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LUCIANO FAIONI

 

FREUD E LA PSICANALISI

 

Freud e le fantasie.

Il racconto della fantasia e il racconto della realtà: la costruzione del racconto.

Da Propp a Greimas

 

BIBLIOTECA CIVICA CENTRALE – TORINO

 

SECONDO INCONTRO

3 giugno 2014

 

 

Proseguiamo questa conversazione che si articola in quattro incontri. Oggi è il secondo, il tema di questa sera è Freud e le fantasie. Il racconto della fantasia e il racconto della realtà: la costruzione del racconto. Da Propp a Greimas. La questione delle fantasie in Freud è di straordinaria importanza, anzi, potremmo forse dire che è stata una delle cose più importanti che ha rilevato, e cioè che gli umani vivono di fantasie, sono pilotati dalle fantasie. Cosa che ha sovvertito non poco il modo di pensare in quegli anni erano i primi del ‘900 anzi l’Interpretazione dei sogni esce proprio nel 1900, quindi in pieno positivismo. Ricordavo la volta scorsa che in quegli anni c’era l’idea che la scienza, la tecnica, sarebbero state nelle condizioni di rendere l’umanità felice e alleggerita da ogni incombenza; come ricordavamo, non è stato esattamente così però l’idea era quella, quindi l’idea che l’uomo potesse fare quello che voleva attraverso appunto la scienza e la tecnica, potesse dunque dominare la natura, dominare il mondo. Dire, come fece Freud, che gli umani non sono non soltanto padroni della natura e del mondo ma neanche di se stessi fu una notizia abbastanza difficile da assorbire in quegli anni; scrive nel suo saggio l’Io e l’Es, “l’Io non è padrone in casa sua”. Perché dice questo? Il motivo è che l’Io si trova in quella posizione a metà strada tra le richieste dell’Es, cioè di ciò che è inconscio, soprattutto il desiderio rimosso, e quelle del Super Io, e cioè di tutto ciò che la morale, per Freud soprattutto la morale sessuale civile, imponeva e impone agli uomini. Dunque, la fantasia, molte fantasie anche se non tutte, per Freud sorge proprio dal fatto che il desiderio, il desiderio rimosso, trova comunque il modo per potere dirsi, per potere manifestarsi. Il desiderio in quanto tale non può manifestarsi e quindi la fantasia ne prende il posto, e cioè si crea una situazione dove la realizzazione del desiderio, che è impedita, trova invece una soddisfazione altrove attraverso uno spostamento e ciò che si costruisce, i pensieri che vengono costruiti lungo questa operazione, sono propriamente ciò che Freud chiama fantasia. Ora, dicevo che gli umani sono pilotati dalle fantasie, perché? Ma, soprattutto, che cosa implica una cosa del genere? La questione che Freud rileva già quasi da subito è che il modo in cui gli umani si rapportano alle cose che incontrano, che vedono, che esperiscono direttamente o indirettamente, è come filtrato dai loro pensieri, dalle loro fantasie. Questo lo intende attraverso le analisi che lui andava svolgendo in quegli anni e i casi clinici di cui parla dove constata che ciascuna volta le persone che raccontavano della loro esperienza, delle loro storie e soprattutto dei loro “sintomi”, valutavano le cose che incontravano, gli eventi, gli accadimenti, in un modo particolare e cioè appunto “filtrato”, usiamo questo termine poco felice, dalle loro fantasie, cioè dalle cose che pensavano, dalle cose che credevano vere. Vi faccio subito un esempio, è un esempio che faccio spesso perché è facile da intendere: supponete che una fanciulla immagini che il papà la creda incapace, può accadere; ora, a questa punto la condotta della fanciulla, ciò che fa, sarà pilotato da questa idea, dunque non farà molte cose, si ritrarrà dal compiere molte cose e avrà di sé una opinione poco felice perché il papà, secondo lei, pensa che lei sia un’incapace. Ora, supponiamo che invece il papà non pensi affatto una cosa del genere e che, anzi, dia delle dimostrazioni della sua stima e della sua considerazione, ma tutte queste cose non valgono per la fanciulla per modificare la sua posizione. Come avviene una cosa del genere? Come può una persona pensare di sé delle cose che sono totalmente contro e lontanissime da ciò che altri pensano della persona, perché dunque ha costruito questa scena, questa immagine di sé? Per Freud la questione è relativamente semplice e cioè alla base di questo, dice Freud, può esserci un desiderio da parte della fanciulla nei confronti del papà che in seguito a ciò che stabilisce la morale sessuale civile, non può essere non soltanto messo