Torino, 2 maggio 2006
Libreria LegoLibri
Luciano Faioni e Daniela Filippini
LE FANTASIE DEL SESSO
Intervento di
Daniela Filippini
Le fantasie… con questo termine intendiamo parlare delle immagini, delle rappresentazioni visive che ciascuno ha rispetto a qualche cosa, delle scenografie ideali – nel senso che si tratta di idee.
Naturalmente le fantasie riguardano molti degli argomenti umani, e sono fatte delle stessa natura dei pensieri; come dicevamo: sono rappresentazioni visive di pensieri e sono il frutto di pensieri.
Le fantasie del sesso sono quelle immagini che, tra le innumerevoli immagini prodotte dalla mente, provocano eccitazione, desiderio sessuale.
A volte il richiamo della fantasia non è immediato, ma accade che di una situazione, uno sguardo, una parola qualcosa colpisca l’attenzione, la catturi e la conduca in una direzione precisa, per esempio quella dell’attrazione fisica.
Cosa ha reso quella situazione, quello sguardo, quella parola, diversi dal contesto generale e li ha caratterizzati con la produzione di un desiderio?
La particolarità di questi elementi che hanno suscitato attrazione è l’aver trovato un incastro, una rispondenza con le personali fantasie di chi prova questa attrazione, senza peraltro che la persona ne sia consapevole, per lo meno in quel momento.
Questo incastro produce una reazione nota a ciascuno, qualcosa che ciascuno ha sperimentato innumerevoli volte ma continuamente ricerca: l’emozione.
A questo punto potremmo chiederci che cos’è l’emozione e cosa la produce.
In questo contesto potremmo dire che l’emozione rappresenta la sorpresa nel constatare che la propria fantasia ha trovato una realizzazione; la possibilità di riconoscere che il proprio desiderio è stato dichiarato, confermato e, infine, concretizzato.
Nel caso specifico di cui stiamo parlando, il desiderio viene confermato dal fatto che l’attrazione sessuale, l’eccitazione viene effettivamente a prodursi e si manifesta con una serie di modificazioni a livello corporeo.
Più genericamente l’emozione può essere definita come la percezione – positiva o negativa - di qualcosa di diverso rispetto allo stato psichico precedente; come un elemento che improvvisamente entri nel fluire dei pensieri e che produca una variazione che in molti casi non può essere ignorata.
Queste percezioni, questa sorpresa di cui andiamo parlando, sembrano provenire da una fonte esterna alla persona; sembrano prodotte da qualcosa di cui la persona non ha controllo né consapevolezza. Così, l’emozione travolge, sconvolge, irrompe nei pensieri – e nelle percezioni fisiche – dell’individuo che subisce una serie di sintomi psicofisici ben noti (palpitazioni, sudorazione, morsa allo stomaco, vertigine, insonnia, inappetenza, ecc.)
Il gioco della fantasia = attrazione sessuale funziona tanto meglio quanto più la persona viene trasportata da queste emozioni, viene travolta dalla passione che ella stessa ha prodotto, ma che non può considerare come frutto delle proprie fantasie per non dover rinunciare a nessuna sfumatura, a nessun brivido che l’emozione regala.
L’intensità delle emozioni viene barattata con la consapevolezza di ciò che si sta compiendo, e cioè si stanno utilizzando delle immagini preferite, scelte fra tutte le altre, allo scopo di produrre desiderio, i quali - immagini e desiderio - sono costruiti dai pensieri, sono parte dei pensieri dell’individuo che li ha prodotti in conseguenza di altri pensieri, per seguire una direzione coerente, ma arbitraria.
Nulla di costrittivo, se non la coerenza logica all’interno dei pensieri e delle fantasie; nulla di subito dal destino, dagli astri, dalla fortuna o dalla casualità degli incontri: soltanto la preferenza individuale di un pensiero piuttosto che un altro, di un’immagine piuttosto che un’altra, una canzone che evoca ricordi, un paesaggio, un volto o parole immaginate da tempo che ad un certo momento qualcuno si trova a pronunciare in un certo modo.
Intendo dire che è l’individuo a scegliere le proprie fantasie sessuali – come del resto qualsiasi altra fantasia - in base alla propria idea del piacere a cui immagina che quella fantasia sia in grado di condurlo, in una sorta di personalizzazione nella ricerca del piacere assoluto.
Ancora una volta si rincorre un ideale, un luogo in cui il piacere non è più un istante di intensa, ma effimera felicità. Ciò a cui la fantasia tende è il sogno del perdurare infinito del piacere nella massima intensità concepibile.
Scopo delle fantasie sessuali è quindi la ricerca del piacere, il quale si raggiunge attraverso l’attrazione e l’eccitazione fisica che le fantasie producono.
Sono le fantasie a produrre l’eccitazione e non viceversa, perché nella fantasia viene anticipato ciò che si produrrà poi nel corpo.
Il corpo esprime e manifesta il desiderio che nasce dai pensieri.
Come dire che condizione dell’orgasmo è l’esistenza di una fantasia sessuale che lo immagini, che lo organizzi in una propria regia fatta di parole e situazioni ideali e – attraverso la produzione di un desiderio sessuale crescente – lo concluda nella reazione fisica del piacere.
Ma in assenza di qualunque pensiero, esisterebbe il piacere fisico, l’eccitazione, il desiderio?
Che cosa esattamente si desidera in una fantasia sessuale, al di là delle rappresentazioni visive personali, delle scenografie che ciascuno sceglie di utilizzare a questo scopo? E quindi, che cosa produce il piacere fisico?
Le fantasie danno l’illusione di entrare nel desiderio dell’altro, per indurre questo desiderio e per portarlo alla massima intensità.
La fantasia sessuale è immaginare la scena di un incontro sessuale nel quale l’individuo organizza e decide passaggi e dialoghi, disegna luci ed atmosfere.
L’autore decide immaginando se stesso e l’altro che – immerso a sua volta nella propria ambientazione – diventa un personaggio importante, ma certamente passivo.
