HOME 

 

Torino, 6 dicembre 2011

 

Libreria LegoLibri

 

Luciano Faioni

 

I miti nella psicanalisi

 

 

 

Freud ha incominciato ad ascoltare le persone per primo, prima di lui nessuno lo aveva fatto, ascoltare un discorso, lasciare che un discorso prosegua lungo tutte le sue pieghe, i suoi risvolti, i suoi rimandi, i suoi rinvii. Da quel giorno è come se avesse scoperchiato il vaso di Pandora, ciò che le persone incominciavano a raccontare andava molto al di là di quanto Freud all’inizio si aspettava, la prima cosa era una produzione infinita di fantasie, poi con gli anni si accorse che gli umani sembrano di fatto vivere di fantasie, tutta la loro esistenza appariva come pilotata da fantasie, fantasie cioè delle costruzioni che mano a mano le persone andavano ponendo in atto per vari motivi, per supplire a qualcosa che appariva essere una deficienza, per creare una situazione dove le cose andassero come volevano loro, ché si sa che le cose non vanno mai come uno si aspetta e desidera che vadano, però se la scena la costruisco io allora le cose vanno nel modo in cui voglio io. È ovvio che poi ci si scontra con ciò che lo stesso Freud chiamò il principio di realtà, e cioè con il fatto che poi degli ostacoli, anche se faccio finta che non ci siano o cerco di aggirarli, comunque ci sono. Quando Freud iniziò questo lavoro l’ambito in cui si muoveva era un ambito medico, lui era un medico, un neurologo, e in pieno clima positivista, quindi le scienze avevano un predominio, si immaginava che le scienze sarebbero riuscite a dominare tutto, cosa che in parte è avvenuta, ma solo in parte, ciò nonostante, pur essendo medico, Freud a un certo punto, proprio lasciando parlare le persone, si accorge di un fatto straordinario e cioè che i racconti e le fantasie erano di fatto delle costruzioni linguistiche. Una persona quando racconta qualcosa in prima istanza parla, racconta, dice delle cose, questione di notevole interesse per lo stesso Freud che dedicò a questo un certo numero di saggi, di interventi, basti pensare alla Interpretazione dei sogni dove la questione linguistica è prioritaria, ma poi nella Psicopatologia della vita quotidiana, negli atti mancati, nel Diniego e in tantissimi luoghi ciò che insite nel testo di Freud, nella sua ricerca, nella sua elaborazione, è qualcosa che ha a che fare con le parole anziché con questioni prettamente fisiologiche o biologiche, anche se c’è comunque ancora in Freud un occhio di riguardo talvolta ad aspetti fisiologici, biologici non dimentichiamo la sua formazione e tradizione positivista, cionondimeno l’attenzione e l’interesse per ciò che mano a mano andava trovando nei racconti che ascoltava era sempre di più rivolta a ciò che accade mentre una persona racconta qualcosa: che cosa succede quando si racconta qualcosa? Succedono tantissime cose che prima di lui non erano state prese in considerazione, o solo in minima parte, e cioè succede una cosa singolare: queste parole delle quali Freud incomincia ad occuparsi non sono degli elementi isolati che si tratta di sviscerare, di intenderne con correttezza il significato, ma sono degli elementi che sono quello che sono perché inseriti all’interno di una combinatoria, di una struttura, Freud non usa questo termine certo, però la questione che pone è questa, connessioni che lui intende ancora talvolta come assonanze, come paronomasie, però connessioni tra parole. Questa questione, che ha un’importanza straordinaria non soltanto nel testo di Freud ma nella psicanalisi stessa, ha avuto un ulteriore contributo da parte di chi psicanalista non era ma linguista, un tale Ferdinand De Saussure, linguista ginevrino. Con De Saussure la questione che in quegli stessi anni più o meno Freud stava considerando senza sapere nulla di linguistica né di semiotica, con De Saussure veniva esplorata in termini straordinariamente precisi, quelle stesse connessioni che Freud incontrava ascoltando le persone, ascoltando i loro racconti venivano teorizzate da De Saussure come il funzionamento stesso del linguaggio, e cioè non è che queste parole sono connesse fra loro perché c’è un problema alla radice o c’è un cattivo intendimento delle questioni, De Saussure ha inteso che questa è la struttura stessa del linguaggio, De Saussure non la chiamava struttura ma sistema, pochi anni dopo si è incominciato a parlare di struttura