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7-11-2014

BIBLIOTECA CIVICA

L’opera di Freud come teoria del significato dell’agire degli uomini

Luciano Faioni

 

La questione di cui voglio parlarvi questa sera riguarda un aspetto della psicanalisi che è quello che ha reso la psicanalisi abbastanza popolare e che in parte ha modificato il modo di pensare almeno in occidente e cioè la psicanalisi come un modo per intendere qualcosa di differente rispetto al significato, significato di un discorso, significato delle parole, in definitiva come una teoria semantica, cioè una teoria del significato. Freud ha incominciato a imboccare questa via direi fin da subito, dai primi scritti intorno all’isteria poi nei casi clinici: il caso di Anna O, di Dora, del Piccolo Hans, l’Uomo dei topi, l’Uomo dei Lupi.

In tutti questi casi clinici c’è un elemento comune che attraversa questi racconti e cioè la considerazione che fa Freud che ciò che le persone si trovano a dire e a raccontare rinvia a qualche altra cosa che non necessariamente è presente nel racconto ma che tuttavia rende quel racconto quello che è, cioè in altri termini comincia a considerare che in ciò che le persone dicono c’è molto di più di quanto le persone stesse talvolta sarebbero disposte ad ammettere, in altri termini ancora il “dire” è molto più ampio del “detto”. Una questione che Freud ha intrapreso a considerare e mano a mano in termini sempre più articolati e più precisi che lo ha condotto, passo dopo passo a inventare la psicanalisi, un modo dunque per intendere che cosa c’è in ciò che le persone dicono che va al di là di ciò che immaginano di dire, sicuramente un passo notevole per il pensiero occidentale incominciare a considerare che ciò che si dice è connesso, è legato a molti altri aspetti che riguardano la persona e che quindi il significato di ciò che la persona sta dicendo va molto al di là del significato specifico del suo dire in quel momento, e cioè ancora che il significato di ciò che si dice, si sta dicendo, è preso in una sorta di rete di connessioni, di rimandi, di rinvii, di implicazioni con moltissime altre questioni. È curioso che proprio negli stessi anni in cui Freud andava considerando questi aspetti in Europa prevalentemente, altre persone che si stavano occupando di questioni apparentemente lontane dalla psicanalisi ma per altri motivi e con altri mezzi, stavano ponendo la stessa questione e cioè stavano interrogando il significato delle parole, dei discorsi e sono state elaborate un certo numero di teorie del significato, la teoria “composizionale” per esempio, che ritiene il significato la sommatoria dei significati dei singoli componenti dell’enunciato, la teoria “olistica” che vede il significato unicamente come derivabile dall’insieme totale di tutti gli altri significati del discorso in cui quello è inserito, il significato come “uso” proposto da Wittgenstein che poi è stato utilizzato per lo più da tutta la filosofia analitica. Due filosofi inglesi, tali Ogden e Richards, scrissero un libro il cui titolo era, ed è ancora oggi “IL significato del significato”, ora la questione che hanno mancato è che l’unica risposta ragionevole a questa formulazione, a questa domanda “qual è il significato del significato?” è che è un altro significato, cioè un altro rinvio, in effetti ciò di cui si può dire del significato è che è un rinvio da un qualche cosa a un’altra cosa, ma non solo, anche nel campo della linguistica e della semiotica l’attenzione verso il significato è stata notevole basti pensare a De Saussure il quale cominciava a considerare il significato come un qualche cosa che intanto è costitutivo certo della parola, ma è un qualche cosa che esiste in quanto preso in una relazione differenziale con tutti gli altri significati fino ad arrivare alla semiotica, per esempio Greimas che ha inteso il significato di un racconto, di un qualunque cosa come ciò che si produce dall’intreccio di altri racconti, di altri discorsi quindi vedete la questione si è posta per molti studiosi, molti pensatori in modo molto simile anche se da punti di osservazione differenti, usando strumenti differenti e soprattutto con motivazioni differenti, però tutte queste persone si sono trovate di fronte allo stesso problema cioè il significato corrisponde a qualche cosa di univoco oppure il significato è connesso con tutto ciò che lo circonda? adesso diciamola così in modo molto spiccio. Ma torniamo a Freud, Freud aveva considerato ancora che tutto ciò che stava elaborando proveniva dall’osservazione, da un’osservazione clinica, i famosi casi clinici, certo l’osservazione è un criterio, non è forse il migliore, è sempre un sistema induttivo però la sua osservazione lo portava in questa direzione cioè a considerare che ciò che la persona dice è connesso con tutto ciò che riguarda la persona e quindi non può intendersi ciò che una persona dice se non si intendono le connessioni di questo elemento, però ha provato a porre una questione più teorica elaborando la sua teoria della rimozione. La teoria della rimozione dice, adesso ve la dico in quattro