Nella fantasia ciascuno pilota le proprie azioni e quelle dell’altro, in un crescendo seduttivo in cui il desiderio di chi conduce la scena, produrrà e aumenterà, oltre il proprio desiderio, anche quello del partner.
È il desiderio l’energia che determina il raggiungimento del piacere, ma è possibile che il desiderio ultimo non sia realmente quello di provare il piacere fisico, quanto piuttosto di raggiungere quella condizione ideale che è prodotta dalla fantasia: decidere, muovere, far fare all’altro esattamente ciò che si desidera.
Questo è il potere eccitante della fantasia, anzi sarebbe meglio dire, questo è l’eccitante potere della fantasia che permette, per il solo fatto di esserne l’autore, di controllare, organizzare e decidere i ruoli, i modi e i tempi del proprio piacere, affidando all’altro unicamente il compito implicito di eseguirli.
Parlo di compito implicito riferendomi al fatto che non possono essere comunicate al partner precise istruzioni.
Si perderebbe immediatamente ogni “poesia” in quanto, tale verbalizzazione, costringerebbe il partner ad uscire forzatamente dalla propria scenografia, rischiando di perdere l’aggancio con quei pensieri che per lui (o lei) sono la fonte del piacere.
Potremmo aggiungere che attraverso la relazione sessuale si ricerca il proprio piacere e quello del partner; e sembra quasi che il piacere dell’altro sia più importante del proprio; tanto è vero che ciascuno si premura di sapere, di avere conferma dal partner del fatto che l’incontro sessuale sia stato effettivamente soddisfacente.
Il piacere dell’uno è condizionato dalla propria capacità di dare piacere all’altro; ma tale capacità rappresenta anche un potere che può essere esercitato – permettendo all’altro di godere – ma può anche non esserlo.
Come dire che ciascuno arbitrariamente può decidere del piacere dell’altro, assecondando i suoi desideri oppure sottraendosi ad essi.
Il piacere nasce allora dall’idea di poter controllare e gestire la situazione, così come le sensazioni del partner; di essere realmente quel regista che mette in scena il proprio film, lo stesso film che precedentemente aveva costruito nella fantasia.
Ma se è vero che sono le fantasie a precedere e condizionare il piacere fisico e che queste fantasie sono in realtà fantasie sull’esercizio di un potere, allora possiamo concludere che il piacere sessuale non è nient’altro che il piacere derivante dall’esercizio di un potere.
Ciò che merita una riflessione è il fatto che la relazione funziona proprio nella misura in cui ciascuno può mantenere attiva ed operante la propria fantasia sessuale, proiettandosi quel film che lo vede come protagonista assoluto e regista di ogni singolo dettaglio.
Quello che nel discorso comune viene indicato come un momento di massima intimità e unione non solo sul piano fisico, assume allora una connotazione più articolata.
Se proviamo ad eliminare dalla scena le atmosfere romantiche, quelle erotiche ed ogni alone moralistico/spirituale, ci troviamo davanti alla struttura che permette ed organizza tutte le operazioni che abbiamo cercato di analizzare, dalla scelta delle fantasie sessuali, alla produzione dell’eccitazione; dal desiderio di controllare la situazione al piacere che arriva al culmine se la fantasia di potere si compie.
Se consideriamo questa sequenza, non possiamo non renderci conto che la più parte di ciò che accade si svolge all’interno dei pensieri e colui che pensa non farà nient’altro che muoversi in quella direzione, portandoli a compimento.
Curiosamente, appare difficile entrare in questi meccanismi ed accorgersi che la persona non viene travolta dal misterioso potere di qualche cupido, ma che ogni dettaglio nasce da una precisa ragione di preferenza rispetto alle infinite possibilità e questa preferenza è stata individuata unicamente dalla persona stessa.
Le ragioni di ciò che si pensa non sono custodite da chissà quale combinazione astrologica o divina, ma sono da ricercarsi unicamente all’interno dei propri pensieri, o meglio del proprio discorso.
Lo strumento che ciascuno si trova ad utilizzare – creandolo giorno per giorno - è soltanto questo: il proprio discorso, cioè un’infinita sequenza di proposizioni elaborate secondo le esperienze, le considerazioni, le illusioni e le delusioni maturate da ciascuno nella propria vita. Discorso che, ininterrottamente, procede al proprio interno elaborando pensieri, e all’esterno verbalizzando parole.
Ma al di là di ogni soggettività del discorso, è il linguaggio ciò che determina il funzionamento degli elementi che lo costituiscono.
Il discorso potrebbe essere descritto come l’ambiente specifico in cui ciascuno abita, circondato degli oggetti che ha raccolto durante i suoi viaggi, con l’arredamento che gli è più congeniale, con i quadri e gli ornamenti che preferisce.
È la casa della persona; ma questa casa esiste anche in quanto edificio, come struttura edile realizzata secondo principi e tecniche di ingegneria.
Il discorso è la casa, il linguaggio ne è la struttura portante, l’edificio e contemporaneamente l’insieme delle regole che è necessario utilizzare per costruire un discorso – qualunque discorso.
Il linguaggio è l’unico strumento che permetta di pensare, parlare, valutare o decidere qualsiasi cosa e l’individuo non può uscire dalle regole di questo gioco perché si troverebbe nella condizione di non avere altri strumenti.
Per negare la necessità dell’esistenza del linguaggio, infatti, sarebbe costretto ad utilizzarlo.
Il fatto che ciascuno utilizzi questo strumento con le proprie modalità specifiche, ma all’interno di regole comuni – determina la particolarità del discorso rispetto al tavolo di gioco, ossia la struttura del linguaggio, giungendo a produrre le proprie personali fantasie, immagini, pensieri, proposizioni.
Ciascuno di questi elementi ha almeno due caratteristiche comuni:
si tratta di un elemento linguistico, in quanto è costruito dal linguaggio
è stato scelto tra gli altri in quanto elemento veritiero del discorso
L’autenticità, o più propriamente, la verità è il movente del pensiero umano: ciò che determina la scelta di un’idea, di una convinzione, di un’affermazione è la condizione di verità.
Il pensiero non può procedere nella direzione di ciò che sa essere falso; la strada è sbarrata, occorre muoversi in un’altra direzione.