in atto ma neppure pensato. Questo è ciò che mette in atto quel processo che Freud chiamava rimozione ma, al di là di questo, questo desiderio rimosso produce al posto suo una fantasia. Di che tipo? Beh, in questo caso la fantasia che si produce è che il papà in qualche modo avverta un desiderio del genere e che di conseguenza nei confronti della fanciulla abbia o nutra nei suoi confronti una profonda riprovazione e sdegno per quel desiderio, di cui il papà ovviamente non sa nulla, quindi la soluzione è per la fanciulla immaginare che il papà la consideri un’incapace. Quindi, a questo punto c’è stato uno spostamento, se il desiderio fosse stato consapevole, avrebbe potuto creare l’idea che il papà potesse considerarla una perversa però, questo dice Freud, è ancora troppo vicino, troppo connesso con il desiderio, che è dovuto essere rimosso, e allora si attua un ulteriore spostamento per cui “la fanciullina non è più perversa ma incapace” e a questo punto la cosa è tollerabile. L’incapacità, tutto sommato, è una cosa abbastanza comune, quindi per mantenere fisso questo desiderio, che Freud stesso ci dice che non può essere eliminato, può essere modificato una volta rimosso, può essere trasformato in un’altra cosa ma il desiderio permane. Ora, permanendo questo desiderio non può che permanere l’idea della fanciulla di essere incapace e non può abbandonare questa idea per due motivi: primo, perché il desiderio non può toglierlo, ed è stato il desiderio a creare attraverso uno spostamento questa idea, questa fantasia; secondo, perché pensarsi incapace è il modo di ricordare il desiderio originario. Sapete che per Freud il nevrotico ha un modo per ricordare ciò che è stato rimosso, cioè la ripetizione, la ripetizione di una scena, con delle varianti ovviamente. In questo caso ciò che si ripete è l’idea della riprovazione del papà nei suoi confronti, riprovazione che non è più per il suo desiderio, eventualmente sessuale, ma per la sua incapacità, però si ripete questa scena di riprovazione ed è il modo dice Freud in cui il così detto nevrotico “ricorda” ciò che è il desiderio, diciamo, originale. In tutto questo ciò che interessava particolarmente a Freud erano due aspetti: primo, che il desiderio comunque rimane; secondo, è che rimane ma trasformato. L’altra questione è che questo desiderio era la cosa più importante per la persona, giungerà a considerarlo come l’idea di un godimento assoluto, totale, irrinunciabile, ed è per questo che permane, e cioè ciò a cui la persona non intende rinunciare. Peraltro se ne accorse già dalle prime analisi che andava svolgendo allora, parlo appunto dei primi del ‘900, dove le persone si rivolgevano a lui per sbarazzarsi di alcuni sintomi che ritenevano fastidiosi, insopportabili; eppure, ad un certo punto dell’analisi, è come se la persona si rifiutasse di proseguire, si rifiutasse di andare oltre l’elaborazione come se, dice Freud, non volesse “guarire”. E, in effetti, non aveva tutti i torti: “guarire” comporterebbe in questo caso abbandonare il desiderio originale, abbandonare cioè quella cosa che era apparsa fin dall’inizio come il godimento tutto, assoluto, e quindi irrinunciabile, come dire, l’obiettivo della propria esistenza. Il secondo aspetto è quello che Freud chiama “formazione di compromesso”, che è altrettanto importante perché è ciò che decide poi di molte scelte, di prendere molte decisioni nella vita della persona. Vi faccio un altro esempio molto semplice dove non c’è la questione della sessualità. Immaginate un bambino piccolo, ghiotto di marmellata, di nutella se preferite, per lui mangiare la marmellata è importante, dà grandissimo piacere, però la mamma gli dice di non farlo, qualche volta anche in modo un po’ ricattatorio, può capitare. Comunque sia, il bambino si trova in una difficoltà: vuole fortissimamente mangiare la marmellata però non vuole dispiacere alla mamma, teme di perdere il suo affetto, il suo amore, la sua protezione, ecc., però qui la mamma si pone come la persona cattiva che gli impedisce di raggiungere la soddisfazione, il piacere, ma la mamma è anche una persona buona, una persona che lo ama, che lo coccola, che gli dà sicurezza, tranquillità, ecc. Come uscire da questa impasse? Avviene uno spostamento anche qui, esattamente come prima, si costruisce una formazione di compromesso, non è più la mamma ad essere cattiva ma è l’“uomo nero”, è l’uomo nero che diventa a questo punto colui che costituisce la