senza tutto questo dunque non c’è nessuna possibilità di depressione, ora chiaramente è una formulazione un po’ paradossale, poiché in assenza di linguaggio non solo non c’è depressione ma non c’è nient’altro per una serie di motivi che possiamo anche illustrare, così riprendiamo delle questioni sollevate nell’incontro precedente dove parlavamo del linguaggio, come spesso facciamo, perché andiamo sostenendo, con ottime motivazioni, che non si da alcuna esistenza in assenza di linguaggio. Ma dunque dicevo si era posta la questione della sensazione che in effetti per molti appare incomprensibile che possa esistere solo a condizione del linguaggio, una persona diceva: “se io ho freddo, che esista il linguaggio oppure no ho freddo lo stesso” così si pensa generalmente, naturalmente qui non intendiamo con linguaggio la verbalizzazione di qualche cosa ma come quella struttura che consente a ciascuno di voi di pensare, di pensarsi, di considerare che esiste per esempio, ma dicevo la sensazione del freddo, uno ha freddo, bene! Cosa dovremmo dire a questo punto? Che è provvisto di sensori che rilevano delle variazioni termiche, questo anche un termometro lo fa, il termometro rileva delle variazioni termiche tant’è che la colonnina di mercurio si alza o si abbassa, aumenta o diminuisce il suo volume e quindi anche la pressione interna del bulbo, ci sono un sacco di reazioni ma se noi mettiamo un termometro dentro un frigorifero, possiamo dire che il termometro sente freddo? Che cosa gli manca per sentire freddo? Eppure ha delle reazioni, il mercurio diminuisce di volume, diminuendo probabilmente la pressione all’interno del bulbo, ma queste reazioni, sono emozioni? Intanto rileviamo un dettaglio: che siamo noi a decidere queste cose e non il termometro, cosa che potrebbe non andare senza conseguenze, ma in ogni caso, detto questo, che cosa manca al termometro per sentire freddo? L’accorgersene. Questo accorgersene non è soltanto il fatto che la colonnina di mercurio si abbassa, ci vuole qualche cos’altro, ci vuole la possibilità in questo caso di inserire questo elemento all’interno di una struttura che è quella che generalmente chiamiamo linguaggio, la quale struttura consente di mettere in relazione degli eventi tra loro, trarre conseguenze, è questo che fa, trae conseguenze, implicazioni o, se preferite, inferenze che è la stessa cosa. A questo punto io posso dire di accorgermi di sentire freddo e posso dire che invece il termometro non si accorge di sentire freddo, pur avendo entrambi delle reazioni, ma che differenza c’è? Io me ne accorgo, cioè inserisco questi elementi, questi input, all’interno di una struttura e da quel momento posso dire che esistono, perché se non lo posso dire, se non lo posso pensare, non lo posso immaginare, allora non posso fare niente, allora sì, posso anche dire che esistono lo stesso ma che cosa ho detto con questo? Niente, assolutamente niente. Ora il passo successivo è constatare che in base a tutte queste banalissime considerazioni può anche trarsene una più decisiva, e cioè che non si dà alcuna esistenza in assenza di linguaggio, poiché è il linguaggio costruisce l’esistenza, fa di me, essere parlante, qualcuno che parla di esistenza, si accorge dell’esistenza, giudica, valuta, considera, nega, afferma, fa tutte queste cose. Nega l’esistenza di qualcosa, afferma l’esistenza di qualcosa etc. Tutto questo il termometro non lo fa. Ecco perché stiamo da tempo insistendo sulla priorità del linguaggio su qualunque altro aspetto, come la condizione, la condizione perché gli umani possano pensarsi tali, possano giudicarsi, possano valutarsi, cioè è la condizione per potere costruire un qualunque giudizio di esistenza e di conseguenza un qualunque giudizio di valore. È ovvio che si è abituati a considerare che qualunque cosa io giudichi esistente, esista di per sé, siamo stati addestrati a pensare così fino dai primi mesi di vita, e questo addestramento è anche quello che porta a una serie di problemi. Ma inincominciamo a considerare le implicazioni di questo modo di pensare che andiamo mano a mano costruendo, dove c’è la possibilità di accorgersi che è questa struttura che chiamiamo linguaggio che consente a me, come a chiunque altro, di potere dire, affermare che qualcosa esiste e quindi da quel momento farla esistere, non esiste prima e non esisterà dopo, anche perché il concetto stesso di esistenza non esiste di per sé, anche se lo si può pensare, ma non esiste di per sé, è un concetto, quindi è la conclusione di una serie di argomentazioni e quindi del linguaggio, in assenza di linguaggio non solo non esiste nulla ma nulla sarebbe mai potuto esistere. Se, come dicevo, c’è la possibilità di incominciare a considerare una cosa del genere allora la propria esistenza si trasforma in qualcosa di molto più leggero non soltanto come raccontava Beatrice rispetto alla depressione, è ovvio, questo è un caso, un caso che oggi appare abbastanza diffuso ma qualunque altra difficoltà psichica e non solo si dissolve immediatamente, cessa di esistere per lo stesso motivo e per la stessa struttura per cui smetto di avere paura quando mi accorgo che non c’è nulla di cui avere paura, funziona allo stesso modo. E quindi ecco perché in assenza di linguaggio non c’è possibile depressione. Certo, si può esporre la questione in termini più precisi, in termini logici, lo faremo un’altra volta perché è tardi. Qualcun altro vuole aggiungere o togliere qualche cosa? È una questione di straordinario interesse quella del linguaggio e non è di adesso ovviamente, anche se noi l’abbiamo portata alle estreme conseguenze, e per portarla alle estreme conseguenze non c’è voluto nient’altro che proseguire, proseguire ad interrogare le cose, a chiedersi come si fa a pensare…