e la definizione che fu data di struttura è interessante anche per, e soprattutto, per il lavoro di Freud, vale a dire come quell’intreccio di relazioni, quella connessione di elementi tale per cui se si modifica un elemento o se ne toglie uno o se ne aggiunge uno tutto il resto della combinatoria si modifica, si riassetta in base a quella modificazione. Dicevo che è stata una considerazione straordinaria da parte di De Saussure perché era esattamente ciò che Freud aveva inteso, nel momento in cui si accorse che inserendo un elemento all’interno di una storia quella storia non era la stessa, ma tutta la storia veniva modificata. Questo è uno degli elementi che ha contribuito all’invenzione della psicanalisi, un’invenzione straordinaria il cui successo notevole è avvenuto non tanto ai tempi di Freud, anche certo, ma non solo, è avvenuto fra gli anni 60/70/80 il grande successo della psicanalisi, non solo come sistema per eliminare certi disturbi e malanni, anche certo, ma come un modo di pensare. La psicanalisi in quegli anni, soprattutto in seguito alla comparsa in Francia di uno psicanalista, tale Jacques Lacan, riprese Freud insieme con De Saussure e questo portò a porre la psicanalisi non più come un metodo per svolgere certi problemi che Freud aveva chiamati nevrosi, ma come un modo di pensare, un modo di pensare che sovvertì in quegli anni totalmente lo scenario intellettuale e culturale dell’epoca. La psicanalisi incominciava a imporsi come modo di pensare sociale, politico anche, economico oltreché filosofico e psicanalitico ovviamente, ma perché tanto successo? Ciò che fece Freud iniziò a costringere chi si occupava di psicanalisi in modo teorico a prendere atto del fatto che ciascun elemento è inserito all’interno di una combinatoria, trae il suo senso dalla combinatoria in cui è inserito, che è esattamente ciò che stava dicendo in quegli anni la semiotica, infatti la semiotica diede un contributo notevole in ambito psicanalitico, perché diceva esattamente la stessa cosa ma da un altro profilo, da un altro aspetto: gli umani parlano, parlando incontrano del senso in ciò che dicono, lo incontrano perché ciò che stanno dicendo si connette con altri elementi ininterrottamente, e questa rete di connessioni è esattamente ciò che produce il senso in ciò che dicono, e questo all’epoca, intendo dire negli anni 60/70, costituiva un’apertura notevole, un’apertura anche politica e cioè le cose non sono date da qualcuno, non sono così perché sono così, le cose avvengono man mano che si dicono e si trasformano dicendosi e quindi non c’è qualcuno che sia autorizzato a dire come stanno le cose. Questo era il senso fondamentale, quello utilizzato soprattutto da i giovanotti rivoluzionari, si parla della fine degli anni ’60, e quindi costituiva un fondamento teorico a qualche cosa che stava nascendo in ambito politico certo, ma anche in ambito sociale, culturale, filosofico, basti pensare a Derrida a Merleau Ponty e altri. Questo modo di porre la psicanalisi ne ha determinato in quegli anni il successo, un successo straordinario, quasi inatteso, non ci si aspettava che la psicanalisi potesse diventare un modo di pensare così influente su una quantità di conoscenze, di saperi, allora la psicologia non esisteva come oggi, cioè esisteva come concetto, però se ne studiava qualcosa in ambito medico o poco più, tutto ciò che riguardava il pensiero, il modo in cui gli umani pensano era qualche cosa di cui si occupava la psicanalisi. Naturalmente tutto ciò ha avuto degli effetti anche per quanto riguarda la cosiddetta clinica psicanalitica, non si trattava più di condurre la persona a prendere atto o accorgersi di ciò che era inconscio all’interno del suo sistema psichico, del suo apparato psichico come lo chiamava Freud, cioè di portare alla luce qualcosa che era stato dimenticato, cancellato per vari motivi, o non soltanto questo, ma di praticare ciò che la psicanalisi aveva trovato, e cioè che ciascun discorso è fatto dalle infinite connessioni con altri elementi. Le parole sono connesse con altre parole, questa rete di connessioni costituisce la persona stessa oltre che il suo discorso, ma si giunge a considerare che la persona o ciò che comunemente si chiamava la persona non era nient’altro che il discorso di quella persona, che era l’unica cosa che la determinava in quanto persona, e cioè non