minaccia, l’impedimento, e la mamma così è salva. È un esempio molto banale, certo, le cose in effetti accadono così ma spesso sono molto più complesse, intervengono molti più elementi, variabili. Questo è solo uno schemino per dirvi che una volta che si è costruito “l’uomo nero” questo rappresenta una specie di modulo pronto all’occorrenza in qualunque situazione si presenti, qualcosa di simile a ciò che ne ha determinata la costruzione, e cioè qualunque situazione in cui c’è qualcuno o qualche cosa che mi impedisce di raggiungere ciò che ritengo, per un motivo o per l’altro, la mia soddisfazione, il mio benessere, la mia felicità, tutto ciò che lo impedisce diventa l’uomo nero, il cattivo, il nemico, l’altro, il diverso, poi assume una notevole gamma di varianti, ciò che permane è comunque qualcuno o qualcosa che deve essere eliminato, perché l’idea è questa all’origine. Torniamo all’esempio di prima, la mamma impedisce di mangiare al marmellata, io elimino la mamma e posso mangiare la marmellata, è questa l’idea che permane: elimino l’uomo nero, cioè l’altro, il diverso, il cattivo, ecc., e finalmente posso raggiungere la soddisfazione, posso raggiungere il piacere, tutto tornerà a risplendere. Non è così ovviamente, però l’idea è questa, per questo vi dicevo che le formazioni di compromesso sono costruzioni che possono pilotare e lo fanno, le decisioni, le scelte, delle volte anche molto importanti nella vita di una persona, la quale decide non in base ai fatti ma in base alle sue fantasie. Per Freud, peraltro, è improbabile che una persona decida in base ai cosiddetti fatti perché ci diceva, già prima, che questi fatti, questi eventi, queste cose sono comunque sempre viste, lette, intese dalla persona in un modo assolutamente particolare, cioè attraverso il suo modo di pensare, che è determinato dalle sue fantasie. Per cui, in effetti, era assolutamente in linea con l’idea di Nietzsche per il quale non esistono fatti ma solo interpretazioni. Il fatto è un’illusione, un miraggio, c’è ciò che io penso di quella cosa. Ma vediamo più in dettaglio di che cosa è fatta una fantasia, sempre attenendoci a Freud. La fantasia è un discorso, un racconto, e non può essere altrimenti perché la fantasia è una sequenza di elementi che giungono a una conclusione, cioè a dire “ecco è così”. È come una sorta di, questo è abbastanza vicino a ciò che potrebbe dire Freud, un’interpretazione della realtà, prendetela così per adesso, e come qualunque interpretazione è un discorso, muove da delle premesse e attraverso dei passaggi giunge alla conclusione che dice “ecco è così”, così si costruisce qualunque argomentazione, qualunque pensiero, qualunque discorso, qualunque decisione, anche qualunque teoria, dopo tutto una fantasia, proprio in accezione in cui ne parla Freud, è una teoria, serve a rendere conto di qualche cosa, una qualunque. Ma, dicevo, la fantasia è un discorso, e Freud in buona parte si è occupato di intendere come si costruisce questo discorso perché è importante sapere il modo in cui viene costruito. Viene costruito a partire da un desiderio che si modifica, che si altera, quindi ci sono degli elementi che funzionano come una sorta di premesse nella costruzione di questo particolare discorso. Una premessa è questa: il desiderio in quanto tale non può essere manifestato né detto; stabilita questa premessa si tratta di argomentare, trovare delle sequenze che possano svolgere il compito di costruire una teoria, quindi un pensiero tenendo conto di questa premessa, premessa che, secondo Freud, non può essere messa in discussione. In quel frattempo anche altri si stavano occupando della stessa questione per motivi diversi, non si occupavano propriamente di stabilire come un pensiero, un discorso, possa costruire un “sintomo”, come lo chiamava Freud, però si ponevano la stessa domanda, e cioè come si costruisce un discorso, in che modo? E alcuni hanno incominciato a considerare i discorsi più comuni, per esempio i racconti, le fiabe anche, le storie, dopo tutto sono racconti di fantasia, sono fantasie. Fra i vari personaggi, qui abbiamo messo soltanto Propp e Greimas, Propp è stato messo non so neanche bene perché non ci è utile per il discorso che stiamo facendo se non per il fatto di aver cominciato a considerare che in qualunque racconto ci sono degli elementi fissi, delle funzioni stabili che si ripetono sempre, uno di questi, per Freud per esempio, era l’Edipo, una di queste figure