E l’unica via concessa dal linguaggio appare essere quella della verità, intesa come la coerenza di un elemento con l’elemento precedente, fino ad agganciarsi con la premessa individuata e assunta a sua volta come vera.
Se ciascun elemento può rinviare al successivo senza contraddire il precedente, il discorso può procedere fino a concludere con un’affermazione che coerentemente potrà essere definita vera.
Anche le fantasie sessuali sono elementi linguistici e parte del discorso di ciascuno, e come tali devono trovare una conclusione che le confermi, senza necessariamente doverle mettere in pratica; il fatto di averle individuate per produrre attrazione sessuale verso qualcuno – che poi effettivamente si produce - è già una conclusione che risponde al criterio di verità.
Come dire che l’attrazione fisica, così come il piacere sessuale possono essere considerati le conclusioni vere della fantasia sessuale che li ha preceduti.
Intervento di Luciano Faioni
Bene, forse è possibile riprendere un punto che Daniela ha toccato e che è importante, vale a dire la connessione tra le fantasie, le fantasie di potere in particolare di cui ha parlato e il linguaggio. Qui fantasie di potere in accezione differente tanto da quella utilizzata da Adler quanto da quella utilizzata da Schopenhauer. In effetti Daniela ha parlato di potere ma in connessione con il linguaggio, dove assume una connotazione totalmente differente o forse è il caso di dire più radicale e non a caso ha accostato il potere alla verità. Si potrebbe compiere un’operazione abbastanza semplice intendendo il potere come l’avere ragione dell’altro, ora questa ragione in questo momento non ci interessa in quale modo si ottiene, può ottenersi con la dialettica, con la retorica, o altrimenti con le armi come limite estremo, però in ogni caso si tratta di avere ragione dell’altro, il fatto che si usi questo termine non appare del tutto casuale: piegare la ragione dell’altro è averlo in proprio potere. Detto questo rimane da considerare come questo funzioni nelle fantasie sessuali: anche in una fantasia sessuale o in una relazione c’è questa necessità di esercitare il potere sull’altro? Oppure no? Qui occorre aprire una parentesi perché non è semplicissima la questione, l’abbiamo svolta proprio in questa sede in varie circostanze e cercherò di riassumerla molto brevemente: che cosa gli umani cercano al di sopra di tutto? Che cosa hanno sempre cercato da quando c’è traccia di loro? Hanno cercato innanzi tutto di trovare qualche cosa che potesse garantire in modo definitivo ciò che credono, ciò che pensano, ciò che immaginano; come sapete la filosofia si è adoperata in lungo e in largo per ottenere una cosa del genere ma senza andare molto lontano, poi la religione e poi la scienza, in ogni caso ciascuna di queste discipline ha tentato in tutti i modi in cui poteva di raggiungere questo obiettivo, e cioè trovare finalmente qualcosa di vero, che fosse effettivamente e indubitabilmente vero. Perché si cerca una cosa del genere? Il motivo più semplice e più immediato ciascuno può rilevarlo nel quotidiano, il fatto semplicissimo e inevitabile che ciascuno parlando con chiunque e per qualunque motivo cerca di avere ragione dell’altro o, più propriamente, di fare in modo che le proprie argomentazioni vengano accolte dall’interlocutore come vere. Generalmente non ci si chiede perché si debba compiere questa operazione, la si dà per scontata, per normale, naturale, tutto quello che si vuole tuttavia questa operazione mostra qualcosa di notevole e cioè il fatto che gli umani cercano in ogni caso, ed è questa la domanda che ci si poneva prima e cioè che cosa cercano da sempre, cercano la verità. La verità in tutte le sue forme, può essere vero ciò che io affermo, può essere vera una situazione, io espongo per esempio ciò che è accaduto in una certa circostanza e mi aspetto che chi mi ascolta giudichi vero ciò che sto dicendo, anche perché se invece giudicasse falso ciò che sto dicendo allora avverrebbe quell’altro fenomeno per cui non mi crederebbe, cioè non mi darebbe credito, in questo caso io in nessun modo potrei avere ragione sull’altro, le mie ragioni crollerebbero immediatamente e inesorabilmente. Una delle cose che più infastidiscono gli umani è proprio questa: che qualcuno mostri o dimostri a seconda dei casi che ciò che si pensa o si dice non è vero, questo infastidisce moltissimo, forse anche questo meriterebbe una considerazione, una domanda: perché infastidisce così tanto anziché non infastidire affatto e accogliere immediatamente le argomentazioni contrarie dell’altra persona? Perché non lo si fa? In fondo nessuno lo impedisce, eppure come ciascuno di voi sa perché lo ha esperito chissà quante volte, una delle cose più fastidiose è quella di essere contraddetti, ma anche qui è raro che qualcuno si chieda perché avviene una cosa del genere. Cionondimeno avviene, al punto che nel caso per esempio della filosofia o della scienza, se una teoria viene mostrata essere falsa non viene più seguita da nessuno, perché? So che può apparire assolutamente banale ma le considerazioni che possono trarsi da una cosa del genere, mano a mano che si proseguono, diventano sempre meno banali al punto che è possibile fare questa considerazione, e cioè che gli umani pensano in questo modo, quindi sono fatti in questo modo. Non è un ghiribizzo la ricerca della verità, ma è qualcosa che sono costretti a fare come se non potessero non farlo, nessuno li costringe, ma qualcosa li costringe, perché non possono non farlo e non cessano di farlo e non hanno mai cessato di farlo da quando esistono. Che cosa li costringe? Qualcosa di cui appaiono essere fatti, vale a dire il loro pensiero, o più propriamente ancora la struttura del loro pensiero. Com’è questa struttura, di che cosa è fatta? Apparentemente è molto semplice, in effetti non si tratta di nient’altro che questo: di una sequenza di pensieri che muovono da qualche cosa che si suppone essere vero e che attraverso una serie di passaggi che dovrebbero essere coerenti si giunge a una conclusione. Considerate questo: è possibile pensare in un altro modo? Oppure no? Oppure è questo l’unico modo in cui è possibile pensare, se si