c’era più la persona identica a sé, per cui deve essere cambiata per un aspetto che non va, ma tutto il resto va bene, no, ma tutto l’insieme, tutta la struttura di cui la persona è fatta veniva presa in considerazione appunto come una rete, un intreccio di relazioni. Tutto questo non ha affatto né abbandonato né snaturato il testo di Freud, che anzi in quegli anni ha avuto un rilancio formidabile. Tutta la psicanalisi che è comparsa dopo Freud, mi riferisco non soltanto a quelli che lavoravano con lui, ma a quelli che si sono formati con i suoi analizzanti, avevano fatto molto poco, cioè avevano mantenuto il testo di Freud cercando di esserne i più fedeli conservatori, senza apportare nulla se non qualche piccola variante, penso alla Klein, a Bion, a Jones e a altri. Ciò invece che di straordinario ha fatto la psicanalisi è costringere le persone ad accorgersi di ciò di cui sono fatte, e cioè sono fatte di parole, questo è il messaggio, qualunque altra cosa può essere considerata irrilevante, se non si intende questo non si intende niente, non si intende perché una persona pensa le cose che pensa, qualunque cosa pensi, sia che pensi di essere Napoleone sia che pensi di essere una persona squisita, sia che pensi di essere una persona infame, tutte queste cose che pensa non vengono dal nulla né sono il prodotto di una malattia, come poi in seguito si è tentato di fare passare, e cioè il pensiero malato, il pensiero non si ammala, non può ammalarsi il pensiero è una sequenza di proposizioni che muove da una premessa e giunge a una conclusione. Certo, immaginare che il pensiero possa ammalarsi ha una funzione sociale ben precisa di controllo, un controllo che soprattutto in questi ultimi anni sembra avere raggiunto una fase notevole, al punto che, senza che gli stessi psicoterapeuti si rendano conto il più delle volte, la funzione oggi della psicoterapia è quella di produrre patologie. Perché questo? C’è un motivo ben preciso: occorre che ciascun cittadino abbia la sua patologia, se ciascun cittadino ha la sua patologia allora questo cittadino è in difetto, è da curare, è da tenere d’occhio, è da controllare, esercitando quindi, come dicevo prima, un controllo che mira a un controllo totale e assoluto su chiunque, e potrebbe anche riuscirci tecnicamente, non è impossibile. Esattamente il contrario di ciò che ha cercato di fare e ha detto la psicanalisi, che il disagio non è una malattia, non è una cosa che si cura con l’aspirina o con degli psicofarmaci. Certo, se a una persona depressa se gli si fa prendere lo psicofarmaco magari si risolleva, ma anche se beve mezza bottiglia di whisky si risolleva, e magari gli fa anche meno male tra l’altro, ma soprattutto ha insistito sul fatto che ciascuno è responsabile di quello che pensa, questa è la questione centrale in tutta la psicanalisi: la responsabilità di ciò che si pensa. Al contrario, la direzione verso cui vanno le psicoterapie oggi è la totale eliminazione della responsabilità, cosa che ha una funzione politica e sociale di straordinario interesse, perché se io dico delle cose con delle argomentazioni, queste cose che obietto per esempio a qualcuno devono essere prese in considerazione, ma se le cose che dico sono frutto di una malattia allora no, se io mi oppongo per esempio al governo con forti e ben fondate argomentazioni occorre che il governo ne prenda atto quanto meno, ma se ciò che dico è frutto di una malattia allora perché dovrebbe occuparsene? Se ne occuperà qualche psicoterapeuta, ma ciò che dico non ha nessun valore. Vi rendete conto facilmente della portata immensa che ha una cosa del genere in ambito politico: trasformare ogni cittadino in un malato, in un malato cioè in una persona bisognosa di supporti, di qualcuno che lo prenda per mano e gli dica cosa deve o non deve fare, che è sicuramente un problema per quanto riguarda quella che potremmo chiamare la libertà di pensiero, che è esattamente quella cosa che proponeva così fortemente la psicanalisi prima che venisse cancellata, o almeno si tentasse di farlo, fino a ridurre la psicanalisi a una delle teorie che si insegna in psicologia, una delle tante. A questo punto possiamo dire che l’operazione è quasi riuscita, è stata cancellata ogni traccia di quella sovversione, di dissidenza che la psicanalisi aveva promosso e avanzata con forza su solidissime basi teoriche.