che si ripetono sempre in tutti i racconti della persona in questo caso. Propp, esaminando delle fiabe, aveva individuato forse ventuno di queste funzioni, mi sembrano un po’ eccessive, ma la cosa interessante è che si è incominciato a intendere che c’è un qualche cosa nel discorso che ha la funzione di costruire, partendo da lì, un racconto. Dopo tutto Freud non ha fatto un’operazione molto diversa, partendo dal mito di Edipo, da questo mito, ha costruito un racconto, nel caso suo, la sua teoria. Più interessante è il lavoro che ha svolto un semiotico naturalizzato francese, un tale Greimas, lui ha individuato meglio il modo in cui si costruisce il racconto ed è un modo peraltro ancora più vicino al lavoro di Freud, e in parte anche molto vicino al lavoro che ha fatto Lacan, lo citavo la volta scorsa, perché è stato il primo psicanalista a prendere seriamente la direzione voluta da Freud intorno al linguaggio, citavo appunto i saggi in cui Freud più propriamente parla di linguaggio l’Interpretazione dei sogni, il Motto di spirito, la Psicopatologia della vita quotidiana, dove parla di parole, come si accostano, come si combinano. Dunque, vi dicevo di Greimas, adesso ve la faccio molto semplice ovviamente, lui dice che c’è un elemento e c’è il suo contrario. Riferito a Freud, c’è un elemento e la sua negazione, pensate a quel saggio dove Freud dice che un analizzante che andava da lui racconta un sogno e raccontando questo sogno ad un certo punto dice “ho sognato una donna ma non era mia madre”. Ora, perché questa precisazione? Non sarebbe stata necessaria, avrebbe potuto dire semplicemente “ho sognato una donna”, invece no, aggiunge “non era mia madre”, quindi pone un elemento e poi lo nega, esattamente, come dicevo prima, come se mettessimo due piani: Greimas – Freud. Greimas dice che la significazione si produce quando un elemento e il suo contrario si accostano; il contrario, negando, non elimina il primo ma si contrappone, da questa contrapposizione sorge un terzo elemento. Lui fa l’esempio: uomo – non uomo, da cui sorge un terzo elemento, donna. Uomo – donna: sessualità. Sessualità - non sessualità, cioè asessualità. Da ogni contrapposizione sorge un terzo elemento, cosa che richiama abbastanza facilmente tutta la dialettica hegeliana, che adesso qui non ci interessa. “Ho sognato una donna ma non era mia madre” e quindi madre – non madre, che cosa sorge da questa negazione, qual è il terzo elemento? Il terzo elemento che sorge è propriamente una fantasia, vale a dire ciò che la persona deve introdurre per affrontare questa contrapposizione “madre – non madre”, cioè si trova di fronte al fatto che non “voleva” fosse la madre però ha sognato una donna che in qualche modo era sua madre, si trova cioè a dovere confrontarsi con la necessità di dovere costruire un altro elemento, una terza via: madre – non madre, potremmo dire sessualità, cioè affrontare la questione della sessualità, per Freud il mito principale l’Edipo. Nella costruzione di Greimas questo modulo è ciò che consente la costruzione, attraverso poi l’intervento di elementi molto più complessi ovviamente. Anche lui riprende le funzioni di cui parlava Propp, le chiama “attanti”, che sono semplicemente delle funzioni, una funzione che svolge all’interno di un racconto, per esempio il protagonista, l’antagonista, l’adiuvante, il destinante, il destinatario, ecc. Queste sono funzioni all’interno del discorso, anche per Freud accade qualcosa di simile, cioè il reperimento di funzioni, di elementi, che sono fissi all’interno di un racconto; per esempio, la rimozione e la resistenza, sono due funzioni fisse che per Freud intervengono sempre. Tutto questo è come se ruotasse intorno a una questione che è di straordinaria importanza oltre che interesse, che è la prima che vi ho enunciato questa sera, e cioè che gli umani vivono delle loro fantasie, tutto questo era per giungere a dire, sia da parte di Freud e anche da parte di Greimas ma soprattutto da parte di Lacan, che gli umani vivono di fantasie. Lacan amava moltissimo fare grafi, era un “grafomane”, nel senso che era un amante dei grafi, aveva un grafo per ogni circostanza e quello del fantasma è quello che scrive così, dice: il soggetto poi il rombetto che fa lui, la losanga, ◊, e una a, s ◊ a. Nella sua teoria la a minuscola, sarebbe l’oggetto causa del desiderio. Questo grafo s ◊ a significa che il soggetto si rapporta all’oggetto causa del desiderio ma in questo