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4-11-2004

Libreria LegoLibri

 

LA DIPENDENZA DALLA PSICANALISI

 

 

È una bizzarra questione questa della dipendenza, quand’è che si dice che qualcuno dipende da qualche cosa o da qualcun altro? Si può dire, per esempio, che qualcuno dipende dalla religione cattolica? Oppure dipende dalla scienza? O dipende da ciò che la famiglia gli ha insegnato? O dipende da ciò che è ritenuto essere, per esempio, il comune senso del pudore o, in ogni caso il luogo comune? Se sì, allora ciascuno è dipendente necessariamente. Però a questo punto la nozione stessa di dipendenza cessa di avere qualunque utilizzo, chiunque è sempre dipendente, per esempio da ciò che ha acquisito dalle letture che ha fatte, dai suoi studi, dalle persone che ha incontrate, intendo dire che ciò che pensa, ciò che crede non è sorto dal nulla, quindi è una dipendenza? Oppure si intende con dipendenza il credere, e muoversi di conseguenza, a qualche cosa che non ha nessun modo di essere provata, di essere dimostrata, come in effetti, diceva giustamente Cesare. Anche nel caso dell’innamoramento si avverte una sorta di dipendenza, perché in assenza della persona amata ecco che si creano una serie di problemi quando non c’è, certe volte anche quando c’è, però in questo caso stiamo considerando un aspetto, ora nel caso specifico di questa fantasia di dipendenza dall’analisi si tratta in effetti della stessa questione, una persona che teme di giungere a dipendere dall’analista si pone nella stessa condizione della fanciulla che teme di innamorarsi di qualcuno “se continuo a vederlo mi innamorerò e poi non riuscirò più a staccarmi da lui” è successo sì, un caso di innamoramento, però non per questo perde la responsabilità di ciò che sta facendo, rimane una sua decisione anche se il luogo comune preferisce pensare che invece non sia una responsabilità ma una sorta di travolgimento, tutto questo è molto romantico, però non è molto sostenibile. Dunque, cionondimeno si parla di dipendenza per esempio dalla droga, si usa in questo caso, ma se uno dipende dalla droga, perché non si dice che dipende dalla religione? C’è qualche motivo, a parte la consuetudine? Se sì, quale? È una questione, oppure dipende da ciò che altri gli propongono, come per esempio le varie affermazioni che la scienza compie quotidianamente “la scienza ha dimostrato che…” qualunque cosa non ha importanza, chi ha verificato una cosa del genere? Nessuno. Ciononostante gli si crede, possiamo parlare di dipendenza dal discorso della scienza? Forse, vedete che la questione della dipendenza può apparire complicata se si incomincia ad interrogarla e cioè a domandarsi di che cosa è fatta esattamente ma, dicevo prima, che la dipendenza sembra fatta per sbarazzarsi della responsabilità, anche il cosiddetto drogato dirà che lui non può fare niente perché vuole smettere ma non può, allo stesso modo la fanciullina dirà che vorrebbe smettere di amare il fanciullino ma non può, è la stessa cosa? Può darsi. La responsabilità, Cesare ne ha accennato prima, ha molto a che fare con la dipendenza perché se qualcuno decidesse consapevolmente e con fredda determinazione di dipendere da qualche cosa, potremmo ancora parlare di dipendenza? No. Come dire che questo termine è utilizzato insieme con l’esclusione della responsabilità, la dipendenza nel luogo comune la si subisce, non la si agisce, come dire ancora, che per quanto riguarda il tema di questa sera, la persona subirebbe la dipendenza dell’analista senza volerlo, che è una ben bizzarra questione. È una questione antica quella del plagio, una volta si credeva che fosse possibile plagiare