Il titolo dell’incontro di questa sera è “I miti della psicanalisi”, in effetti potremmo considerare che i miti della psicanalisi sono quelle cose che uno psicanalista ascolta, la persona racconta i suoi miti, cioè le cose in cui crede e se crede per esempio, adesso faccio esempi limite, se crede di essere Napoleone si comporterà in un certo modo, se crede di essere un bancario e lavora in banca effettivamente si comporterà in un altro modo, più o meno socialmente approvabile, ma in ogni caso ciò che farà o non farà dipenderà sempre da ciò in cui crede. Questa è un’altra delle questioni sollevate dalla psicanalisi, e cioè una persona costruisce la propria esistenza a partire dalle cose alle quali crede per una serie di motivi, ma se non le credesse ecco che si troverebbe in una condizione totalmente differente, una condizione per cui non ha più bisogno per esempio di difendere le cose in cui crede, di avere paura di qualche cosa che magari non esiste, di credere in un dio, in fondo anche l’idea di un dio, stando a questa impostazione psicoterapeutica, potrebbe essere considerata una malattia, la religione, ci ha mai pensato? Una malattia, anzi forse la malattia più grave che gli umani abbiano mai contratta da quando esistono, c’è anche questa possibilità, malattia che praticata non solo dai singoli ma dai gruppi, dalle nazioni, ha provocato tutti quei massacri, quelle devastazioni che conosciamo bene, quindi è una malattia socialmente pericolosa che deve essere sconfitta e combattuta con ogni mezzo. È una tesi che mi rendo conto sia insolita, ma è sostenibile, e se si ammette o se si parte dall’idea che il pensiero possa essere malato allora questa è una delle conseguenze inevitabili, e immaginare che il pensiero possa essere malato conduce a delle conclusioni che risultano poi per vari motivi inaccettabili da quella stessa società, da quello stesso gruppo che ha immaginato che il pensiero potesse ammalarsi, togliendo come dicevo prima ogni responsabilità. Una persona malata non è responsabile, neanche penalmente. Ascoltare dunque, cos’è l’ascolto che è uno dei cardini di tutto il pensiero psicanalitico? L’ascolto non è altro che consentire, permettere, lasciare che un discorso si svolga, si snodi, e una persona che incomincia a parlare e che non è interrotta immediatamente da qualcuno che deve dirgli immediatamente come stanno le cose, trova delle cose che neanche immaginava di pensare perché non ci aveva mai pensato, o se erano affiorate al suo pensiero le aveva immediatamente scartate come cose assolutamente irrilevanti. Freud ha puntato proprio su queste cose l’attenzione, su quelle cose che apparivano irrilevanti, ed essendo irrilevanti non meritavano di essere prese in considerazione, intendendo già dai primi scritti che c’era qualche cosa nel pensiero degli umani che insisteva fortemente, qualcosa di cui, come dice lui stesso, gli umani si vergognavano pensando di essere ciascuno di loro l’unico ad avere certe fantasie, mi riferisco alle fantasie sessuali per esempio, senza sapere che queste fantasie sessuali di cui tanto si vergogna e delle quali immagina di essere l’unico portatore, quindi una persona spregevole, sono comuni a tutto il resto del pianeta. Le fantasie sessuali hanno costituito per Freud qualche cosa che gli ha consentito di accedere a un modo in cui funziona il pensiero degli umani: ciò che deve essere mantenuto può urtare contro dei pregiudizi, dei valori sociali, etici, morali eccetera, e quindi creare un problema, questo problema diceva Freud si risolve con una formazione di compromesso, cioè appunto con un compromesso, non si abbandona del tutto quella cosa che non va bene perché comunque rimane, e si trova un’altra soluzione, qualche cosa che possa soddisfare comunque la richiesta di quella cosa che Freud chiamava pulsione, ma soddisfacendo anche le richieste della società. Prendete per esempio il complesso edipico: il bambino vuole portarsi a letto la mamma, uno potrebbe dire: “e allora? Qual è il problema?”, ma non si fa, non si deve, non si può, è cosa gravissima, ed essendo cosa gravissima che non si fa, non si deve, non si può, allora diventa un problema, è per questo, e Freud lo sapeva benissimo, che esiste la nevrosi, perché esiste una morale sessuale civile, se no di fatto non ci sarebbe nessun problema. Dunque tutto sorge da lì, dalle fantasie sessuali? Per Freud sì, ma c’è un altro aspetto che Freud ha incominciato a considerare ma che non ha potuto portare alle estreme conseguenze perché non aveva gli strumenti per farlo, e cioè il fatto che ciascun elemento, essendo connesso con ciascun altro, è inserito all’interno di una struttura che è quella che chiamiamo linguaggio, e il linguaggio funziona in modo tale per cui la persona è costretta, proprio da questa struttura, a cercare, a reperire e a stabilire delle verità. Questo Freud non poteva saperlo, poteva intuirlo ma non aveva gli strumenti per giungere a una considerazione del genere, e cioè una considerazione che può trarsi unicamente dal funzionamento del linguaggio, cioè ciò che fa funzionare gli umani nel modo in cui funzionano, reperire delle verità cosa significa? Significa che qualunque cosa la persona pensi, sottolineo qualunque cosa, deve concludere con un’affermazione vera, vera cioè riconosciuta come tale all’interno di quella combinatoria particolare e questo ha degli effetti ovviamente. Torniamo all’esempio del bambino che non deve andare a letto con la mamma, se gli si dice che questa è una cosa brutta, perché lui la accolga deve crederla vera, se non la ritenesse vera non funzionerebbe, certo il bambino non ha molti strumenti per valutare se una cosa è vera o falsa, è ovvio, ma proprio per questo prende per vere, per buone, una quantità notevole di informazioni che gli vengono fornite e che continueranno ad avere questa funzione per tutta la sua vita, cioè per lui continueranno ad essere vere e in base a queste verità orienterà, piloterà e deciderà la sua stessa esistenza. Ora torniamo alla semiotica, cosa ci diceva la semiotica? La semiotica ci diceva: questa verità non può essere stabilita in nessun modo, questa verità non può essere affermata, qualunque tentativo di affermarla si trova preso in una deriva infinita, in un abisso senza fine dove non troverà mai qualche cosa che possa consentirgli di attestarsi su qualcosa di sicuro, di certo, di vero, nemmeno la cosiddetta certezza scientifica, nemmeno lei supera questa prova, e quindi la questione della verità ritorna dopo avere percorso circa duemila e cinquecento anni di storia filosofica, ritorna in ambito psicanalitico sotto altra forma, come la considerazione che gli umani, essendo fatti di linguaggio e il linguaggio funzionando in questo modo, sono costretti a costruire le loro proposizioni in questo modo e cioè che devono concludere in un modo vero, e se qualche cosa interviene come vero all’interno del loro discorso questo elemento permane fino a prova contraria. Tuttavia la prova contraria è straordinariamente complicata, una persona che crede fortemente una certa cosa non la abbandona, d’altra parte perché dovrebbe? La abbandonerebbe a vantaggio di che? Dopo tutto una verità offre una serie notevole di vantaggi, fornisce una sicurezza, una certezza, fornisce un riferimento quindi un orientamento per sapere sempre da dove vengo e dove vado, “orientamento” viene da “oriente”, uno guarda a oriente e sa in che direzione sta andando.