rapporto il soggetto scompare perché l’oggetto del desiderio non c’è, non c’è perché l’oggetto è una fantasia, è la fantasia che costruisce l’oggetto in riparazione al fatto che il desiderio in quanto rimosso non è accessibile e, quindi, deve trovare una soluzione di compromesso e allora si inventa una fantasia ma l’oggetto non lo raggiunge. Per Lacan il desiderio è rimosso, quindi non c’è accesso, anzi, riprendendo in parte da Freud, “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”, questa volta la A è maiuscola per indicare l’alterità assoluta, radicale, irriducibile, come dire che il desiderio non è mai soddisfatto, e la fantasia subentra a rimediare a questa situazione. Questo rimedio, ovviamente, altera quella cosa che comunemente si chiama “realtà” al punto che, e insisto su questo aspetto, di quella cosa che comunemente chiamiamo “realtà” possiamo averne soltanto un’immagine, per dirla con Freud “fantasmatica”, come se non si avesse accesso alla realtà, alla cosa. Questo accesso c’è in un certo modo soltanto attraverso la fantasia. Ecco perché gli umani vivono di fantasie. Che implicazioni ha una cosa del genere? Perché non va senza una qualche implicazione. Se voi ci pensate un momento, quando si prende una decisione, dalla più banale alla più importante, ché delle volte ci sono decisioni che coinvolgono e poi modificano la propria intera esistenza, sposarsi per esempio, cambiare lavoro, cambiare paese, sono decisioni importanti che cambiano totalmente la propria vita, bene, spesso si immagina che queste decisioni vadano prese, come si suole dire, ponderate e con attenzione, con cognizione di causa, si suole dire in questi casi, invece Freud ci dice che ogni decisione, ogni scelta, è pilotata da fantasie, come se anche queste decisioni di fatto non tenessero conto dei fatti e della realtà ma è come se alla fine chi decide, che mi fa decidere per una direzione o per un’altra sono le mie fantasie, le cose che io “credo” essere vere ma non per una riflessione, per un’articolazione, per un’argomentazione precisa, no, ad un certo punto cosa interviene? Interviene una decisione che quasi si prende da sé ma in realtà non è che si prenda da sé propriamente, sono le mie fantasie che hanno il sopravvento e mi fanno decidere in un modo anziché in un altro. Perché avviene questo? Ovviamente, decido per quella cosa che per me ha maggiore valore, maggiore importanza, ma che cos’è che nel mio discorso ha dato maggiore valore a una cosa anziché un’altra? Di nuovo le mie fantasie, cioè ciò che io credo essere vero, essere importante, ciò che io credo essere importante perché il modo in cui si è costruita la fantasia ha determinato l’importanza di un qualche cosa. Dicevo prima che da un elemento e la sua negazione sorge un terzo elemento, questo elemento che si produce, questa idea è importante perché è come se “risolvesse” una contraddizione apparente fra elementi, è quell’elemento che consente l’unione di due elementi che sono contrapposti e quindi, come si diceva negli anni ‘70 sono “incompossibili”. Il terzo elemento risolve il problema, è quell’elemento che Freud chiamava “formazione di compromesso”, quindi è importante e viene mantenuto proprio per questo. Ma se, come vado dicendo, ciascuno è pilotato dalle sue fantasie, anche le sue valutazioni, le sue interpretazioni dei fatti non sono esenti da fantasie: quando qualcuno stabilisce “quindi le cose sono così perché i fatti sono questi e quindi la conclusione è questa”, usando in modo più o meno legittimo la logica classica conclude “è così”, ecco questa conclusione non è proprio così realistica, usiamo questi termini, non è esente dalla fantasia, quindi le cose stanno così ma stanno così per me, qui, ora, tra dieci minuti può essere tutto diverso, come molto spesso accade tra l’altro.  