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Torino, 7 ottobre 2008

 

Conferenza tenuta presso la libreria Libreria LegoLibri

 

BEATRICE DALL’ARA

 

VOGLIA DI AMARE

 

Questa sera inizia un nuovo ciclo di conferenze, conferenze che noi teniamo non solo in questa libreria ma anche in altri luoghi. Come sapete il titolo della conferenza è “Voglia di amare” e si inscrive in un ciclo di conferenze che ha un titolo che li comprende “Disagio e clinica della depressione” quindi è un tema prettamente psicanalitico. Clinica, cos’è la clinica nella psicanalisi? È quel percorso quel percorso intellettuale che decide di intraprende la persona laddove di solito ci sono dei disagi che la “infastidiscono” disagi ai quali non sa dare un nome, vorrebbe agire in un certo modo ma si trova sempre a compiere un altro percorso, per esempio, e la clinica è propriamente il percorso che la persona compie al momento in cui fa domanda di analisi, è un percorso intellettuale dicevo, un percorso intellettuale, propriamente è un analisi del discorso ciò che avviene, ovviamente la persona che accede ad un’analisi non sa nulla del suo discorso nessuno le ha mai detto che è un discorso, le persone sanno poco di psicanalisi in genere ne hanno sentito parlare e per lo più solo chi ha compiuto questo percorso analitico si rende conto del suo discorso, dell’agire del proprio discorso, la persona di solito non è a conoscenza e soprattutto non ci bada, non è a conoscenza perché nessuno si è mai interessato a queste cose diciamo che al momento in cui si intraprende una psicanalisi proprio per il percorso che si compie si vengono man mano, passo dopo passo a scoprire delle verità, delle cose che prima non si erano neanche lontanamente immaginate o supposte, assolutamente no, ma questo avviene, avviene propriamente in questo percorso ma ecco questa sera il titolo della conferenza è “Voglia di amare” e di come ancora una volta ci troviamo a parlare dell’amore quell’amore cantato da tutti i più grandi poeti, cantato dalle canzonette, dell’amore si interessa la filmografia, per esempio, i film d’amore sono sempre di grande interesse ma la persona che accede all’analisi molte volte non sa che il suo disagio, i suoi problemi provengono dal suo modo di amare, dal modo in cui ama, per Lei l’amore può essere molto importante un grande ideale come per ciascuno, è l’amore che attrae, l’amore come lo possiamo definire? L’amore è attrazione per qualcosa per un ideale, per una religione, per il volontariato o l’amore per una persona, questo legame che si cerca … attrazione, il pensiero è attratto da quell’idea, il pensiero è attratto da quella persona alla quale chiede amore, chiede di amare mi interessava appunto rendere esplicito cosa intendo con attrazione perché è importante, attrazione può essere positiva o negativa nel senso che ciò che voglio rendere esplicito è la direzione che prende il pensiero nei confronti di un oggetto che attrae il pensiero e quindi questa attrazione può essere chiamata positiva, chiamata negativa Freud che è l’inventore della psicanalisi, per esempio Freud ci parla di questa attrazione come di amore e odio, questa dicotomia anzi per Freud prima viene l’odio e poi l’amore, anche nei confronti del nemico il pensiero prova attrazione nel senso che è attratto dal nemico il pensiero nel senso che isola la sua attenzione sul nemico e quindi questa è attrazione allo stesso modo di ciò che è chiamato amore ma in questo caso l’attrazione per il nemico si chiama odio e perché questa attrazione nei confronti del nemico? Si dice nel luogo comune perché dal nemico ci si aspetta il pericolo e quindi il pensiero è attratto, concentrato sul nemico, attrazione che se è attrazione per un ideale, per la ricerca per esempio, è considerata una grande apertura l’amore, possiamo chiamare amore questa attrazione, questa attrazione per esempio per la ricerca il proprio pensiero attratto da ciò che lo stimola, da ciò che per lui è interessante, da ciò che per lui è un valore e ciascuna volta da portare alle estreme conseguenze Aristotele per esempio, nel suo incipit alla Metafisica ci parla appunto di questo innato, meraviglioso amore per la verità che spinge gli umani e dal quale gli umani sono travolti, “stupiti” per la cogenza quasi un valore affettivo in questo caso che suscita nell’umano il poter lasciare andare il proprio interesse verso questo oggetto in questo caso oggetto del sapere, la verità che traina il discorso letteralmente, in questo caso questo amore non crea disagio nel senso che il proprio pensiero è libero, può muovere, può svolgere quelle che sono le questioni che lo interessano e quindi è una grossa apertura, è quasi un piacere per la persona lasciarsi trainare da questa ricerca infinita e questo in effetti è ciò che fa parlare Platone, per esempio, nel Convivio mostrandoci come Socrate avesse amore di questa ricerca della verità che travalicava l’amore sessuale allora in voga e questo è l’amore fine a se stesso, amore che può allacciare qualsiasi relazione, qualsiasi connessione, una sorta di libertà assoluta questo per i grandi pensatori, questa ricerca che non crea disagio, quel disagio che porta in molti casi la persona a compiere una domanda di analisi, accedere a una psicanalisi, ecco l’amore fine a se stesso l’amore che muove le genti “amor che tutto move” diceva Dante. In una psicanalisi direi che è il luogo preciso per poter intendere qualcosa del proprio amore e soprattutto delle storie che racconta, delle storie da cui è attratto, delle storie da cui è attratto il proprio pensiero e avviene in una psicanalisi di intendere di che cosa è fatto il proprio amore, come sapete Freud ha scritto moltissimo e tutta la sua opera è principalmente volta a elaborare la questione dell’amore, amore che unisce o divede gli umani e questa sera in effetti la Voglia di Amare è un tema prettamente psicanalitico a parlare appunto ancora una volta di questa grande attrazione che ad un certo momento coglie, molte volte le persone che accedono all’analisi non sanno molto del loro pensiero e di come la voglia di amare possa agire nel loro discorso soprattutto perché non sanno di essere un discorso non sanno …non hanno la benché minima curiosità di che cosa spinga e di che cosa sia capace di fare il discorso della persona, le persone in linea di massima raccontano, cercano di raccontare e di continuare a raccontare quella storia che a loro accade di vivere, storia in cui vedono vivere tutte le altre persone, raccontano come si muovono in quella storia, come si