Con tutto questo ho voluto mostrarvi un aspetto della psicanalisi che oggi forse occorrerebbe riprendere per coloro che se lo sono perso, perché non erano neanche nati magari, un aspetto straordinario, un aspetto non soltanto chiamiamolo “terapeutico” ma culturale, politico, sociale di pensiero, intellettuale, potremmo dire senza nessun problema che la psicanalisi è in prima istanza una pratica intellettuale, nel senso che pratica l’intelligenza, e la interroga oltreché praticarla, cosa che pochi prima della psicanalisi avevano fatto. La psicanalisi è arrivata al punto che non soltanto ha interrogato il modo in cui gli umani pensano e cioè il modo in cui pongono in atto la loro intelligenza, ma anche la loro intelligenza stessa, da dove viene, cosa la supporta, e il tutto partendo dal lasciare che un discorso avesse l’occasione di svolgersi, di dirsi e di incontrare le pieghe i suoi risvolti, cioè tutte quelle cose che comunemente non hanno grande importanza o non sono considerate di rilievo, esattamente così come avveniva prima di Freud per un atto mancato, uno sbadatamente: qualcuno fa cadere un orologio che va in mille pezzi, è stata una sbadataggine, sì, è stata una sbadataggine certo, ma in questa sbadataggine essendo la persona all’interno di una connessione di pensieri, di cose, di storie, di racconti, di immagini eccetera, questa sbadataggine, anche questa, è inserita all’interno di una struttura e magari ha qualche cosa da dire, e perché non lasciarla parlare? Perché non lasciarle dire quello che ha da dire? Magari la persona viene a sapere qualche cosa di più di sé e viene a sapere che, per esempio, ha buttato giù l’orologio perché, adesso faccio un esempio stupidissimo, regalato da una persona che per qualche motivo gli ha fatto uno sgarbo e gli è diventata antipatica, è questo il motivo per cui ha fatto cadere l’orologio? Non lo sapremo mai, ma sicuramente se il racconto va in quella direzione c’è una connessione e questa connessione è qualcosa che arricchisce la persona, è un pensiero che non sapeva di avere ma che gli appartiene, perché lo ha prodotto quella persona e quindi viene da quella persona, è qualcosa che gli è propria e della quale può incominciare a tenere conto. Incominciare a tenere conto di tutto ciò che costituisce il pensiero di una persona è ciò su cui si avvia una psicanalisi, che conduce a non avere più bisogno di avere, adesso la dico in modo molto spiccio, paura, paura di qualunque cosa in generale ma soprattutto dei propri pensieri che sono sempre la cosa più spaventosa. Di qualunque cosa si ha generalmente la capacità, la possibilità di affrontarla in un modo o nell’altro, ma i propri pensieri no, perché pur essendo fantasie sono considerate le cose più reali che esistano e in un certo senso non si ha neanche del tutto torto, qui occorrerebbe un discorso ampio sulla questione della realtà che non faremo adesso naturalmente. Questa sera ho fatto una carrellata sulla psicanalisi, sul perché è sorta, che cosa ha avuto da dire, che cosa può continuare a dire, che cosa deve dire: è il suo compito interrogare ciò che gli umani pensano per sapere perché pensano le cose che pensano, non per sapere se sono giuste, se sono sbagliate, se sono sane o malate, no, assolutamente no, ma soltanto perché pensano le cose che pensano, tutto qui, che non è poco. Questo è stato uno dei motivi per cui è stato dato l’ostracismo alla psicanalisi, sia da destra che da sinistra, hanno scritto contro la psicanalisi durante il fascismo e lo stesso Stalin ce l’aveva a morte contro la psicanalisi perché la psicanalisi mette in dubbio, mette in questione radicalmente ogni forma di istituzione, ogni forma di governo, ogni forma di credenza, di superstizione, di certezza su cui i governi si fondano, per questo risulta intollerabile. Quando Freud andò in America disse quella frase che rimase celebre: “non sanno che stiamo portando loro la peste”, poi non ha portato niente perché gli americani hanno chiuso tutto immediatamente e non è successo assolutamente nulla, ma l’idea era questa. Ciò che stava elaborando, che poi è stato elaborato avvalendosi anche degli studi di linguistica, di semiotica visto che si parla di linguaggio, si parla di parola quindi è ovvio che ci si deve occupare di semiotica e di linguistica, tutto questo costituiva una cosa assolutamente intollerabile per qualunque istituzione, per qualunque organizzazione si ponesse come quella che dice la verità, quella che stabilisce come stanno le cose, quella che stabilisce cosa è sano, cosa è malato. Ecco, la psicanalisi è la messa in questione radicale di tutto questo.