Freud e altri insieme con lui in quegli anni, avvertendo questo, dicendo che “l’Io non è padrone neanche in casa sua” è come se mettesse le persone di fronte a una “responsabilità”, una responsabilità che sarebbe opportuno, almeno per Freud, che ciascuno assumesse su di sé, cioè le cose non sono così perché sono cosà, sono così perché io ho “deciso” che sono cosà e lo ho deciso a partire dalle mie fantasie. Intendo dire che una decisione, una scelta di vita che ho intrapresa o un’interpretazione dei fatti che fornisco, non rispecchia un dato di fatto, uno stato di cose, la psicanalisi ha incominciato ad avvertire che non c’è in quanto tale, la psicanalisi ma non solo, un fortissimo contributo è stato dato dalla semiotica e dalla linguistica, in parte dalla filosofia del linguaggio, ché le cose non sono così, dire che le cose stanno così, potremmo dire a questo punto che è un non senso, non significa niente, può essere utile per muovere in certe situazioni però sempre mantenendo, ed è questa la responsabilità di cui dicevo, mantenendo la responsabilità di ciò che sto affermando, anche se appare la descrizione di uno stato di cose, di uno stato di fatto. Se le cose sono così, che posso farci? Niente. Non è esattamente così, ci dice già Freud quasi un secolo fa più o meno, le cose sono un po’ più complesse, come d’altronde gli umani sono un po’ più complessi, sono complessi perché vivono oltre che di fantasie di uno sterminato numero di variabili che intervengono nel loro discorso, la cui costruzione è di una straordinaria complessità. L’altra volta vi dicevo che ciascun elemento linguistico, ciascuna parola che interviene è quella che è perché è connessa con infinite altre, che in un certo qual modo sono presenti. Insomma, una rete di connessioni che appare infinita, non lo è propriamente ma appare infinita, per indicare un numero sterminato di connessioni che ogni singola parola intesse mentre si sta parlando, che è esattamente quello che si chiedeva Freud “cosa succede mentre si sta parlando, mentre si sta pensando?”. Dove vanno queste parole che sto dicendo e che mentre le dico si connettono con altre a creare altre scene, altri scenari, altre immagini, perché parlando delle volte accade di distrarsi e non sapere più di che cosa si sta parlando? Una persona parla, la parola che sta dicendo si aggancia a un’altra parola e questa si aggancia a un’altra che allude a una scena, una scena che per la persona è importante e immediatamente il suo discorso va in quella direzione abbandonando tutto il resto; è il modo quasi normale del funzionamento del discorso, come se il discorso si distraesse continuamente e fosse sempre abbastanza difficile mantenerlo lungo una linea, ci vuole un certo esercizio perché se no il discorso oscilla, oscilla tra cose che lo attraggono, e queste attrazioni di cui parlo sono nient’altro che connessioni, come si chiamano oggi in termini informatici, “link”, connessioni. La cosa che importa è intendere quali sono le connessioni che attraggono il discorso perché lì andrà comunque sempre a finire il discorso, quella sarà la direzione preferenziale e Freud ci dice che questa direzione preferenziale è quella instaurata da un desiderio rimosso. Ora, la cosa può affrontarsi in termini più precisi ancora di quanto abbia fatto Freud perché lui non è che avesse molti elementi allora, si parla dei primi del ‘900 anche se è morto nel ‘39, ma molte ricerche, molti studi che venivano compiuti in quegli anni erano assolutamente inaccessibili e molti lo sono stati addirittura fino a pochi anni fa. Molti dei testi di logici polacchi sono stati tradotti molto recentemente anche in inglese addirittura per cui erano assolutamente inaccessibili, e quindi non era al corrente del fatto che molte persone insieme con lui si stavano interrogando sul funzionamento del linguaggio ma non muovevano da questo mito di Edipo e quindi hanno dovuto trovare altre soluzioni. Soluzioni non sempre felici, però hanno mostrato degli aspetti, soprattutto in ambito logico, che possono oggi, e sottolineo oggi, mostrare un altro aspetto, e cioè che le affermazioni che ciascuno fa hanno comunque sempre una prerogativa, di nuovo, un modello, una sorta di modulo, devono sempre concludere in un modo che il discorso consideri vero. Questo procede non tanto da Freud ma più propriamente dalla filosofia del linguaggio e da alcuni aspetti della logica contemporanea, che introducono un elemento in più, non è che scompare il mito di Edipo e tutta la costruzione che ne ha fatta Freud, ma è un aspetto, ce n’è un altro più importante che determina anche questo, cioè l’Edipo. Dopo tutto non è che Freud abbia detto molto sul fatto, che per lui comunque è molto importante perché su questo si regge tutto, sul fatto cioè che un bambino desideri un rapporto sessuale con sua madre, perché dovrebbe? Freud dà come implicito prendendo appunto il racconto di Sofocle, la tragedia di Sofocle, come una sorta di emblema del funzionamento del tutto, però è vero che un qualunque bambino desideri esattamente questo? È molto difficile da stabilire, e se non fosse