comportano, raccontano quelle che sono le loro intenzioni cioè come vorrebbero muovere ma non sempre possono muovere in quella storia e non la chiamano storia la chiamano realtà, e si trovano a ripetere sempre le stesse strade, a imboccare sempre le stesse direzioni ciò che raccontano all’analista è sempre una stessa storia ma dalle più varie configurazioni. Per molto tempo nell’analisi una persona racconta quali sono i suoi desideri, le sue speranze, i suoi sogni e quindi il suo comportamento, racconta quello che vorrebbe essere, quello che non può avere, quello che non può essere ma parla di realtà, a volte dura realtà, e la mostra all’analista e l’analista è lì che ascolta e proprio lì si vede come la persona tenga e costruisca e cerchi in tutti i modi un certo epilogo quello che è congeniale a quella storia che lei costruisce e ricostruisce e mette in atto proprio quasi per imporla all’analista, e perché? Per mostrare che le cose stanno proprio così “ho ragione io” ma perché mi ritrovo sempre a compiere gli stressi gesti, a imboccare le stesse direzioni, perché? Perché questa è la realtà, perché le cose stanno così come io dico che stanno, è vero, ho ragione perché questa è la realtà ed io non sono responsabile di ciò che mi accade, di ciò che mi trovo sempre a vivere, di ciò che mi trovo a “sentire” …..molte volte, in certi periodi, si instaura questo meccanismo di lotta proprio con l’analista che si vuole persuadere che la realtà è proprio così come “io la dico”. Difficile togliere queste armi di mano alle persone che per molto tempo sono appagate da quella storia che mettono in scena quasi per raccontarne le gesta a un interlocutore come l’analista, il quale deve essere convinto anche lui che è questa la realtà, per esempio “io non sono capace” vengono trovati tutti i modi e tutte le sottigliezze per avere ragione, poi tutto sommato è questo come se si godesse proprio nel racconto del proprio comportamento e delle proprie azioni, nel mostrare, nel descrivere quella che è la realtà così come io credo che sia e non una storia particolare che io godo riprodurre, il compito dell’analista, che ovviamente ha compiuto questo percorso perché se no non potrebbe fare nulla, è quello di far contestualizzare la storia, quella realtà nel discorso da cui proviene cioè far intendere alla persona che è il suo discorso che necessita di credere a quella storia, perché il suo discorso come ciascun discorso ha degli obiettivi dei quali la persona che è talmente presa dal racconto che ciascuna volta si trova a fare non sa nulla, perché non sa che tutto ciò che lei racconta è inscritto, è prodotto dal suo discorso perché la persona non è nient’altro che il discorso che lei va facendo se non fosse questo la persona non sarebbe nulla e quella storia deve entrare a fare parte cioè la persona deve accogliersi discorso, deve cominciare ad intendere che è il suo discorso che produce quella storia che è l’unica storia che lei conosce e dalla quale storia trae le più grandi emozioni, le più grandi sensazioni, perché se no la riprodurrebbe così all’infinito? E come quando uno va al cinema va al cinema e sceglie i film più congeniali, per ciascuno i film più congeniali sono quelli che lui sceglie, per esempio, se ama come il discorso della depressione le cose tristi, andrà a vedere film tristi perché ama commuoversi, se ama la paura andrà a vedere dei film in cui sia possibile provare quelle forti emozioni, quelle grandi emozioni se no non andrebbe al cinema … dicevo che la persona non sa che è il suo modo di amare in tutte le sue possibili e svariate conformazioni quello che le procura il disagio o il problema, non lo sa perché tutto il suo interesse è focalizzato su quella scena che a lei offre le maggiori emozioni, offre emozioni quindi conclusioni proprio nel raccontarla, la racconta dopo di che è soddisfatta se ne va perché di questa è come se se ne fosse sbarazzata ma ovviamente non se ne sbarazza perché qualche volta dopo ecco che si pone un piccolo particolare, un particolare della storia che ritorna, che ricomincia e ricomincia la necessità di convincere l’altro che è proprio così, di imporre all’altro che questa è la realtà e allora passo dopo passo proprio parlando e continuando a parlare ecco che questa realtà comincia ad inserirsi nel suo discorso perché il suo discorso comincia ad essere importante per la persona, è un discorso che comincia a tenere conto di quello che dice, perché quello che dice, perché quello che dice è quello che afferma quello cioè che ferma letteralmente nel discorso e sarò quello che continuerà poi il dire in seguito e quindi comincia ad accorgersi delle affermazioni che si trova a fare e ad interrogarle, perché occorre interrogare le proprie affermazioni e chiedere conto ciascuna volta se è proprio così e quindi si intendono le connessioni, ci si accorge delle ramificazioni che le proprie affermazioni hanno costruito e che portano alla conclusione e quindi anche alla ripetizione, ci si accorge di quello che il proprio pensiero produce perché il racconto, il racconto che fa la persona ovviamente è prodotto dal pensiero della persona non è responsabile nessun altro però come dicevo è difficile per ciascuno ascoltarsi discorso, ascoltarsi discorso è quello che occorre che avvenga in una psicanalisi perché soltanto ascoltando le pieghe del proprio discorso, ascoltando ciò che dice, ascoltando così i particolari che suscitano quel dire è possibile anche intendere qual è il motivo per cui in molti casi è necessario e si produce e si riproduce uno stesso racconto di una stessa storia, che è una storia particolare che alla persona “piace” piace perché è dalla sua storia particolare e soltanto da quella che trae le più grandi emozioni. Per fare un esempio dell’ascolto di un discorso utilizzerò uno degli esempi che fa Freud nell’Introduzione alla Psicanalisi che vi consiglio di leggere se siete interessati alla psicanalisi, insomma sapere ciò di cui si tratta in una psicanalisi. Ho scelto questo caso clinico brevissimo perché è in tema con il titolo di questa sera “La voglia di amare” perché potrebbe proprio questo caso clinico titolarsi “Voglia di amare” perché descrive la voglia di amore imperitura degli umani da quando nascono a quando muoiono. Di questa voglia di amare Freud invece ne parla a proposito delle idee deliranti, del delirio di una certa signora che era stata accompagnata nel suo studio dal giovane genero che era un ufficiale, un ufficiale molto giovane che l’aveva accompagnata e poi ovviamente se ne era andato.