e cioè persuadere qualcuno aldilà di ogni razionalità, che fosse possibile carpire la volontà di qualcuno e piegarla al proprio intendimento, beh questo è il tentativo e l’obiettivo di moltissime persone, quelli per esempio che costruiscono gli spot pubblicitari, è il loro obiettivo precipuo ma senza riuscire, perché in fondo la domanda che potremmo porci: è possibile piegare la volontà di qualcuno alla nostra incondizionatamente, cioè farlo innamorare? Ché è questa la condizione. Sì e no, può anche darsi che sia possibile per qualche tratto ma è una condizione sempre piuttosto instabile, incerta, ma anche in quel caso questa supposta costrizione in realtà di che cosa è fatta? Abbiamo fatto in modo che la persona ci fornisca il suo assenso incondizionatamente e cioè sia persuasa di quello che fa ma la decisione, la decisione ultima dobbiamo considerare che spetta sempre a questa persona, e cioè il fornire il proprio assenso rimane sempre comunque una decisione anche se può sembrare che non sia così, per esempio, nel caso dell’innamoramento lì è più evidente la difficoltà di intendere tutto questo come una decisione, cionondimeno lo è, non una decisione ovviamente presa a tavolino ma non si considera che ciascuno non è nient’altro che il discorso di cui è fatto e questo discorso segue degli ideali, segue delle vicende, delle storie e quando qualcuno collima con una storia ideale ecco che avviene quella sorta di attrazione irresistibile nota come innamoramento, e allora sì, c’è il proprio assenso incondizionato ma non tanto alla persona che è sempre molto marginale, ma all’idea di potere finalmente realizzare un sogno, per esempio, vedere compiere una storia meravigliosa che si è sempre immaginata, dare a questa storia un compimento, senza questo, senza questo dettaglio non c’è nessun innamoramento di nessun tipo e per nessun motivo, e di questa storia che compie questo miracolo ciascuno è assolutamente responsabile perché è la sua storia, ciò di cui è fatto, è la sua vita stessa, se gli togliessimo questa responsabilità gli toglieremmo tutto, non rimarrebbe niente. Ecco perché prima Cesare sosteneva che la dipendenza dalla psicanalisi è una fantasia come un’altra, così come nell’innamoramento, è ovvio che può apparire strano affermare che la persona che si innamora è responsabile del suo innamoramento, tuttavia non possiamo fare altro che concludere in questo modo, come vi dicevo prima non è così romantico, però siamo costretti ad affermarlo. Allo steso modo e per lo stesso motivo una qualunque persona non dipende dall’analista perché è esattamente quello che vuole, quello che il suo discorso vuole, come dire che c’è un’attrazione irresistibile verso una situazione tale per cui c’è qualcuno che lo prende per mano e lo conduce, e magari lui fa finta di essere un po’ riluttante ma questa fantasia, se è presente nella persona, si manifesta comunque nei confronti dell’analista, della fidanzata, del farmacista, dell’elettrauto, cioè cercherà sempre qualcuno da cui dipendere, ma a che scopo potreste domandare? Ci sono una serie di motivi per fare una cosa del genere, Cesare giustamente accennava alla responsabilità, se io mi affido all’altro è lui che è responsabile di me e quindi se la sbriga lui, non io, e qualunque cosa io faccia comunque sarà lui responsabile “se ho fatto questo è perché tu non me lo hai impedito, se non ho fatto quest’altro è perché non me lo hai detto” l’altro è responsabile di tutto, è una fantasia molto diffusa ciononostante rimane una fantasia, un’idea come un’altra. Ora un percorso analitico è fatto prevalentemente perché la persona abbia la possibilità di sapere perché pensa