 

Intervento: io sto facendo la tesi su Lacan e Freud …

 

Bene, allora tutto quello che ho detto le sarà risultato facilissimo …

 

Intervento: quando ha nominato il pensiero sano e il pensiero malato, però bisogna capire cosa si intende con malato …

 

A questo provvede il governo, a stabilirlo con assoluta certezza, perché qualunque criterio lei stabilisca comunque è un criterio arbitrario, lo stabilisce lei e quindi a un certo punto, se questo corso di studi è istituzionalizzato allora deve rendere conto alla istituzione di quello che fa, è ovvio, i suoi insegnati li paga lo stato e questo non è un fatto indifferente, e quindi il concetto di malattia o di pensiero malato segue delle necessità politiche, sociali di controllo, e allora si ritiene che per esempio sia ammalato il pensiero che si discosta dal pensiero normale. Non ci vuole niente a costruire dei parametri, costruire delle griglie, queste sono sciocchezze, che chiunque è in condizioni di fare, ma la cosa importante è che comunque qualunque criterio verrà utilizzato sarà sempre comunque arbitrario, non potrà mai essere necessario, questo non lo potrà provare mai in nessun modo …

 

Intervento: io non parlo di questi criteri qua (allora ho frainteso, dica ) un pensiero malato come la intendo io può essere qualcosa che non fa star bene il soggetto cioè che reca con sé angosce per esempio, che sia un problema per lui, nel senso al di là del criterio che può applicargli l’istituzione, come sicuramente avviene …se il soggetto vive male di pensieri è solo perché sono iscritti dei parametri sconvenienti?

 

Anche, può succedere anche questo certo, ma non solo …

 

Intervento: ci sono delle volte in cui qualcuno sta male …

 