L’aveva accompagnata perché la signora aveva dei deliri, idee deliranti e rischiava, a parte il suo disagio, il suo forte disagio, rischiava di compromettere la stabilità di una famiglia che era sempre vissuta senza problemi, una vita serena, il marito era una bravissima persona che in tutta la vita aveva lavorato e assicurato un certo benessere economico, i figli sposati, ma tutto questo rischiava, era messo in gioco proprio da queste idee deliranti che intervenivano e sempre di più, cos’è il delirio? Il delirio è uscire dai solchi, uscire dal seminato, costruire un’altra realtà come dire che la persona vive in un certo modo è tranquilla, non ha problemi, è soddisfatta della sua vita ma ad un certo momento per qualche motivo interviene questo delirio a devastare, a turbare, a creare scompiglio, un delirio di gelosia in questo caso. Freud puntualizza una certa cosa, mostra la differenza fra come agisce la psichiatria certo la psichiatria dei suoi tempi ma anche di adesso potremmo dire e come agisce l’analista colui che ascolta il discorso, che ascolta un discorso, che è curioso di quello che la persona ha da dire, che non parte da dei preconcetti per imporre il proprio giudizio o almeno questo sarebbe auspicabile che avvenisse in ogni psicanalisi, ma sia come sia è per l’ascolto di un discorso che faccio questi esempi… il procedere della psichiatria la quale psichiatria dell’ascolto di un discorso non gliene importa assolutamente nulla, una volta che ha concluso che è di fronte a un certo sintomo, in questo caso a un’idea delirante, agisce di conseguenza e cosa fa? Nella migliore delle ipotesi somministra lo psicofarmaco quello più adatto oppure ci sono altri modi per esempio l’elettroshock, questo fa la psichiatria, non sa nulla, diceva Freud, del perché la persona si trovi a dire quelle cose e a fare quelle cose, non sa nulla lo psichiatra ma agisce, agisce con gli psicofarmaci e sappiamo benissimo il business degli psicofarmaci, penso che ciascuno lo sappia le multinazionali vivono anche delle case farmaceutiche che sono imperi economici quindi dettano le loro leggi sul mercato, lo psicofarmaco nel migliore dei casi istupidisce, accheta, addormenta e certamente non è utile al pensiero, basta la pilloletta e poi sapete che anche gli psicofarmaci adesso vengono usati per i bambini in America ma non solo anche in Italia ormai quando c’è un bambino particolarmente turbolento ecco che c’è la pilloletta, lo sciroppino adatto. Oltre ad essere degli imperi economici le case farmaceutiche che forniscono psicofarmaci agli psichiatri e a qualsiasi medico della mutua, gli psicofarmaci inducono il suicidio e le multinazionali dovranno trovare il modo perché questo accada meno frequentemente perché se no rischiano di avere avanzi di magazzino cioè di vendere poche medicine e quindi di mettere in crisi un business finanziario, potrebbe esserci un piccolo tracollo …la finanza in questo momento è molto importante ma come dicevo è per mostrare ciò di cui si tratta in una psicanalisi e ciò di cui si tratta nella psichiatria, e invece Freud ci mostra come ascoltare un discorso e infatti una volta uscito il giovane ufficiale Freud si pone all’ascolto ad ascoltare quello che aveva da dire quella signora, fa raccontare la storia e questi deliri erano cominciati circa un anno prima al momento in cui era arrivata una lettera anonima che denunciava il tradimento del marito con una certa signorina che chiameremo Pinco Pallo, in quel momento la signora così calma e così tranquilla era andata su tutte le furie aveva chiamato il marito e aveva cominciato ad ingiuriarlo, a coprirlo di tutte le maggiori ingiurie, voi direte che non solo quella signora sarebbe andata fuori dai gangheri come ha fatto ma a chiunque succeda di venire a sapere del tradimento del coniuge beh si arrabbia un pochino e quindi non sono idee deliranti, e invece Freud ci dice di come anche la signora fosse consapevole che il suo era un delirio e ne era consapevole perché la signora sapeva anche che in qualche modo era stata l’artefice, colei che aveva suscitato, che aveva fatto in modo che le arrivasse quella famosa lettera, perché la signora aveva una collaboratrice familiare con la quale lei parlava molto, parlava delle sue cose intime e con lei si confidava e conosceva anche molto bene questa signorina, questa sua collaboratrice domestica, e a lei proprio un anno prima aveva detto parlando di un amico che era stato tradito dalla moglie, aveva detto che la cosa che per nessun motivo poteva sopportare era di venire a sapere del tradimento del marito, sapeva benissimo che la signorina, la collaboratrice familiare odiava in modo infinito Pinco Pallo, la signorina di cui si faceva menzione nella famosa lettera, la odiava, aveva un odio spaventoso “la cattiva” e non vedeva l’ora di potersi vendicare e in effetti il giorno dopo arriva la lettera anonima e tutti quanti, non solo la signora si accorsero proprio anche dal modo in cui era scritta la lettera che il colpevole era la “cattiva” collaboratrice domestica, era stata lei ad ordire l’inganno e quindi la signora sapeva benissimo di essere stata lei “l’artefice” in qualche modo della lettera anonima, di averla provocata perché aveva fornito proprio le armi in mano a chi non vedeva l’ora di trovare il modo per vendicarsi, sapeva quindi di averci messo fortemente del suo però non riusciva ad intendere perché nonostante fosse assolutamente consapevole della bontà, della sincerità del marito il quale si era messo a ridere quando aveva letto la lettera anonima, avevo dimenticato di dire che la “cattiva” fu licenziata aveva ammessa la colpa ma non Pinco Pallo no perché non aveva nessuna colpa in tutto ciò, dicevo la signora non sapeva assolutamente perché i suoi deliri che da quel momento erano cominciati continuavano bastava un nome, un particolare, qualsiasi cosa sfiorasse il suo pensiero, bastava una storia che alludesse, una qualunque che potesse essere messa in relazione con un tradimento ecco questo era l’occasione, questo era un motivo per lo sbocco, per il delirio e lei delirava diventava un’altra persona spinta da una differente realtà, lei la raccontava così perché era come se fosse preda di un’altra realtà, dopo le ingiurie, dopo i maltrattamenti al marito ecco che lei ritornava tranquilla però sempre di più questi episodi, questi deliri di gelosia intervenivano nel suo discorso e quindi per questo era andata da Freud e Freud appunto non si accontentava della storia e proseguendo il discorso volle saperne di più e quindi cominciò a porre delle domande, a chiedere in qualche modo quale potesse essere “secondo Lei” il motivo per cui questi idee deliranti continuavano a intervenire a devastare la sua vita e quella degli altri, a che cosa serviva? Le domande di Freud erano mirate a questo ma soprattutto a che cosa serviva quello che lei andava mettendo in scena, raccontando, forse fece anche qualche domanda indiscreta, una domanda mirata ovviamente ed ecco che la signora intese come Freud aveva inteso qual era l’obiettivo di quel discorso, perché quel discorso aveva costruito e metteva in scena quel delirio, l’obiettivo di quel discorso era il non poter accogliere l’amore per il giovane ufficiale, per suo genero, lei si era innamorata di questo giovane però questo amore era per lei era talmente vergognoso, talmente esorbitante “usciva dai solchi” del suo pensiero, del suo discorso. Disse a Freud che stava bene, stava assolutamente bene, aveva capito e lo salutava perché non aveva intenzione di proseguire l’analisi. Ecco questo è il discorso che agisce in base a un suo obiettivo che manda sempre a segno in qualche modo però se non si può ascoltare un discorso non si può comprendere nulla perché la storia è quella che focalizza l’attenzione e si può soltanto continuare a descriverla in tutti i più minimi particolari e null’altro e a rimetterla in scena non si può intendere il motivo economico, il tornaconto per cui si agisce in un certo modo. Contestualizzare la storia, la storia preferita quella storia che è così importante per la persona che parla dell’amore, che parla del suo amore, di ciò che la interessa contestualizzarla al suo discorso, portarla, farla entrare nel suo discorso per intendere a che cosa serve questa storia nell’economia di quel discorso, per quale motivo viene agita diremmo noi, intendere in qualche modo averne la responsabilità, sapere che è il proprio pensiero che la costruisce e che non viene dal nulla così come immaginano le persone ma viene dal proprio discorso. Per tutta la vita Freud ha cercato di mostrare agli umani che gli umani sono gli artefici del loro destino, sono coloro che costruiscono il loro destino, costruiscono le loro paure, costruiscono le loro pene, costruiscono il loro destino letteralmente perché ne sono attratti e questo perché tutto ciò è costruito dalla loro psiche, diceva così Freud, sono spinti dal desiderio che lui chiamava inconscio che non sarebbe nient’altro che l’infantilità della persona, che la persona non può riconoscere ma è sempre spinta dalle forti passioni, dalle forti emozioni, ricerca quelle emozioni che trae solo dalla sua storia particolare che crede universale e che chiama realtà ecco in qualche modo ciò che cercava di fare Freud era di responsabilizzare …di dire agli umani che sono loro gli artefici del loro destino, con tutto ciò che questo comporta, in quel periodo c’era la guerra mondiale, la seconda guerra mondiale per cui era al centro di un conflitto mondiale e diceva che gli umani non possono rinunciare alle passioni, non possono che cercare dei conflitti per “divertirsi” per divertire il loro “inconscio” bambinesco e per tutta la vita ha cercato di fare questo ma vedete Freud, Freud è nato nel 1856 proprio l’anno prima che nascesse De Saussure che è colui che fondò la Linguistica e nacque a Ginevra 1857. La Linguistica nacque come scienza all’incirca all’inizio del 900 e Freud di Linguistica era assolutamente sprovvisto non aveva propriamente gli strumenti anche se conosceva bene la magia delle parole, il potere delle parole e quindi il potere del discorso che è fatto di parole. De Saussure cominciò a porre le questioni in un certo modo dicendo di che cosa è fatto il pensiero degli umani e questi già all’inizio del 900, per esempio, dice che il pensiero degli umani è come una nebulosa in cui tutto è indistinto, non c’è nessuna differenza, la differenza, la significazione avviene quando questo pensiero diventa parola allora sì nasce la significazione, nasce la possibilità di distinguere un elemento da un altro. De Saussure parlava della parola come l’atto dell’umano in ciascun momento ma la parola è parte di un sistema, è parte di un ingranaggio a cui deve la sua vita, è parte del linguaggio da qui la socialità della parola “Langue e Parole”: la parola è lo strumento del pensiero cioè è lo strumento di una struttura, è ciò che utilizza il linguaggio per funzionare, il pensiero degli umani non è nient’altro ma niente di meno che questo, così come all’inizio del 900 cominciava ad affermare De Saussure il pensiero degli umani non è nient’altro che questa struttura che sta funzionando e che funziona in un certo modo. Poi ancora anche Wittgenstein ha inteso la questione o per lo meno ha inteso la portata del linguaggio prima dicevo di come la persona per molto tempo cerchi di mostrare all’analista qual è la realtà delle cose, di quella che lei crede che sia, di come ci sia questa disputa per mostrare, per imporre che è proprio così come “io la racconto la realtà” Wittgenstein non era d’accordo con Freud che propriamente parlava di costruzioni di un apparato psichico, delle fantasie o rappresentazioni che spingono gli umani a muovere in una certa direzione a costruire le paure, gli affanni, le angosce per goderne beh Wittgenstein era un logico che si interessava di linguaggio in questo caso avrebbe parlato di giochi linguistici, giochi linguistici. Wittgenstein nel suo testo l’ultimo prima di morire, quello che fu chiamato Della Certezza perché in questo testo propriamente è della certezza che supporta il sapere degli umani ciò con cui si confronta fino a pochi giorni prima di morire e proprio in questo testo, per esempio, dice “come sanno gli umani che la terra è esistita da milioni di anni?” Se voi lo chiedete ad un adulto, l’adulto vi dirà “io lo so” non lo può dimostrare ma lo sa, ma se voi lo chiedete a un bambino, a un bambino di prima elementare “come sai che la terra esiste da tanto tempo?” in quel caso il bambino vi dirà “me lo ha detto la mia maestra” e quindi anche in questo caso è così, ma come so, diceva Wittgenstein, che quando lascio la mia macchina parcheggiata fuori nella strada quando non la guardo, la mia macchina non sparisce? Come lo so? Io non la vedo e quindi non posso esperirla cioè non posso vederla continuamente, mantenerla sotto il mio sguardo ma io lo so, sono assolutamente certo o che me l’hanno rubata oppure la macchina sta lì ad aspettarmi, non sparisce. Ma da dove viene questa certezza? Viene dal sistema, viene dal programma linguistico in cui ciascuno di noi ha tratto le sue prime parole per cominciare a dire delle cose e quindi a sognare e quindi a desiderare. C’è qualcuno che vuole intervenire?