pensa naturalmente. C’è l’eventualità che questo sia l’unico modo in cui è possibile pensare anzi, sia il pensiero stesso, il pensiero non è nient’altro che questo. Non c’è un altro modo di immaginarlo o di configurarlo, o è questo o è niente. Forse a questo punto abbiamo l’opportunità di dare anche eventualmente un nome a questa struttura, e gliela diamo perché esiste un termine appropriato per indicare questa struttura per cui non dobbiamo neanche stare a inventarne altri, questa struttura è stata chiamata linguaggio. A questo punto si può facilmente intendere che il linguaggio non è né la semplice verbalizzazione, né qualcosa di personale, è una struttura, è come una sorta di sistema operativo che consente a chiunque di pensare e senza la quale struttura non potrebbe pensare né avrebbe mai potuto pensare. E visto che ciascuno è fatto di questa struttura, è fatto di linguaggio, tant’è che se non avesse il linguaggio non sarebbe niente, anche perché non potrebbe pensare niente, non potrebbe pensare a sé, né, insieme con questo a nessuna altra cosa. A questo punto può essere fondamentale intendere come funziona il linguaggio visto che ciascuno da quando esiste è strutturato, si muove e pensa nel modo in cui il linguaggio lo costringe a fare e abbiamo visto che non potrebbe fare altrimenti perché non ha altri modi per pensare, non avendoli si attiene a questo e naturalmente occorre intendere come funziona il linguaggio anche per sapere come si pensa e perché si pensano le cose che si pensano, cosa che non è marginale dal momento che ciascuno si muove in base alle cose che pensa, in base alle cose che crede o che suppone essere vere, perché si muoverà come abbiamo visto in base alle cose che ritiene essere vere e non si muoverà in base alle cose che ritiene essere false e quindi ha un certo peso tutta la questione. Se io ritengo che sia assolutamente vero che gli ariani siano superiori ai levantini, come è stato pensato qualche tempo fa, ecco che mi muoverò di conseguenza con tutte le cose che questo comporta, quindi non è una questione del tutto marginale perché se una persona è giunta a considerare una certa questione e a crederla vera si muoverà di conseguenza e se non ha la possibilità di non accorgersi che vera non è, continuerà a muoversi in quella direzione, oppure può accorgersi che non è né vera né falsa, ma vera solo all’interno di un certo gioco, ma non è una verità assoluta come invece suppone che sia e come si muove di conseguenza. Tutte le decisioni, le scelte che fa una persona lungo la sua esistenza sono costruite in questo modo e cioè in base alle cose che ad un certo punto ha ritenuto essere vere, senza accorgersi che il più delle volte non è propriamente una verità tale da costringerlo a muoversi in un certo modo, ma semplicemente un giudizio estetico, come dire “a me piace così”. Non si accorgendosi che la questione è in questi termini pensa che sia vero e se è vero non ha altra scelta poiché la verità tendenzialmente, così come è stata posta nel discorso occidentale è terroristica, cioè costringe a muoversi in un certo modo, obbliga, non si può non farlo: se io so che una certa cosa è vera non posso pensare che sia falsa e dovrà attenermi a quella cosa, anche per questo gli umani hanno sempre cercato la verità, perché sanno benissimo che la verità dà il potere, ma il potere a questo punto non è nient’altro che l’esercizio della verità, pochi si sono chiesti perché gli umani cercano il potere. Per sopravanzare gli altri, per fargli fare quello che vuole, ma perché deve volere una cosa del genere? A che scopo? Per ottenere dei benefici? E perché vuole ottenere dei benefici? C’è qualcosa di molto più radicale e riguarda il discorso che abbiamo fatto poc’anzi, e cioè qualcosa che appare che gli umani non possono non fare, che sono costretti a fare dal linguaggio e cioè da quella struttura che ignorano e finché continueranno a ignorarla, questa struttura, è come se andassero in giro con gli occhi bendati senza accorgersi di niente, senza accorgersi di ciò che sta avvenendo mentre pensano, mentre parlano, senza sapere di cosa sono fatte quelle cose che credono essere vere. Ma perché credono che siano vere? In base a quale criterio? Per decidere della propria esistenza? Ci si immaginerebbe che una persona vagli con estrema attenzione e ponderatezza le proprie certezze, ma le vaglia con che cosa? Qual è lo strumento? Sono altre fantasie altre credenze, altre superstizioni e così procede per tutta la sua vita. Certo, ogni tanto ci sono dei contraccolpi, è inevitabile, contraccolpi nel momento in cui si accorge che le cose non sono come immaginava che fossero, ma perché mai dovrebbero essere come immaginava che fossero? In questo senso diceva Daniela possiamo parlare di fantasie di potere per quanto riguarda una fantasia sessuale, perché anche in quella circostanza come in qualunque altra la persona cerca di esercitare il proprio potere e cioè di imporre la propria verità, imporre all’altro le cose che ritiene essere vere. Se, come diceva prima Daniela, una persona ha una certa fantasia sessuale si attende che il partner si adegui immediatamente cioè capisca, sappia cosa deve fare ché se no diventa un problema, ma questa fantasia sessuale che tanto lo muove da dove viene? Chi l’ha costruita e perché è costruita in quel modo? Anche queste sono domande che potrebbero essere non del tutto marginali, e il più delle volte determinano l’andamento di una relazione e quindi in molti casi dell’andamento della vita stessa, e pertanto anche in questo caso potrebbe non essere del tutto secondario qualche considerazione intorno a questo. Dunque le fantasie del sesso sono costruite dalla persona in base ad altre fantasie. È possibile per la persona, se lo desidera, sapere perché per quella persona si è costruita una fantasia del genere anziché un’altra per esempio, come ciascuno sa ciascuno ha fantasie che non sono necessariamente identiche a quelle che hanno tutti gli altri, ci vuole un po’ di tempo per accorgersene ma prima o poi ci si accorge e lo stesso Freud si era sorpreso del fatto che le persone andando da lui raccontassero le proprie fantasie il più delle volte vergognandosene, come se l’avere