le cose che pensa, siano esse quelle ritenute più normali o quelle più strampalate, ma in ogni caso di sapere esattamente perché pensa le cose che pensa e quindi sapere anche perché pensa di dipendere da qualcuno o da qualcosa, sapendolo a questo punto il dipendere sarebbe inesorabilmente una decisione ma sappiamo, lo abbiamo visto prima che se decido, decido con determinazione e freddamente di dipendere da qualcosa ma allora non c’è più dipendenza, è una contraddizione in termini, perché lo decido io e quindi non dipendo, come dire: non subisco ma agisco e l’analisi serve anche a questo, a trovarsi non a subire il proprio discorso, le proprie storie, i propri pensieri e quindi le proprie paure etc. che sono fatte di questo, ma ad agirle, cioè considerare, e non potere non sapere che si tratta di proprie decisioni. Con proprie intendo dire del discorso di cui sono fatto e il discorso di cui sono fatto non è nient’altro che le storie, i racconti, le fantasie, le cose che ho imparate e tutto ciò di cui sono fatto, in definitiva tutto ciò per cui di fronte a qualunque circostanza mi trovo a concludere in un certo modo anziché in un altro, per esempio ma non solo, e quindi non c’è dipendenza dall’analisi, se c’è analisi non c’è dipendenza, potremmo dire che si escludono a vicenda, se invece non c’è analisi allora sì, allora c’è dipendenza da tutto e da tutti ma è assolutamente normale, ciascuno dipende da infinte cose, ritiene di sé di essere dipendente, per esempio, dalle cose che accadono, dagli eventi, da tutto ciò che incombe su di lui, questo è assolutamente normale, non do al termine normale un’accezione favorevole in questo caso, ma da che cosa gli umani non possono non dipendere? Se proprio volete dipendere da qualcosa allora dipendete da ciò che dite, dalle vostre parole, dal vostro discorso, è chiaro che se questo discorso non sa di essere tale, se ciascuno non sa di essere il discorso che sta facendo, non sa perché pensa le cose che pensa, perché immagina che gli arrivino da qualche posto, allora questa dipendenza non è più dai suoi pensieri, dalle cose che dice ma dagli eventi e gli eventi sono tali, sono identici a sé, sono la realtà cosiddetta che non può essere mutata perché se è realtà, per definizione è vera e quindi è immutabile, e pertanto non può fare niente, non può che subire ciò che accade, ma se al contrario dipende da ciò che dice allora sì che la questione cambia radicalmente perché allora può interrogare queste cose che non sono più la realtà dei fatti, immutabile e immutevoli, ma sono suoi pensieri. Se io penso che la cioccolata sia buona non ritengo che il mio sia un criterio universale, so che è una cosa che riguarda me, il problema è che voi potete applicare questo a qualunque cosa indiscriminatamente e cioè considerare che qualunque conclusione voi giungiate questa conclusione non è costrittiva, non è la realtà delle cose né corrisponde a chissà quale entità ma rimane una decisione. Mi rendo conto che è straordinariamente difficile pensare una cosa del genere, ma è ciò cui inesorabilmente conduce interrogare ciò stesso che consente di fare queste interrogazioni, e cioè quella cosa che si chiama linguaggio. Con linguaggio non intendo due chiacchiere con gli amici ma quella struttura che consente a ciascuno di pensare qualunque cosa e il suo contrario, pensare di esistere, pensarsi pensante per esempio, e qualsiasi cosa, questione tutt’altro che semplice ovviamente però, come diceva giustamente Cesare, è la condizione per cessare di subire le proprie fantasie e tra queste ci metto anche la cosiddetta realtà. Qualcuno nel frattempo vuole porre qualche altra questione?