 

Intervento: è a conoscenza di questa ultima psicologia chiamata Emotivia?

 

No signora, non sono a conoscenza di questa ultima psicologia io mi occupo di psicanalisi.

 

Intervento: sì in effetti è psicanalisi, si regredisce allo stato di infanzia per esternare la paure e le emozioni vissute in quel tempo che si riflettono nella vita quotidiana …

 

Prima io parlavo della responsabilità degli umani delle loro paure, delle loro angosce, per esempio, della voglia di amare al momento in cui la persona si trova sempre nella condizione di trovare un nuovo amore quindi ad agire in un certo modo ovviamente, il momento in cui il bambino prova le più forti emozioni è proprio quando incomincia a fare i primi discorsi, a mettere insieme le prime parole per trovare le sue prime verità, in quel momento quando qualcosa comincia a diventare vero e quindi importante per il pensiero del bambino in questo momento tutto attrae, tutto è possibile per il bambino, tutto è estremo, tutto è raggiungibile ecco lì proprio lì nascono i primi desideri e c’è l’occasione che questi primi desideri che per il bambino sono così estremi proprio perché sono tutti assolutamente veri non essendo ancora esposti a una sua controargomentazione questa avviene poi, più avanti perché man mano cresce e impara tante cose, impara man mano che tante cose sono possibili e tante impossibili, cresce la persona ha altre cose cui interessarsi più avanti, è come se non ci pensasse più in quei termini però i desideri del bambino, quei primi desideri che l’hanno mosso, quelli che l’hanno spinto e che in qualche modo non hanno avuto una verifica dal bambino stesso, perché un bambino piccino desidera e basta, vuole ogni cosa, per lui ogni cosa è possibile perché i giochi linguistici di quel primo periodo non prevedono ancora gli altri giochi linguistici che man mano che cresce impara, poi c’è l’educazione ma prima, all’inizio tutto è estremo, è come se tutto fosse incontrovertibilmente vero e in qualche modo vero permane e quindi questi desideri non esposti al criterio verofunzionale di un discorso sono veri e sono quelli che pilotano la vita dell’adulto a ricercare, a ricreare, a compiere e a concludere questi desideri però ovviamente a quel punto è diventato un adulto e quindi queste cose possono sembrargli sciocche, banali ma non ascoltando il suo discorso e non sapendo di essere il discorso che va facendo, non sapendo di essere linguaggio ecco che allora costruisce una teoria cioè un’altra storia in cui sono gli appetiti quelli dell’infanzia che guidano la vita, però se ci si potesse accorgere del discorso che si va facendo in ogni momento e della responsabilità ma vedete quando noi parliamo di responsabilità non parliamo di responsabilità penale “colpevole o innocente” nel senso che non si tratta di colpa così come molte volte si immagina quando si parla di responsabilità, ma responsabilità di un discorso che agisce perché è il discorso che risponde, c’è responsabilità della persona quando intende di essere l’agente, colei che agisce un discorso che è lei che costruisce, perché è il suo pensiero che conclude in un certo modo e quindi da la direzione al suo discorso, solo a questo punto può interrogarsi sul perché ama, per esempio, subire dei presunti fatti esterni, ama subire un “colpevole” o essere “colpevole” ma l’interrogazione a questo punto riguarda il suo discorso, riguarda il suo pensiero perché solo quel pensiero può trarre quelle conclusioni ed andare quindi in una certa direzione e allora perché il mio pensiero ama queste cose? Qual è la condizione del discorso, qual è la condizione del pensiero? Il discorso non è nient’altro che pensiero, quando ciascuno pensa, pensa fra sé e sé, dice fra sé e sé, cosa fa? Parla non è che così di punto in bianco intervengono delle “galassie” conclude, dice così come fa quando parla con gli altri, di cosa è fatto il suo pensiero? È fatto di parola ma come funziona? Qual è la condizione del pensiero? Dicevo prima di quello che ha incominciato a dire De Saussure ….non è stato seguito da molti perché forse andava contro a delle forti superstizioni l’umano è al centro dell’Universo, è al centro del mondo, è amato da papà e mamma, è amato da dio e quindi bisogna credere che il linguaggio sia un mezzo per dire delle cose, bisogna credere che non è il linguaggio ciò che costituisce gli umani, bisogna credere questo ma gli umani possono pensarsi umani, proprio perché c’è questa struttura, c’è il linguaggio che mi permette questa affermazione, che mi permette di concludere ciascuna volta quello è una serie di argomentazioni, domande e risposte che il mio pensiero si fa, se il mio pensiero non potesse concludere per esempio, che una cosa è bella o brutta ecco che quella cosa non sarebbe né bella né brutta ma quella cosa non sarebbe, finché il mio pensiero non conclude che le cose stanno così come io dico che stiano beh le cose non stanno in nessun modo, per questo Freud era depresso, se mai si può dire, dopo aver mandato per il mondo la sua psicanalisi, lui parlava di un apparato psichico che costruisce ciò che costruisce attraverso rappresentazioni ma non c’era nulla di necessario ancora perché è come dire “dio l’ha voluto” non aveva inteso qual è la condizione del pensiero, ciò per cui noi possiamo affermare la responsabilità che non è una responsabilità come dicevo penale è una responsabilità che deriva prettamente dal sapere qual è la condizione per cui il pensiero, qualsiasi pensiero possa farsi, possa esistere, qualsiasi cosa possa esistere ma anche dal funzionamento del linguaggio come dicevo se quel discorso non conclude cioè non parte da una premessa e attraverso passaggi che non neghino la premessa conclude, se non conclude per ciascuno la cosa non è né bella né brutta non è nulla,è come se la persona continuasse a dire “e questo e questo e questo e questo” e non si ferma mai proprio come quella persona che continua a raccontare credendo che quel racconto che lei fa sia avulso dal suo pensiero, sia così come le cose le accadono, senza che ne abbia la benché minima responsabilità ma non si tratta di trovare la responsabilità della persona come avrebbe potuto fare la paranoica delirante del caso clinico di cui dicevo che molto probabilmente poi il delirio l’ha rivolto verso se stessa perché è colpa mia mi sono innamorata di mio genero e cose di questo genere, no non si tratta di colpa si tratta di intendere proprio logicamente che non può venire da altri se non dal mio discorso quella storia …

 

Intervento: però bisogna crederci che la responsabilità è dentro di noi … se non si crede, se si è ignoranti della comprensione di come la nostra mente lavora si finisce con credere che è fatalità son fortunata o son sfortunata o questa è la vita … bisogna essere interessati a sapere che c’è una forza dentro di noi … fondamentalmente le nostre azioni sono guidate da una forza interna …

 