parole, muove dall’idea che esistano delle pulsioni che muovono delle persone e queste pulsioni almeno nel suo saggio del 1915, della Metapsicologia, queste pulsioni vanno incontro talvolta a un problema e cioè il soddisfacimento di queste pulsioni è inibito, e l’oggetto che comporterebbe il soddisfacimento della pulsione comporta dei problemi, dei problemi nel senso che alcune spinte, alcune pulsioni non possono essere accolte né soddisfatte da quella istanza che lui ipotizzò come “Super io”, in pratica la “morale sessuale civile” che impedisce il soddisfacimento di alcune pulsioni. A questo punto Freud ha teorizzato una soluzione a questo problema perché ciò che muove cioè questa spinta pulsionale non si elimina solo perché è inibita nella meta, diceva lui, ma continua e allora secondo Freud il lavoro psichico, che viene fatto dalla persona per superare questo ostacolo, è la costruzione di chiamiamolo un terzo elemento, un terzo elemento che da una parte mantiene la sua connessione con la pulsione che non può venire soddisfatta, dall’altra però mostra anche un aspetto che è conforme alle richieste del Super Io, sarebbe quella che Freud chiamava “formazione di compromesso”, questo terzo elemento il “sintomo”, esattamente ciò che costituisce la possibilità per gli umani di convivere da una parte con le pulsioni, dall’altra con la morale sessuale civile, con il Super Io in definitiva. Tutto questo naturalmente, questa costruzione si trova sempre in un equilibrio sempre molto fragile, molto instabile da qui il dispendio psichico per la persona per mantenere questo equilibrio. Ora però tutto questo già mostra che in Freud questo elemento pulsionale che non può essere accolto, rappresenta, in un certo senso, il significato di ciò che lui andava teorizzando come sintomo e cioè non si può intendere un sintomo se non si intende il rinviare del sintomo a questo altro elemento, che non è poi molto diverso dalla posizione che aveva De Saussure. Non a caso anni dopo poi Lacan riprese il segno, proposto da De Saussure, applicandolo alla teoria di Freud ma questo è un altro discorso, dunque questa modalità di cui vi dicevo che Freud rileva negli umani, la rileva sì certo nei casi particolari, nei casi clinici in cui lui si trova a funzionare come analista, ma si trova anche a pensare che questa operazione non riguardi non soltanto alcuni ma sia un qualche cosa che riguarda l’intera società, come dire che l’intera società è stata costruita, anzi è potuta essere costruita sulla rimozione di istanze pulsionali. Questo rende naturalmente conto del fatto che in Freud, soprattutto l’ultimo Freud, sia comparsa una sorta di chiamiamolo “pessimismo” tra virgolette e cioè la consapevolezza che comunque gli umani non possono uscire da questa situazione, da questo “disagio” in cui si trovano perennemente e inesorabilmente, se per soddisfare le richieste della morale sessuale civile una buona parte delle pulsioni deve essere inibita. Un aspetto sicuramente con risvolti e implicazioni sociali e civili, in effetti per Freud la società si è potuta costruire, così come l’abitiamo noi, pagando quel prezzo cioè rinunciando a certe istanze pulsionali, e queste istanze pulsionali, come dicevo prima, costituiscono il significato, ciò che occorre reperire per intendere che cosa sta dicendo il sintomo. Questo in Freud. La domanda quindi a questo punto per Freud si faceva più generale, anche più interessante per alcuni aspetti, perché ha incominciato a investire anche la società intera la stessa civiltà in cui viviamo, la domanda che si pose Freud a quel punto, era che cosa muove di fatto gli umani? Cosa li spinge ininterrottamente verso un qualche cosa e che cos’è questo qualche cosa verso il quale sono spinti? Ed è questo che lo indusse a elaborare una teoria delle pulsioni nel 1915 quando scrisse la Metapsicologia, non a caso il primo capitolo è dedicato proprio a questo alle “pulsioni”, nelle pulsioni che Freud ipotizza come quel qualche cosa che muove gli umani, nelle pulsioni lui individua quattro momenti, diciamola così, e cioè una fonte, una spinta, un oggetto, una meta. La meta è il soddisfacimento, l’oggetto è quel qualcosa che serve al soddisfacimento, la sua prima posizione fu che ciò che gli umani cercano è il piacere, la sua teoria piacere-dispiacere, il “piacere” è il soddisfacimento della pulsione e il “dispiacere” è tutto ciò che impedisce tale obiettivo, però per quanto apparentemente soddisfatto da questa prima ipotesi Freud si trovò tuttavia in una condizione particolare, lui scrisse queste cose nel 15, c’era la prima guerra mondiale qualche anno dopo la prima guerra mondiale terminò, nel 18 per l’esattezza, terminò uno dei più spaventosi e sanguinosi massacri di tutta la storia dell’umanità e Freud si trovò ad avere a che fare, era un medico, con alcuni soldati che ritornavano dal fronte e quindi alcuni di essi con dei forti sintomi, oggi diremmo “post traumatici”, ragazzi a cui erano capitate quelle cose che capitano nelle guerre, che ne so? Una granata che esplode a pochi metri, sfiorati dalla pallottola di un cecchino e altre