Sì, per esempio una crisi esistenziale è semplicemente quell’angoscia esistenziale di cui parlava Kierkegaard di fronte al nulla, di fronte all’impossibilità di trovare un significato ultimo alle cose e che può provocare quell’angoscia esistenziale, oppure anche un senso di ansia, di affanno, certo, allora la persona lamenta come dice lei un malessere, per altro è ciò con cui Freud ha incominciato la psicanalisi, proprio con questi casi, questa cosa che viene chiamata sintomo. Forse è il caso di ascoltare quella persona con maggiore attenzione, e soprattutto intendere qual è, e in questo Freud è stato acuto, qual è il tornaconto. Una persona che sta male non sopporta l’idea che qualcuno gli dica che quello che pensa o tutte le sue elucubrazioni abbiano un tornaconto o siano prodotte per ottenere un tornaconto, ma si aspetta che il suo disagio sia riconosciuto, avvalorato e compreso, se questo non avviene se ne ha a male, questa è la prima cosa, l’altra è che per potere provare questi disagi la persona deve avere costruito una sequenza argomentativa che l’ha condotta a quella conclusione per esempio, nel caso della depressione la conclusione è: “e quindi tutto va a catafascio” “quindi non c’è nessuna salvezza” “quindi la catastrofe, la tragedia è compiuta e non c’è più niente da fare”, ma questa è la conclusione di una serie di argomentazioni a cui è giunta. La domanda che si pone la psicanalisi quando si occupa effettivamente e con rigore del pensiero, e cioè della sua struttura, è come si costruisce una sequenza argomentativa. Una sequenza argomentativa che possa concludere con qualcosa di credibile ovviamente, muove da una premessa che deve essere considerata vera, poi di lì compie una serie di passaggi coerenti fra loro fino all’ultimo elemento, ora che cosa, e questa è una domanda che può farsi, anzi deve farsi, che cosa occorre credere per potere praticare la depressione? Che cosa è necessario credere? E, cessando di credere queste cose che la persona depressa deve credere può continuare ancora a essere depressa? O non lo può più fare? Queste sono le questioni poste in termini radicali, in termini tali da costringere lo psicanalista in questo caso, a occuparsi anche di questo, cioè di come funziona il linguaggio, come ciascuno costruisce le sue argomentazioni perché anche l’idea che può condurre a pensare che “sono Napoleone” ed uscire di casa con la caffettiera in testa, anche questa idea, per quanto possa apparire bizzarra, è comunque la conclusione di una sequenza di argomentazioni, non viene da niente, viene da una serie di cose che la persona ha credute e continua a credere. Se una persona crede di essere sempre abbandonata, se crede questo e lo crede fortemente questa persona si troverà sempre a trovarsi in situazioni di abbandono, perché? Potrebbe apparire bizzarro, se la persona ha paura di essere abbandonata farà di tutto per non esserlo, ma non è proprio così, questa è un’altra delle cose di cui Freud: credendo di essere abbandonata deve credere ovviamente di essere una persona di nessun valore, e poi di non essere di nessun valore per certi motivi, e poi che le persone che incontra la giudicheranno in base a quelle cose che suppone lei, deve fare tutta una serie di operazioni abbastanza complesse, ora, fatte tutte queste operazioni e creduta quella certa cosa, questa certa cosa deve essere messa in atto cioè deve essere confermata continuamente come? Creando le condizioni per essere abbandonata, e se uno si impegna ci riesce a essere abbandonato. Però la persona non si accorge che sta facendo questo, magari dall’esterno, per un amico, è palese, è evidente, ma per la persona no, la persona non si accorge di nulla e non se ne accorge proprio per potere continuare a mettere in atto questa cosa all’infinito. Se qualcuno glielo fa notare, come nel caso di un analisi per esempio, ecco che allora forse c’è l’occasione di incominciare a considerare perché vuole essere abbandonata, e accorgersi che non è una maledizione che capita fra capo e collo, ma è qualcosa che si costruisco ogni volta, pezzo per pezzo. Lacan diceva che in realtà il così detto atto mancato è un atto riuscito, e cioè ha ottenuto esattamente ciò che voleva, come nell’esempio dell’orologio che faccio cadere. Questo ovviamente sposta tutto, pone non solo la persona singola ma la società intera di fronte a qualche cosa che ha sempre voluto nascondersi, e cioè che tutte le decisioni che una persona prende, che i politici prendono sul nostro futuro, gli economisti e tutto quanto riguardo all’economia globale, tutto questo è dettato dalle fantasie delle singole persone, tutto questo è mosso dalle loro fantasie, inesorabilmente direi, questo rende conto del fatto che le cose vadano a catafascio? No, le cose vanno a catafascio da quando esistono gli umani, da sempre, sono sempre andate a catafascio e continueranno ancora per molto tempo, ma è questo che la psicanalisi ha voluto porre davanti agli occhi degli umani “guardate” ha detto “che ciò che pensate viene da fantasie che ignorate e che invece è il caso che le sappiate, queste fantasie, che sappiate di essere mossi da fantasie e anche da quali eventualmente, per non muovere come banderuole o turaccioli sospesi in mezzo all’oceano”. La persona che soffre, che sta male, ha i suoi motivi per farlo, non c’è nulla di grave in tutto ciò né di sbagliato né di giusto, se una persona vuole soffrire può farlo, se non volesse veramente soffrire non soffrirebbe, se lo fa ha dei buoni motivi. Addirittura alcuni medici, pochissimi, incominciano ad accorgersi che forse, forse il corpo umano non è governato come un automobile, come una macchina da un puro e semplice meccanicismo ma che c’è qualche altra cosa che interviene, cioè che il pensiero influisce su questa macchina, cosa che sapeva già Aristotele per altro, non è una novità. Ma come interviene, come influisce questa è una questione ancora vergine, sulla quale nessuno ha ancora riflettuto con una certa attenzione, però sicuramente prima o poi accadrà, e sono sicuro che se ne verrà a scoprirne delle belle.