queste fantasie fosse una sorta di patologia o di crimine senza rendersi conto, perché non potevano saperlo, che le stesse fantasie con qualche variante erano presenti in tutte le altre persone, con qualche variante ovviamente, così come i gusti di una persona, a uno piace il cioccolato a quell’altro la menta, perché? Generalmente su questo nessuno pone una grande attenzione perché è una cosa assolutamente risibile, invece in altre circostanze non è affatto risibile per cui potrebbe meritare qualche considerazione. Il potere in alcune fantasie sessuali, come forse qualcuno di voi sa, è la condizione per il raggiungimento di quel punto noto come orgasmo, che rappresenta il culmine del piacere: avere potere sull’altro, un potere assoluto, e questo tanto negli uomini quanto nelle donne, con qualche piccola variante, tuttavia in assenza di questo molto spesso l’orgasmo non è raggiungibile, se invece compare la fantasia di potere, di potere sull’altro dominando, controllando, gestendo ed essendo il padrone del piacere dell’altro ecco che allora tutto fila liscio. Sono fantasie come dicevo prima al pari di qualunque altra. Anche le fantasie cosiddette ad occhi aperti in qualche modo sono fantasie di potere, sempre nell’accezione di cui parlavo prima, pensate alle fantasie ad occhi aperti, dove vanno i pensieri, cosa costruiscono? Delle scene, dei film come diceva giustamente Daniela, dove si ha il controllo totale della situazione, ovviamente è lui che la costruisce è chiaro che tutto ciò che avverrà, avverrà secondo i suoi desideri quindi costruisce una scena, un film dove tutto va esattamente come lui desidera, qualunque cosa accada adesso non ci interessa, ma per questo attraggono così tanto queste scene, perché è come una manifestazione di potere assoluto, nulla mi contrasta, naturalmente per affermare questo occorre avere inteso qui cosa si intende con potere. Abbiamo visto grosso modo perché gli umani cercano il potere e non possono non farlo, ché sono costretti dal funzionamento di quella cosa che li fa esistere, che abbiamo chiamato linguaggio, l’abbiamo chiamata così perché si chiama così dai tempi di Aristotele almeno, abbiamo utilizzato questo termine, ma linguaggio non come la verbalizzazione di qualche cosa, assolutamente no, e neppure nell’accezione, come taluni intendono, di linguaggio dei fiori, il linguaggio degli animali, ma una struttura, un sistema operativo che fa funzionare tutto e che consente a ciascuno di pensare qualunque cosa, anche di esistere per esempio. Provate a immaginare se di colpo ciascuno di voi si trovasse senza linguaggio e cioè senza quella struttura che gli consente di pensare, cosa succederebbe? Primo non avrebbe più la possibilità di pensare nulla, quindi di giungere a una qualunque conclusione, compresa quella che afferma che io esisto, non c’è più, poi che altro non c’è più? I ricordi? Complicato affermare che ci sarebbero dei ricordi perché non c’è più nulla che li organizzi, desideri? Aspirazioni? E perché dovrebbe averne? Se non c’è una struttura di pensiero che gli consente di cogliere delle differenze, di avere della ambizioni, di avere dell’invidia anche, perché no? O qualunque altro aggeggio, perché mai dovrebbe desiderare qualcosa? Cesserebbe immediatamente di desiderare qualunque cosa, continuerebbe a desiderare di vivere? È una domanda senza senso perché né desidera né non desidera perché non può né desiderare né non desiderare, tant’è che la morte generalmente è immaginata proprio in questo modo, come l’assenza totale di pensiero, di possibilità di parlare, di pensare, di godere delle cose e senza linguaggio non posso godere di niente perché non c’è niente, non c’è nulla che possa essere organizzato in una differenza che abbia un valore, perché non c’è nulla che mi consenta di stabilire un valore; per farla breve, non c’è niente. Ora taluni talvolta ponevano questa domanda: ma in assenza di linguaggio le cose esisterebbero comunque? È una bella domanda, purtroppo non ha nessuna risposta che abbia un senso, perché per poterlo sapere dovrei uscire dal linguaggio e da lì compiere questa operazione, e cioè verificare se le cose esistono lo stesso ma dal linguaggio non posso uscire in nessun modo e quindi è, come direbbe Wittgenstein, un non senso, non significa niente, posso dire di sì, posso dire di no, quello che mi pare, tanto non significa niente. Abbiamo già detto un po’ di cose, soprattutto Daniela, io ho precisato un aspetto che riguarda la questione del potere appunto per evitare qualche malinteso, poiché non è da intendere né nell’accezione in cui parlava Adler, né quella di cui parlava Schopenhauer, né quella che intende l’economia, né quella che intende la politica, ma è una sorta di rappresentazione che tutti gli umani hanno di qualcosa che il linguaggio li costringe a fare, e cioè cercare la verità dovunque nelle proposizioni, in quello che vedono, in quello che sentono. Prima ho fatto un accenno a un sistema operativo, sapete come funzionano i computer, i computer funzionano come funzioniamo noi, nel senso che noi li abbiamo costruiti quindi non possono pensare altrimenti, sapete che funzionano con delle di porte 0/1, zero non si passa, uno sì, immaginate la verità come l’uno, significa soltanto che da li si può passare, da li si può andare avanti, zero no, lo zero è il falso, di li non si passa. Ciascuno si muove esattamente in questo modo: se sa che una cosa è falsa di lì non prosegue, anche se non si è mai chiesto perché, lo da come un dato di fatto è acquisito, è ovvio che se è falso non va in quella direzione ma non è affatto ovvio, è soltanto una porta che si chiude e che dice no, di qui non si passa, ma chi lo dice? Il linguaggio di cui è fatto. È ciò di cui è fatto, ciò di cui è fatto il suo pensiero e cioè in definitiva ciò di cui è fatto lui. Qualcuno ha qualche questione intanto? Noi saremo felici di prenderle.
Intervento: mi sembra che abbia dimenticato nelle sue riflessioni un concetto fondamentale, quello di libertà… il superamento del linguaggio, della struttura per arrivare alla libertà
Mi costringe a questo punto a porle io una domanda, e cioè cosa intende con libertà, per poterle rispondere in modo più appropriato.