così, cioè non sempre e non necessariamente? Non è che crollerebbe tutta la teoria di Freud ma questo aspetto sarebbe appunto un aspetto, ce ne sarebbe un altro più determinante, questo aspetto più determinante, come vi dicevo prima, viene non più da Freud ma dalla ricerca intorno alla struttura del linguaggio, al suo funzionamento, al fatto che ciascuna sequenza, ciascuna proposizione deve concludere in un modo vero. Di questo avremo modo di occuparcene nell’ultimo incontro perché prima c’è un passaggio, la questione della verità, che è molto importante per gli umani che, come sapete, la vanno cercando da quando esistono, da quando c’è traccia di loro. Però, tutto questo è stato possibile cominciando a riflettere sul modo in cui funziona il discorso, sul modo in cui funziona il linguaggio o il modo in cui funzionano le fiabe, le storie, i racconti, le teorie, cioè tutto ciò che il linguaggio costruisce. Come funziona e perché funziona nel modo in cui funziona? È possibile individuare delle leggi che determinano la costruzione in un certo modo anziché in un altro? Queste sono domande fondamentali perché gli esseri umani sono esseri parlanti, gli unici su questo pianeta, almeno, sugli altri non posso garantirvelo. Il fatto di essere esseri parlanti mette in una posizione assolutamente particolare, li fa compiere cose che soltanto gli umani fanno: avere desideri, ambizioni, pensare al passato, al futuro, fare progetti, inventare l’arte, fare tutte quelle cose che fanno gli umani, ammazzarsi l’un l’altro in nome di niente, anche questo fanno e anche questo avviene grazie al fatto che sono esseri parlanti, e cioè possono costruire delle proposizioni che poi devono dire e provare che sono vere, al punto anche di uccidere per questo o a uccidersi, giusto per dire quanto la cosa è importante, più importante della propria stessa vita che generalmente è considerata il bene superiore, il bene supremo, beh, c’è qualche cosa che è ancora più importante, tant’è che in alcuni casi la propria vita, il bene supremo, scompare di fronte a un bene che è ancora più “supremo” la verità. Visto che sono le sette facciamo come la volta scorsa, possiamo avviare un dibattito poi se ci sono, come sicuramente ci saranno, cose che sono rimaste in sospeso che non ho articolato in modo sufficiente, potrò farlo a vostra richiesta. Come sapete sono quattro incontri e questi quattro incontri formano una sorta di percorso: il primo ha mostrato che Freud, nel momento in cui ha cominciato a lavorare, si è trovato senza saperlo a fare cose che altri facevano altrove ma straordinariamente simili a quelle che stava facendo lui, e il modo in cui ha inventato la psicanalisi è stato straordinario perché sicuramente una delle cose più importanti, più determinanti che siano mai state pensate dagli umani, non l’unica ovviamente, però una delle più importanti, ha mostrato cose che per millenni sono state misconosciute, Freud le ha messe sotto gli occhi. Questa sera abbiamo detto della costruzione del racconto, del linguaggio, anche qui Freud, insieme con altri, si è accorto che tutto dipende da come si costruisce il discorso, da come si costruiscono le fantasie, dell’importanza delle fantasie. Poi, diremo appunto della verità e qui citeremo Wittgenstein di cui ci siamo molto occupati, non solo di lui, Wittgenstein ha sicuramente dato un contributo parlando di giochi linguistici e vedremo come questo si accosta facilmente al lavoro che stava facendo Freud e di come sia importante la verità, cercheremo di dirne qualcosa di più sulla verità. Come sapete la “verità” si può definire in moltissimi modi, da Parmenide si può arrivare fino a Heidegger o a Sartre, perché dai filosofi è sempre stata connessa con l’Essere ma di questo non ci occuperemo un granché perché non ci interessa. Alla fine, dopo aver parlato della verità e che cosa significa per gli umani questa cosa, parleremo dell’ultimo passo da compiere, e cioè il passaggio dalla psicanalisi alla scienza della parola, cioè volgere il gesto di Freud, l’opera di Freud, la teoria di Freud in qualche cosa di più potente, di più forte, che abbiamo deciso di chiamare “Scienza della parola”, un modo come un altro, allora ci parve una buona idea oggi, forse avrei… rimane comunque che la scienza della parola può costituire qualche cosa che riprende il gesto di Freud e lo porta alle estreme conseguenze con enorme arditezza. Però, se qualcuno vuole intervenire sono a vostra disposizione.