amenità che accadono in guerra, in alcuni casi Freud fu costretto a considerare che questi eventi, per quanto drammatici, terribili, traumatici fossero stati, comunque venivano riprodotti, riprodotti nei sogni o in altre circostanze, e allora si pose una domanda “è proprio vero quello che ho scritto nella Metapsicologia in cui la meta della pulsione, cioè la direzione verso cui tutti gli umani vanno è il piacere? Oppure no?” perché che piacere può dare la riproduzione di una situazione così tremenda, così traumatica, così spaventosa come quegli eventi che accadono o possono accadere in guerra? E allora incominciò a pensare che forse c’era qualche cosa che non andava nella sua teoria delle pulsioni, e nella sua teoria “piacere-dispiacere”, pareva quindi che il piacere non fosse più l’obiettivo finale ma dovesse esserci qualche altra cosa. Nel 20 scrisse un saggio che è l’effetto, il prodotto di queste sue riflessioni che si chiama “Al di là del principio di piacere”, “al di là” perché il principio di piacere e cioè l’idea che il “piacere” fosse la meta non era più soddisfacente. Le osservazioni che aveva condotte sui militari che tornavano dal fronte della prima guerra mondiale, l’avevano indotto a pensare che il piacere non poteva essere l’obiettivo perché le persone continuavano a fare quello che facevano cioè a ripetere delle situazioni traumatiche e tragiche non ricavandone alcun piacere, e allora “perché lo fanno?” questa era la domanda di Freud, a che scopo? Che cosa ne ricavano? Perché se fanno qualcosa ci sarà un motivo, ci sarà un qualche cosa che li muove a riprodurre queste scene, questi drammi. Nel suo saggio abbiamo detto del 20 quindi a guerra finita da un paio d’anni, Freud teorizza alcune cose in modo un po’, e questo gli è stato addebitato da molti, in modo un po’ “arruffato”, come se non sapesse esattamente quale direzione prendere, ha provato a ipotizzare un “principio di costanza” cioè l’idea che ciò che debba permanere è uno status quo e tutto ciò che lo modifica è dispiacere, però anche in quel caso sognare un evento assolutamente traumatico beh modifica lo status quo non dovrebbe comparire, la sua domanda è “perché queste persone non hanno cancellato completamente o comunque eliminato questi eventi traumatici ma continuano a ripeterli?” perché? C’è in questo saggio appunto “Al di là del principio di piacere” però una questione che Freud enuncia pur non perseguendola fino alla fine e che invece mostra degli aspetti interessanti e cioè dice che nella riproduzione “economica” dice lui cioè “gestibile” dell’evento traumatico è questa capacità di gestione dell’evento traumatico a essere il motivo per cui l’evento viene ripetuto, questione interessante per altro ci riconduce molto rapidamente alle parole di Aristotele che lo ha preceduto di parecchi anni, quando Aristotele parla della tragedia e si domanda qual è la funzione della tragedia, perché gli umani sono attratti dalle tragedie anziché fuggirle? o più propriamente le fuggono quando ne sono direttamente partecipi ma invece ne sono attratti quando ne sono spettatori incolumi, e anche in quel caso Aristotele aveva formulato la questione in modo abbastanza preciso, anche se non usava questi termini però la questione della riproduzione economica di qualche cosa di terribile rimane comunque il punto centrale e più è grande la tragedia e più ovviamente è grande e potente la mia capacità di gestirla, di gestirla in quanto rappresentazione ovviamente, nessuno vuole trovarsi in un conflitto a fuoco, esposto e bersagliato dai cecchini, non è una cosa che generalmente è considerata piacevole però se pensate moltissimi film per esempio, riproducono queste scene, queste immagini, perché sono piacevoli? Perché attraggono un grandissimo pubblico? Il motivo ce lo suggerisce Freud, è una rappresentazione “economica” del trauma, economica quindi gestibile e allora la domanda che Freud si pone tra le righe anche se non la pone in modo esplicito “allora è il pensarsi capaci di gestire una situazione traumatica ad essere ciò che veramente interessa?” e cioè in definitiva per farla più semplice, l’idea di avere il controllo sulle cose, e tanto più appaiono incontrollabili e tanto più l’averne “io” il controllo mi rende capace, mi rende potente, forte. E questa è una questione interessante perché a questo punto non è più, e di questo già Freud se ne accorse, non è più il piacere a essere l’obiettivo finale degli umani cioè ciò che cercano, ciò che vogliono, ma si sposta sul controllo, sulla gestione. Il controllo sulle cose, possiamo intenderlo come la capacità di fare accadere ciò che io voglio che accada e per converso la capacità di evitare che accada ciò che io non voglio che accada. Questo, grosso modo, possiamo intendere con controllo. Ma proviamo a radicalizzare la questione sempre sulla scia in qualche modo di Freud, anche se qua e là ce ne discostiamo, però la domanda che ponevo prima e cioè se è questo che gli umani cercano, cercano il controllo? In una parola più semplice forse, il potere? E allora questo sposta tutta la questione posta da Freud rispetto