Intervento: libertà dal linguaggio
Bene. Libertà dal linguaggio. Togliamo il linguaggio: siamo liberi, finalmente ci siamo sbarazzati del linguaggio, intanto potremmo saperlo che ce ne siamo sbarazzati? Se sì con che cosa? Questa è già una questione che si porrebbe immediatamente visto che il linguaggio è quella struttura che mi consente di pensare, per esempio, anche di essermi sbarazzato del linguaggio, chiaramente mentre lo penso non me ne sono sbarazzato affatto perché lo sto utilizzando per pensare di essermi sbarazzato del linguaggio…
Intervento: infatti c’è il detto “chi fa non parla”
Il fatto che taccia non significa niente…
Intervento: il maestro Zen quando …(non si sente)
Qui si pone una quantità notevole di questioni, intanto chi ha stabilito una cosa del genere, è una decisione che ha preso il maestro, e va bene, naturalmente un altro può decidere altrimenti ma in ogni caso in assenza di linguaggio non ha la possibilità di accorgersi, se effettivamente non ci fosse il linguaggio, lui non avrebbe la possibilità di accorgersene 1) di essersene liberato, 2) di averlo mai posseduto, 3) di sapere nemmeno che cosa sia il linguaggio. Non saprebbe niente assolutamente niente, come questo aggeggio qui, posso dire che è felice di non parlare? Posso dirlo certo, posso dire il contrario e tutto quello che mi pare. Ho insistito prima sulla questione del linguaggio e sulla sua struttura dicendo che non è da intendere come la verbalizzazione di qualche cosa, non è che se io sto zitto non penso o non avvengono dei pensieri, non lo posso fermare il linguaggio, in nessun modo, è l’unica cosa che non si ferma mai, già Freud sapeva benissimo che non si ferma mai, anche nei sogni continua a pensare, sempre, 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno, fino ho fiato in gola, dopo non lo so, quindi uscire dal linguaggio è un non senso, sono fuori dal linguaggio? Bene, devo poterlo affermare, poterlo pensare se no con cosa lo penso, con niente o con il linguaggio? Cioè con questa struttura che mi consente di pensare, badi bene intendo sempre linguaggio come una struttura, quella che mi permette di pensare e cioè mi permette di compiere questa operazione di cui abbiamo detto all’inizio, e cioè parto da un elemento che ritengo essere vero, a ragione o torto questa è un’altra questione, e attraverso una serie di passaggi giungo a un altro elemento che chiamo conclusione, e che deve essere vero perché io l’accolga. Questo è il linguaggio, funziona così, né più né meno, e quindi toglierlo è complicatissimo perché con cosa lo tolgo? Occorre una struttura che mi consenta di compiere questa operazione e anche se io mi tappo le orecchie, la bocca e il naso e tutto quanto continuerò a pensare, continuerò a pensare sempre in questo modo, anche perché non ho nessun altro modo per pensare e quindi continuerò lungo questa via.
Intervento: lei è d’accordo che la verità è oltre il linguaggio?
La verità si potremmo porla, parafrasando un certo linguista, Jakobson, come uno shifter, cioè come un indicatore deittico. Potete porla così, forse è più semplice, se potete proseguire a parlare allora ciò che avete affermato risulta vero all’interno del vostro discorso, se non potete proseguire allora chiamerete quella direzione falsa, così forse è più semplice, se posso procedere allora è vero, se non posso procedere allora è falso. Dunque non è che vero o falso esistano prima, non significano niente fuori dal linguaggio, però se io posso continuare a parlare in quella direzione chiamo quella direzione vera, esiste questo termine uso quello, e se invece non posso proseguire allora chiamo quella direzione e quindi quella conclusione cui sono giunto: falsa. A questo punto diventa più interessante, vero e falso non sono più concetti metafisici o extralinguistici, perché non possono esserlo ma semplicemente indicano la possibilità di continuare a parlare oppure no, se continuo è vero se non continuo è falso. Se mi accorgo che la mia conclusione è falsa non continuo, ma non è che non la continuo perché è falsa, ma non la continuo e quindi chiamo falsa quella direzione. Ché è diverso, come dire che vero e falso non preesistono, sono soltanto dei termini con cui indichiamo la possibilità o l’impossibilità di proseguire. Tutto qui…
Intervento: ma la verità è ciò che si esprime nel giudizio?
Certo, è una conclusione…
Intervento: mi fa ricordare il signore: io avevo letto quella frase dell’… “Colui che sa non parla e colui che parla non sa” ero rimasto perplesso me la devono spiegare…
Non significa niente, cioè è un’opinione al pari di qualunque altra…
Intervento: però ritornando alla fantasia che è un’idea che si dipinge nel cervello, nel pensiero… il pensiero è come il volo di un uccello che non ha meta, che non ha barriere, va verso l’infinito
Il pensiero è vincolato a delle regole…
Intervento: sì però con la fantasia io supero queste barriere, lo si può dire?