Ho premesso che per avere gli strumenti per intendere il proprio discorso, quel discorso che si va facendo che produce ciò che produce bisogna intraprendere un percorso perché non basta che io le dica che qualsiasi cosa è un elemento linguistico perché lei ne accolga subito tutte le implicazioni, non basta perché nessuno prima di noi ha mai saputo esattamente né mai detto ciò di cui si tratta e quindi ci vuole un percorso e una psicanalisi, per esempio, è un percorso. Certo lo psicofarmaco, di qualsiasi psicofarmaco si parli basta la pilloletta e lei non si chiede neanche più qual è la forza che la spinge anzi non ha neanche più questa forza, io sto parlando in campo teoretico quello che produce una psicanalisi che non produce soltanto la contestualizzazione della storia che si ama di più all’interno del proprio discorso, ci sono ben altri passaggi quindi un percorso teoretico, occorre giungere a questo al momento in cui si sa e non si può non sapere che qualsiasi cosa accada questo qualsiasi cosa è un atto linguistico, è una costruzione del linguaggio e il linguaggio come può essere considerato per fare un esempio? Un sistema operativo ecco come quello che fa funzionare un computer, qui vedete non c’è più, la signora prima diceva “allora bisogna credere” qui finalmente non c’è proprio più nulla da credere perché per il pensiero questa se vogliamo è l’unica verità che abbia la possibilità di far evolvere il pensiero, partire da questo, implicito in ogni atto di parola di essere produzione di un sistema che funziona per ciascuno allo stesso modo, gli umani hanno sempre cercato qualche cosa che potesse essere un fondamento, un fondamento da cui far partire il loro pensiero e non l’hanno mai trovato e tutte le loro fantasie, le loro insicurezze, tutte le loro paure, tutte le loro angosce, le loro speranze erano fondate su nulla ora noi possiamo affermare che sono costruzioni del linguaggio se non ci fosse il linguaggio non ci sarebbe nessuna paura né nessuna speranza e hanno una sola funzione quella di produrre altro linguaggio. Oggi ascoltavo alla televisione Papa Ratzinger e cosa diceva a proposito di ciò che sta avvenendo oggi … la caduta diciamo o quello che si presume sia la caduta dell’impero economico, delle banche e diceva, ha subito colto l’occasione, diceva vedete come sia effimera ogni cosa nel mondo anche le banche stanno per tirare le cuoia e quindi dovete intendere che l’unica realtà, l’unico realismo di cui possa esserci parola, l’unico realismo che possa essere degno di questo nome è credere nella parola di dio, se venite il mercoledì alla nostra Associazione Scienza della Parola in via Grassi 10 che da almeno vent’anni si confronta con queste questioni, con questioni logiche, con questioni analitiche se voi venite il mercoledì sarete ben accetti e lì parleremo del linguaggio della sua condizione e come funziona perché finalmente c’è qualcosa di assolutamente certo, sicuro con cui fare i conti e non solo ricreare la storia del credo in un dio il quale è un buon papà, il quale mi rassicura, mi promette il paradiso non su questa terra ma me lo promette … ricreare questa storia in cui sono importante per qualcuno, sono l’unico perché ciascuno è unico per un buon padre, quanti milioni di persone credono in qualsiasi religione, la signora diceva prima però “lo dobbiamo credere, credere in una forza” no fare i conti su ciò che costituisce e costruisce e supporta il mio pensiero e quello di ciascuno, il mio pensiero è fatto di questo, è fatto di stringhe, stringhe, elementi linguistici, giochi linguistici che vanno in conflitto fra di loro e allora creano per esempio la nevrosi, creano la psicosi creano un sacco di cose, non c’è più da credere in nulla ma da lavorare, lavorare sodo per rendere intanto in prima istanza a sé sempre più semplice la questione e poi se si vuole fare come facciamo noi delle conferenze per continuare a dirlo alle persone che vengono ad ascoltarci, è ovvio che per sapere qualche cosa del linguaggio bisogna per lo meno ascoltare il proprio discorso per sapere di che cosa è fatto e quindi per sapere come funziona, questo, ci vuole un percorso non basta la pilloletta o raccontare la favoletta cosa che gli umani apprezzano moltissimo perché intanto da qualche parte che qualcuno che mi ama e che pensa per me. Faioni?

 