agli umani e alla società e alla civiltà, se ciò che gli umani cercano al di sopra di ogni cosa, è il controllo, è il potere, cioè il controllo su qualcosa o su qualcuno. Certo qui l’osservazione ha un gioco facile, chi non ha avuto e non ha ininterrottamente esperienza di qualcuno che vuole imporre il suo controllo o il suo potere su sulle cose o su qualcuno? Chi non ha mai incontrato un numero notevolissimo di persone che si impegnano in tutti i modi per ottenere, esibire e mantenere il loro potere, che si manifesta in tantissimi aspetti naturalmente i poteri più forti come il potere economico, finanziario, militare, politico, religioso ma anche il potere nelle situazioni sentimentali, anche queste possono essere considerate e probabilmente sono giochi di potere, potere dell’uno sull’altro, più o meno velato più o meno nascosto però si tratta di valutare se è così perché questo, come dicevo, sposta totalmente la questione per quanto riguarda il modo di intendere gli umani, il modo in cui pensano e perché pensano quello che pensano e fanno quello che fanno. Mostrare questo aspetto che riguarda a questo punto il potere sì, dicevo prima, certo l’osservazione ed è quasi evidente, quasi una banalità, da sempre sopraffare l’uno l’altro, in qualunque modo, uno dei più comuni è per esempio quello di ottenere ragione, dell’avere ragione su quell’altro “ho ragione io” “tu hai torto”, questo è un modo sicuramente non il più insolito di esercitare un potere dopo tutto la retorica è stata inventata anche per questo, non solo ma anche, per mostrare quali sono le vie per cui io riesco a piegare l’altro alla mia ragione, delle volte contro la sua stessa volontà però riesco a piegare la sua ragione, a persuaderlo a fare in modo in definitiva che faccia ciò che io voglio che faccia. Questione di potere, certo ma la domanda che si poneva Freud qui è solo spostata e cioè perché gli umani cercano il potere? Dicevo sì, l’osservazione rende questa affermazione addirittura banale, chiunque potrebbe dire “è ovvio che cercano il potere” lo vediamo ininterrottamente sempre e sappiamo che è così da quando gli umani esistono, da quando c’è traccia di loro, non hanno fatto nient’altro che ammazzarsi gli uni con gli altri per avere potere, le religioni, le nazioni ma anche gli individui, una delle cose più terribili per una persona è accorgersi che il suo potere non c’è più che ha perso potere cioè non gli viene più riconosciuto, quante relazioni interpersonali finiscono proprio per questo? quasi la totalità, l’altro non mi riconosce più il potere, non mi riconosce più un valore e cioè incomincia a pensare che io non sia più di nessun interesse, sono i modi in cui la cosa si configura per lo più nelle relazioni, ma dicevo c’è soltanto a conforto di un’ipotesi del genere l’osservazione o c’è qualcosa di più? Prima dicevo rispetto alla questione del significato che Freud aveva intuita e costruita a partire dall’osservazione, da parte di altri invece veniva costruita teoricamente a partire cioè del funzionamento del linguaggio, da una teoria del linguaggio ora dunque anche in questo caso è possibile costruire argomentazioni che non muovano soltanto dall’osservazione che come sappiamo sì certo è un metodo molto potente, forse il più persuasivo ma teoricamente non è sicuramente il più saldo né il più solido, come sanno benissimo anche gli scienziati, almeno quelli che riflettono un minimo su ciò che stanno facendo, per quanti esperimenti a favore io posso fare rispetto ad un certo fenomeno, per quanti possa farne, non avrò mai la certezza che le cose stiano proprio così. Ora si tratta a questo punto dicevo, di intendere qual è la via per vedere se è possibile stabilire o trovare un’argomentazione logica per esempio, o comunque che muova dal funzionamento stesso del linguaggio per avvalorare questa ipotesi che sembra sorgere dalle interrogazioni che si muove Freud nel suo saggio “Al di là del principio di piacere”, ma la questione potrebbe essere anche molto semplice, come funziona il linguaggio? Certo su questo tantissimi hanno riflettuto ovviamente come una questione molto antica, potremmo dire dai tempi di Socrate almeno o anche prima i Sofisti già avevano dette cose notevoli intorno al linguaggio, tuttavia muoviamo dalle questioni più banali e più semplici, come funziona un’argomentazione, un discorso, una qualunque cosa? muove da un qualche cosa che viene accolto come una premessa e attraverso dei passaggi giunge a una conclusione, ed è questo che avviene quando si parla, e cioè parlando ci si trova ad affermare delle cose, a porle, ogni volta un’argomentazione conclude con un’affermazione che stabilisce un qualche cosa, questo qualche cosa che è stabilito, per esempio, nella scienza ma non solo, ha e deve avere un valore universale, qualunque affermazione teorica non può esimersi dall’avere un valore universale altrimenti è solo un ipotesi “potrebbe essere così” sì ma potrebbe anche essere il contrario mentre un’affermazione scientifica ha questa forma universale, “forma universale” vuol dire che le cose stanno così, il problema è che non c’è