Non tutte, alcune, quelle imposte dalla struttura del linguaggio la fantasia non le può abbattere, perché abbattendo quelle abbatterebbe se stessa anzi, la possibilità stessa di esistere…
Intervento: sì però se la mia fantasia viene soddisfatta io ne traggo un beneficio perché era un mio desiderio avere questa fantasia costruirla ecc. e venire soddisfatto appagato ecc. poi chiaramente ci deve essere la corresponsione del partner io posso avere mille fantasie e il partner in quel momento può non soddisfare la mia fantasia… poi naturalmente si raggiunge l’acme, il massimo dell’eccitazione e diciamo che avviene la fusione dei due esseri dove si raggiunge il massimo piacere, detto orgasmo… almeno così mi sembra aveva definito Freud, a questo punto la fantasia deve esistere, non si può fermare, deve esserci… il pensiero non si ferma mai anche quando noi diciamo, passiamo dallo stato di veglia al sonno poi subentrano i sogni ecc. ecc. a questo punto ben venga la fantasia perché senza fantasia non potrei neanche vivere bene, vivere soddisfatto, la fantasia mi apre degli orizzonti…
Intervento: lei ha fatto un bellissimo discorso sul linguaggio, ha chiarito benissimo questa struttura metafisica, sicuramente Searle le avrebbe dato tutte le ragioni del mondo (non credo!) però vorrei sapere che posto dà alla logica? Cioè lei ad un certo punto ha parlato prima del linguaggio come struttura, dopo di che ha parlato del linguaggio come mezzo per la verità, attraverso il linguaggio noi possiamo definire cosa è vero e cosa è falso, però se non sbaglio… che il linguaggio sia il mezzo, c’è la logica che sta dietro e che ci dice con l’uno andiamo avanti e con lo zero ci fermiamo, quindi io penso appunto che il linguaggio non sia tutto esattamente ciò che costruisce il nostro pensiero cioè il nostro pensiero sì usa, utilizza il linguaggio di sicuro però a questo punto nelle fantasie …è nella fantasia che si usa sicuramente il linguaggio perché prima della fantasia c’è la logica cioè ciò che ci dice che una proposizione è vera o falsa.
È una bella domanda, e le darò una bella risposta. Mi ricordo una volta che un insegnate durante la lezione di logica appunto la definì in questo modo: come il corretto modo di ragionare, semplicemente. Ma da che cosa è definito il corretto modo di ragionare? Che cosa lo definisce esattamente? Perché è vero che c’è un corretto modo di ragionare, per esempio quello che non si contraddice…
Intervento: i tre principi aristotelici…
Esattamente, ci può aggiungere anche Kant se vuole: è vero tutto ciò che non è autocontraddittorio. La logica dunque è ciò che costringe a pensare in un certo modo, per esempio evitando l’autocontraddizione ed evitando di procedere nella direzione che è stata rilevata essere falsa, ebbene ciò che dicevo prima del linguaggio è esattamente questo, al punto che posso indicare con logica nient’altro che la struttura del linguaggio, la struttura del linguaggio e il suo funzionamento è esattamente ciò che chiamiamo logica. Vede, come le forse sa ci sono vari tipi di logica, a partire da Aristotele in poi ce ne sono state molte e a un certo punto Wittgenstein addirittura sbotta in una sorta di quasi imprecazione: “potessimo liberarci della contraddizione!” Così dice. Ma se si libera della contraddizione può ancora continuare a pensare? Oppure a quel punto qualunque cosa vale il suo contrario? Così come nel caso in cui una singola parola significasse simultaneamente tutte le altre, lei potrebbe parlare?
Intervento: no!
No, in nessun modo. Lei ha citato Aristotele, il principio di non contraddizione, del terzo escluso, e di identità… il principio di identità: una parola è quello che è, non può essere simultaneamente le altre, occorre che sia possibile distinguerla, o è quella o non lo è, e ci sono tutti e tre i principi. Aveva inteso Aristotele già duemila e cinquecento anni fa il funzionamento di questa struttura in modo abbastanza preciso, e la logica non è altro che il modo in cui funziona questo sistema che impedisce la contraddizione, la impedisce perché se io mi contraddico, e me ne accorgo naturalmente, non proseguo, poi mi consente di potere individuare ciascun elemento e distinguerlo da ciascun altro, altra condizione perché possa funzionare tutto il sistema, e allora non è che esistano tanti tipi di logica, ce ne è una, una sola, che è quella che è insita nel funzionamento stesso del linguaggio e senza la quale il linguaggio non funzionerebbe, per questo possiamo dire tranquillamente che la logica non è altro che la struttura del linguaggio, il suo funzionamento più radicale, più essenziale…
Intervento: quindi è il contrario di quello che pensavo io…
Qualcosa del genere…
Intervento: io infatti contavo che il linguaggio fosse lo strumento della logica (no!) io con il linguaggio definisco che A è A – A è diverso da B -… i tre principi…
Perché li definisce? Perché conclude una cosa del genere? Se lei costruisce questa sequenza: se A allora B e se B allora C, lei è costretto a inferire che se A allora C, chi la costringe? Nessuno, eppure…
Intervento: è una costrizione logica…
Esattamente, e questo non è nient’altro che il funzionamento del linguaggio che funziona così, lei per pensare qualunque cosa sia pensa in questo modo, attraverso inferenze. Potremmo dire che il linguaggio è composto, giusto a scopo descrittivo, da due aspetti: uno logico e uno retorico, la logica è l’impianto, quello che fa funzionare tutto, la retorica è tutto ciò che può costruire: fantasie, pensieri, immagini, storie, tutta quella sterminata, infinita serie di cose che gli umani hanno pensato, detto, immaginato, scritto negli ultimi tremila anni. Cosa dice la retorica? Si avvale ovviamente della logica perché non potrebbe esistere senza la logica, però utilizza delle forme, delle figure, delle configurazioni che sono il modo in cui le cose si dicono, per potere dirsi necessitano di una struttura ma poi il modo in cui si dicono, questo ciascuno lo fa a modo suo, l’importante è che non si contraddica e alcune figure retoriche che apparentemente si contraddicono possono essere utilizzate e sono tali proprio perché la retorica conosce la logica e cioè sa, come nel caso dell’ossimoro “la neve nera!” è un ossimoro, accosta due termini che sono antonimici, cioè contrari tra loro, ma può compiere questa figura perché ciascuno sa che la neve non è nera, allora diventa una figura retorica, perché c’è una contrapposizione, c’è una differenza. Se dice che la neve è nera l’altro sa benissimo che non è nera ma immagina che se ha detto che è nera allora vorrà dire qualche altra cosa e si ingegna magari, tutta la poesia è fatta così. Ecco adesso sentiamo magari qualcun altro dopo questa digressione linguistica…