Intervento: non ho capito questo come si riallaccia il complesso edipico alla verità?

Adesso le dirò dell’Edipo, ma questa questione della “verità” sarà il tema del prossimo incontro, perché avremo modo di articolare la cosa in modo molto più preciso rispetto alla fantasia e alla verità. Freud pone l’Edipo come un qualche cosa, un evento, anche se psicologico, che però rappresenta ciò che accade inesorabilmente negli umani, per Freud non ci sono umani che non siano coinvolti da quello che lui chiama il complesso di Edipo, addirittura Lacan giunge a formularlo attraverso una formalizzazione universale, dice per tutte le x (fx), dove x sono gli uomini e (f) la castrazione, per tutti gli umani la castrazione, cioè il complesso di Edipo. Ecco, la “verità”, in questo caso come concetto, ha a che fare con l’Edipo in quanto l’Edipo è posto come il fondamento per Freud della teoria, quindi è necessariamente vero che il bambino desideri un rapporto sessuale con la madre e voglia di conseguenza uccidere il padre in quanto ostacolo. Se questa questione, questa affermazione che ho appena fatto, fosse falsa allora tutta la teoria di Freud e di conseguenza quella di Lacan crollerebbe, tutta, quindi questo asserto che muove dal mito di Edipo è vero, se è falso allora la psicanalisi non sta in piedi. Poi, rispetto al fatto che lei diceva, che è interessante, Verità e Fantasia, spesso si contrappongono anche se la contrapposizione il più delle volte è fra “Realtà e Fantasia”. La “realtà” è sempre vera necessariamente, direi quasi per definizione, però proprio procedendo dal gesto di Freud… la cosa che a mio parere è stata sempre più interessante nel lavoro di Freud e cioè il modo in cui ha incominciato a interrogare le cose più ancora del suo impianto teorico in quanto tale, il modo in cui ha incominciato a interrogare le cose, ha portato a delle considerazioni notevoli, una di queste è “che cosa ci stiamo domandando quando ci domandiamo che cos’è una certa cosa?”. Può apparire una domanda banale ma non lo è affatto, anzi, diventa di una complicazione incredibile mano a mano che si procede in questa interrogazione e, torno a dirvi, questo è l’aspetto più importante, più interessante per quanto mi riguarda in tutto il lavoro di Freud, cioè l’avere “insegnato” in un certo senso un modo per interrogare le cose. Quindi, quando ci domandiamo, come è stato fatto per millenni, “che cos’è la verità?” stiamo facendo una domanda metafisica che in quanto tale non potrà mai avere una risposta soddisfacente, come è accaduto, la nozione di “verità” è stata articolata, modificata nel corso di duemilacinquecento anni, quindi, qual è? La metafisica ad un certo punto ha abbandonato la partita, si è dichiarata sconfitta ed è sorta l’ermeneutica, come dicevo appunto “non ci sono fatti, non c’è una verità, c’è un’interpretazione”, il problema è: questa affermazione è vera? La questione può assumere una configurazione di una complessità tale da smarrire talvolta anche i pensatori più robusti ma ciò che cercherò di fare il prossimo incontro è di formulare tutto questo in termini molto semplici. Potremmo dire così, giusto per buttarla lì, che la verità è un sostantivo femminile singolare, possiamo dire questo intanto, ma tutto ciò che gli aggiungiamo a questo viene dalle fantasie oppure può dire come stanno veramente le cose? Che cosa davvero realmente è la verità? Ciò nondimeno è una parola che si usa ininterrottamente in qualunque conversazione: “ma è vero?” “non è vero?” “ti dico io la verità”, oppure “ la verità è questa”, “è vero che … ?”, oppure è falso, si usa spessissimo. Però, la domanda, e qui torno alla questione di Freud, al modo in cui lui interroga, che cosa ci sta dicendo esattamente in quell’occasione? Tutti parlano di verità continuamente, non tutti hanno fatto delle ricerche metafisiche, ontologiche, intorno a questo termine, non tutti hanno considerato la verità in termini filosofici, linguistici, semiotici, logici, ecc., perché cambia, non solo ma all’interno della logica cambia in relazione alle logiche perché non c’è una logica, ci sono le logiche, sono varie, una complessità, dicevo, tale che può accadere di smarrirsi ma noi cercheremo di evitarlo di smarrirci, seguendo una diritta via che in questo caso non è smarrita. Questa differenza fra verità e fantasia che, certo, è un luogo comune, però che cosa dice esattamente? Per potere stabilire con certezza una differenza tra questi due termini dovremmo sapere con certezza di che cosa parliamo quando parliamo dell’uno o dell’altro, possiamo raggiungere questa certezza? Sì o no? Se sì, come? Questo è un esempio della complessità della questione, appena la si affronta in modo più preciso. Certo, problemi del genere non sorgono ovviamente nel parlare comune di tutti i giorni, se no la persona non riuscirebbe più a muoversi, neanche di un millimetro, né riuscirebbe più a proferire neanche una parola, però, se è questo ciò di cui ci occupiamo allora dobbiamo affrontarlo in termini precisi, a questo punto allora questi termini diventano linguaggio, come direbbero i linguisti il “linguaggio oggetto” e utilizzeremmo un “metalinguaggio”, cioè un discorso che parla del discorso, così avviene generalmente. Però, della verità ci occupiamo martedì prossimo, il titolo è Il disagio e la verità. Da Freud a Wittgenstein. La guerra e i conflitti sono il frutto di verità contrapposte. Guerra e conflitti, non soltanto quelli militari che si verificano da sempre, da quando esistono gli umani non c’è mai stato un momento senza guerre, ma anche conflitti tra persone, anzi, è la cosa più interessante forse, guerre e conflitti fra persone, pensate a qualunque relazione, quante guerre e quanti conflitti si scatenano, di una ferocia inimmaginabile a volte.

Intervento: e tutto questo perché gli umani sono parlanti?

Sì, esattamente.

Intervento: questa è quella implicazione da svolgere, perché se no non si intende perché uno psicanalista si trovi a parlare di come funziona il linguaggio…

Sì, l’ho illustrato in questi due incontri. Dice bene, certo, tutto questo che accade proprio perché gli umani sono parlanti, se non lo fossero allora gli umani non sarebbero mai esistiti. Questa è una conclusione che può trarsi ragionevolmente, non sarebbero mai esistiti perché non avrebbero mai avuto l’occasione per esempio di potere dirsi esseri umani, di esistere, tutti questi concetti “umanità” “esistenza” non ci sarebbero, a questo punto esisterebbero? È un’altra questione complessa, perché come intendere a questo punto la nozione di “esistenza”? Vedremo di dipanare il tutto martedì prossimo che sarà il 10, per il momento vi saluto e vi ringrazio di essere stati qui e vi auguro una buona serata.