Intervento: è stata detta fra le righe ma in modo abbastanza esplicito la connessione stretta fra la voglia di amare e di storie, voglia di amare è voglia di trovarsi in una storia. Si parla di voglia di amare che non è tanto trovare qualcuno in particolare, ma il vivere una storia perché è questo che le persone cercano da sempre, cercano storie. Storie in cui trovarsi protagonisti, trovarsi importanti, sentirsi considerati, sentirsi autori di qualche cosa di importante, e questo è ciò che naturalmente produce delle emozioni. Come si diceva le emozioni sono importanti per gli umani, questo è noto da sempre, ma nessuno sa perché esattamente, però lo sapevano già i Presocratici che le storie sono l’innesco per produrre emozioni e naturalmente non si tratta come taluni fanno di denunciare la cosa, come dire ciascuna istituzione, ciascuna persona cerca di persuadere l’altro raccontandogli storie, non necessariamente fandonie, ma storie nel senso di novelle, di racconti. Racconti e novelle nei quali la persona si immedesima e si identifica, una volta che si è immedesimata e identificata in questi racconti agirà anche di conseguenza, come se effettivamente questo racconto diventasse la realtà e allora agisce di conseguenza, però dicevo denunciare queste cose non è così interessante, molti lo fanno anche perché denunciare una cosa del genere è trovarsi all’interno di un’altra storia e parrebbe non esserci nessuna possibilità di venirne fuori da questa sequenza infinita di storie, potremmo farla incominciare da Omero se vogliamo ma forse anche da prima, però mancano i testimoni oculari. Dunque le storie, perché le storie producono emozioni? Cosa sono le emozioni? Perché gli umani le cercano da sempre? Queste sono domande che potrebbero essere interessanti da esplorare, nessuno sa esattamente che cosa siano e da dove vengano, ciascuno considera di fatto che sono quelle cose che distinguono gli umani, le macchine non provano emozioni, così si dice generalmente anche se nessuno glielo ha mai chiesto, in ogni caso queste emozioni hanno un potere immenso, chi riesce a controllare le emozioni di un’altra persona controlla l’altra persona; i fanciullini lo sanno, almeno alcuni, come si seducono le fanciulle: raccontando quello che vogliono sentirsi dire, e il gioco è fatto perché è questo che vogliono, glielo si da e tutto funziona liscio, non è una cosa di oggi ma di alcuni migliaia di anni per cui è ben collaudata e sì andrà avanti per altri migliaia di anni di sicuro. Ma in ogni caso la questione interessante è perché queste storie sono così efficaci al punto che oggi, ho iniziato a parlare con gli amici proprio nella riunione di cui ha parlato prima che teniamo al mercoledì sera, a intendere come per esempio la portata di queste storie abbia rilevanza non soltanto sui singoli ma sulle società e venga utilizzata a scopo politico, economico, militare, ovunque, naturalmente perché la storia sia efficace occorre che la persona non si accorga in un certo senso della storia ma diventi la sua realtà, si trasformi nella sua realtà, è così che è assolutamente efficace, finche rimane la possibilità di considerarla una storia è un po’ come quando si va al cinema, può essere appunto divertente, piacevole eccetera però rimane qualcosa al di fuori e invece è necessario che le persone si calino totalmente e in modo irreversibile all’interno di una storia. Le ultime reclame che fanno e di cui ho avuto notizia sono reclame fatte in questo modo, sono delle piccole storie perfettamente confezionate da gente in gamba, come registi, è gente che sa il fatto suo le quali, dicevamo proprio mercoledì scorso, e queste storie non vendono più il marchio, il prodotto, non gliene importa più niente a nessuno ma vendono la storia, come dire che quella certa cosa è soltanto l’esca per la storia esattamente come il fanciullo: è l’esca per la fanciulla per una storia esattamente allo stesso modo, ed è per questo che funziona ed ha sempre funzionato dai racconti antichi fino alle indicazioni di un tale Adolfo Hitler che forse i più giovani non conoscono che ha raccontato alcune storie che sono state credute, sono diventate reali per molti con alcuni effetti collaterali naturalmente. Parlavo proprio oggi con un amico del Mein Kampf che è stato il testo scritto Adolfo Hitler e che è un manuale di sociologia oltre che di marketing, perché occorre dire che lui nel marketing è riuscito molto bene, ha venduto molto bene un’idea, una storia, in realtà non c’era nessun prodotto dietro, assolutamente niente, ma c’era una storia, una storia in questo caso mitologica in termini di purezza di sangue, di potenza eccetera ma era una storia che è riuscita a travolgere un certo numero di milioni di persone e ad armarle esattamente così come avviene in una relazione, in una storia d’amore, questa storia travolge, travolge al punto che per amore una persona è disposta a fare qualunque cosa. Una persona è disposta a fare qualunque cosa per una storia che gli è stata raccontata o che si è creata a partire da alcuni elementi e alla quale ormai crede come se fosse la realtà delle cose anzi, per lui è la realtà delle cose, non ce n’è un’altra, per una persona che è follemente innamorata di un’altra la realtà è quella, non ce ne sono altre ed è anche straordinariamente difficile smuoverla da quella posizione così come è straordinariamente difficile smuovere per esempio un fondamentalista islamico dalla sua posizione. Detto questo la questione della voglia di amare è voglia di storia, però a questo punto si apre una questione immensa della quale dovremo occuparci nel prosieguo e lo faremo naturalmente nelle riunioni che facciamo dove queste cose vengono affrontate in termini molto precisi lavorando su testi, scandagliando testi che sono usciti negli ultimi tre mila anni. Riflettere e considerare le storie, le storie che ciascuno si racconta e alle quali crede, prima si parlava di delirio, si tratta di intendere se il delirio in effetti è un modo di pensare così circoscritto come apparentemente sembra oppure no, oppure è molto più ampio di quanto potrebbe apparire così d’acchito. Questo è un lavoro di estremo interesse da fare, come ho detto lo faremo tutto il prossimo anno …

 

Ci sono questioni? Qualcuno vuole aggiungere questioni? Elisabetta lei è interessata al linguaggio?

 

Intervento: sì ma è la storia della signora, che non riusciva a vivere la sua passione …

 

Però per la signora era abbastanza drammatico (sì ma poteva dichiararsi al genero) forse doveva continuare l’analisi elaborare la questione non era nulla di male… anche per lei è un amore impuro? (no anzi mi ha affascinato proprio il fatto che ha inventato questo meccanismo in qualche modo per salvaguardarlo ) sì una proiezione sul marito è diventato lui il colpevole… altri? Sandro?

 