Intervento: non conoscendo la logica non posso dirne… però una cosa banale: il desiderio sessuale dettato dalla logica non mi sembra sia stato spiegato bene… mi pare di capire, con la logica elementare che io ho che nell’essere umano ci sono i bisogni fondamentali: la fame, la sete e l’istinto sessuale di qui si può costruire tutto quello che poi viene fuori con un concetto di verità…se lei prende un animale lui lo capisce subito perché va di qua perché c’è da mangiare, va di là c’è da mangiare, qui la femmina in calore di là la femmina in calore e questo l’uomo mi pare che l’abbia capito anche se non è un animale… ci sono poi i condizionamenti che sono fatti per creare anche questi istinti anche dove non ci sono… se lei riesce a sviluppare un discorso elementare forse riusciamo a capire…
In un certo senso ho risposto anche a questo indirettamente, e cioè il fatto che ciascuno cerca il potere poi, come diceva lei, si operano questi condizionamenti al fine di ottenere maggiore potere, è ovvio, e la domanda che ci si pose prima era perché…
Intervento: aspetti che finisco… cosa vuole questo potere? Di potere appropriarsi di tutte queste belle cose di questi maschi, di queste femmine… se prendi questo godi di più…
In parte sì, però ci sono delle situazioni in cui effettivamente il benessere è già raggiunto ampiamente, cionondimeno si continua a fare questo gioco. Prenda per esempio uno come Bill Gates, non credo che abbia problemi di benessere e di sopravvivenza immediata, di soldi ne ha parecchi, tuttavia continua una sorta di scalata al potere attraverso acquisizioni varie, compravendite, operazioni varie di ogni sorta, perché lo fa? Perché ha paura di non avere da mangiare il giorno dopo? Sicuramente no. Non è forse la stessa situazione che si crea quando per esempio si gioca a poker con gli amici, si gioca a poker e l’obiettivo non è quello di portare via 5 o 10 euro all’amico ovviamente, anche se si fa di tutto per vincerlo, ma non sono quei quattrini che interessano, ma l’idea di vincere. Per riprendere la metafora precedente, di avere il potere…
Intervento: se lui perde il potere non è che gli viene l’idea che perde le femmine, perde il mangiare…
Bill Gates teme questo secondo lei? In ogni caso è un gioco, ma questa è una questione interessante perché questo gioco che viene praticato da quando c’è traccia degli umani, dagli agoni atletici a quelli dialettici, e poi le prove di abilità, tutte queste cose che scopo hanno se non di vincere, e quindi ovviamente mostrare il proprio valore, la propria abilità, ma perché mostrare una cosa del genere?
Intervento: cosa intende con gioco?
Un gioco è una sequenza di operazioni vincolate da regole, e l’obiettivo è vincere, tutti i giochi per definizione portano a questo, alla vittoria, e questo non è indifferente se si considera che qualunque operazione facciano, che sia il gioco delle carte o qualunque altra cosa, ma anche le guerre in fondo portano a questo, a vincere, cioè a imporre la propria verità. Nelle guerre di religione imporre la propria religione cioè il proprio credo, le cose in cui credo, perché devo imporle sugli altri, a che scopo? Perché voglio che questi altri credano le stesse cose che credo io? Perché cerca di persuadere, di convincere le persone per esempio di alcune cose che ritiene essere vere? A che scopo? E ciascuno lo fa continuamente, costantemente e, come vi ho detto forse verso l’inizio, c’è qualcosa che li costringe a fare questo ed è ciò di cui sono fatti, che è anche ciò che consente loro di pensarsi vivi, o esistenti per esempio. Qualcuno tempo fa chiedeva: che cos’è il linguaggio? Per dirla in modo molto spiccio: è ciò che consente agli umani di pensarsi tali, se no non potrebbero pensarsi tali e poi, se volete invece dirla tutta, una sequenza di istruzioni per costruire proposizioni e quindi frasi e quindi discorsi e quindi la vita di cui ciascuno vive…
Intervento: riflettevo che anche quando c’è un grande benessere personale ricerchiamo sempre i problemi e allora ricerca l’acme, l’eiaculazione in uno stadio dove la persona perde in quel momento… si sente quasi morire… ha un piacere….la particolare ricerca è di arrivare a quell’acme, l’uomo cerca una specie di morte… un misto tra il massimo piacere ma che è anche un qualcosa che è inafferrabile che desidera e lo teme allo stesso tempo…
Non so se lo teme propriamente, però sicuramente lo desidera fortemente, ma ha detto una cosa interessante: il fatto che gli umani si cerchino i problemi questo è vero, cercano problemi continuamente, tant’è che se non ci sono subentra quella condizione, dopo breve tempo, che si chiama noia generalmente, se uno ha niente da fare, nulla da brigare e di cui occuparsi si annoia. Cosa vuole dire che si annoia? Come ha detto giustamente lei non c’è nessun problema da risolvere, al punto che si sono inventate anche le parole crociate e un immenso business che gira su questo, sul tempo libero, cioè l’impegnare le persone quando non sono impegnate sul lavoro, perché se non sono impegnate da qualche cosa, a parte il fatto che possono fare danni, nel senso di cominciare a pensare per esempio, cosa che è assolutamente sconveniente, ma soprattutto c’è una forte richiesta da parte delle persone di occuparsi di qualche cosa. La domanda classica della domenica pomeriggio è: “adesso cosa faccio?”. Com’è che uno si fa questa domanda? Si tratta di intendere perché e soprattutto da dove viene questa necessità di avere sempre qualcosa da risolvere, vale a dire un problema, qualcosa che impegni per la sua soluzione, e allora si costruisce un problema e in questo caso si trova già fatto e ci si impegna a risolverlo, cioè si fa che cosa esattamente? Ciò che ciascuno fa continuamente: farsi domande e cercare di rispondere, fa continuamente questo e anche in quel caso bisognerebbe chiedersi che cosa costringe a fare una cosa del genere? Cioè a dovere avere sempre qualcosa da fare, sempre un problema da risolvere al punto che se non c’è ce lo si cerca. Persone che stanno benissimo e non hanno apparentemente nessun problema a un certo punto incominciano a crearsene, in alcuni casi è evidente che se lo siano creato, per questo motivo, perché ciò di cui sono fatti li costringe ad avere sempre qualcosa da risolvere, da raggiungere.
Bene, grazie a ciascuno di voi e buona serata.