 

Intervento: subire le proprie fantasie diceva

 

Intervento: gli umani non interessandosi al linguaggio o meglio considerandolo soltanto un “mezzuccio” fra gli altri non possono considerare che è il linguaggio che sta funzionando quello che produce tutto ciò che gli umani si trovano a subire quando affermano che subiscono quindi la difficoltà di questo discorso che andiamo facendo è proprio data dalla scarsa considerazione che hanno i parlanti di ciò che li fa vivere. Ora diciamo che nel luogo comune di fronte alle grandi tragedie o alle grandi commedie che si utilizzano giornalmente, senza considerare quella che è una psicanalisi per una persona che si trova ad intraprendere un percorso analitico per, in molti casi per disagi per forti disagi per storie che si trova a vivere, ma dicevo nel discorso in cui ci troviamo nel discorso occidentale non essendoci la curiosità per il linguaggio e per ciò che produce, per ciò che fa esistere continuamente l’umano non ha la chance di accorgersi che agisce il suo disagio, che agisce la sua tragedia, che agisce la tragedia del mondo soprattutto perché in quel mondo vive, poi chiaramente ci sono persone che concludono in altro modo e non trovano tragedie, non trovano commedie o le trovano ma tuttavia estendono sempre per via della poca considerazione che danno alla struttura linguistica, al linguaggio quella che permette di vivere, la poca importanza… non hanno gli strumenti… la signorina prima chiedeva “cosa intende lei per interrogare le cose?” certo come può si può interrogare ciò che si sa? Che è la propria cultura, che è la propria vita, come si può interrogare? Arrivi lì e dici “beh questa è la realtà” non puoi considerare che questa realtà è una realtà assolutamente utilizzata da tutta una comunità linguistica, non lo puoi fare questo perché immagini che sia per tutti la realtà, il reale, non puoi considerare che per ciascuno che la utilizza è assolutamente particolare, una costruzione del suo discorso e cioè quello che ciascuno pensa che sia, non può farlo, non ha gli strumenti per interrogare il “reale” che per definizione è intoccabile, non può interrogare ciò che gli capita e questo perché non può assolutamente considerare che è l’artefice di quella realtà. Così come la persona che costruisce la commedia, la gag oppure le persone che costruiscono le tragedie ciascuno è l’artefice di ciò che si trova a vivere e non può considerare, non può accorgersi che sta parlando e quindi che sta producendo in quel momento chiaramente in base alla sua cultura, al suo pensare quello che avviene, alle sue credenze, non lo può fare… questo lo può fare solo se intraprende un certo tipo di percorso ed è per questo che noi continuiamo da vent’anni a portare avanti il nostro discorso e a dire agli umani che sono linguaggio e funzionano come il linguaggio e che il linguaggio non è un mezzo per descrivere qualcosa che esiste ma può descrivere qualcosa che esiste perché esiste il gioco linguistico della descrizione che funziona in un certo modo.

 

Intervento: Lei ha detto: se proprio volete essere dipendenti, siate dipendenti da quello che dite. Dico bene?

 