Intervento: lei diceva non esiste nulla fuori dal linguaggio ma lo possiamo applicare non solo alla depressione ma anche a tante altre cose

Brava, esattamente, proprio così, abbiamo parlato di depressione perché era il tema di questa serata ma…

Intervento:…

Sì, per cui questo comporta immediatamente un’altra considerazione: il linguaggio, il modo in cui funziona, è la condizione di qualunque malanno per esempio, o di qualunque felicità…

Intervento: anche il tumore per esempio

È una possibilità, non è casuale che ultimamente molti oncologi, in Italia un po’ meno, ma soprattutto in Francia stiano assumendo tra il personale medico degli psicanalisti…

Intervento: occorre l’analisi

Così appare sì, per il momento…

Intervento: perché io ultimamente ho sentito parlare della depressione che è una malattia e mi è sembrato il modo più corretto di aiutare le persone…

Forse occorre andarci più cauti, perché o la persona che dice di se di essere depressa vuole iniziare a considerare la sua questione, esprime questa intenzione, se no chi ci autorizza a imbottirlo di farmaci? È facile dire che una cosa è una malattia, anche la religione può essere intesa come una malattia: è un modo di pensare totalmente irrazionale, totalmente infondabile e infondato per cui chi crede una cosa del genere è malato, perché no?

Intervento: da questo punto di vista ha ragione

La questione della “malattia” andrebbe considerata, occorrerebbero più incontri solo sulla questione della malattia, cioè dell’ideologia della malattia…

Intervento: sono l’espressione di emozioni e di sentimenti

Sì, anche il nazismo è un’espressione di emozioni e sentimenti, però emozioni e sentimenti non condivisi da tutti, infatti gli hanno scatenato una guerra proprio per questo, perché le emozioni e i sentimenti di quelli che portavano le camicie brune non erano condivisi da quelli che portavano le camicie azzurre. La struttura è la stessa, funziona esattamente allo stesso modo, poi si creano storie infinite, è un po’ come un caleidoscopio, lei lo gira e di volta in volta costruisce storie racconti diversi, tant’è che basta un qualunque evento e dieci persone che lo raccontano, avrà probabilmente dieci racconti diversi. Però non si è mai posta attenzione a sufficienza sul fatto che questa struttura che chiamiamo linguaggio è quella che ci consente di costruire tutte queste storie, e quindi anche la depressione, anche l’angoscia, anche la paura, anche il panico, anche la gioia, anche la felicità. Da qui l’interesse per il suo funzionamento, il funzionamento del linguaggio, visto che gli umani sono tali a condizione che esista il linguaggio, per cui se sappiamo esattamente come funziona il linguaggio allora sappiamo necessariamente come è possibile costruire qualunque cosa, e allo stesso modo se qualcuno vuole eliminarla. Così come una persona che crede fermamente una certa cosa, per esempio che sotto la sua sedia ci sia una bomba, allora è allarmata, ovviamente, è spaventata, è terrorizzata, legittimamente spaventata e preoccupata, ma se noi gli mostriamo che non c’è assolutamente nulla e quindi non ha nessun bisogno di avere paura, ecco che cessa di essere terrorizzata. Ma è tardissimo, martedì proseguiremo con Cesare Miorin e la “Globalizzazione del disagio” e ribadiamo che il giovedì ci troviamo nella sede dell’associazione in via Grassi 10 e ciascuno dei presenti è invitato da me personalmente a intervenire, grazie e buon notte.