un altro modo per affermare le cose, certo si possono affermare per ipotesi ma in ambito teorico l’ipotesi ha un utilizzo limitato anche perché un’ipotesi attende di essere verificata, finchè non è verificata rimane un’ipotesi che lascia la possibilità che le cose in effetti stiano in tutt’altro modo da come si immaginano che siano, ora dunque l’ “affermare” le cose ha a che fare qualche cosa con il potere? Apparentemente no, perché apparentemente ciascuno immagina che le cose che dice non siano un’affermazione e una esibizione di potere, ma semplicemente la descrizione di uno stato di cose, “se le cose stanno così non dipende da me, sono così e tanto basta” tuttavia nel momento in cui si afferma qualche cosa la si afferma come se mostrasse uno stato di cose alle quali cose occorre adeguarsi perché se io dico come stanno le cose occorre che ciascuno si adegui e non c’è modo di obiettare “se la realtà è questa che io sto descrivendo” cosa può obiettare qualcuno? Nulla, ora questa posizione in cui mi trovo cioè nel dire come stanno le cose mi mette in una posizione particolare cioè di chi sa cioè come occorre muoversi, che cosa occorre fare e che cosa occorre non fare e anche in buona parte che cosa è bene e che cosa è male, anche se questo prevede un passo ulteriore, però il primo passo è questo “io, se dico come stanno le cose, dico necessariamente la verità” è ovvio che è talmente banale da essere quasi offensivo e quindi se dico come stanno le cose e quindi dico la verità non c’è modo che qualcuno possa non essere d’accordo con me, se sto dicendo come stanno le cose, se non è d’accordo con me o non è in buona fede, oppure non si è accorto che le cose stanno come sto dicendo io e quindi va ricondotto alla ragione in un modo o nell’altro, ecco perché ero portato a considerare che il primo passo inaugurale di Freud rispetto al controllo e alla gestione degli eventi anche quelli sopratutto traumatici ma non soltanto a questo punto, mi ha condotto a pensare che l’esercizio del potere, l’ottenimento del potere e il suo mantenimento sia ciò che gli umani desiderano al di sopra di ogni cosa, perché quando parlano compiono quell’operazione che li induce a pensare che se hanno affermato qualche cosa e sono convinti di quella cosa che quella cosa sia vera cioè rappresenti uno stato di cose e quindi sia direi quasi per definizione imponibile ad altri perché è così che stanno le cose, e come dicevo la scienza non può funzionare ma qualunque teoria non può funzionare se non attraverso affermazioni universali, questo parrebbe almeno in parte avallare quella sorta, prima lo chiamavo “pessimismo” di Freud, di Freud degli ultimi anni, e cioè la considerazione che non c’è modo di uscire da una cosa del genere, che è quella che porta gli umani a combattersi gli uni con gli altri da quando esistono, il modo più efficace per avere ragione definitivamente su qualcuno è eliminarlo, da quel momento non farà più nessuna obiezione almeno lui, cosa che gli umani come si sa praticano da quando esistono, ma non solo in campo militare, politico, anche in campo teorico avviene la stessa cosa, teorie che si confrontano e si combattono, pensate alle guerre di religione o pensate alle diatribe che avvengono anche in campo scientifico, in campo logico, anche nelle discipline dove apparentemente non dovrebbe esserci un grosso disaccordo e invece ciascuno sostiene la sua posizione fortemente, assolutamente convinto di essere nel giusto e di avere il sacrosanto diritto o dovere di imporla anche ad altri perché sta dicendo come stanno le cose, quindi questo non ci porta ovviamente a condividere il pessimismo di Freud anche perché magari ci sono altre possibilità, altre soluzioni però di questo magari possiamo parlarne anche dopo. Intanto ho posto alcune questioni su cui mi piaceva invitarvi a riflettere in particolare su questo di cui dicevo all’inizio e cioè di un diverso modo di pensare che la psicanalisi ha introdotto nell’occidente almeno, altrove non saprei ma in occidente sicuramente sì, come sapete molti dei termini della psicanalisi oggi vengono utilizzati anche nei rotocalchi, nelle riviste in modo più o meno squinternato però fanno parte del bagaglio di nozioni comuni, i termini come “inconscio” “rimozione” eccetera anche se spesso non si ha idea molto precisa di che cosa Freud intendesse con l’una cosa e con l’altra, e questa portata che ha avuto la psicanalisi è stata la conseguenza del modo in cui la psicoanalisi ha incominciato a considerare il significato di ciò che le persone dicono e cioè che le persone dicono molto di più quando stanno dicendo, di ciò che in realtà pensano di dire e, come dicevo all’inizio, è su questo che Freud ha inventato la psicanalisi e cioè un modo perché le persone possano accorgersi di tutto ciò che è lì a fianco di ciò che dicono mentre stanno dicendo, e delle quali cose non sempre si accorgono e non sempre neppure vogliono sapere, perché delle volte queste altre cose possono portare a considerazioni che la persona preferisce non fare, temendo cose che magari non ci sono ma sono state costruite da lui …..