Ciò che lei dice, ciò che lei pensa, ciò che lei crede, ciò che immagina, ciò che sogna, ciò che sa con assoluta certezza o con qualche dubbio, costituisce la sua unica ricchezza, ciò da cui in effetti può sempre attingere infinite cose. Provi a pensare di potere togliere a lei tutto questo, tutto ciò che sa, tutto ciò che immagina, che sogna, che crede, che suppone, tutto, cosa rimarrebbe di lei? Niente. Ora tutte queste cose che fanno di lei ciò che lei è, come dicevo prima costituiscono la sua ricchezza, tuttavia in molti casi accade di non tenere conto di questa ricchezza cioè di non accorgersi propriamente di ciò che si pensa e non ci si accorge di ciò che si pensa perché si ritiene che il proprio pensiero corrisponda a qualche realtà esterna, faccio un esempio molto semplice: “non sono io che penso che penso che lei non mi ami più, le cose stanno così realmente” ora, a meno che lei non glielo dica espressamente, ma anche così non ne ha la certezza, in ogni caso ci sono delle situazioni in cui anche se l’altra persona continua a dirle che le vuole bene lei invece è assolutamente persuasa che non la ami più. Ora lei può a questo punto o considerare questa affermazione che non la ama più come un dato di fatto, e in questo caso non può fare niente, oppure come una sua conclusione, ma sua personalissima che non tiene conto invece di ciò che l’altra persona pensa, per esempio, ma è una conclusione che lei trae indipendentemente da qualunque raziocinio, si può anche fare il caso contrario: le fanciulle ritengono di essere assolutamente oggetto d’amore da parte di qualcuno che neppure le conosce, per esempio, eppure ne hanno l’assoluta certezza. Da dove viene questa certezza? Per loro è così, non c’è nulla che possa mettere in dubbio una cosa del genere, nei casi peggiori, intendo dire quelli che comunemente si chiamano psicosi avviene qualcosa del genere, una assoluta certezza, non c’è la possibilità di mettere in dubbio ciò che si crede, è così e tanto basta, in questo caso è ovvio che lei non interroga le cose che sta dicendo, cioè non le pone in dubbio minimamente perché se è così perché dovrebbe interrogarle? Ma nel caso, continuo a fare questo esempio perché è abbastanza emblematico, dell’innamoramento, non ci si interroga affatto, prima facevo l’esempio della fanciullina, non ci si interroga affatto se le cose stanno proprio così come dice, lei ci crede fortemente, se le cose stanno così lei non può fare niente, ma se non stessero così? E se fosse soltanto una cosa che lei ha costruita per motivi che la riguardano e che è possibile venire a scoprire, sarebbe totalmente differente e, soprattutto, se la fanciullina avesse l’occasione di accorgersene, allora in quel caso non direbbe più “lui non mi ama” ma a me piace pensare che non mi ami, che è diverso, è molto diverso, cambia una cosa che è fondamentale: di questa affermazione che sta facendo si assume la responsabilità, e allora la questione non è più rivolta verso un lui eventuale ma verso i suoi pensieri, lei può avere l’occasione di chiedersi perché le piace pensare una cosa del genere, a che scopo, da dove viene questo pensiero, perché è così fortemente attratta da questo pensiero e magari venire a sapere moltissime cose che la riguardano ed eventualmente che la stessa struttura compare non soltanto in quell’occasione, ma anche in altre dove lei è assolutamente sicura di cose che non sono affatto come pensa che siano e quindi questo le può dare, offrire, il destro per muoversi anche per agire differentemente. Dicevamo “interrogare il proprio discorso” occorre che ci sia la possibilità, se io penso che le cose che dico, che credo, non siano mie convinzioni ma una descrizione di stati di fatto cosa interrogo? Le cose stanno così! Ma se invece le ho costruite io, se mi accorgo di averle costruite io, allora è diverso, così come cambia radicalmente se qualcuno crede che gli abbiano rubato la macchina oppure viene a sapere che non è così, la sua condotta cambia radicalmente. Venire a sapere perché si pensano le cose che si pensano, perché penso, per esempio, che nessuno mi ami? È una della fantasie più diffuse, perché si pensa una cosa del genere? A che scopo? Perché è vero? È chiaro che se io voglio trovare a tutti i costi delle conferme a un’idea del genere ne troverò quante ne voglio, così come posso trovarne altrettante anche al contrario, ma perché penso una cosa del genere? A che scopo? La penso perché questa fantasia è funzionale ad altre cose e posso accorgermi che questa fantasia opera in quel caso ma anche in molti altri e che pilota la mia esistenza praticamente in toto, anzi io ho costruito la mia esistenza magari intorno a questa fantasia e vivo male, male… vivo come mi pare in realtà, vivo esattamente come ho deciso di fare. Si, dica…

 

Intervento: se però metto in dubbio ogni cosa dei miei pensieri non ho più certezze e questo è un po’ destabilizzante perché se incomincio a chiedermi questa cosa come mai la penso? e quindi la smonto e poi smonto… ad un certo punto cosa mi rimane?

 