Le parole costruiscono i pensieri creando che a loro volta creano una scenografia, ha presente il raggio laser che costruisce l’ologramma? L’ologramma è costruito da raggi e se cerca di prendere questa cosa non c’è niente, è soltanto prodotta da una serie di effetti ottici, anche in retorica antica c’era qualcosa che è simile all’ologramma, si chiama “ipotiposi” è una figura che rende visivo ciò stesso che le parole dicono, cosa che riescono a fare alcuni scrittori molto bravi, non tutti, bisogna essere molto bravi, cioè mentre legge sembra di vedere realmente ciò che si descrive. Accade esattamente questo parlando: le parole creano uno scenario, che è la realtà potremmo dire senza timore, nel cui ambito la persona si muove, agisce, fa, pensa, crede, spera, si dispera, fa tutte le cose che comunemente fa però, però questo ambito è costruito, direi qui, l’ho accennato prima, cioè la realtà meriterebbe ben altra argomentazione, ma è costruito dalle sue parole che costruiscono tramite un ipotiposi, costruiscono letteralmente una scenografia all’interno della quale la persona vive, si muove eccetera, e una persona che soffre merita di essere ascoltata sicuramente ma non creduta. Mi spiego: se lei credesse a quello che dice quella persona cioè al fatto che sta male e che non vuole stare male e che vuole liberarsi da questo disagio, in quel momento stesso lei conferma a quella persona che è vittima di qualcosa che non le appartiene, è vittima di un corpo estraneo dal quale deve liberarsi, come un virus, come un batterio, come un accidente qualunque, infatti una persona che “soffre” in accezione che lei ha indicato, se la sua sofferenza non viene presa in considerazione, viene sminuita, e la persona si trasforma in una furia, si arrabbia tantissimo, non sopporta che la sua sofferenza non sia presa in considerazione e considerata un valore, perché secondo lei? Perché ha una reazione così violenta?

 

Intervento: il sintomo ci permette di esistere, il sintomo afferma la nostra unicità …

 

Esatto, che deve essere riconosciuta dal pubblico, e se non viene riconosciuta allora tutto questo non serve a niente e la persona se ne ha a male, se ne ha molto a male. Questa sua unicità, in effetti lei ha detto bene, in alcuni casi la malattia ha solo questa funzione: rendere unici, rendere interessanti, seducenti, costringere gli altri a interessarsi a me per esempio, di una persona che sta male ci se ne occupa, la accudiscono, fanno qualcosa. Stare male è una condizione assolutamente di vantaggio per quanto riguarda la società, mette al riparo da ogni responsabilità e costringe, ci sono state anche molte commedie, molte tragedie a questo riguardo, costringe gli altri a occuparsi della persona, e la fanno sentire importante. Non sono vantaggi marginali, dopo tutto sono le cose che tutti gli umani cercano, certo magari non in quel modo, però questo è uno dei modi sicuramente più facilmente raggiungibile, Freud ne parla, ha presente quel saggio sull’identificazione? Quando racconta delle ragazzine che sono in collegio e una di loro riceve una lettera del suo fanciullo che l’abbandona e scoppia a piangere e allora tutte le altre si identificano immediatamente con questa ragazza, perché? Perché ci si dovrebbe identificare con chi soffre? Con chi sta male, se magari per tutta la vita ha cercato di farci credere che vuole stare bene? E anche qui Freud è preciso in quello che dice, quella ragazzina in quel momento è al centro di tutto, lei stessa è il centro dell’universo, tutte le altre sono intorno a lei ad accudirla, a parlarle, a farla sentire importante, identificandosi con lei anche le altre partecipano di questa importanza: se una persona fa una cosa importante si sente importante. Ci sono delle persone che si sentono importanti solo perché conoscono persone importanti, ci sono anche queste, ma questo per dire quanto sia importante, appunto, per gli umani sentirsi importanti, avere valore per il prossimo, essere riconosciuti, come diceva lei giustamente, e il sintomo, il malanno, è uno dei mezzi. Ecco il tornaconto di cui parlava Freud: sentirsi importanti. Questo non significa che la persona non stia male, può anche stare malissimo certo, però non è del tutto irresponsabile, non è del tutto estranea in questa vicenda e la sua non estraneità a questa vicenda è ciò che occorre recuperare alla parola, questo è l’obiettivo di una psicanalisi, o uno degli obiettivi sicuramente non secondario, non so se ho risposto alla sua domanda? Il signore laggiù ha qualche curiosità?

 

Intervento: troppe, tutte cose da scoprire …

 

Beh, questo mi fa piacere, vuole dire che ciò che ho detto in qualche modo l’ha incuriosita, la curiosità è un primo passo …

 

Intervento: la ringrazio …

 

Grazie a lei. Siamo arrivati alla fine, vi ringrazio della vostra gentilezza e vi auguro una buona serata.