-        Intervento: una considerazione che chi vuole il potere non è il più forte, secondo me è il più debole perché vuole mettersi al sicuro da determinate sue problematiche

Cioè lei pone il “desiderio di potere” come reazione a una sensazione di debolezza? Sì, è vero in alcuni casi è così certo, non sempre tuttavia perché può capitare che chi magari incomincia così poi però acquisisce del potere, si accorge che altri questo potere glielo attribuiscono e allora è come se, certo il timore di perderlo è sempre presente comunque, però a quel punto incomincia ad avere mezzi e strumenti per acquisirne sempre di più, e la questione interessante è che ne vuole sempre di più. Pensate per esempio ai grandi personaggi, grandi nel senso di potenti, ricchi che ne so? I Rockefeller, Morgan, Sciller e oggi anche Bill Gates le operazioni che fanno e che li fanno guadagnare altri milioni di miliardi in più non sono certamente per guadagnarsi la cena alla sera, sono questioni di potere. Che cosa dà il potere? Che cosa offre questa sensazione di potere? Tutti quelli che ne hanno molto lo sanno, è una fantasia di onnipotenza, ad un certo punto sembra di non avere più limiti, e in alcuni casi molte persone si sono fatte travolgere da questa fantasia ed è proprio questa fantasia che li ha rovinati, cioè per dirla in termini molto spicci quando vogliono strafare allora vanno al di là e capitano allora inconvenienti però può anzi molto spesso dà questa idea, quando raggiunge un certo livello, quasi di essere dio cioè che non ci sia più nulla che mi fermi, che mi freni posso fare tutto. Questa sensazione che è molto forte e che è una sensazione potente, a detta di coloro che la praticano, cosa ha a che fare con ciò di cui dicevo prima, che riguarda in modo più specifico il funzionamento del linguaggio? Riguarda il fatto che l’idea è quella di avere il controllo su tutto, conoscere tutto, di sapere tutto, sapendo tutto è come se io fossi “tutto” in un certo senso o, come dicevo prima, non ho più limiti, dopo tutto uno dei limiti maggiori che gli umani pensano di sé di avere è la conoscenza “non tutto si può conoscere” questa è una cosa antica ma se io invece pensassi di potere o di sapere tutto, chi mi ferma più? Nessuno ovviamente, è una fantasia di onnipotenza ma molto efficace, molto potente che certo in alcuni casi è palese, è evidente, però anche nel piccolo, nel singolo si manifesta ed è lì che forse è più difficile delle volte da rilevare ma anche più interessante perché rende conto del motivo per cui moltissime persone si assoggettano con estrema facilità ad altre. C’è un bellissimo saggio di un francese di qualche secolo fa Etienne de la Boétie che si interroga proprio su questo e si chiede “come mai, le persone si lasciano dominare, umiliare, si fanno portare via tutto in cambio di niente?” “Perché?” C’è un motivo in effetti, e l’apporto di Freud è stato considerevole anche rispetto a questo, ma dicevo del singolo, anche seguendo la Boétie, la fantasia è questa c’è una piramide in cima alla quale c’è l’imperatore, l’imperatore il quale ha un potere assoluto … io non ho né la forza, né la capacità, né il consenso per mettermi al suo posto, per scalzarlo, se li avessi probabilmente lo farei, quindi cosa faccio? Mi metto sotto l’ala protettrice dell’imperatore e in questo modo ottengo parte del suo potere, e allora anch’io sono potente, una volta era una barzelletta quando il vigile ferma qualcuno “lei non sa chi sono io” come dire “non sa quali conoscenze ho io” è chiaro che se le mie conoscenze stanno molto in alto anch’io mi sentirò in alto e cioè usufruirò anch’io di una parte di potere, e così a cascata fino all’ultimo, il quale anche lui, nel suo piccolissimo potere, deve il suo potere a quello che sta sopra di lui perché è quello lì che lo mantiene nella sua posizione, ed è per questo che si mantiene questa gerarchia, almeno è questo che sosteneva Etienne de la Boétie, per cui non viene sovvertita questa gerarchia, nessuno vuole rinunciare a quel potere che ha acquisito, che gli è stato dato in un modo o nell’altro ma per mantenere questo suo potere deve mantenere tutta la scala gerarchica a qualunque costo