Ciò di cui è fatta: il linguaggio, la struttura che la fa esistere, e quindi non si destabilizza più, anzi, trova un solido fondamento, il più solido che si possa immaginare. Il dubbio certo, il dubbio può anche essere, come Freud raccontava ai suoi tempi, il dubbio del nevrotico ossessivo, che dubita di qualunque cosa ma in questo caso il dubbio non è per giungere ad intendere che cosa, qual è il fondamento di una certa affermazione ma è fine a se stesso, e allora effettivamente è un po’ diverso, ma compiendo questo percorso, chiedendosi perché pensa le cose che pensa, giunge da ultimo a questa considerazione perché lei, essendo il discorso che fa, essendo fatta del linguaggio di cui vive, si muove esattamente così come si muove il linguaggio, funziona come funziona il linguaggio, lei non può pensare senza linguaggio, non lo può fare, quindi come dicevamo la volta scorsa se sa come funziona il linguaggio sa come funziona lei stessa, che è pleonastico, perché dire: “se sa come funziona il linguaggio”, ma lei stessa è linguaggio e quindi è la stessa cosa e quindi è lì che il discorso va a parare, certo occorrono un certo numero di giri ma sapendo questo, sapendo che lei è linguaggio e che funziona come il linguaggio allora succedono una serie di cose miracolose, una fra queste è che cessa di avere paura e soprattutto cessa di avere bisogno di avere paura, cessa di avere bisogno di credere e cessa anche di avere bisogno di dipendere, non dipende più da nessuno se non da ciò che dice, come dicevo prima, dal discorso di cui è fatta; potremmo anche dire che ciascuno dipende dal linguaggio ma è ridondante perché ciascuno è già il linguaggio di cui è fatto, non è nient’altro che questo, prima le dicevo: se lei togliesse da sé tutto quello che pensa, la sua storia, il suo vissuto, le cose che crede, le cose che ha imparate, le cose che sa, di lei cosa rimarrebbe? Niente, assolutamente niente, e se togliessimo anche la possibilità di pensare? Questo ci induce quanto meno a supporre che tutte queste cose che in realtà sono fatte di linguaggio siano in realtà ciò che lei chiama la sua vita. Gli umani si chiedono da sempre che cos’è la vita? Non è altro che il linguaggio che consente agli umani di farsi questa domanda…

 

Intervento: Da quando lei conosce le modalità del linguaggio, vive bene? Vive meglio? Perché ha un po’ smontato delle cose che prima non era riuscito a fare…

 

Anche, sì questa è una delle prime questioni che si incontrano, che cosa per ciascuna persona è “vivere meglio”? E perché intende questo? Perché uno può intendere per vivere meglio anche lo sterminio degli iracheni, se li sterminassimo tutti allora vivremmo meglio…

 

Intervento: no, volevo dire sentirsi meglio in realtà…

 