Intervento: la signora senza volerlo ha provocato in me una sorta di riflessione rispetto alla questione della forza interna ha parlata di questa psicologia (di regressione) questa è una pratica abbastanza comune questa di rivivere il passato la questione della catarsi attraverso … chissà quale effetto traumatico … la questione che poniamo noi dell’Associazione Scienza della Parola, io faccio parte dell’associazione si pone in alternativa a qualunque pratica magica perché se vogliamo la Psicologia è una pratica magica in quanto appunto parla di forze interne, di energie le quali non si sa assolutamente da dove vengono si immagina che esistano, si immagina che esistano però se si volesse affrontare la cosa in termini non solo letterari ma scientifici perché letterariamente è tutto molto apprezzabile, accettabile anche ma in termini teorici la cosa diventa difficile da sostenere e qualcuno potrebbe sempre fare una domanda piuttosto impertinente come ad un certo punto si sa che esistono queste cose quindi si chiede quanto meno in ambito teorico si chiedono prove (Wittgenstein diceva “come lo so?” ) e allora poiché non è provabile in effetti non è mai stata data prova di questo si è sempre supposta l’esistenza ma non è mai stata provata ora la questione si pone in termini non più teorici, non più scientifici ma in termini religiosi cioè io credo che le cose stiano così e quindi se credo vero che le cose stiano così io faccio un atto di fede esattamente come quando credo che esista dio non lo posso provare però il mio è un atto di fede …ciascuno è libero di fare quello che vuole però è libero di non credere a questo punto …è forse questo la scommessa che il nostro percorso fa quello di togliere le condizione di avere la necessità di credere in qualcosa …diceva molto bene Beatrice accorgersi per esempio che in effetti ci raccontiamo delle storie come diceva Faioni alle quali crediamo per mille motivi ma senza sapere poi effettivamente poi crediamo le cose e crediamo le cose più ingenue, più banali più assurde se solo si cominciasse ad intendere come si costruiscono queste storie, che funzione hanno a che cosa servono e questo ciascuno lo può reperire in quella ricerca di cui parlava Beatrice che poi è quella relativa al proprio discorso perché si comincia dalla propria storia per accorgersi che la propria storia si costruisce allo stesso modo di tutte le altre storie perché è lo stesso il modo in cui funziona il pensiero, il pensiero funziona in un solo modo, come diceva Beatrice prima si parte da una premessa c’è una serie di argomentazioni coerenti con la premessa e si giunge alla conclusione quindi si giunge a dei giudizi, a delle considerazioni e ciascuno deve concludere in un modo vero spesso partendo dalle premesse così un po’ traballanti si giunge a cose altrettanto traballanti faccio un esempio se la premessa è che esiste una forza interna ecc. ecc. questo poi da adito a tutta una serie di considerazioni che possono portare chissà dove ma si fondano comunque su questa idea tolta la quale casca tutto è come la religione tolta l’idea di dio che cosa rimane? Rimane niente quello che invece rimane nel discorso di ciascuno è quell’altro motore che è il linguaggio quando ciascuno si accorge di essere solo linguaggio e che esiste in quanto è linguaggio nel senso che è questa struttura che gli consente di pensare e che quindi il fatto stesso che gli consenta di pensare è ciò stesso che lo fa esistere perché senza pensiero non c’è esistenza …lei immagini l’assenza di pensiero, immagini per un attimo esisterebbe qualcosa? (però qui si ritorna al credere di nuovo perché allora cominciamo a credere che c’è un pensiero ) no, stiamo dicendo il pensiero allora il pensiero non lo distinguiamo dal linguaggio ché senza linguaggio non esiste pensiero non è una questione di credere, lei crede di essere un essere parlante? (può darsi) allora possiamo discutere qualunque cosa in questo momento io sto parlando non credo di parlare, sto parlando altre cose posso crederle invece ma non le posso provare ovviamente il fatto che io stia parlando è la prova … ma al di là di questo possiamo dire qualunque altra cosa intendo dire per riprendere il discorso di prima è che se non ci si accorge di quella che è la condizione ultima, la condizione ultima di tutto ciò che è stato pensato, di ciò che si pensa e di ciò che si penserà il fatto è che siamo esseri parlanti pensiamo nel linguaggio fuori dal linguaggio non c’è pensiero né esistenza non c’è nulla il fatto che noi appunto siamo nel linguaggio è questa la condizione fondamentale intendo dire arriviamo da una concezione del linguaggio come uno strumento per descrivere una realtà esterna un qualche cosa che non è linguaggio per dire certamente come l’ha descritto Faioni in modo esemplare prima a dire che è il linguaggio che costruisce la realtà e senza il linguaggio la realtà non esisterebbe, ritorno a dire immagini di essere priva di linguaggio e a questo punto si chieda se potrebbe esistere qualcosa (sì!) no perché il concetto stesso di esistenza è costruito dal linguaggio (…) se lei fosse priva del linguaggio non esisterebbe l’esistenza perché l’esistenza è un concetto linguistico e quindi non potrebbe comunque pensare nulla non esisterebbe assolutamente nulla, non sarebbe mai esistito e non esisterà mai nulla senza linguaggio perché l’esistenza è qualche cosa che è un concetto linguistico (linguaggio mentale?) il linguaggio la struttura non la verbalizzazione, la struttura il linguaggio non l’abbiamo inteso come il verbalizzare qualcosa …la differenza che faceva anche De Saussure Langue e Parole, il sistema cioè il Linguaggio e la Parole che è l’esecuzione, l’atto esecutivo della Langue ….

 

Sul linguaggio volevo così lasciare un’interrogazione l’idea proviene dal testo di De Saussure, lui quale studiava le lingue, il linguaggio la struttura ecco in molte lingue, per esempio, non esiste il futuro, il verbo essere che è il verbo che fonda la metafisica, l’ontologia, il verbo essere se non ci fosse il futuro del verbo potrei sperare che qualcosa sarà? Lo potrei fare senza il futuro? È quasi una stupidaggine quella che sto dicendo per la sua banalità ma solo per fare esempi, oppure se non ci fosse il passato, l’imperfetto tutti questi temi che la grammatica ha costruito … chi ha costruito la grammatica? Qualcuno si è messo lì e ha detto “adesso come lo chiamiamo il futuro del verbo essere? almeno così ci sarà possibile sperare” e se non c’è il tempo del futuro come in certe lingue, certo i concetti saranno differenti dai nostri concetti il che vuol dire un modo differente di pensiero, perché noi non costruiremmo nulla perché se non c’è un verbo con questa idea del tempo non c’è neanche un pensiero che lo possa pensare, se manca il passato come una persona potrebbe ricordare cose che sono state, cose che furono. Provate solo a considerare queste piccole questioni banali, queste piccole questioncelle che sono proprio l’abc per incominciare ad interrogarsi sul linguaggio, se non ci fossero i verbi, per esempio, con tutte le loro differenze concettuali di tempo che il linguaggio ha costruito per, noi parliamo continuamente senza degnare ciò che diciamo senza accorgerci di quello che agiamo mentre diciamo e il nostro pensiero è esattamente fatto come quelle parole che diciamo all’altro, nel pensiero è tutto molto più veloce, a volte il pensiero è velocissimo ci sono degli automatismi che condensano tutta una serie di questioni in tre battute mentre quando parliamo ad un’altra persona dobbiamo esplicitare molti passaggi, questo è il pensare ma attraverso delle parole, delle proposizioni, attraverso una struttura i cui strumenti sono le parole che utilizzo io, che utilizza la signora ciascuno nel proprio particolare modo, il suo modo di parlare ma provate solo a considerare questo se il linguaggio non avesse a disposizione come in italiano il verbo al futuro oppure il verbo al passato e tutte le diverse gradazioni perché l’imperfetto è meno passato del passato remoto, chi ha costruite queste cose? Chi è stato il colpevole? È ovvio che non ci fosse il passato non ci sarebbe nessun ricordo di un passato, come faccio a ricordare quello che fu? E a sperare in quello che sarà? non lo posso fare se mancano questi strumenti

 

Intervento: anche perché è paradossale negare che qualsiasi cosa sia un elemento linguistico per confutare questa proposizione occorre utilizzare il linguaggio …

 

In molti casi per le persone è indifferente non si accorgono di questo paradosso, è ovvio che se le persone sono abituate a credere in un dio qualunque che non c’è da nessuna parte quando affermano “non tutto è linguaggio perché ci sono cose che linguaggio non sono” non si accorgono del paradosso e cioè che per trovare, pensare quelle cose “che non sono linguaggio” (se ne hanno voglia chiaramente) devono parlare e da questo non c’è possibile uscita, né scampo. Va bene sono le 22 e 40 è tardissimo, se siete interessati al pensiero e quindi al linguaggio l’appuntamento è per ciascun mercoledì in via Grassi 10. Buona notte e grazie.