 

-        Intervento: poi questi personaggi sono isolati, non hanno più contatti

Succede anche questo certo sì, per esempio in molti film americani spesso viene rappresentato l’uomo potentissimo come vecchio e solo, su una sedia a rotelle spesso se ne va in giro da solo abbandonato da tutti, odiato da tutti un po’ come il racconto “Il canto di Natale” di Dickens il famoso Scrooge (….)

 

-        Intervento: pensavo, la questione del controllo, il potere in qualche modo è sempre raffigurato in una certa maniera

Sì, nelle vignette “uno grande con la pancia attempato con il frac e il cilindro”, un modello dell’uomo di potere

-        Intervento: la questione del controllo è una questione molto più complessa, più ampia e lei sottolineava che tutte le fantasie in qualche modo hanno un’origine rispetto a questa esigenza di controllo, tutte le tragedie di rappresentarsi economicamente

Cioè in modo gestibile

-        Intervento: anche la questione della gestione e questa connessa invece al discorso sociale ….

-        Intervento: io ero interessata proprio alla questione della ripetizione del trauma, mi veniva in mente mentre parlavi di una persona che aveva vissuta questa cosa spaventosa perché era morto un ragazzo vicino a lui mentre lavoravano (un incidente dunque?) sì aveva preso la scossa ed è venuto fuori un giocatore d’azzardo. Adesso senza voler mettere in connessione ma mi interessava molto, ci penso sempre a questa questione della ripetizione