Sentirsi meglio? Non sposta di molto la cosa, ma in ogni caso non è forse tanto questo, stare bene, stare male, ma stare in ciò che si dice, stare in ciò che è la condizione stessa di porre questa stessa domanda, qualunque risposta si dia è irrilevante, può anche dire che sta bene, va bene, può dire che sta male, ma non significa niente né l’una cosa né l’altra. Perché non ci crede più, non ha bisogno di credere a una cosa del genere poiché si trova in una condizione in cui non ha paura, non ha angoscia, non dipende da nessuno ed è sufficiente nei suoi pensieri, questo non toglie affatto che possa essere molto piacevole condividerli e scambiarli con altri, ma occorre distinguere tra piacevole e necessario, sono due cose molto differenti, può essere piacevole stare con qualcuno, ma è differente se è necessario, in questo caso c’è quella dipendenza di cui si diceva prima in cui l’altro è la condizione del proprio benessere, che è una posizione sempre molto pericolosa. In ogni caso mi sono trovato a giungere alla questione del linguaggio dopo avere considerato, essendomi formato come psicanalista, inizialmente le teorie psicanalitiche, ce ne sono parecchie, non meno di una trentina, tutte, e poi ovviamente tutto ciò che è stato detto intorno al pensiero, intorno alla filosofia del linguaggio e cominciare a considerare inizialmente, non senza un certo disappunto, il fatto che ciascuna di queste teorie non era fondabile. Anch’io mi affidavo a una teoria psicanalitica immaginando che fosse vera, in realtà non mi ponevo neanche il problema, come generalmente accade, è così e tanto basta, però ebbi la sorte di interrogarla per una scommessa, di provare, dimostrare che quella teoria fosse vera e lì sono incominciati i problemi, quella teoria non era né vera né falsa, era fondata su asserzioni indimostrabili, quella come qualunque altra, e allora prima di abbandonare ogni speranza mi sono chiesto se fosse mai stato possibile costruire invece una teoria che fosse fondata su un elemento dimostrabile. Fu come dicevo prima quasi una scommessa, inizialmente avevo qualche perplessità, ma prima di abbandonare tutto ché a quel punto qualunque teoria sarebbe valsa qualunque altra o la sua contraria, mi sono imbattuto in alcune domande decisive: io affermo qualcosa, qualunque cosa non ha importanza, potrebbe essere il contrario? Se sì, è un problema, perché allora posso dire qualunque cosa e il suo contrario, se no, come lo so? Come so che è così? Me lo hanno detto? Lo ho letto sul manuale? Voci di corridoio? La mia esperienza? Quanto è affidabile la mia esperienza? Lei ha un’esperienza diversa, è meglio la sua o la mia? E allora come faccio a sapere qualcosa con certezza? Un grossissimo problema, non di oggi, è un problema che ha circa 2500 anni, poi stato formalizzato recentemente nei primi del ‘900, un movimento noto come la crisi dei fondamenti, si sono accorti che nulla di ciò che era stato detto in questi ultimi 2500 anni aveva un fondamento, e allora c’è stato il panico generale: e adesso cosa facciamo? Ma ecco il colpo di genio di qualcuno: l’ermeneutica, la verità in quanto tale non c’è però ci possiamo avvicinare, ma se non sai che cos’è come fai a sapere che ti stai avvicinando, anziché allontanando, per esempio? Era un’idea di Popper, già, ma se lei si domanda: ma tutte queste cose con che cosa le penso? Con che cosa le elaboro? Le immagino? Le costruisco? Con che cosa? Con il mio pensiero ovviamente. Anzi, si chiamano pensatori perché pensano tutto il giorno e questo pensiero come funziona? Come fa a funzionare? Come faccio da una cosa, da una premessa arrivare a un’altra cosa che chiamo conclusione? Che è ciò che ciascuno fa ininterrottamente, come faccio a compiere questa cosa miracolosa? Parlando intanto, anche quando penso parlo ovviamente, se faccio così allora succederà cosà, e quindi la prima ipotesi è che tutto questo fosse consentito dal fatto di essere un parlante, non fossi stato un essere parlante tutto ciò non si sarebbe mai posto, ma se parlo, parlo un linguaggio, ma allora non sarà mica questa cosa che chiamiamo linguaggio a consentirmi di pensare, di costruire cose, di immaginare, fare? Chiaramente qui “linguaggio” inteso in modo radicale: una struttura Se riflette un momento, quando pensa che cosa fa esattamente? Quando pensa qualunque cosa muove da un’idea, che ritiene generalmente essere vera e, attraverso una serie di passaggi giunge a un altro elemento che chiama conclusione, è una banalità, ma è l’unico modo in cui gli umani pensano, non ce ne sono altri e allora non ci resta che concludere che il linguaggio è fatto così. È fatto da una serie di procedure, è come una struttura, un sistema operativo che consente di costruire proposizioni, quindi pensieri e tutto il resto. Già, ecco perché parliamo di linguaggio, perché quando siamo arrivati a fine corsa abbiamo trovato il linguaggio come la condizione dell’esistenza stessa, la condizione per potere dire che è la condizione, la condizione per potere dire che non lo è, la condizione per parlare di esistenza, per avere un concetto di esistenza, per negare l’esistenza, per fare qualunque cosa e il suo contrario. Sì, abbiamo varcato le colonne d’Ercole e siamo arrivati a fine corsa, al punto in cui il pensiero ha compiuto ciò che doveva compiere, oltre il quale punto non può andare, perché non può uscire da se stesso, il linguaggio non può uscire da se stesso, lei non può pensare senza linguaggio, e lei non può non pensare. Una volta arrivati a fine corsa non avevamo più bisogno di nessun’altra teoria, qualunque altra teoria appariva risibile, ridicola come una favoletta, e si trattava a quel punto di trarne tutte le implicazioni che sono sterminate, è come avere in mano al chiave di accesso a qualunque cosa, si tratta di imparare a utilizzarla, ma è la chiave di accesso a qualunque cosa. Detto questo, purtroppo devo congedarmi da voi perché l’ora è tarda, ma ci rivedremo giovedì prossimo sempre qui alla stessa ora e sarà ancora Cesare che proseguirà il suo discorso con l’intervento: “Cosa significa pensare (in psicanalisi)”. Grazie a ciascuno di voi e buona serata.