-         

Sì Freud aveva ragione in effetti, è una ripetizione “economica”, lui parlava dei ragazzi che venivano dal fronte, ripetizione “economica” quindi gestita oltre che gestibile del fatto traumatico, ora ci sono tanti modi per gestire qualche cosa di traumatico, una reazione può essere quella per esempio di diventare un giocatore d’azzardo, per esempio, anche se è difficile stabilire che quella ne sia la causa però può essere un modo per gestire questa situazione, per gestire una situazione come quella dell’incidente fortuito ingestibile, nel gioco d’azzardo non sa mai se vincerà o perderà, per quanto bravo sia può sempre trovare uno più bravo, può essere, dico può essere, una situazione che ripete economicamente l’incidente cioè l’accadere traumatico e ingestibile. Ed è stata una mossa interessante questa di Freud che però non ha perseguito un granché, non so se ricordi il saggio “Al di là del principio di piacere” è abbastanza ingarbugliato, cambia idea, si contraddice però, però questa sua intuizione è notevole. Gestire un trauma, di fronte a un trauma, a l’evento, come nel suo caso di Freud, come quei ragazzi che tornavano dal fronte, dove non c’è praticamente nulla che si riesca a gestire, l’unica certezza che si può avere è che si morirà “probabilmente” entro la stessa giornata, quindi è assolutamente tutto in balia degli eventi, del caso, dell’assolutamente imprevedibile, ora invece riuscire a ricostruire questa cosa gestendola, beh questo mi mette in una posizione notevole, in una posizione di forza, sono io che ho il controllo su questa cosa che invece vuole avere il controllo su di me, e tanto più grave e tremendo è l’evento tanto più sono io forte se lo gestisco, prima facevo l’esempio della tragedia di Aristotele ma qualunque film, qualunque romanzo in cui ci siano eventi che generalmente vengono considerati ingestibili e drammatici, lì vengono gestiti, vengono gestiti perché sono sistematizzati all’interno di un sistema che è conosciuto e che concluderà probabilmente con il “lieto fine”, il “lieto fine” ha anche questa funzione, ecco gestire l’ingestibile o ciò che comunque è immaginato essere l’ingestibile è una questione che mi sta incuriosendo da tempo, mi sto chiedendo se, per esempio, un aspetto della filosofia che poi ha governato per millenni cioè la metafisica, è stata costruita per questo e cioè dire di ciò che è che è e non può non essere, il principio di non contraddizione e tutti gli annessi e connessi stabiliscono l’identità di qualche cosa, se c’è un’identità questo qualche cosa è controllabile “io lo controllo”, tutta la scienza sorge da lì, sorge dalla metafisica aristotelica come tentativo di controllo assolutamente su qualcosa che appare, appare ingestibile ma ciò che ad un certo punto, adesso faccio un discorso fantascientifico, dell’evoluzione è apparso come ciò che più di ogni altra cosa poteva dare potere cioè la parola, e che anche questa fosse ingestibile, anche questo ha creato qualche problema, da qui la necessità di trovare dei sistemi di gestione di tutto quanto, e la metafisica è stata sicuramente il sistema più efficace infatti ha avuto un successone per migliaia di anni e ancora oggi domina incontrastata, cioè quella teoria che consente di stabilire che ciò che è, è quello che è e non altro da sé. È stata una bella invenzione.

-        Intervento: lei prima diceva appunto di Freud che per esempio nel “Disagio della civiltà” ostentava un certo pessimismo, proprio nei confronti di ciò che si era trovato a inventare con le “pulsioni”

Sì sembra quasi dire “se le cose stanno così siamo malmessi”

 

-        Intervento: però lei poi ci ha detto che forse si può cercare un altro modo per uscire da questo “inghippo” tra virgolette, ed è questo che mi pare sia la cosa oltre modo interessante e mi chiedevo se, quando lei parla di linguaggio, alluda per esempio a una questione di questo genere cioè “come uscire dall’inghippo?”

Sì perché questo “inghippo” chiamiamolo così, è stato costruito dagli umani, dal linguaggio, non è che esiste in natura e quindi così come è stato costruito può essere eliminato. Che è ciò di cui parleremo venerdì prossimo perché il titolo venerdì prossimo è “ La grammatica della psicanalisi, la struttura della teoria psicanalitica. I casi clinici come modelli di una teoria del significato”. cioè riprenderemo le questioni dette questa sera, articolandole ulteriormente, precisando degli aspetti in particolare connessi con la struttura del linguaggio, diremo anche qualcosa di più del linguaggio, stasera l’abbiamo evocato ma senza dirne molto, invece dirò che cosa intendo con linguaggio e perché do questa priorità al linguaggio. Vi ringrazio di essere stati qui, la vostra pazienza e vi do appuntamento venerdì prossimo, grazie a ciascuno di voi.